Day by day: dettagliatissimo itinerario inconsueto
15 gennaio: Bangkok Arrivati all’aeroporto di Bangkok (+6 ore rispetto all’Italia), che dista circa 40 km dal centro città, abbiamo prelevato dei soldi allo sportello automatico con la carta di credito (non ha senso portarsi dollari, l’euro viene cambiato ovunque, e meglio), poi dall’aeroporto siamo andati alla stazione ferroviaria (ci sono le indicazioni per raggiungerla ben visibili) e abbiamo preso un treno per la città (Stazione di Hualamphong) a 20 Baht a persona (circa 40 cent di euro). A chi intende visitare la città usando i mezzi pubblici, consiglio di acquistare la cartina di Bangkok che viene venduta alla stazione sia all’ufficio informazioni ferroviarie che all’ufficio informazioni turistiche a 50 Baht (attenzione, troverete un sacco di banchetti con la scritta “Tourist Information”, ma quello vero lo trovate salendo la scala, sulla sinistra; gli altri sono lì per proporre alberghi ed escursioni). La cartina in sè è fatta abbastanza male per ciò che concerne la grafica, ma riporta tutte le fermate con i numeri dei relativi autobus che vi si fermano (numeri grandi: bus climatizzati, numeri piccoli: bus normali). Avevamo prenotato la prima notte nella zona di Bangrak (zona indiana/musulmana), Hotel Woodlands Inn (470 Baht a notte, inclusa colazione, camera matrimoniale con bagno e aria condizionata). Dalla stazione di Hualamphong abbiamo raggiunto l’albergo a piedi (15 minuti). Ci siamo riposati qualche ora e abbiamo cenato in albergo (400 Baht in due= 8 euro), visto che non avevamo ancora preso familiarità con la zona e la stanchezza ci impediva di gettarci all’avventura… L’hotel ha anche un internet point (50 Baht all’ora), ma le connessioni dalla Thailandia, in generale, sono molto lente, anche nei posti in cui espongono cartelli che dicono il contrario…
16 gennaio: Bangkok Dopo la colazione in hotel, abbiamo preso il bus urbano n°1 (3,5 Baht a persona) per il centro, zona Grand Palace. Il Grand Palace è un isolato interamente recintato da mura alte, in cui si trovano splendidi templi dalla consueta forma a pagoda uno accanto all’altro, in una profusione di colori, riflessi di luce e profumi di incenso e fiori di loto, e in cui si trova il Wat Phra Kaew, tempio che custodisce il Buddha di Smeraldo, immagine piccola che viene “vestita” dal Re ad ogni cambio di stagione con un abito diverso. In ogni tempio buddhista e palazzo reale, ci si tolgono le scarpe prima di entrare, ed è vietato l’ingresso in abiti non consoni al luogo (canottiere, pantaloncini, gonne corte). All’ingresso del Grand Palace, che è un luogo non solo sacro ma a cui si deve rispetto in quanto palazzo reale, c’è un ufficio apposito che si occupa di “prestare” abiti e scarpe (nei palazzi e giardini reali, si devono indossare scarpe chiuse, che andranno poi tolte per accedere alle stanze interne e ai templi) sotto cauzione, che verrà resa alla restituzione degli abiti. Se preferite girare in pantaloncini e canottiera e pensate di prendere in prestito i vestiti là, consiglio di arrivare lì all’apertura, così c’è meno fila. L’ingresso al complesso del Grand Palace costa 200 Baht a persona, e include anche l’ingresso alla Vinanmek Mansion e alla sala del trono di Abhisek Dusit, quindi conservate i due tagliandi che avanzano se intendete visitare questi due luoghi, situati in un’altra zona della città. Qualche considerazione sul Grand Palace: è un luogo incredibile, immerso nel traffico caotico e nello smog di una metropoli, e varcandone la soglia sembra di entrare in un altro mondo… Ovviamente è la meta principale del turismo a Bangkok, per cui non troverete mai la tranquillità e il silenzio per visitarlo che questo luogo merita. La spiritualità e il misticismo che dovrebbe emanare, sono azzerati dal continuo andirivieni di turisti con macchine fotografiche che macinano foto su foto tra fedeli buddhisti che invece usano quel luogo per ciò che è: un luogo di culto. Nota su quanto ho osservato nei templi buddhisti: sono molto simili per quanto concerne forma e aspetto esteriori, e l’interno è costituito da ciò che potremmo definire un altare centrale unico (ma non è un altare) in cui si trova generalmente una statua molto grande del Buddha, circondata da un numero non definito di altre immagini e statue, lampadari, candele (non in tutti i templi), lampade, vassoi per le offerte di fiori di loto, ecc. Davanti a questo nucleo si trova un tappeto in cui ci si inginocchia per pregare e su cui, per rispetto, non dovreste mai stare in piedi. Davanti alle immagini del Buddha ci si inginocchia senza mai indirizzare i piedi verso Buddha (i piedi sono considerati la parte più impura di una persona, è considerato offensivo, ad esempio, indicare una persona o una cosa con un movimento del piede, e se si tocca qualcuno accidentalmente con il piede, bisogna chiedere scusa). In Thailandia il saluto non è mai una stretta di mano o un abbraccio, o due o più baci sulle guance. Il saluto è costituito dalle mani giunte e un impercettibile inchino, ed esiste una differenza nel saluto a seconda della persona a cui è indirizzato. Le mani giunte ad altezza del petto sono il saluto comune, per le persone “normali”. Al Re e ad altri alti ranghi, le mani sono giunte ad altezza del viso; a Buddha, sono giunte ad altezza della fronte.
Dopo la visita al Grand Palace, siamo andati al Wat Pho, a pochi metri, raggiungibile a piedi. E’ il tempio più antico e più grande di Bangkok, e custodisce il celebre Buddha disteso, statua lunga 46 metri e alta 15. L’ingresso costa 20 Baht, ed è aperto tutti i giorni dalle 8:00 alle 17:00. Il tempio appare molto piccolo, perchè tutt’intorno all’enorme immagine del Buddha c’è un corridoio per camminare largo un paio di metri appena. All’interno del complesso del Wat Pho c’è la sede della Scuola di Massaggio, dove è possibile avere un massaggio thai di un’ora per 300 Baht fatto dagli allievi della scuola. Dall’altra parte del fiume Chao Phraya, cui si accede con un battello (4 Baht a persona), c’è il Wat Arun, o Tempio dell’Alba, spettacolare complesso architettonico lontano dai coloratissimi, dorati e scintillanti templi a pagoda, rivestito di frammenti di ceramica colorata che deriva da tazze e piatti cinesi che venivano utilizzati come zavorra nelle navi. L’ingresso costa 20 Baht. Pranzare o cenare in Thailandia non è mai un problema. Dalla mattina alla sera, c’è un eterno cucinare ovunque: per le strade nelle innumerevoli bancarelle che vi sfornano un Pad Thai in 5 minuti, nei ristoranti, bar, alberghi, ecc. Dopo pranzo siamo andati a visitare il Wat Trimtit, alle spalle della stazione di Hualamphong, che ospita il Buddha d’oro (ingresso 20 Baht), e poi in hotel a riposarci, dopo una breve sosta alla stazione per comprare i biglietti del treno per Chiang Mai. La sera abbiamo cenato per la strada, in una bancarella, spendendo una cifra assurda solo perchè non-thailandesi (180 Baht in due: circa 3 euro). Dico assurda perchè abbiamo imparato in seguito che ciò che abbiamo mangiato in genere costa 60/80 Baht praticamente in tutta la Thailandia… Ma qui devo precisare una cosa. In questo paese esiste una gerarchia. Dei giovani nei confronti degli anziani, dei ricchi nei confronti dei poveri, del fratello maggiore nei confronti di quello minore, ecc. Ad esempio, se tra due amici che hanno frequentato la stessa facoltà uno ha un lavoro più prestigioso, quando escono insieme, dovrà pagare la cena o altro all’amico che ha avuto meno successo. In quest’ottica si può capire anche la differenza di prezzi riservati agli stranieri per i pasti ma soprattutto per gli ingressi a templi, musei, ecc.: visto che hanno più mezzi rispetto ai thailandesi, pagando di più danno la possibilità anche a chi non ha molti mezzi (il popolo) di visitare le stesse cose pagando meno.
