Delenda carthago
Non avrei mai pensato di venire in Tunisia con Avventure nel Mondo, data la facilità con la quale può essere organizzato un viaggio qui, ma una situazione particolare ed imprevista mi ha costretto ad improvvisare un viaggio verso una meta diversa da quella studiata, all’ultimo momento, e senza un compagno di viaggio.
Stavolta almeno siamo “solo” nove, tre ragazzi e sei ragazze, più o meno giovani a quanto pare.
Il volo (con Tunisair) è durato pochissimo, e ci ha scaraventato in una Tunisi dal cielo coperto e dal caldo umido opprimente.
Neanche a dirlo, le auto prenotate con Europcar non erano pronte e così, mentre in tre hanno atteso che almeno una fosse disponibile, in sei ci siamo diretti all’albergo con due taxi che ci hanno fregato neanche fossimo giapponesi: alla contestazione che il tassametro era rotto, il nostro tassista ci ha detto che avremmo pagato la stessa cifra che avrebbe segnato il tassametro dell’altro taxi; peccato che la stessa scena si fosse svolta sull’altra vettura e che quindi, giunti a destinazione, ci abbiano chiesto 10 dinari a taxi, contro i 4/5 che ci aspettavamo di pagare.
Alloggiamo all’Hotel Maison Doreé, centralissimo anche se un po’ demodé e senza aria condizionata (nella stanza, che divido con un altro Alessandro che viene dai dintorni di Firenze, c’è un ventilatore ma è dotato di un timer che lo fa spegnere dopo circa un’ora e mezza).
In attesa delle auto, ci siamo diretti verso la medina per un piccolo giro esplorativo.
Essendo venerdì alcuni negozi sono chiusi, e c’è un via vai di gente che si reca alla moschea; non si sente, però il richiamo del muezzin che solitamente caratterizza tutti i luoghi ove è professata la fede musulmana, richiamo tanto suggestivo durante la giornata, quanto foriero di assonnati mugugni all’alba.
La medina, salvo che in qualche angolo più remoto, mi è sembrata molto “turistica”, con negozi che mettono in vendita le solite paccottiglie destinate ai visitatori stranieri in shorts ed occhiali da sole.
Tornati in albergo abbiamo avuto la notizia che una macchina era arrivata, che un’altra sarei dovuto andare a prenderla all’aeroporto (quanto meno accompagnato da un’autista), e che la terza sarebbe arrivata domattina, in tempo per partire da Tunisi; chissà perché, ma essendo in Africa la cosa non mi ha stupito più di tanto.
Dall’aeroporto siamo riusciti (io e Renato, il terzo ragazzo del gruppo che mi ha accompagnato) a raggiungere l’albergo grazie alle gentili indicazioni di altri automobilisti: quel poco di francese studiato (poco) questo inverno sta cominciando a dare i suoi frutti… proverò ad approfittare del viaggio in questo Paese per approfondire la lingua.
Per la cena abbiamo scelto il ristorante Carcassonne, a due passi dall’albergo, che ci ha proposto un menù turistico ma abbondante per 4 dinari ognuno.
Dopo una passeggiata per Avenue Bourguiba, vialone deputato allo “struscio” cittadino, ove addirittura abbiamo assistito a parte di un concerto di un gruppo locale tenutosi su di una scalinata accanto al teatro (c’era chi ballava davanti all’improvvisato palco, ma ovviamente erano solo uomini), ce ne siamo andati a letto.
A causa della perdita di tempo per recuperare le auto non siamo riusciti a vedere molto di Tunisi, ma probabilmente recupereremo al ritorno.
La capogruppo sembra attiva e precisa, anche se ha esordito durante la prima cena col rovesciarmi addosso un bicchiere d’acqua con il suo gesticolare (per fortuna, cellulare e macchina fotografica digitale non hanno riportato danni): brutto segno… Ain Draham, 21 agosto Giornataccia.
C’è stata recapitata all’albergo la terza macchina: ora disponiamo di una curiosa Clio tre volumi, guidata dal mio compagno di stanza, nonché di due Opel Astra condotte da me e da Renato, di Casale Monferrato.
Partiamo in direzione di Thuburbo Majus, e subito l’altra Astra mostra problemi di chiusura al portellone posteriore.
Perdiamo la strada svariate volte, ed è curioso notare come la maggior parte dei poliziotti cui abbiamo chiesto informazioni per strada non sia assolutamente in grado di leggere e comprendere la nostra carta stradale Michelin: addirittura non riuscivano a mostrarci sulla carta dove eravamo, e quindi dove loro stessi erano di pattuglia! Dopo una breve sosta per qualche foto (degli altri) ad un rudere di acquedotto romano (a Roma ho qualcosa di meglio conservato), siamo con il gran caldo arrivati al sito archeologico di Thuburbo Majus, ove sono i (poveri) resti di una città che ebbe il suo massimo splendore durante l’Impero Romano.
