Dalla prateria al deserto

Sconfinata Mongolia
Scritto da: Lucy05
dalla prateria al deserto
Partenza il: 09/08/2009
Ritorno il: 22/08/2009
Viaggiatori: in gruppo
Spesa: 1000 €
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Lunedì 10 agosto Eccoci riuniti tutti 9 alla Malpensa. Finalmente si parte. Sono 2 anni che pensiamo a questo viaggio e non mi sembra vero che fra poche ore saremo a Ulaan Baatar, la capitale. Ad aspettarci all’aeroporto di Ulaan ci sono Bilegt, la titolare della guesthouse, e i due autisti. Sono le sei del mattino e siamo tutti stanchi e assonnati, non tutti hanno dormito in aereo, comunque non abbastanza. Bilegt ci avvisa subito che dovremo dividerci perché nell’appartamentino non ci stiamo tutti 9 perciò una coppia, Silvia e Vanni, dovrà andare a casa sua dove ha una stanza in più. Dicevo appartamentino perché in effetti la guesthouse è al terzo piano di un palazzo ed è composta da due appartamentini. Il nostro ha due camere, una cucina e due bagni. Nella stanza più piccola ci sono due letti da una piazza e nell’altra, appoggiati alla parete in fondo, ci sono 5 materassi uno sopra l’altro e sul mobiletto, a destra dell’entrata, c’è una pila di lenzuola frasche di bucato. La nostra padrona di casa si scusa per la spartana sistemazione e dice che domani ci sistemerà meglio. Bilegt mi consegna le chiavi dell’appartamento, ci raccomanda di dormire e ci da appuntamento alle 13 per andare all’ufficio di cambio. Puntualissima all’una del pomeriggio suona alla porta e con lei ci sono anche Vanni e Silvia, siamo pronti anche noi per cui si parte. Arrivati all’ufficio suddetto cambiamo 200 Euro a testa che andranno nella cassa comune e poi chiediamo a Bilegt se, durante il tour, avremo ancora la possibilità di cambiare denaro e lei, ridendo di gusto, risponde che abbiamo denaro a sufficienza per tutto il periodo del viaggio anzi,ne avanzeremo anche. Adesso che abbiamo espletato tutte le formalità pratiche possiamo partire con il nostro programma. Prima tappa è la visita al monastero più grande della Mongolia, Gandan Kiid, ci giriamo per salutare e ringraziare Bilegt ma, con grande sorpresa, ci dice che questo pomeriggio volentieri lo dedica a noi di modo che non perdiamo tempo a cercare i luoghi di interesse che abbiamo scelto. Per noi è un privilegio averla come guida, non lo avremmo mai preteso.

Oggi siamo proprio fortunati. Visitato il monastero ci dirigiamo verso il palazzo bianco e una folla, vestita in modo elegante, viene verso di noi. La più parte indossa il costume mongolo e la nostra guida ci dice che è uno sposalizio e che quelli in centro con il cappello sono gli sposi e noi li abbiamo immortalati subito. Sarebbe stato bello arrivare in tempo alla funzione, non mi è mai capitato di assistere a un matrimonio buddista.