17 gennaio: Bangkok Ci siamo dedicati a visitare la zona nord della città. Tempio di marmo (20 Baht), lo zoo di Dusit (30 Baht + 10 per il rettilario; c’è anche un trenino turistico all’interno che fa il giro del perimetro dello zoo, carino per i bambini, inutile se si vogliono vedere gli animali da vicino) e poi la Vinanmek Mansion, antica residenza del Re interamente in tek. Se siete stati al Grand Palace, uno dei tagliandi avanzati è il biglietto d’ingresso per quest’edificio. L’edificio è splendido. Si visita solo con la guida (nessun supplemento), ed è una visita molto veloce, in cui si vedono le stanze arredate con estrema cura dei dettagli secondo un gusto europeo molto raffinato. Per accedere alla Vinanmek Mansion, bisogna lasciare scarpe e borse/zaini all’ingresso, e non si possono fare foto all’interno. C’è un armadietto con la chiave che costa 20 Baht. Dietro la magione, c’è la sala del trono. Qui gli armadietti sono gratuiti. La sera abbiamo preso il treno per Chiang Mai (h 19:30, 671 Baht, 13 ore, treno di seconda classe con aria condizionata e cuccette). Consigliamo di prenotare in anticipo i viaggi lunghi in treno in cui desiderate avere un letto, perchè in Thailandia non esiste la pratica dell’aggiungerre vagoni in caso di richiesta maggiore: vi beccate quello che c’è, o provate per un altro giorno. “Quello che c’è” sono vagoni di seconda o terza classe con posti a sedere che variano a seconda del treno e del percorso (panche di legno o sedili imbottiti con schienale reclinabile). Il biglietto è decisamente più economico, ma 13 ore sono tante, specie se si viaggia di notte, ed arrivare in una località riposati è decisamente meglio che arrivarci dopo una nottata da incubo.
Esperienza personale, ne parlo in seguito… Piccola nota sul treno con aria condizionata: le cuccette superiori, per qualche oscuro motivo, costano meno di quelle inferiori, e sono comodissime. Ti preparano il letto con lenzuola pulite ed una copertina che sembra un asciugamano di spugna sigillata in un sacchetto. Ma fa freddo, l’aria condizionata è decisamente alta, quindi consiglio pantaloni lunghi e maglia o felpa a maniche lunghe per la notte in treno. Il bagno viene pulito costantemente, e di sera e di mattina si possono avere cena e colazione ordinandole direttamente sul treno (c’è un menù da cui scegliere; in due, tra cena e colazione, abbiamo speso 260 Baht).
18 gennaio: Chiang Mai Decisamente troppo turistica, è diventata una specie di Riviera Romagnola, piena di negozi, bar, ristoranti, locali, che di thailandese hanno ben poco. Il centro della città vecchia è racchiuso in un rettangolo perfetto delimitato da un canale. Ci sono varie porte su ogni lato del canale per entrare ed uscire dal centro. Circolare in motorino è comodo per girare fuori dal centro e in località vicine, scomodo e inutile per girare in centro, pieno di sensi unici, e percorribile benissimo a piedi. Per preciso volere della municipalità di Chiang Mai, all’interno del centro non circolano bus pubblici. Troppo traffico. La zona del centro più tranquilla è quella meridionale, dove dopo le 23:00 è quasi un deserto, contrariamente alla zona settentrionale (20 minuti a piedi), vicina al bazaar notturno, in cui c’è un caos costante. Noi abbiamo scelto la Banana Guest House (vedi Lonely Planet). 200 Baht a notte, zona tranquillissima, bagno e ventilatore in camera, docce calde nei bagni in comune, possibilità di fare colazione e consumare i pasti lì. E lì c’è un personaggio molto particolare, Mr Sak, che vale la pena di conoscere e soprattutto di ascoltare. A chi va oltre la frenesia del “vedere a tutti i costi”, passare qualche ora seduti a chiaccherare con lui, darà senso al viaggio fino a Chiang Mai. Ha tante storie da raccontare sulla cultura e le tradizioni thai per un orecchio attento che sappia ascoltare. Quelle sono tra le ore più belle e preziose che ho passato in Thailandia, seduta ad un tavolino a parlare con lui. Per mangiare qualcosa di tipico thai, consiglio la zona di Moon Muang Road, piena di ambulanti che vendono pasti per 20/30 Baht a persona. Da bere ti danno acqua imbottigliata o da una tanica, perchè una bibita (coca cola o altro) costa quasi quanto un pasto… Una delle principale attrazioni di Chiang Mai è il Bazaar Notturno, che si snoda oltre il canale settentrionale e oltre il fiume.E’ un labirinto di strade piene di bancarelle e negozi che vendono di tutto. Qui bisogna imparare a contrattare, perchè è forse il mercato più caro (e più turistico) della Thailandia. Spesso, dopo estenuanti contrattazioni, si spuntano prezzi anche inferiori del 50/60% rispetto a quelli iniziali. Chiang Mai non produce artigianato, vende quello prodotto nei paesi vicini. Se volete fare buoni acquisti, andate a Bo Sang, piccolo e delizioso centro famoso per gli ombrelli di carta dipinti, a 9 km a est di Chiang Mai. Un esempio: un ventaglio dipinto di piccole dimensioni, al mercato di Chiang Mai costa fino a 250 Baht. A Bo Sang ne trovate di enormi per 100 Baht. Le camicie in seta e cotone vengono prodotte a San Kaemphang. Se al Bazaar di Chiang Mai chiedono 250 Baht per una camicetta in cotone, insistendo parecchio e dicendo che sapete bene che a San Kaemphang costano 100 Baht, la spunterete. Perchè è vero. A San Kaemphang costa effettivamente 100 Baht! Tra l’altro, in questi due paesini vendono di tutto, non solo gli oggetti per cui sono famosi (seta, cotone, ombrelli e ventagli), per cui potete trovare tranquillamente stoffe, borse, ecc. Una parentesi sulle escursioni. A Chiang Mai, tutti ne vendono, e di tutti i tipi, dall’escursione a dorso di elefante, al rafting, alla visita ai villaggi delle tribù, ecc., e della durata di uno, due o più giorni. E tutti ti assicurano che tra le 4/5 escursioni proposte, una è una specie di meta esclusiva in cui ci sarete solo voi, senza altri turisti intorno, in un percorso non turistico. L’idea è affascinante, ma è vero che in quell’oretta di sosta in un villaggio sarete da soli, unicamente perchè il gruppo successivo arriverà quando voi sarete andati via… State certi che, appena partiti, dietro di voi ci sarà un altro gruppetto di non-turistici-visitatori-esclusivi…