Passando per la cittadina di El Fahs, l’altra Astra ha improvvisamente emesso un fumo acre: pare che la ventola non abbia funzionato, e che si sia bruciata la testata.
Incazzatissima, la nostra “tour leader” ha telefonato all’ufficio Europcar dell’aeroporto di Tunisi, che le ha detto di lasciare l’auto lì (e vorrei pure vedere…) e di proseguire con due macchine fino ad Ain Draham, ove l’indomani avremmo avuto una terza vettura in sostituzione.
Ci siamo diretti verso Dougga, altro sito archeologico di storia romana, che ci ha mostrato un bel teatro, oltre ad altre costruzioni, tra le quali un tempio ben conservato.
Macinando chilometri verso la tappa finale della giornata ci siamo accorti che una delle gomme della Clio era a terra, ed un gommista ci ha detto che era da riparare: un quarto d’ora e due dinari (un euro e venti!).
Siamo alfine, alle otto di sera passate, arrivati all’Hotel Beau Sejour di Ain Draham.
Il buio non mi ha consentito di vedere alcunché di questa moderna cittadina montana (è situata a circa 1.000 metri di altezza) costruita dai Francesi per sfuggire al caldo africano, e la stanchezza dovuta principalmente alla notte passata in bianco a Tunisi per via del caldo, del tram che correva sotto la stanza, e del russare del mio “coinquilino”, non mi ha fatto notare alcunché di notevole nell’albergo; la nostra stanza (piccola, due letti attaccati ed accostati al muro in un angolo, ci si muove a disagio) si trova in un edificio situato dietro quello principale.
Abbiamo pagato per la mezza pensione, ma delle portate servite in tavola ho assaggiato solo un po’ di arrosto con patate fritte.
L’altezza concede una tregua al caldo: quando siamo arrivati il termometro della macchina segnava 19°C.
Gafsa, 22 agosto Ancora rovine romane.
Da Ain Draham siamo partiti per Bulla Regia, che presenta la particolarità di alcune case che i Romani avevano costruito sfruttando anche il sottosuolo per difendersi dal caldo: c’è anche un piccolo teatro ed i resti delle terme; la visita del sito, come già era avvenuto a Thuburbo Majus, l’ho fatta per conto mio, mal sopportando l’idea del viaggio di gruppo.
Qui abbiamo incrociato anche qualche gruppo di tours organizzati di varia nazionalità, tra i quali spiccavano degli insoliti slavi.
Da Bulla Regia a Le Kef ho ceduto il volante a Renato, rimasto orfano della “sua” Astra e che si annoiava seduto dietro nella mia macchina.
A Le Kef il gruppo si è diviso, e io con pochi altri siamo riusciti ad entrare nella kasbah, il forte militare che domina la medina (di scarso interesse), dando una piccola mancia di un dinaro ognuno al custode, che ci ha accompagnato per un giro senza peraltro perdere occasione di cercare il contatto fisico con una delle mie compagne di gita.
Per arrivare a Sbeitla, ove si trovano le rovine di un’altra città romana, ho ripreso il volante in mano; è dura seguire un’auto che va al massimo a 90 all’ora quando la strada è bene asfaltata, dritta e libera, e così ho superato l’auto con a bordo gli altri (capogruppo inclusa) e mi sono fatto qualche chilometro con punte di 120, per poi fermarmi prima di un bivio ad aspettare la Clio.
Ne è sorta una piccola discussione con qualche lamentela ma, a parte il fatto che io ho comunque aspettato gli altri, ho sempre ritenuto i tragitti tra un obiettivo e l’altro solo delle perdite di tempo, e preferisco – quando è possibile – viaggiare veloce di giorno, soprattutto per evitare i disagi ed i pericoli di una guida notturna dovuta al ritardo.
Sta di fatto che anche Sbeitla, come già tutti gli altri siti, me la sono vista per conto mio in santa pace, lontano dagli schiamazzi del gruppo.
Purtroppo non c’è nulla da fare: ho tentato di forzare la mia natura per la seconda volta, dopo l’esperimento di questo inverno in Iran, ma veramente non sopporto di viaggiare con più di una persona.
Perché allora andare con Avventure nel Mondo? Per mettersi alla prova e poter dire “almeno ci ho provato”, per ovviare a problemi di visto (Iran, un giorno Libia) o problemi “personali” (Tunisia) che non mi hanno permesso stavolta di viaggiare da solo, per viaggiare insieme a persone che, comunque, amano girare per il mondo.