Non molto lontano da qui si trova la ger dello Sciamano, come non approfittarne per una visita e chissà forse soddisfare qualche nostra curiosità? Prima di entrare Bilegt ci chiede se abbiamo qualche specifica domanda da fare perché lui riceve solo se si ha qualcosa d’importante da chiedere, ma noi tutti rispondiamo che no non abbiamo niente di specifico da chiedere, solo così, qualcosa in generale e magari un augurio per il nostro viaggio. Lei arriccia il naso e poi racconta che una signora francese qualche tempo fa gli ha mandato una mail chiedendo se la poteva ricevere perché aveva un quesito da porgli e glielo disse. Lui molto gentilmente le rispose di pur rimanere in Francia perché la sua domanda non era sufficientemente interessante da pretendere una risposta. Ci stavamo perdendo di coraggio quando Bilegt sorridendo dice:” Proviamo “. Nella ger dello Sciamano si accede tramite una porticina in legno chiaro, tanto piccola da doversi chinare per non sbattere la testa. E’ una bellissima giornata piena di sole e all’interno l’unica apertura oltre l’entrata è un lucernario al culmine del tetto da dove passa il tubo della stufa, perciò bisogna abituare l’occhio al buio, ma Bilegt che già conosce la ger ci fa sedere su delle sedie poste proprio di fronte allo Sciamano. L’interno è molto spazioso forse perché di mobilia non ce n’è se togliamo la sua scrivania e due o tre file di sedie. Mi vien da dire in un angolo ma qui di angoli non ce ne sono è un perfetto cerchio quindi dirò che accovacciate nella parte destra dell’ abitazione ci sono due donne e la più giovane ha un bimbo in braccio. Lui, seduto alla sua scrivania, porta lunghi capelli color cenere e neanche tanto puliti e a me sembra che abbia un espressione molto annoiata, dico mi sembra perché fra noi e lui c’è una bella distanza e magari mi confondo o forse no perché a una domanda di Martina sa solo dire che la risposta la deve trovare dentro di lei e che è inutile chiedere a un prete o a uno Sciamano, solo lei conosce la risposta e però bisogna saper bilanciare bene la tecnologia moderna con la storia. Avevamo infatti notato che davanti a lui c’era uno degli ultimi modelli di cellulare e sulla sinistra un p.C. Gli chiediamo se ci fa un augurio per il nostro viaggio e ci risponde che certo che andrà bene in quanto abbiamo scelto un percorso storico. A questo punto salutiamo e ringraziamo e un po’ delusi guadagniamo l’uscita.

E’ ancora presto ma il museo che abbiamo in programma è già chiuso e gioco forza rimandarlo a domani però siamo in perfetto orario per andare a teatro ad assistere a uno spettacolo in costume locale con danze e canti. Bilegt ci saluta dandoci appuntamento in serata per un meeting riguardante il viaggio. Maria Angela, la nostra cassiera ha già i biglietti in mano e noi entriamo. Prendiamo posto in platea tutti nella stessa fila abbastanza vicina al palcoscenico e una signora che presta servizio in sala chiede se vogliamo scattare fotografie perché quelle vanno pagate a parte. Tutti in coro rispondiamo noooo!! E allora la signora si allontana. Incomincia lo spettacolo ed è un tripudio di colori e di luci . … E Gina, che è seduta alla mia sinistra, non resiste e comincia a fotografare, tanto non si accorge nessuno. Maria Angela, che ha visto la scena, a sua volta toglie la macchina dalla custodia e comincia a sparare flash. A questo punto Martina pensa: “ …E io chi sono?”. Così del nostro gruppo tre hanno disatteso le regole. Finito lo spettacolo e prima che accendessero le luci, le furbacchione hanno messo via le macchine fotografiche e si sono comportate come se niente fosse, ma la signora aveva già notato tutto e le stava aspettando al varco. Gina corse fuori mischiandosi alla folla, ma Maria Angela non ce l’ha fatta ed è stata presa per un braccio e anche se non conosce tanto bene l’inglese ha capito subito cosa voleva e così ha dovuto pagare per tutte tre, ma lo spettacolo meritava.

Ormai è quasi ora di cena e dato che l’ultima volta che abbiamo mangiato è stato in aereo è meglio che ci appropinquiamo a quel ristorantino dal nome orientale che abbiamo intravisto prima di andare a teatro. Vanni ha un buon orientamento e in men che non si dica siamo arrivati. E’ un bel localino e ci sono diversi piatti che si possono scegliere dal menù e di ognuno c’è la foto, meno male perché lì nessuno parla inglese.