Ovviamente tutte le escursioni garantiscono sicurezza, guida, zaini e tende, bla, bla, bla… Tre giorni di trekking costano dai 1400 ai 3000 Baht a persona. Ma facendo escursioni, andando al Bazaar Notturno, chiedetevi se conoscerete la Thailandia o se avrete solo visto e fotografato dei posti. Chiedetevi se avrete conosciuto i thailandesi, la loro cultura, le loro tradizioni. Perchè la Thailandia non è un’escursione. La Thailandia è il suo popolo. Tutto dipende dallo scopo del vostro viaggio. Se volete portarvi a casa statuine, artigianato e fotografie di voi seduti su un elefante o di una donna dal collo allungato, avrete modo di farlo senza difficoltà. Ma se volete conoscere la Thailandia, ci vorrà un pò di sforzo in più e tanta umiltà e capacità di ascoltare ed osservare. L’immagine più triste che ricordi è quella di due turiste con Lonely Planet sotto braccio, che si fotografavano a vicenda davanti ad una statua del Buddha, inginocchiate dandogli le spalle (e i piedi…), facendo finta di pregare (con i gesti sbagliati). Si può non credere in Buddha, lo si può vedere come una bella statua da fotografare, ma è triste vedere i volti dei thailandesi che osservano la scena, e basterebbe osservare come ci si siede e si prega davanti al Buddha (basta osservare attentamente la gestualità di tutti i buddhisti in giro per la Thailandia) per cambiare le espressioni di sgomento e disagio dei thailandesi in sorriso per una tradizione non sentita ma rispettata anche da parte del turista di turno. In una chiesa, vi sognereste di farvi una foto abbracciati al crocifisso mentre è in corso la Messa? Dopo la visita a Chiang Mai, abbiamo deciso di ignorare i suggerimenti della Lonely Planet, e tranne che per alcune informazioni di carattere pratico, l’abbiamo usata al contrario, andando cioè in quei posti che sconsigliava perchè “poco interessanti”, fermandoci due giorni dove consigliava di non pernottare, ecc. E il viaggio ha preso un’altra piega. Perchè se è vero che la Lonely Planet è una guida scritta bene e piena di informazioni utili, è vero anche che in mano ad un turista irrispettoso e arrogante come ne ho visti a migliaia, può distruggere e trasformare posti che erano semplici ed affascinanti in località di massa dove tutti questi figli della Lonely Planet venuti su male preferiscono McDonalds alla bancarella che esiste lì da quando esiste la Thailandia. Il popolo thailandese è estremamente educato, rispettoso ed ospitale, e se un turista vuole la birra e musica disco, gliela dà, anche perchè i soldi dei turisti sono in alcune zone l’unica forma di guadagno. Ma non è bello, e non è corretto, andare in un luogo in cui si è ospiti e volerne cambiare le abitudini. Semmai ti devi integrare tu. Altrimenti, semplicemente, scegli una meta che si adatti di più ai tuoi bisogni. Scusate la parentesi polemica. La sera, visto che era tardi ed era quasi tutto chiuso (i ristoranti e le bancarelle chiudono verso le 22:30), tranne che nella zona settentrionale che volevamo evitare (pub e locali caotici e troppo europeizzati), tornando alla Guest House abbiamo incontrato un piccolo ristorante, il Little Austria, gestito da un uomo di Graz sposato con una thailandese che vive là da anni, e lei ci ha preparato un piatto delizioso e rigorosamente thai. C’eravamo solo noi, e abbiamo scambiato due chiacchere con lui mentre cenavamo sulla Thailandia, le sue tradizioni e altre cose.
19 gennaio: Chiang Mai e dintorni A Chiang Mai, ignorate le escursioni, abbiamo affittato un motorino (sono tutti con le marce) per 2 giorni da Mr Beer, consigliatoci dall’austriaco (200 Baht al giorno, inclusa assicurazione; bisogna lasciare il passaporto) e, dopo la confusione iniziale dovuta alla guida a sinistra, abbiamo cominciato a visitare i dintorni. Usciti da Chiang Mai, direzione San Kamphaeng. Da San Kampheang, a 19 km di distanza, ci sono le sorgenti calde omonime (ingresso 15 Baht), una specie di splendido parco con vasche di acqua calda in cui si può fare il bagno e usufruire di un massaggio (da pagare a parte) e giardini curatissimi pieni di fiori. Curioso particolare: all’ingresso del parco vendono cestini di uova crude il cui scopo non è chiaro finchè, durante una passeggiata nel giardino, si incappa in una serie di vasche d’acqua calda in cui trovate dei ganci e dei cartelli che indicano il “tempo di cottura” delle uova a seconda che si vogliano à la coque o sode. C’è un ruscello che scorre nel parco in cui si può fare il pediluvio. E’ frequentatissimo dai thailandesi, c’eravamo solo noi come turisti. Lungo la strada per le sorgenti, due km prima, c’è un benzinaio verde/azzurro sulla sinistra. Si gira a sinistra subito dopo e si raggiungono le sorgenti. C’è un parcheggio custodito per i motorini (obbligatorio, non si può lasciare altrove) aperto dalle 8:00 alle 18:00 che costa 10 Baht. E’ un luogo incantevole e rilassante, ma conviene andarci la mattina presto, altrimenti può fare troppo caldo per usufruire dell’acqua caldissima delle sorgenti… Da lì abbiamo ripreso la strada per Chiang Mai fermandoci a Bo Sang, in cui ogni anno, a febbraio, c’è la festa degli ombrelli. Il paese si snoda lungo una via, ed è abbastanza piccolo, e incantevole, con gli edifici adornati da ombrelli colorati di tutte le misure. E’ il posto dove andare per comprare oggetti d’artigianato senza dover contrattare, perchè i prezzi sono già bassi. Da Bo Sang siamo tornati a Chiang Mai. Lì ci siamo entrambi fatti fare un tatuaggio. Ci sono parecchi posti in cui farli, e dopo un giretto a raccogliere informazioni su costi e tempi, abbiamo optato per un posto chiamato Bloodhound, sulla Kotchsarn Road. Ci è piaciuto il suo modo di lavorare. Ha usato aghi nuovi e sterilizzati ed è stato veloce e preciso, dandoci tutte le informazioni per la medicazione post-tatuaggio. In due abbiamo speso 1300 Baht. Se siete a Chiang Mai, e volete fare un tatuaggio, informatevi lì. Lavora fino a tardi la sera, basta prendere appuntamento. Per cena abbiamo mangiato degli spiedini in salsa piccante venduti sulle bancarelle di tutto il paese.