Si dice che con Avventure nel Mondo vadano persone tra i 20 e i 50, spesso singles, che approfittano della formula di tale tour operator per poter vedere il mondo; è vero, ma il fatto è che spesso capitano persone che, viaggiando sempre in gruppo, mai si preoccupano delle questioni logistiche, non conoscono altre lingue, addirittura non si documentano sui posti che vanno a vedere, insomma: non organizzando nulla da sé e appoggiandosi solo ed unicamente sull’esperienza altrui, non possono essere considerati dei compagni di viaggio ideali per il sottoscritto, notoriamente intollerante ed insofferente.
Ma sto divagando.
Arrivati a Gafsa, scegliamo di alloggiare all’Hotel Maamoun, che la Lonely Planet descrive come “forse il migliore di tutti”.
Certo non è un granché, ma una breve visita al vicino Hotel Gafsa ci convince che almeno il primo è dotato di aria condizionata non centralizzata e – a volte – funzionante; i bagni susciterebbero orrore nei miei familiari, ma oramai sono vaccinato.
Buffo come in questo viaggio mi preoccupi dell’aria condizionata in camera: io in genere sono decisamente contrario (elimina l’abbronzatura e mi procura un persistente raffreddore), ma dovendo guidare per buona parte del giorno è basilare dormire la notte, e con il caldo che fa qui… Cena al ristorante Abid, frequentato dalla gente locale, dove non abbiamo mangiato malissimo anche se la spesa di 60 dinari in nove (mancia compresa) non è stata contenuta, considerata la media dei prezzi locali.
Il resto della serata è stato trascorso facendo piani per le successive tappe nel cortile del bar dell’albergo, dotato anche di piscina (vuota, ahimè).
Il condizionatore della stanza ruggisce rumorosamente, ma i più di 300 chilometri di oggi mi faranno stramazzare sul letto per una dormita come si deve.
Tozeur, 23 agosto Inizia il giro delle oasi, e arriviamo a Mides dopo essere stati fermati dalla stradale perché la Clio, che come al solito va avanti per prima, ha fatto un sorpasso su quello che è risultato essere l’unico dosso – e con linea continua – in tutto il tragitto deserto; ovviamente la pattugli aera piazzata subito dopo (c’è da dire che, per chi guida, la popolazione tunisina sembra essere composta per la metà di poliziotti: ce ne sono ad ogni incrocio); meno male che ce la siamo cavata con una lieve cazziata da parte di un sorridente poliziotto: altro che punti in meno sulla patente! A Mides c’è un’oasi, un villaggio abbandonato e semidistrutto, una gola in mezzo alle rocce e, manco a dirlo, parecchie bancarelle che vendono paccottiglia per turisti; venendo dalla capitale della paccottiglia per turisti, sono solito passare oltre senza neanche guardare.
Da Mides siamo passati a Tamerza, dove ci sono due “cascate”: in realtà si tratta di piccoli getti d’acqua, uno dei quali (poco oltre la città) è denominato “la grande cascata”; appena arrivati a Tamerza si è circondati da giovani locali che promettono di mostrare il luogo della “cascata” in cambio di una mancia, ma a dar retta a loro si rischia di fare a piedi un lunghissimo percorso e di finire al massimo dove c’è la prima, ben poca cosa.
Lì buona parte del gruppo ha deciso di fermarsi, per poi andare a vedere la gola ove hanno girato qualche scena del film “Il paziente inglese”, mentre la mia auto ha proseguito (grazie alle indicazioni avute dall’autista di una jeep) per la “grande cascata”, che si trova poco oltre il paese, svoltando a destra per una stradina sterrata subito dopo una discesa.
La cascata forma un piccolo stagno ove è possibile nuotare: che bello! Acqua fresca in pieno deserto, magari non pulitissima (anzi), ma estremamente rinfrescante e piacevole: ci voleva proprio un po’ di relax, addirittura con idromassaggio naturale sotto il getto d’acqua.
Il luogo è molto frequentato dai partecipanti ai tours organizzati, che però arrivano, rimangono solo per il breve tempo di un tuffo (giapponesi esclusi: loro si sono limitati a fotografare lo stagno dall’alto, dotati di cappelli, ombrelli e guanti!).
Noi, invece, dovendo aspettare l’arrivo del resto del gruppo, ci siamo goduti l’acqua fresca per il tempo necessario a ritemprarci.
Gli altri ci hanno alla fine raggiunto per fare anch’essi un breve tuffo, e poi siamo ripartiti alla volta di Tozeur.
Qui abbiamo alloggiato all’albergo più bello utilizzato finora, il Residence El-Arich: carino, personale cortese, bagni puliti e docce che non richiedono doti di contorsionista, aria condizionata moderna e funzionante (in città tira un vento caldo e appiccicoso che soffia dal deserto e fa sudare abbondantemente), prezzo economico.