La prima giornata Mongola è già passata. L’ultima cosa da fare prima di andare a dormire è il meeting con la padrona di casa per parlare dei particolari sul viaggio e l’incontro ha luogo nella nostra grande stanza seduti sui materassi. Domani sarà un’altra giornata da trascorrere nella capitale perché ci sono altri siti interessanti da visitare ma Bilegt non sarà con noi perché ha un altro gruppo in arrivo e dovrà andare in aeroporto ad accoglierlo e accompagnarlo come ha fatto con noi. Facciamo il sunto dell’itinerario, di quello che possiamo decidere noi e quello che invece è già stabilito e dal quale non si può prescindere ma quello che mi ha rassicurata è quando ha detto che se una macchina dovesse avere dei problemi di non spaventarci perché gli autisti sono degli ottimi meccanici.

Martedì 11 La prima notte passata a Ulaan Baatar è andata molto bene, personalmente ho dormito tutta la notte nonostante fossi su un materasso appoggiato in terra, ma anche i miei compagni non hanno avuto problemi. In cucina c’è l’occorrente per preparare caffè e the e c’è pure un secchiello di marmellata e una confezione di pane tagliato a fette. Tutti a turno facciamo colazione, come a turno facciamo la doccia. Alle nove siamo già tutti pronti per il primo appuntamento del mattino che è il Palazzo d’Inverno. Andiamo sulla strada principale per fermare tre taxi che ci accompagneranno a destinazione. In Mongolia, quando ti serve un taxi, non devi far altro che fermarti sul marciapiede e stendere un braccio e aspettare che qualcuno si fermi. Non sempre c’è la targhetta sulla macchina in modo che si possano identificare, e qui sinceramente non ho capito se la suddetta è un optional o se quelli che ne sono privi sono dei normali cittadini che si improvvisano taxisti per guadagnarsi qualche soldino. Non lo so, comunque a noi va bene così. Grazie alla premura di Bilegt abbiamo dei foglietti, da mostrare ai taxisti, dove ci sono scritti in cirillico i nomi dei primi due musei che visiteremo, quindi i nostri autisti (che non hanno la targhetta sulla macchina ) sanno che oltre al Palazzo d’Inverno abbiamo in programma anche il Monastero museo di Choijin Lama, perciò si mettono a disposizione per portarci poi al secondo appuntamento con la cultura. L’idea non è male e noi subito diciamo di sì , almeno non perdiamo più tempo a fermarne altri tre. Per la prima tappa il primo autista ci ha chiesto 3000 Tugrik ( circa Euro 1,50 ) gli altri due 5000. Facendo un calcolo rapido la giusta tariffa sarebbe di 2000 T. Ma quando facciamo mentalmente il cambio in Euro, da dividere poi in nove, ci viene da ridere . So che non è giusto perché così facendo abituiamo i residenti a vedere i turisti come polli da spennare, però non abbiamo voglia di contrattare e chiudiamo la faccenda così. Nel Palazzo d’Inverno sono custoditi gran parte dei regali ricevuti dall’ultimo Kan della Mongolia e fra questi, secondo la guida della Lonely, avrebbero dovuto esserci anche un paio di stivali d’oro, ma di loro nessuna traccia, qualcuno della compagnia ha anche chiesto al personale ma nessuno sapeva niente. Come a teatro anche qui non si possono scattare foto a meno che non si paghi a parte una cifra di $ 5.00. Noi diciamo subito no perché è assurdo che sia vietato sia all’interno che all’esterno, ma indovinate un po’ chi le ha rubate?