20 gennaio: Chiang Mai e dintorni Da Chiang Mai siamo andati a nord, fermandoci a Mae Sa. Lì c’è un centro di addestramento di elefanti da lavoro, ed è un posto molto curato. L’ingresso costa 80 Baht, ed è possibile fare una passeggiata a dorso di elefante della durata di mezz’ora o un’ora. Mezz’ora costa 300 Baht a persona, ed è sufficiente, perchè non è una passeggiata comoda. Questo è un posto in cui tutto il ricavato di ingressi e passeggiate va interamente agli elefanti, e si vede, perchè rispetto ad altri centri ed allevamenti visti, qui gli elefanti sono nutriti, curati e puliti con dedizione da tantissimo personale che si occupa di loro. C’è anche uno spettacolo per i turisti che mostra gli elefanti al lavoro, in sfilata, che giocano a calcio e dipingono. Si possono acquistare i quadri dipinti dagli elefanti, che sono qualcosa di incredibile solo a vedersi! E’ un centro nato per l’addestramento degli elefanti in cui i turisti sono solo un contorno, quindi consiglio di venire qui se volete vedere elefanti e fare una passeggiata. Ovviamente all’interno ci sono vari servizi di ristorazione, bagni, ecc. Da lì siamo andati ancora più a nord, alle cascate di un Parco Naturale a circa una decina di km da Mae Sa. Siamo arrivati tardi, verso le 17:30, e le cascate chiudono alle 18:00, per cui non ci hanno fatto pagare l’ingresso che in genere costa 200 Baht a persona. Vista l’ora, c’eravamo solo noi, ed è stato splendido. L’acqua è freddissima, e la natura intorno è da mozzare il fiato. Dopo le cascate siamo tornati verso Chiang Mai, e cominciava già a tramontare il sole (la luce in Thailandia, è dalle 6:00 alle 18:00). Siamo passati in stazione per comprare i biglietti per Ayutthaya, meta successiva, e non trovando disponibilità in cuccetta (consiglio di prenotare il ritorno appena arrivati a Chiang Mai), abbiamo optato per le poltrone di seconda classe.
21 gennaio: Chiang Mai Dopo aver reso il motorino (ricordate di farvi restituire il passaporto!!!), abbiamo passeggiato un pò per Chiang Mai e ci siamo riposati per tutto il pomeriggio. Poi abbiamo preso un songthaew (una specie di pulmino aperto con panche trasversali che funziona da autobus privato o pubblico) dalla Guest House alla stazione (40 Baht). Alle 21:50 c’è il treno per Bangkok che ferma ad Ayutthaya (13 ore). Il biglietto di seconda classe costa 351 Baht, e se ne capisce la ragione, perchè per un viaggio così lungo, è un treno abbastanza scomodo. I finestrini spalancati e l’umidità della notte rendono l’aria fredda, e questo è il momento in cui ti chiedi perchè non ti sei portato dietro il sacco a pelo, che ti avrebbe tenuto al caldo… I servizi quasi chic da vagone cuccette qui sono ridotti ad un ometto con un secchio pieno di lattine che passa per i corridoi di tanto in tanto, che ricorda un pò i venditori che passano in curva allo stadio, e a qualche venditore ambulante che vende spiedini di qualcosa di non meglio definibile.
22 gennaio: Ayutthaya Arrivati alle 10:50 ad Ayutthaya, celebre per il suo parco storico, dichiarato patrimonio dell’umanità dall’UNESCO, abbiamo preso un traghetto (2 Baht) per arrivare dal molo vicino alla stazione alla città. Da lì, 15 minuti di camminata fino alla Ayutthaya Guest House, posto molto confortevole, con internet point, bar, e noleggio biciclette per 50 Baht al giorno proprio accanto. Abbiamo preso una camera con ventilatore senza bagno, visto che bastava aprire la porta e ti trovavi il bagno di fronte al corridoio. Molto pulita sia la camera che il bagno. La sera la guest house chiude, e per entrare hai un codice da digitare per aprire la porta principale. Abbiamo affittato 2 biciclette e siamo andati alla volta del parco storico, che si trova proprio in mezzo alla città. Si paga l’ingresso a tutti i monumenti (20/30 Baht a seconda del monumento), e ne vale veramente la pena, perchè l’atmosfera è irreale. Celebre è il Wat Phra Mahathat, dove c’è il volto del Buddha di pietra avvolto dalle radici di un albero. Ayutthaya si gira benissimo in bicicletta, e molti si fermano qui solo per vedere il parco storico, ripartendo subito dopo. Beh, vale la pena di girare per questa cittadina, perchè non è ancora stata contaminata dal turismo massiccio, e ci sono degli angoli suggestivi e molto tranquilli. La sera siamo andati vicino al canale, al mercato notturno, ed eravamo gli unici stranieri presenti. Abbiamo mangiato vicino al canale, come altre decine di thailandesi. E’ singolare pensare che la gente non si fermi qui più di un giorno.
23 gennaio: Ayutthaya Dopo un caffè, abbiamo preso ancora le biciclette e siamo andati a vedere l’antico recinto degli elefanti di cui rimane ben poco, se non un minuscolo villaggio in cui vengono allevati pochi elefanti e in cui nessuno parla inglese e in cui l’unico bar era chiuso. Poi abbiamo fatto delle passeggiate per la città, passando il canale in traghetto (noi due + le bici, 10 Baht) fino al Wat Phanan Choeng, in cui è custodita una statua del Buddha alta 19 metri. La sera, al mercato per cena. Stavolta, oltre a noi, c’erano almeno altri 6 stranieri… Niente, se paragonato ad alcune zone di Bangkok e Chiang Mai…
24 gennaio: Rayong e Ban Phe Da Ayutthaya abbiamo preso un autobus climatizzato per Bangkok (41 Baht a persona). 2 ore di strada fino al terminal Nord, e da lì abbiamo trovato subito un altro bus per Rayong, a sud, sulla costa (97 Baht a persona, 4 ore). I bus si fermano ogni due ore circa in quello che potremmo definire un autogrill thailandese per 15 minuti, in modo da poter comprare da mangiare e da bere e, all’occorrenza, andare in bagno. Per usare i bagno si pagano dai 2 ai 4 Baht, quindi tenete sempre degli spiccioli nel portafogli. Arrivati a Rayong abbiamo preso un songthaew per Ban Phe (25km, 20 Baht a persona), porto e paesino da cui partono i traghetti per Ko Samet, parco nazionale e meta di turismo soprattutto dei thailandesi per weekend e feste. Consiglio di andarci nei giorni feriali. Le camere e i bungalow costano meno e c’è più scelta. Ci siamo fermati a Ban Phe per una notte, all’Hotel Diamond Phe (300 Baht con ventilatore e bagno in camera), riservandoci di andare a Ko Samet l’indomani. Abbiamo dato un occhiata al mercato, che vende un sacco di oggetti fatti con le conchiglie e tonnellate di cibo secco, dai gamberetti ai tagliolini. Abbiamo cenato con un ottimo Pad Thai ai frutti di mare, in una delle solite bancarelle, vicino al porto (60 Baht), poi a dormire.