Prima di cena, facendo un giro da solo per la città, ho conosciuto un ragazzo italiano che vive qui da 15 anni e ne ho approfittato per farmi dare qualche indicazione sulle località di mare; lui ha detto che da Jerba ad Hammamet la costa è “turistica”, che lui va al mare a Kelibia, che mi ha assicurato avere spiagge belle e deserte con un mare pulitissimo, e che in ogni caso dopo il 15 di agosto i turisti diminuiscono: ad ogni modo, la località di Madia che ho individuato come possibile meta per qualche giorno di riposo dovrebbe essere apprezzabile per la bella cittadina ed il mare pulito.
Ceniamo al Restaurant du Soleil sperando in una bistecca di cammello, ma in assenza della stessa abbiamo ripiegato su di un mega couscous.
Dopo aver fumato uno sheesha nel giardino dell’albergo, siamo andati a dormire con l’aria condizionata per mitigare il gran caldo.
Douz, 24 agosto Abbiamo deciso di saltare la prevista gita all’oasi di Nefta per dare un’occhiata più approfondita a Tozeur (poca roba e molto turistica), dopodiché abbiamo preso la via di Douz con tre auto, visto che la locale Europcar ha supplito all’inefficiente servizio della sede dell’aeroporto di Tunisi; ora Renato può bearsi alla guida di una Polo.
Abbiamo così attraversato lo spettacolare Chott el-Jerid, il lago salato: acqua ce n’era ben poca, mentre erano ben visibili le incrostazioni di sale che si spandevano verso il piatto orizzonte.
A Douz ci siamo appoggiati all’Hotel 20 Mars, che ci ha messo a disposizione due stanze per depositare i bagagli, i bagni e le docce; è chiaro che lo stesso albergo ci ha organizzato la gita nel deserto, con partenza alle cinque del pomeriggio dal locale “cammellodromo”, un curioso stadio ai margini della distesa desertica ove si svolgono le corse dei dromedari.
Siamo partiti, in groppa ai dromedari, noi ed una famiglia pugliese (padre, madre e due figlie, la più giovane delle quali – 6 anni – si è rivelata la classica bambina dalla chiacchiera inarrestabile e dalla ipercineticità accentuata: una vera e propria rompipalle, subito odiata dal gruppo; peccato che mi sia perso la sua caduta dall’animale che la trasportava…).
Come immaginavo, la gita è stata la classica attrazione turistica: poche e basse dune (quelle “vere” sono 40 km più a sud), parecchia spazzatura lasciata in giro a deturpare il paesaggio nel deserto, un piccolo accampamento recintato ove abbiamo mangiato l’inevitabile couscous e abbiamo sopportato finanche la danza del ventre della capogruppo che, come se non bastasse la bambina pugliese, si è esibita al suono del tamburo suonato da uno dei cammellieri berberi: non c’è pace nemmeno nel deserto… Abbiamo dormito all’aperto sui soliti materassini luridi con coperte cariche di sabbia, se non d’altro; meno male che il cielo stellato da solo è stato in grado di compensare il resto.
Ksar Hallouf, 25 agosto Sveglia prima dell’alba, colazione con pane cotto lì per lì dai berberi, e partenza per tornare in città.
Molti hanno lamentato dolorini vari a causa del percorso effettuato con i dromedari (due ore all’andata e un’ora e mezzo al ritorno): effettivamente, rispetto alla sella che ho utilizzato a suo tempo in Marocco, queste erano più scomode, e non consentivano di tenere quella posizione con una delle due gambe appoggiata con il ginocchio sul pomo anteriore, cosa che evita la scomoda andatura con le gambe penzoloni e l’interno coscia che struscia contro l’animale.
Dopo una lunga pausa ed una doverosa doccia siamo ripartiti verso la zona delle case troglodite, situate a Matmata e dintorni.
D’accordo che in questi luoghi sono state girate alcune scene di Guerre Stellari, ma la presenza di pullman e jeep cariche di turisti è veramente insopportabile, anche perché tutti tengono i motori accesi per far andare l’aria condizionata, e quindi appestano l’aria con i gas di scarico.
Ad ogni modo, le case “troglodite” sono tutte uguali, per cui vista una, viste tutte: sono composte da un grosso buco circolare nel terreno, al cui centro vi è un pozzo e nelle cui pareti si aprono varie stanze; pare che la temperatura vi si mantenga costante d’estate e d’inverno.
In genere si viene accolti dalla famiglia che abita la casa, che mostra come si macina la semola per ottenere il couscous e come si tessono i tappeti, dopodiché viene offerto un tè: si lascia una mancia che può andare da tre a cinque dinari.
Dalla trafficata zona di Matmata siamo passati a quella intorno a Medenine, ove sono presenti i classici ksar, ovvero i granai fortificati (anch’essi comparsi in Guerre Stellari).
La “mia” Astra comincia a mostrare problemi di frizione nelle partenze in salita, speriamo bene.