…Ma naturalmente Gina e stavolta l’ha fatta franca. Quando siamo usciti abbiamo trovato i nostri taxi nel parcheggio e gli autisti con un sorriso a 32 denti pronti per accompagnarci al Monastero museo di Choijin Lama. Inutile dire che ci hanno derubato per la seconda volta. Finito di visitare il museo e dopo aver fatto girare tutti i cilindri di metallo recitando preghiere e pensando solo bene in generale, ci siamo accorti che era ora di pranzo e trovandoci nei paraggi siamo tornati al ristorante Silk Road. Ormai non ci resta che l’ultimo museo da visitare, quello della storia Naturale e lo faremo dopo pranzo. Non è molto distante e lo si può raggiungere a piedi per cui, una volta assecondato lo stomaco, ci siamo incamminate fino ad arrivare all’edificio. All’interno, proprio nel salone di fronte all’entrata, c’è lo scheletro quasi completo di un dinosauro , è grandissimo e incute un certo timore e guardando le uova che sono sproporzionatamente piccole ci si chiede come potesse poi diventare un mostro di proporzioni così esagerate. L’ora della cultura è finita adesso comincia quella dello svago perciò via con lo shopping. Bilegt ci aveva spiegato in quale negozio andare e come raggiungerlo così, capitanati da Martina che aveva la situazione sotto controllo, dopo una piuttosto lunga camminata siamo arrivati a destinazione. Ci diamo appuntamento dopo un’ora fuori dal grande negozio in modo di sentirci liberi di girare come vogliamo. Vanni ed io ci sediamo su delle sedie posto all’entrata del terzo piano e lì io mi addormento. A svegliarmi arrivano Silvia, Maria Angela e Mirella che mi fanno vedere i loro acquisti, dopo di che scendiamo al secondo piano dove si vende il cashmere e lì compro i miei primi guanti. Si sta facendo buio e allora andiamo a scegliere un ristorante per la cena ma stavolta sarà un fast food mongolo e tutto sommato non è male. Per il ritorno alla guesthouse non è un problema la nostra padrona di casa ci ha preparato un altro foglietto, da far leggere all’autista, completo di indirizzo e di come arrivarci.

Mercoledì 12 Oggi comincia il vero divertimento, da adesso in avanti non dormiremo più nello stesso posto due volte di seguito. Ancora Bilegt in primo piano che ci presenta i nostri autisti e il nostro interprete. Il traduttore serve per comunicare con gli autisti i quali non parlano altro che il mongolo e lui traduce in inglese, troppo bello se fosse stato in italiano, ma nel nostro gruppo ci sono tre persone che parlano bene l’inglese e poi, in caso di emergenza, ci sono io. Andiamo tutti a fare la spesa di derrate alimentari che ci dovranno bastare per una decina di giorni e anche in questo ci da una mano Bilegt la quale, una volta caricato il tutto sul più piccolo dei van , ci saluta augurandoci buon viaggio. Un po’ emozionati per quel che ci aspetta, saliamo su quei pulmini pronti ad affrontare quella avventura che solo un viaggio fai da te sa darti. Partiamo alla volta di Baga Gazrin e appena fuori città incomincia la vasta prateria, grande distese verdi punteggiate di quando in quando di bianche ger dei nomadi e di grossi greggi di pecore e di capre e poi mandrie di mucche e di cavalli. Non tutti i cavalli sono addomesticati, tanti sono liberi , diciamo che sono liberi in attesa di essere addomesticati. In un primo momento credevo che questi animali li vedessi piccoli a causa della distanza, ma anche quando ci siamo avvicinati non è cambiato niente, sono proprio di proporzione piccola. Sono quasi duecento kilometri che dobbiamo percorrere per arrivare a Baga e non sarebbero tanti se ci fosse una strada decente, ma quella che stiamo percorrendo non è una strada ma è una pista segnata dalle 4×4, quelle piste che, tanto per intenderci, vengono cancellate dopo un temporale. In Mongolia c’è una sola strada asfaltata, che la attraversa da nord a sud, a nord per collegarsi con la vecchia Russia e a sud con la Cina, tutte le altre sono sterrate e quasi completamente prive di