25-31 gennaio: Ko Samet E’ il posto in cui ci siamo fermati di più in assoluto, quasi una settimana. Da Ban Phe, dal molo di Nuantip, dietro al mercato, partono tutti i giorni e per tutto il giorno, traghetti diretti a Ko Samet. La traversata costa 100 Baht a persona e impiega circa mezz’ora. Il biglietto include anche il ritorno. Tutti i traghetti ordinari arrivano a Ko Samet al porto sulla punta nord, Nadan. Da lì, poi, ci sono songthaew (o i vostri piedi) che vi portano verso le spiagge, che sono quasi tutte sulla costa orientale, perchè quella occidentale è caratterizzata da strapiombi e scogliere, e non ci sono nè sentieri, nè spiagge, né scogli piatti che siano più grandi di un metro per uno in cui sedersi. L’unica spiaggia della costa occidentale si trova a nord ovest, ed è cara e turistica. Entrando a Ko Samet, bisogna pagare 200 Baht a persona, in quanto Parco Nazionale. Conservate la ricevuta, perchè potrebbero chiedervela. Dopo aver scartato cammin facendo (quasi un’ora di camminata fino a metà isola, andando a sud) varie spiagge affollatissime e piene di locali turistici, abbiamo scelto la spiaggia di Ao Cho, in cui non c’era un’anima se non una decina di thailandesi che vivevano lì. Abbiamo preso una camera con ventilatore senza bagno per 300 Baht a notte. Specifico che, sebbene le spiagge siano tutte lungo la costa, per passare da una all’altra bisogna fare delle strade interne e attraversare dei piccoli promontori, pertanto le spiagge non sono raggiungibili semplicemente passeggiando sulla riva. Da Ao Chao a Ao Wong Deuan, una delle spiagge più turistiche dell’isola, ci sono 15 minuti a piedi nella completa oscurità la sera, quindi se decidete di andare a cenare lì, procuratevi una torcia, le vendono nei minimarket anche sull’isola. Altra cosa. La Lonely Planet consiglia di far provviste per l’isola a Ban Phe, ma non serve, perchè a Ko Samet c’è tutto, persino un paio di internet point, nelle zone più turistiche. Dopo un paio di notti a Ao Cho, siamo andati un pò più a sud, e ci siamo fermati alla Candlelight Beach, una spiaggia (e una baia) che appartiene interamente alla stessa famiglia. Questa è stata la parte più bella del viaggio fino a quel momento, perchè abbiamo stretto amicizia con le persone che gestivano i bungalow e lavoravano lì, e abbiamo fatto delle esperienze irripetibili. Con un ometto magrissimo che parlava solo thailandese siamo andati a pescare sulla costa occidentale, arrampicandoci su scogliere ripidissime, attraversando pezzi di vegetazione e ridendo dall’inizio alla fine. Ci capivamo a gesti, tutto lì, perchè la comunicazione verbale era impossibile. Ci ha portati in angolini nascosti e sperduti e in piccole spiagge incantevoli. Siamo rimasti lì 5 giorni, pescando, mangiando il pesce che ci cucinavano lì per lì, appena pescato, tutti insieme, bevendo, chiaccherando (tramite una dolce, simpatica e timida ragazza che traduceva per noi), ridendo, nuotando… E avevamo un bungalow molto semplice e carino sulla spiaggia, interamente in legno, a prezzo speciale… Sento quasi come un privilegio, l’aver incontrato quelle persone e aver potuto vivere insieme a loro una parte di Thailandia… Qualche notizia pratica: i traghetti da Ban Phe a Ko Samet sbarcano tutti a Nadan, ma per tornare a Ban Phe, non è necessario tornare a Nadan, perchè i traghetti partono anche da alcune spiagge della costa, con l’altra metà del biglietto che avevate preso a Ban Phe all’andata, pagando un supplemento di 20 Baht a persona. Mangiare il pesce costa dai 150 ai 200 Baht a persona, altrimenti trovate i menù con piatti a partire da 40 Baht un pò dappertutto, oltre agli ambulanti che girano le spiagge vendendo insalata di papaya, frutta e altro. Le sigarette costano dai 5 ai 15 Baht in più rispetto alla terraferma, e si trovano con facilità. La sera le zanzare vi possono aggredire le caviglie in 15 secondi, quindi pensate ad un repellente e agli zampironi da tenere in camera. Come in ogni altra spiaggia della Thailandia, nudismo e topless sono considerati una mancanza di rispetto, quindi meglio evitare.
31 gennaio: Nakhon Ratchasima (Khorat) Dalla spiaggia di Ao Wong Deuan, pagando il supplemento al biglietto già in nostro possesso, abbiamo preso il traghetto delle 8:30 per Ban Phe, da lì un songthaew per Rayong, e poi abbiamo trovato subito (e forse preso troppo precipitosamente) un autobus per Nakhon Ratchasima, al centro del paese. L’autobus climatizzato ci ha messo circa 6 ore (220 Baht a persona), e il viaggio sembrava interminabile!!! Abbiamo tutt’ora l’impressione di aver preso l’autobus sbagliato… Arrivati a Khorat (è così che i thailandesi chiamano Nakhon Ratchasima), abbiamo preso un tùk-tùk (specie di Ape con 2 posti dietro) fino al Hotel Fah Sang, vicino alla stazione ferroviaria. La camera con bagno, ventilatore e TV (!!!) costa 230 Baht a notte. Abbiamo cenato in un centro commerciale, visto che la pioggia aveva fatto scappare i pochi ambulanti della zona, e siamo andati a dormire, esausti dopo il viaggio. Qualche considerazione su Khorat. E’ la seconda città più grande della Thailandia, ma rispetto a Bangkok, l’atmosfera è strana, sembra quasi di respirare decadenza. E’ una città brutta, con forti contrasti, dove accanto ad un quartiere povero e malandato sorge un enorme centro commerciale, rendendo stridente il contrasto tra benessere e miseria. Non è una città turistica, ma è molto deprimente. Non era la nostra meta, solo la base per visitare Phimai, ma abbiamo voluto fermarci a vedere com’era. Forse fermarsi qui serve anche a vedere una Thailandia un pò diversa.
1 febbraio: Khorat e Phimai Pagando la seconda notte al Hotel Fah Sang in cui saremmo ritornati la sera, abbiamo preso l’autobus n°1035 dall’autostazione n° 2 di Khorat per Phimai (26 Baht a persona, 1 ora e mezza, il bus ferma davanti all’ufficio della polizia turistica, nella piazzetta), sede di un parco storico antichissimo e splendido, interamente in pietra rossa, in cui, malgrado le dimensioni del parco, si respira un’atmosfera di grande raccoglimento e in cui ci si sente piccoli. L’ingresso costa 40 Baht a persona. E’ una cittadina molto carina, Phimai, forse meriterebbe di rimanerci un paio di giorni. L’ultimo bus da Phimai per Khorat parte alle 18:00, quindi siamo andati a visitare l’altro luogo che avevamo in mente, cioè un grande albero di baniano ritenuto sacro, pieno di tunnel e sentieri su cui passeggiare. E’ a due chilometri da Phimai, per andarci abbiamo preso un samlor (bicicletta con due posti dietro) a 40 Baht all’andata, e siamo tornati a piedi, visto che non ci sono mezzi per tornare da lì, a meno che non chiediate a chi vi ha portati di tornare a prendervi ad un orario prestabilito. E’ un posto curioso, con accanto un lungo mercato che vende cibo e artigianato. Stranamente, non c’erano stranieri. Da Phimai siamo poi tornati con l’autobus a Khorat. La sera siamo andati al mercato notturno e abbiamo cenato lì.