Inizio a perdere la cognizione di tutti i luoghi che visito, forse per il fatto che penso a guidare seguendo la Clio e la Polo che mi precedono, “lasciandomi viaggiare” dagli altri; in questo modo, purtroppo, il viaggio non è più il “mio” viaggio, e non riesce ad assumere una sua propria identità.
Alla fine mi sono ritrovato a dormire a Ksar Hallouf, un posto dimenticato da dio e dagli uomini (ma non dai viaggiatori forniti di Lonely Planet) in cima ad una collina in fondo ad una strada sterrata.
Il posto è indubbiamente suggestivo e molto particolare, ma spartano – e fin qui nessun problema, ci mancherebbe altro – ma con un unico cesso mal funzionante ed un’unica doccia da fare coram populi, dato che non è provvista di porta; le stanze sono ricavate dai depositi di grano e, non essendo molto ventilate, sono abbastanza calde: si dormirà con la porta aperta (almeno molti dei piccoli animali che le popolano avranno forse modo di uscire…).
La cena, ovviamente compresa nel prezzo data l’assenza di qualsivoglia locale nel giro di svariati chilometri, è consistita nella solita insalata tunisina (cipolle, zucchine, pomodori, olive, il tutto finemente tritato) e nel solito couscous che, seppur buono, non ho toccato dato che oramai mi esce dalle orecchie: da quando sono arrivato in Tunisia praticamente non ho mangiato altro.
Kairouan, 26 agosto Arrivati a Gabes, i 5/4 del gruppo propendono per fare il giro dell’oasi in calesse.
Non che mi voglia erigere sul piedistallo del grande sapiente, ma chiunque abbia un minimo di cervello, cultura ed esperienza sa che una cosa del genere è solo una fregatura per turisti, e così è stato: per non fare i “soliti” separatisti, anche i quattro dissenzienti si sono uniti al gruppo, ed hanno sopportato di perdere un’ora preziosa in un inutile giretto sotto il sole cocente (ma quali palme…) in mezzo ad un bel nulla, funestato per di più dagli schiamazzi della capogruppo.
Pare che questa faccia per lavoro l’accompagnatrice turistica, figura che nell’ambito di Avventure nel Mondo stona decisamente (almeno secondo me).
Finito il giro turistico del nulla totale, ci siamo diretti verso la spiaggia; neanche 300 metri e la frizione dell’Astra è partita: il pedale scendeva a vuoto, così ho accostato vicino ad un meccanico, il quale gentilmente ci ha detto che non poteva far nulla perché non aveva i pezzi di ricambio, ma che ci avrebbe accompagnati alla sede locale della Europcar.
Lì è iniziato il consueto giro di telefonate per rimediare un’auto in sostituzione, il cui orario di arrivo – secondo la consuetudine africana – è mutato via via che passava il tempo.
Per ingannare l’attesa una parte di noi (me compreso, mi pare ovvio!) è andata a vedere la spiaggia più vicina: questa, nonostante la vicinanza al porto, presentava un’acqua caldissima e pulita; l’arenile non era molto pulito, ma non mi aspettavo diversamente.
Dopo un breve, ma soddisfacente bagno siamo ritornati a patire il gran caldo di Gabes,e a consumare litri di liquidi vari al bar che avevamo eletto quale nostra base nell’attesa, ovvero il Cafè Izdihar di Avenue Bourguiba.
Alla fine, verso le 17,30, è arrivata una Clio come quella condotta dall’altro Alessandro, ma dotata di aria condizionata e radio (la mia solita fortuna sfacciata).
Il viaggio verso Kairouan è stato “allietato” da una tempesta di sabbia (ecco, questa mi mancava!), cui ha fatto seguito un breve temporale, con fulmini che solcavano il cielo che sovrastava la pianura.
Grazie alle mutate condizioni climatiche, non abbiamo trovato in città il caldo opprimente lamentato da altri viaggiatori nei giorni precedenti.
Alloggiamo all’Hotel Splendid, che ci offre belle stanze spaziose, con bagni puliti.
Cena al ristorante Karawan, il cui kebab di tacchino non mi ha soddisfatto più di tanto (ma meglio che mangiare ancora couscous…) ed il cui conto mi ha soddisfatto ancor meno (10 dinari, che qui sono un bel po’ di soldi, per un menù turistico).
Mahdia, 27 agosto Stamattina, prima di partire per Mahdia, abbiamo fatto un giro per Kairouan al seguito di un tale conosciuto al Karawan ieri sera, il quale disse che ci avrebbe fatto gratis da guida perché avevamo mangiato in quel ristorante. Bah! Fatto il biglietto cumulativo per i vari monumenti della città, ci siamo avviati attraverso la medina in direzione della famosa moschea, la prima ad essere stata costruita in nordafrica.
Purtroppo la guida dava spiegazioni sui luoghi, e la capogruppo si sentiva in dovere prima di ripetere tutta la spiegazione per i disattenti, e poi di leggere ad alta voce i brani della Lonely Planet relativi (brani che ovviamente avevo sulla mia copia della nota guida, come gran parte degli altri componenti il gruppo).