segnaletica stradale e quelle pochissime comunque rigorosamente scritte in cirillico. Ecco perché sono indispensabili autisti che conoscano bene il territorio, e i nostri puoi giurarci che lo conoscono, anche perché chissà quante volte hanno fatto lo stesso percorso. Dopo circa mezz’ora di marcia vediamo da lontano su uno spuntone di roccia il famoso ovoo. Ci fermiamo e con le macchine saliamo su fino ad averlo di fronte e c’è anche il posteggio per un paio di macchine. Scendiamo e tutti armati di macchine fotografiche ( almeno qui nessuno ci chiede di pagare per scattare delle foto ) incominciamo a riprendere l’ovoo in tutte le angolazioni e intanto vediamo i nostri autisti e l’interprete che fanno il giro di questo mucchio di sassi fatto a cono che sulla punta , infilzati dentro le pietre, ci sono dei bastoni, legate ai quali svolazzano delle sciarpe di tessuto leggero di color azzurro. I nostri mongoli stanno pregando. Il rito si svolge così; Si prende un sasso da terra lo si lancia nel mucchio , si fa tutto il giro intorno all’ovoo recitando una preghiera, facile no? E allora lo facciamo anche noi tutti. Riprendiamo il viaggio ma per poco tempo purtroppo perché il van più piccolo ha cominciato a fare i capricci e si è fermato. Il nostro autista scende subito e va a dare una mano. Sui loro volti non traspare nessuna espressione di paura o di preoccupazione per cui siamo tranquilli anche noi, a maggior ragione ripensando alle parole di Bilegt quando ci disse di star tranquilli che se si fosse fermato qualche motore i nostri autisti , in quanto ottimi meccanici, l’avrebbero riparato. Una decina di minuti e poi si riparte. Purtroppo dopo circa una mezz’oretta siamo fermi di nuovo e sempre per lo stesso problema e così per quattro volte consecutive. Adesso lo sappiamo che gli autisti sono ottimi meccanici ma se manca un pezzo non è certo in una landa deserta come questa che si troverà, ma sempre sorridenti dicono che al prossimo villaggio ci arriviamo senza gravi problemi. Certo forse l’imprevisto era considerato ma ormai abbiamo perso molto tempo e per rientrare nella tabella di marcia bisogna correre un po’ di più. Correre un po’ di più significa che non staranno più attenti ad aggirare le buche che si presentano piuttosto profonde, per non parlare poi dei dossi che ci fanno rimbalzare dal sedile, sbattere la testa sul tetto della macchina e se non sei più che pronta a inchiodarti al tuo posto ti trovi ai piedi dei tuoi compagni di viaggio. Non c’è altro da fare che avere pazienza e sperare in bene, anzi è questo il momento per avere il bicchiere mezzo pieno, naturalmente il mio in vacanza è sempre stracolmo. Ripartiamo fiduciosi che da adesso in avanti non ci siano altri impedimenti in modo di arrivare a Baga Gazrin in un orario decente. Troppo bello,stavolta il mini van zoppica. Come abbia fatto non si sa ma ha bucato. Nessun problema, la ruota di scorta c’è quindi il tempo materiale per sostituirla e poi via di nuovo, Vanni ignominiosamente guarda ma non interviene. Questo è stato l’ultimo impedimento dopo di che eccoci finalmente arrivati a destinazione. Tutto sommato non siamo arrivati troppo tardi. Anar ci invita a seguirlo, c’è qualcosa da visitare e noi andiamo volentieri . Si tratta di un vecchio tempio di Budda in rovina, ma lasciato il tempio prendiamo per un sentiero che sale fino alle rocce dove ci sono tantissimi piccoli oovo.Il nostro interprete ci sta indicando qualcosa lì sulla roccia e noi guardiamo nella direzione del suo dito, si tratta di un pezzo di metallo di forma ovale visibilmente vecchio, Anar lo sposta e, legato a una catenella, c’è un cucchiaio che serve per