2 febbraio: Ubon Ratchatani Da Khorat abbiamo preso il treno di terza classe delle 10:55 per Ubon Ratchatani, ultima città grande ad est, vicina al confine con il Laos. Il treno di terza classe, se preso con lo spirito giusto, può essere ricco di fascino, perchè oltre ad essere utilizzato quasi unicamente dai thailandesi, vede un’ininterrotta processione di venditori ambulanti di cibo di tutti i tipi salire e scendere dal treno a tutte le fermate. Abbiamo intavolato divertenti conversazioni stentate con qualche passeggero, e le 6 ore di viaggio sono passate senza troppa fatica. Peraltro il biglietto costa appena 58 Baht a persona. Arrivati ad Ubon Ratchatani, città quasi snobbata dai turisti, vista la scarsissima presenza di non-thailandesi, memori del viaggio da Chiang Mai ad Ayutthaya, abbiamo prenotato subito il treno da Ubon per tornare a Bangkok dopo due giorni (381 Baht a persona, 19:15-06:25), poi abbiamo preso l’autobus (in realtà è un songthaew che funziona da bus cittadino) bianco n°2 che da Warin Chamrap (paese dove si trova la stazione) arriva ad Ubon (5 Baht a persona). Abbiamo scelto l’hotel Sri Isan 2, accanto al nuovissimo Sri Isan 1, nel vicolo, per 200 Baht a notte con bagno in camera e ventilatore. E’ accanto al mercato e al canale, in una parallela della strada principale. Dopo una passeggiata e la cena al mercato, siamo andati a dormire, riservandoci di visitare la città con più calma.
3 febbraio: Phibun e Ubon Ratchatani Dalla fermata accanto al mercato di Warin abbiamo preso un autobus per Phibun (20 Baht), da cui saremmo dovuti arrivare fino a Khong Jiam. Non ci siamo mai arrivati, perchè da Phibun abbiamo deciso di visitare un villaggio in cui vengono creati i gong per i templi buddhisti, e per farlo abbiamo preso un tùk-tùk. L’uomo che guidava ci ha portati a visitare alcuni posti dove venivano creati i gong, e ne abbiamo visti di enormi, splendidi, e dai suoni diversi a seconda delle dimensioni. Poi l’uomo ci ha chiesto se volevamo vedere qualcosa a 2 km da lì, e noi abbiamo accettato senza pensarci troppo. Ed è stata la scelta impulsiva più giusta che potessimo prendere, perchè ci ha portati attraverso un sentiero di strada sterrata, sulla riva del fiume, da cui abbiamo preso un battello per raggiungere un’isola in mezzo al fiume in cui vive una comunità buddhista che non credo abbia mai visto dei turisti. Abbiamo camminato in mezzo alla boscaglia e raggiunto un tempio molto semplice ma incredibilmente carico di spiritualità dedicato al monaco fondatore della comunità. Tutta l’isola trasmetteva una sensazione di pace assoluta e di grande raccoglimento. Avevamo quasi la sensazione di essere fuori posto, di disturbare. E’ stato un momento molto intenso, e inaspettato. Un esperienza da custodire. Al ritorno a Phibun, abbiamo deciso di non andare a Khong Jiam, perchè il senso del viaggio fino a Phibun si era già compiuto. Bisogna stare attenti ad ascoltare i segni che ti arrivano, a volte. Da Phibun siamo tornati a Ubon, e da lì fino ad un tempio nel bosco a 10 km di distanza, in cui non abbiamo trovato nessuno. Abbiamo camminato nel bosco, siamo entrati nel tempio, e non c’era nessuno. Ogni tanto intravedevamo un monaco camminare di tutta fretta e sparire nel bosco, e abbiamo assistito al momento in cui veniva suonata la campana che rappresenta la fine della giornata. Arrivati all’uscita, il cancello era chiuso, ed ho scavalcato prima che un monaco ridendo venisse a riaprirlo per farci uscire. Da lì dovevamo tornare a Ubon, e non c’erano nè autobus nè songthaew a quell’ora, quindi abbiamo cercato di comunicare con alcune persone che erano lì ed un signore ci ha riaccompagnato fino ad Ubon rifiutando con fermezza e con un gran sorriso di essere pagato. Arrivati ad Ubon abbiamo passeggiato per le strade alla ricerca di una clinica di massaggio pubblicizzata nella Lonely Planet che, abbiamo scoperto dopo aver camminato come pazzi, aveva chiuso un paio d’anni fa. Allora siamo andati a cercarne un’altra consigliataci da una ragazza, girando per le strade e con una stanchezza incredibile addosso, ma più che mai desiderosi di fare un massaggio, e l’abbiamo trovata: la Ubonvej Thai Traditional Massage, vicino all’ospedale. Per 250 Baht ti fanno un massaggio di due ore in una camera climatizzata e pulita, su un materasso a terra, dandoti una camicia e dei pantaloni per cambiarti durante il massaggio. E’ decisamente rilassante, anche se, come è noto, il massaggio thailandese in alcuni momenti può essere doloroso. E quando hai finito ti offrono un thè al gelsomino. Da lì abbiamo preso un tùk-tùk (40 Baht), troppo rilassati per voler annullare l’effetto del massaggio con una faticosa e lunga camminata, e siamo tornati in albergo.
4 febbraio: Ubon Ratchatani Dopo una leggera colazione in una piccola pasticceria vicino all’albergo, abbiamo attraversato la strada principale per andare a visitare il Wat Supet, tempio in cui si trova la più grande campana di legno della Thailandia. Il tempio si trova lungo il canale, nel recinto che ospita anche una scuola. Siamo arrivati presumibilmente durante la ricreazione, visto che il cortile era pieno di bambini che giocavano. Lì un monaco ci è venuto incontro e ci ha accompagnati in un piccolissimo museo in cui sono esposte tante antiche statue e immagini del Buddha oltre ad oggetti di antiquariato vari, ventagli antichi e fregi. Un posto piccolissimo, grande appena una stanza. Poi il monaco ci ha portati nel tempio, molto semplice, molto intimo. Abbiamo visto la campana, situata in una torre accanto al tempio. Da lì siamo poi andati a nord della città, lungo la strada principale, a visitare il simbolo della città: un’enorme nave dorata scolpita e piena di simboli e personaggi che la sera viene illuminata ed è visibile da lontano. Molto bella, all’interno di un giardino curato e pieno di fiori. Avevamo pagato la camera per utilizzarla anche nel pomeriggio (in genere va lasciata alle 12:00), quindi siamo andati a mangiare qualcosa e poi in Hotel, dove abbiamo sistemato gli zaini ancora una volta per andare alla stazione, da cui abbiamo preso il treno per Bangkok (che avevamo prenotato in anticipo). Questa volta il treno non aveva l’aria condizionata ma i ventilatori, pertanto non faceva freddo come sul treno con aria condizionata. I treni sono molto sicuri, almeno questa è stata la nostra esperienza. Chiaramente ogni zaino era chiuso bene, ma durante la notte le luci rimangono accese, quindi credo sia un deterrente abbastanza efficace per eventuali malintenzionati.
Consiglio di fare un pò di spesa per la cena in un minimarket prima di partire, perchè a parte un paio di ambulanti subito dopo la partenza, non c’è la possibilità di comprare nulla.