Viaggiare in gruppo non sarà il massimo per me (in fin dei conti se ognuno si facesse i fatti propri la cosa sarebbe sopportabile), ma l’avere un’accompagnatrice turistica schiamazzante è veramente troppo: ho piantato tutti lì e me ne sono andato a spasso da solo per godermi in silenzio il circondario.
La medina si è via via animata anche se, essendo venerdì, parecchie botteghe sono rimaste chiuse.
Ho vagato per le stradine e nelle gallerie dei souk al coperto, osservando l’attività (e, a volte, l’inattività) di artigiani e commercianti, più o meno impegnati nella vendita alla popolazione locale, mi sono seduto tra i bottegai osservando l’andirivieni della gente ed i giochi dei bambini.
Riunitomi al gruppo all’ora di pranzo, ho saputo che la loro “guida” voleva – ovvio – portarli in un negozio di tappeti di sua conoscenza (e profitto), e che quando il gruppo ha rifiutato li ha lasciati.
Dopo un sostanzioso panino in stile locale, ovvero con tonno, pomodoro, cipolla, olive, nonché infiammato con la temibile harissa, piccantissima salsa al peperoncino, ci siamo rimessi sulla strada, prima destinazione El Jem.
El Jem si distingue in particolar modo (si può dire anche unicamente) per il suo anfiteatro, costruito sul modello del Colosseo.
Per chi scrive, il trovarsi in Africa all’interno di una copia di quella che è probabilmente la più nota delle antiche vestigia della mia città (e quindi del mondo!) è stata un’esperienza decisamente curiosa: certo, l’originale è ben altra cosa, ma anche questa copia rende bene l’idea.
Il locale museo archeologico merita una visita (tra l’altro, l’ingresso è compreso nel prezzo del biglietto dell’anfiteatro) per diversi bei mosaici rinvenuti nelle abitazioni romane.
E poi ancora avanti, verso Mahdia.
È questa la località che abbiamo scelto (il programma di Avventure nel Mondo avrebbe previsto invece – orrore! – Jerba) per fermarci quattro notti per una meritata dose di mare e di riposo.
Mahdia sorge su di una penisola che si protende sulla costa verso est; le spiagge si trovano sulla costa verso nord, e sono per lo più gestite dagli alberghi di lusso, meta del turismo vacanziero “all inclusive”; ma un tratto tra le spiagge “turistiche” e la città è meta dei – pochi – bagnanti locali, ugualmente bello e con l’acqua trasparente sulla sabbia biancastra, ma difficilmente raggiungibile a piedi dalla “zone turistique”, e quindi quasi immune dall’invasione.
Avevamo prenotato all’Hotel Corniche, di fronte alla spiaggia, ma non ci hanno riservato le stanze con la ripartizione che avevamo richiesto, sicché alla fine abbiamo trovato posto presso l’Hotel El Medina.
Posto curioso, costituito da un cortiletto intorno al quale vi sono alcune stanze per due piani, tutte con le finestre che si aprono solo sul cortile (i bagni sono in comune, uno per piano); alla terrazza del terzo piano vi sono altre due stanze, lo stenditoio e dei posti ove sedersi e godersi il fresco.
Le camere sono funestate da un’accecante luce al neon che attraversa il soffitto, e sono dotate quasi tutte di un ventilatore.
Finalmente del pesce! Dopo giorni e giorni di couscous, arrivare in un posto di mare è stata la mia salvezza gastronomica e, al Restaurant de la Medina invaso dai fumi della grigliata, ci siamo concessi un menù ittico.
Un breve giro per la medina, piena di negozietti per turisti ma dotata di un certo fascino, e poi a letto.
Mahdia, 28 agosto Spiaggia, mare, sole, ma non senza aver prima fatto i conti con il bizzarro cameriere del nostro albergo, subito ribattezzato Igor (vd. Frankenstein Junior).
Non si capisce quanto ci sia o quanto ci faccia, fatto sta che parla un francese molto approssimativo, è lentissimo, e sembra vivere in un mondo tutto suo.
Fare colazione in tempi brevi è impossibile, anche perché, alla faccia del cartello all’ingresso che afferma “la colazione verrà servita dalle 6,30 alle 9,30”, Igor (che funge anche da portiere notturno, ovvero dorme dietro il bancone) si alza alle 7,30 e va a fare la spesa.
Riusciti faticosamente a mangiare qualcosa, abbiamo prima provato a dare un’occhiata alla spiaggia della zona turistica, ma abbiamo solo rimediato una cazziata dalla stradale per non aver rispettato uno stop (niente multa, però); per il resto, italiani a frotte stipati l’un l’altro neanche fossimo a ferragosto a Ladispoli.
Siamo immediatamente fuggiti verso la spiaggia della popolazione locale, facilmente individuabile per essere davanti ad un piccolo parcheggio più o meno custodito dal un posteggiatore che chiede 500 millimes (mezzo dinaro) per tutta la giornata.
Ci sono anche degli ombrelloni di paglia, il cui uso costa un dinaro e, attraversata la strada, vi è un venditore di panini e bibite, subito eletto quale rifocillatore della nostra compagnia.
Cena presso l’albergo, stavolta, e sempre a base di pesce (anche se qualcuno ha “osato” metterlo nel couscous…).
Mahdia, 29 agosto Brutto tempo stamattina, e quindi giornata dedicata alla visita di Sousse e Monastir.
Sousse ha ben poco di attraente: una vecchia moschea della quale si può vedere solo il cortile, ed un ribat (ovvero una fortezza) utile solo per far foto dall’alto della torre all’inutile panorama cittadino.
Per il resto, solita medina con soliti negozietti per turisti e caldo quanto basta ber far bere litri di acqua e, alle volte, Boga, la limonata in bottiglia locale.
A Monastir ci siamo limitati a rinfrescarci nella spiaggia sotto il ribat, affollata dalla popolazione locale che ha mostrato – come di consueto o forse più, rispetto agli altri luoghi visitati finora – molto interesse per le fanciulle della nostra brigata: certo, da quando siamo arrivati in Tunisia le toccatine e le mani morte sono state all’ordine del giorno; per quanto riguarda le mie precedenti esperienze di viaggio in paesi islamici, in Iran non era mai successo nulla del genere, in Marocco viaggiavo da solo, per cui non ho parametri di riferimento, mentre della Turchia ho visto solo Istambul senza che abbia sentito donne lamentarsi.
Tornati a Mahdia in serata, abbiamo cenato al ristorante El-Moez, buono ed economico: io ho continuato la mia dieta a base di pesce alla griglia.
Mahdia, 30 agosto Oggi prima di colazione ho fatto un giro fino alla punta della penisola, dove c’è un cimitero, il faro ed un piccolo campo di calcio.
Andati in spiaggia al “solito posto”, nel pomeriggio siamo dovuti tornare in albergo perché si era annuvolato; ha poi cominciato a piovere, e sotto la pioggia abbiamo fatto un po’ di shopping per la medina di Mahdia.
In vendita c’era solo la solita roba per turisti, per cui ci siamo limitati a prendere qualche ricordino per parenti ed amici, nonché l’immancabile ciondolo ricordo del viaggio per me.
Per la cena siamo andati a finire all’Houria House, una pizzeria sulla Corniche; chiaramente la pizza era così così, ma l’importante era cambiare sapore dopo tanti giorni dominati dai soliti gusti.
Kelibia, 31 agosto Siamo passati perfino da Hammamet, la cui spiaggia ci è apparsa la peggiore vista finora: non solo la sabbia è sporca (cosa comune a tutte le spiagge da questa parti se non si va in quelle gestite dai grandi alberghi), ma anche il mare è ben lungi dalle trasparenze cui oramai siamo abituati.
Ciò nonostante, abbiamo passato qualche ora tra sole e mare, prima di fare un rapido giro per la medina bianca e blu e di mangiare un panino in un bar molto “trendy” che si trova in riva al mare all’angolo sud-ovest delle mura.
Abbiamo poi raggiunto Kelibia, ove abbiamo alloggiato all’Hotel Mamounia, sul mare, dotato di piscina (anche in camera: il bagno della stanza era perennemente allagato per una perdita), ove abbiamo anche cenato (bene), e dal quale abbiamo goduto la vista della vicina penisola, dominata da una fortezza.
Tunisi, 1 settembre Approfittando del fatto di avere tre auto a disposizione, il gruppo si è frammentato, ed ogni macchina è partita per una destinazione diversa, avendo appuntamento verso l’ora di pranzo, sulla strada per Tunisi, alle terme di Korbous.
Io ho voluto passare qualche ora su una spiaggia che si trova a nord della penisola di Kelibia, spiaggia praticamente deserta se si eccettua qualche rarissimo italiano di una certa età proveniente da un vicino villaggio turistico ma solo in transito sull’arenile.
Una meraviglia, ci si potrebbe mettere in nudo integrale senza alcun problema! Andando verso Tunisi sono finito a Cap Bon, promontorio dominato da una stazione radio e radar militare, e dal quale si gode di un bel panorama.
Alla fine ci siamo ritrovati tutti alla stazione termale di Korbous, dove le acque bollenti scaturiscono dalla roccia e si gettano in mare, trovando ad accoglierle una folla di bagnanti locali cui mi sono unito per una rapida abluzione.