5 febbraio: Bangkok Dalla stazione di Hualamphong, visto che eravamo ormai carichi come muli dopo tre settimane di acquisti, abbiamo deciso di evitare lo stress dell’autobus e abbiamo preso un tùk-tùk fino a Siam Square, dove avevamo scelto di soggiornare fino alla fine del viaggio. Abbiamo scelto il White Lodge, in Road Kasemsan 1. E’ stata la sistemazione migliore di tutto il viaggio, con una bella camera pulita, arredata con mobili di bambù, aria condizionata, bagno in camera con persino l’acqua calda, aria condizionata. Aveva un prezzo decisamente abbordabile, 400 Baht a notte, e ogni mattina rifacevano la camera cambiando gli asciugamani. Dopo tre settimane passate in posti molto essenziali nei servizi, gli asciugamani ci sembravano un lusso! Dopo aver riposato un pò siamo usciti alla volta del Pantip Plaza, noto come Città dei Computer, un centro commerciale a sei piani dedicato unicamente all’informatica, da hardware a software, telefonia e fotocamere. Se si è appassionati del settore, è la Disneyland degli amanti del genere. Per alcuni articoli il risparmio è notevole, dal 40 al 60% in meno rispetto all’Italia, ma per altre cose non è poi così conveniente. Bisogna informarsi prima se veramente conviene. Se non avete fatto una ricerca prima di partire, è sufficiente farlo da un internet point qualsiasi a Bangkok. Noi abbiamo comprato la scheda SD per la fotocamera digitale pagandola il 50% in meno rispetto alla più economica che avessimo visto in Italia. E l’abbiamo provata subito, in modo da essere certi che funzionasse, senza avere sorprese. Nel centro commerciale c’è anche un ufficio di cambio, qualora non voleste usare la carta di credito. I telefoni cellulari costano più o meno lo stesso che in Italia. Dopo un pomeriggio trascorso lì dentro siamo tornati verso casa, fermandoci a cenare in un vicolo accanto al White Lodge (solita familiare bancarella) prima di andare a dormire.
6 febbraio: Bangkok Sveglia tardi, abbiamo dedicato la giornata al relax e a riposarci un pò. La nostra meta è stata Chinatown e il quartiere indiano di Pahurat, dove volevamo dare un’occhiata al mercato. Abbiamo preso l’autobus che percorre la Charoen Krung New Road, fermandoci alla fine di Chinatown (decisamente riconoscibile). Da lì abbiamo girato un pò alla ricerca di Pahurat, chiedendo indicazioni, perchè volevamo cominciare da lì. Ma dopo qualche giro ci siamo ritrovati nei vicoli affollatissimi di Chinatown senza nemmeno sapere come, e abbiamo camminato per ore davanti a bancarelle e negozi che vendevano di tutto, soprattutto tessuti (seta, principalmente) e pietre dure e semi-preziose a fili di tutte le misure. Se cercate ametista, occhio di tigre ecc., questo è il posto dove comprare. Le pietre dure costano dagli 80 ai 120 Baht a filo, e sono molto belle. E’ anche la zona dei grossisti, si ricevono sconti per più pezzi, se la cosa vi interessa. Dopo ore trascorse a camminare nei labirinti di questi due quartieri, siamo tornati a Siam Square, dove abbiamo sperimentato lo Skytrain per raggiungere un altro centro commerciale più per curiosità e mancanza di idee che altro, dal momento che abbiamo sempre preferito i mercati per gli acquisti. Lo Skytrain è un mezzo molto pratico, ma decisamente anti-economico, se paragonato ai prezzi dei mezzi pubblici e persino dei taxi. Segue una contorta logica di divisione a zone, per cui il prezzo del biglietto dipende da quante ne attraversa. Onestamente non siamo riusciti a capire bene come fosse concepita questa differenziazione, è un pò come ad Amsterdam, basta abituarsi, lo accetti come fosse un dogma. Ad ogni modo, lo Skytrain attraversa la città con due linee e può essere utile per raggiungere determinate zone che altrimenti richiederebbero parecchio tempo speso nel traffico, ma ritengo possa essere più utile ai thailandesi per raggiungere uffici e scuole in orario che ai turisti, che in genere hanno orari estremamente flessibili. Siamo andati a letto presto.
7 febbraio: Bangkok E’ un sabato, e decidiamo di andare a visitare il weekend market di Chatuchak, aperto solo nei fine settimana. Ci aspettavamo una zona molto grande piena di bancarelle all’aperto, invece abbiamo scoperto che si tratta di un labirinto di negozietti uno accanto all’altro che si snodano per vicoletti lunghi un intero isolato. Non ne abbiamo visitato che una minima parte, ma è chiaro che si è trasformato in qualcosa di estremamente turistico, dal momento che vendono veramente ogni cosa che potete trovare in Thailandia ma a prezzi decisamente da turista-danaroso. Quindi non abbiamo comprato granchè rispetto a quello che verrebbe voglia di portarsi via, soprattutto perchè, a tre giorni dalle fine del viaggio, avevamo esaurito l’entusiasmo che un mercato thailandese provoca al primo impatto, trovando più interessante osservare (gente, posti, merce, cibi) che acquistare. Fisicamente provati dall’esperienza (non è un mercato, è una città!), siamo tornati in albergo, a riposarci in vista del programma che avevamo in mente per l’indomani.
8 febbraio: Kanchanaburi, Fiume Kwae, Nakhon Pathom Sveglia prestissimo, avevamo deciso durante i giorni precedenti, di andare a visitare la provincia di Kanchanaburi, famosa durante la seconda guerra mondiale per via delle migliaia di prigionieri di guerra delle forze alleate morti per costruire la Ferrovia della Morte per i giapponesi di cui il Ponte sul fiume Kwae è solo un pezzetto, per collegare Thailandia e Birmania; famosa ai giorni nostri per essere la città in cui ci sono stati i primi casi di decesso per l’influenza da pollame in Thailandia… La cosa non ci ha preoccupati, perchè avevamo smesso di mangiare pollo e uova e chiaramente non frequentavamo allevamenti, in giorni in cui di questa malattia si cominciava appena a parlare, all’indomani della visita del membro della Commissione Europea in Thailandia che tornava in Europa senza risposte (ma questa è un’altra storia). Raggiungere Kanchanaburi e il fiume Kwae non è comodissimo, almeno in treno, da Bangkok. Probabilmente per questo motivo vengono organizzate delle escursioni nei weekend per visitare queste zone, con treni speciali da Hualamphong (all’ufficio informazioni ferroviarie della stazione di Hualamphong trovate gli opuscoli). Altrimenti i treni per Kanchanaburi partono da Thonburi (o Bangkok Noi), dall’altra parte del fiume, dietro al complesso del Grand Palace. E arrivarci è un pò complicato. Con il taxi, o l’autobus (mezzo usato da noi), bisogna raggiungere il molo per il traghetto che vi porti dall’altra parte del fiume Chao Phraya. Attenzione: sebbene le cartine di Bangkok facciano apparire i moli collegati, e inducano a pensare che i traghetti passino da un molo all’altro quasi fossero fermate dell’autobus, non è così. In linea generale, un traghetto vi porta solo da un molo a quello successivo, e viceversa, costringendovi ad aspettare il traghetto successivo che vi porterà al molo desiderato qualora fossero due o più le fermate desiderate. Nel nostro caso, siamo partiti dal molo sbagliato, e abbiamo aspettato un quarto d’ora quello successivo che ci avrebbe portati a Thonburi. Arrivati a Thonburi, altra sorpresa: l’edificio arancione che vedete dal molo, è si la stazione, ma quella vecchia e in disuso, ormai. Quella nuova si trova ad un paio di chilometri, ed è raggiungibile con un songthaew (3 Baht a persona). Il problema è che per Kanchanaburi ci sono solo due treni per andare (alle 7:45, con arrivo alle 10:50 o alle 13:50, con arrivo alle 16:30), e due per tornare (7:18, con arrivo alle 10:05, o 14:48, con arrivo alle 17:36), per cui dovete necessariamente prendere quello delle 7:45 se volete tornare a Bangkok in giornata. Nonostante fossimo partiti dall’albergo alle 6:30, abbiamo perso il treno per 10 minuti, pertanto siamo dovuti andare di fretta alla stazione degli autobus (che è comunque a Thonburi, visto che per Kanchanaburi i mezzi partono solo da lì) con un tùk-tùk, dove fortunatamente abbiamo trovato subito un autobus per Kanchanaburi (67 Baht a persona, climatizzato, 3 ore e mezza). Arrivati a Kanchanaburi, siamo andati direttamente al Ponte sul fiume Kwae, a circa tre chilometri dalla città. Ci sono songthaew che funzionano da bus urbani che vi portano lì per 5 Baht. Essendo una domenica, siamo incappati in una folla di turisti andati lì con escursioni varie, pertanto c’era un’atmosfera surreale di allegre comitive di turisti dall’immancabile tic nervoso da foto-sempre-e-comunque in contrasto con un luogo dalla storia terribile. C’è una targa in bronzo che riporta le cifre dei morti in proporzione ai prigionieri, divise per nazionalità. Tutti i morti (ad eccezione dei statunitensi) sono sepolti nei cimiteri di Kanchanaburi, luoghi curati ma spaventosi, per l’impatto visivo con le migliaia di lapidi, tutte uguali tra loro, che riportano i nomi e l’età dei caduti. Kanchanaburi è una città tremenda. Sembra quasi di respirare la sua storia di morte e guerra, camminando per il lungo rettilineo che, dalla stazione, porta al fiume (al ritorno abbiamo camminato anzichè riprendere il songthaew). Si ha la sensazione che ci sia un’ombra perpetua sulla città, fa quasi venire i brividi. Una città brutta, le cui attrazioni “turistiche” sono luoghi di morte e sofferenza. Lasciarla è stato quasi un sollievo, ma ti dà da pensare, e parecchio. Dalla stazione di Kanchanaburi abbiamo preso un treno per Nakhon Pathom, spezzando in due il viaggio di ritorno in quanto se è vero che da Kanchanaburi i treni per Bangkok arrivano solo a Thonburi, da Nakhon Pathom, arrivano anche fino a Hualamphong, volendo. E noi non avevamo voglia di ripetere la processione di bus, traghetti, tùk-tùk e quant’altro affrontata all’andata. Così siamo arrivati a Nakhon Pathom con un treno di terza classe (c’è solo quello, 15 Baht, 1 ora e mezza), e abbiamo deciso di andare a vedere il Phra Pathom Chedi, il monumento buddhista più alto del mondo (127 metri) che è proprio davanti alla stazione. E’ un posto meraviglioso, antico e mistico, che ci ha risollevato spirito e morale dopo la tenebrosa esperienza di Kanchanaburi. Si sale una scalinata fino alla statua del Buddha, poi tutt’intorno è pieno di cortili, alberi, statue, tutto infonde serenità e pace… Siamo rimasti lì per un’oretta. Avevamo in previsione di visitare anche il Phra Phuttamonthon, la statua del Buddha più alta del mondo con un grande parco intorno, a mezz’ora da lì, ma dopo poco più di un’ora avevamo l’ultimo treno per Bangkok, pertanto abbiamo deciso di fermarci lì e mangiare alla consueta bancarella per strada, prima di riprendere il treno. Arrivati a Bangkok siamo tornati in albergo stanchissimi, con una giornata piena alle spalle.
9 febbraio: Bangkok Dopo un sonno ristoratore, siamo partiti alla volta della Montagna d’oro, una collina artificiale su cui sorge un tempio che custodisce alcune reliquie del Buddha. La collina in sè è sorta sopra le rovine di un tempio precedente crollato a causa dello smottamento del suolo, e sono state aggiunte mura in cemento tutt’intorno per evitare il ripetersi di una simile eventualità. L’edificio è visibile da diversi punti della città, ma salire in cima (ingresso 20 Baht) dà la possibilità di vedere Bangkok dall’alto, tra templi e grattacieli, tra baracche e automobili. Se il cielo è limpido (a Bangkok non è mai azzurro per via dello smog…), vale la pena di salire fin lassù. La visita successiva è stata al tempio di metallo, originale edificio con alcune strutture architettoniche in un materiale inconsueto per un tempio, ma molto suggestivo. Nel pomeriggio siamo tornati in albergo, a riposarci prima di uscire di nuovo per cena. Vicino a Siam Square c’era un mercato a cui non avevamo fatto caso, e probabilmente si trattava di una specie di festa di quartiere, perchè c’era un gruppo che suonava dal vivo. Ne abbiamo approfittato per fare una visita, e una delle scene più divertenti del viaggio è stata quella di mio maritodavanti ad una bancarella che vendeva… Insetti. Di tutti i tipi, dallo scorpione al lo scarafaggio. Piccolo particolare: erano cotti per essere mangiati, e venivano venduti in sacchettini abbastanza costosi per gli standard thailandesi. Avendo girato la Thailandia in lungo e in largo, anche in luoghi non turistici, e avendo visitato innumerevoli mercati alimentari di tutti i generi senza aver mai visto vendere insetti, abbiamo dedotto che si trattasse di una specie di prelibatezza speciale e difficile da trovare, visto anche il prezzo (5 Baht per uno scorpione). Io non ne ho avuto il coraggio, ma mio marito ha assaggiato uno ad uno, tutti gli insetti esposti, sotto lo sguardo divertito della donna che li vendeva. Dopo “cena”, in albergo.
10 febbraio: Bangkok Anche al White Lodge c’è la possibilità di avere la camera per day-use pagando la metà della tariffa per una notte, e visto che avevamo il volo a mezzanotte, abbiamo scelto di tenere la camera fino alle 18:00. Abbiamo passato la mattinata a preparare le valigie, poi una breve puntata ad un centro commerciale per ingannare il tempo e comprare un paio di infradito per me, visto che mi si erano rotte proprio prima di uscire, e visto che ormai a Bangkok avevamo visitato praticamente tutto; poi di nuovo in albergo per una doccia. Soddisfatti del risultato del viaggio che ci ha visti non cedere mai alle comodità di grandi alberghi e altre strutture e servizi riservati ai turisti, consentendoci di visitare con fatica ma ripagati da esperienze uniche, questo paese affascinante e ricco di tesori umani e spirituali, abbiamo deciso di cedere alla fine alla praticità di un taxi fino all’aeroporto (300 Baht, tariffa fissa da/per l’aeroporto), visto anche il peso degli zaini a fine viaggio… Siamo arrivati al check-in con notevole anticipo, ma le procedure sono molto lente, forse per via dei controlli più serrati anti-terrorismo. Prima di spedire le valigie al check-in le fanno passare attraverso una striscia simile a quella solitamente riservata ai bagagli a mano, dopodichè il check-in è lento per via del controllo peso del bagaglio, delle dimensioni del bagaglio a mano, ecc. Ultima sorpresa prima di partire: le tasse aeroportuali in partenza non sono mai incluse in nessun biglietto aereo, l’abbiamo scoperto dopo aver protestato inutilmente, e dopo aver dovuto sborsare 500 Baht a testa cambiati di fretta all’ufficio cambio dell’aeroporto. Tenete in considerazione questo, quando avete un budget da rispettare. Il volo è partito in orario, scalo ad Amman, e poi in Italia, dove riprendere la vita di tutti i giorni è stato difficile…
Banale dirlo, ma ci vorrà un pò di tempo prima di metabolizzare quest’esperienza…
Sawasdee-ka!