Giunti a Tunisi, abbiamo preso possesso delle nostre stanze, ancora una volta all’Hotel Maison Doreé, ed ancora una volta nella stanza 204, che presenta l’inconveniente del tram che le passa sotto a partire dalle 4 del mattino; stanotte userò i tappi per le orecchie! Cena al ristorante El Abid, dove ho provato un’ottima Kammounia di polpo (un sughetto fantastico, da scarpetta col pane).
Tunisi, 2 settembre Oggi la sfiga si è nuovamente accanita sui nostri mezzi di locomozione.
Siamo andati a visitare il Museo del Bardo (niente di speciale, secondo me, solo un’orgia ininterrotta di mosaici provenienti dalle antiche case romane, ma per questo basterebbero gli esempi del museo di El Jem) e, all’uscita, la “mia” Clio non è ripartita (suppongo un problema alla pompa della benzina).
Abbiamo avvisato l’Europcar che avremmo lasciato l’auto nel parcheggio del museo e che avremmo proseguito con le altre due, e così abbiamo fatto, recandoci nella località vacanziera della buona società locale: Sidi Bou Said.
Posto carino, tutto bianco e blu, ove i “fighetti” locali fanno sfoggio di auto di lusso e vi sono perfino i cestini per la spazzatura.
Da Sidi Bou Said, priva per me di qualsiasi attrattiva, una parte di noi è andata alle rovine di Cartagine.
Non che ci sia rimasto molto da vedere, soprattutto dell’epoca pre-romana, ma l’emozione di trovarmi nel luogo in cui è fiorita la potenza che dominava il mediterraneo intero prima di pestare i piedi alle persone sbagliate è stata grande.
Dopo aver letto e studiato per ancile cronache degli scontri tra Romani e Cartaginesi, concluse con la distruzione totale della città e spargimento finale di sale su di essa per non far più crescere alcunché, non ho resistito alla tentazione di ripetere io stesso il rito, e mi sono fatto immortalare mentre spargevo sulle rovine in cima alla collina una bustina di sale presa – con evidente premeditazione – sull’aereo della Tunisair all’andata.
Dei vari punti da visitare della zona di Cartagine abbiamo visto innanzi tutto la collina di Byrsa, dominata dall’orrenda chiesa di S. Luigi costruita dai Francesi, e poi i (poveri) resti dell’anfiteatro romano e del teatro.
Siamo poi andati in cerca di una spiaggia, arrivando a quella di La Marsa, località vicina a Sidi Bou Said ugualmente meta del turismo d’élite locale.
Al tramonto, rientro a Tunisi per l’ottima ultima cena al Le Pacha, ristorante che si trova all’inizio della medina, proprio di fronte alla Port du France.
Tunisi, 3 settembre Levataccia alle 5 per poter essere all’aeroporto in tempo per restituire le auto e prendere il volo delle 8,40.
Ovviamente, l’ufficio della Europcar all’aeroporto si è ben guardato dall’aprire alle 7,30 come promesso, e alla fine abbiamo dovuto correre per non perdere l’imbarco; altrettanto ovviamente, l’aereo è partito con qualche ora di ritardo per non meglio specificati problemi tecnici, ma oramai lo spirito è già rivolto verso casa, e posso sbeffeggiare i miei compagni di viaggio facendo loro presente che sarò l’unico a potersi sdraiare su di una spiaggia già nel pomeriggio.
Abbiamo percorso più di 2.000 km, e il viaggio è arrivato alla fine lasciandomi abbastanza soddisfatto.
*** *** *** La Tunisia non è molto estesa, ma ha quasi tutto quel che si può chiedere per un viaggio: belle rovine archeologiche, cittadine dall’architettura caratteristica, deserto, oasi, mare pulito.
Il clima – considerato il periodo estivo – è sopportabile, anche se in alcuni giorni abbiamo sofferto il caldo umido, con conseguente massiccio consumo di bevande.
L’acqua minerale si trova dappertutto, talvolta anche gassata, e costa in media 1 dinaro la bottiglia da un litro e mezzo (prezzo per turisti, i locali non pagano mai più di 600 millimes).
Le strade sono abbastanza buone, e solo nella zona di Medenine abbiamo trovato qualche tratto sterrato.
La benzina costa poco, e l’unico problema di circolazione ci è derivato dalle macchine della Europcar, che non vedono manutenzione da quando circolano.
I Tunisini sono gentili, anche se gli uomini hanno il vizio di allungare le mani sulle fanciulle straniere; alcuni non parlano neanche il francese, soprattutto nei piccoli centri.
La polizia è onnipresente, ma abbiamo avuto modo di sperimentare che per il turista ha sempre un occhio di riguardo: chi porta soldi è sempre il benvenuto… Nel complesso, due settimane sono più che sufficienti per fare un giro completo anche se, alla luce dell’esperienza, forse organizzerei il percorso in modo diverso, saltando a piè pari Ain Draham, il posto più insignificante che abbiamo visto.
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