pescare l’acqua, naturalmente minerale, che si trova in quel buco scavato nella roccia. Certo che è proprio preziosa l’acqua e se ne rendono conto chi tanta fatica fa per averla. La guida della Lonely diceva che in questa zona si potevano ammirare delle pitture rupestri, ma nessuno ne sa niente, o fanno finta di non saperlo solo perché siamo arrivati tardi a Baga e ne è mancato il tempo? Pazienza da adesso in avanti prenderemo nota di tutto in modo di avere la situazione sotto controllo. Ora bisogna pensare per la notte, ma gli autisti e Anar hanno già sistemato tutto. Le ger dei nomadi, ecco qual è il nostro albergo per questa notte. In quella più piccola dormiranno le due coppie e in quella grande noi cinque. Non ci sono letti ma solo tappeti su tutto il pavimento. Sapevamo già che poteva capitare una cosa del genere ed è per questo che ci siamo portati il nostro sacco a pelo. Adesso sto invidiando Paola che si è portata anche il materassino da stendere sui tappeti affinché ci sia maggior stacco dal terreno, ancor meglio si è protetti dall’umidità e poi si dorme sul morbido. Niente paura poco dopo arriva uno dei nostri autisti e li porta per tutti e intanto ci chiede se vogliamo cucinare noi, altrimenti ci penserà la padrona di casa. Per la prima sera è meglio che sia qualcun’ altro a spadellinare, avremo tutto il tempo in dieci giorni per farlo noi. Il menù non è molto vario in tutta la Mongolia figuriamoci poi nelle ger dei nomadi, di sicuro non si può chiedere piatti diversi, deve essere uno solo che vada bene per tutti. La scelta cade sul riso con verdure e assolutamente senza carne come invece sono soliti abbondare. Intanto che aspettiamo io vado a curiosare in cucina. In tutti questi anni in giro per il mondo un po’ di anticorpi ce li siamo fatti, per cui e meglio lasciarla cucinare e non preoccuparsi. Il riso era ottimo e non ne è avanzato. Lavati i piatti bisogna prepararci per la notte. Dove sono i bagni?? Bagni?? Cosa sono i bagni? Meno male che ci siamo portati salviettine umidificate in abbondanza, si però la toilette , si insomma il water? Ci indicano una casupola in legno lontana circa cento metri dalle ger, bene per fortuna c’è. Vado convinta di trovare se non il water almeno, anzi meglio una turca, ma arrivata a destinazione e vista la situazione non sapevo se ridere o se piangere. Questa casupola ha una rudimentale porticina volta a sud, in modo di dare le spalle al campo di ger e dentro una ancor più rudimentale turca. La toilette è formata da quattro assi, due sono paralleli e abbastanza larghi per appoggiare i piedi e due sono messi nell’altro senso in modo da far risultare un buco in mezzo, sufficientemente grande da non doversi preoccupare di far centro, ma non abbastanza largo da poterci cadere dentro. Ho chiuso il naso e il resto è venuto da se.

Giovedì 13 L’orario di partenza è sempre il solito. Alzata alle 7.45 e ritrovo nella ger dove alloggia Silvia ( che è bravissima a preparare la tavola con le cibarie) intorno alle 8.30 per la colazione. Ci scambiamo le impressioni circa la nottata trascorsa e poi si parla della prossima tappa del nostro viaggio. Alle 9 tutti pronti in macchina, oggi in programma c’è Tsagaan Suvarga. Stiamo lasciando alle spalle la prateria e lentamente si vede sempre più terreno e meno erba. Anche gli animali sono diversi, sempre meno mucche e cavalli sempre più pecore e capre. Stiamo andando verso il deserto e il panorama cambia diventando arido. Siamo partiti da poco quando il van più piccolo si ferma. C’è una esclamazione di gruppo e incominciamo a preoccuparci seriamente perché si pensava che a Baga Gazrin avessero riparato definitivamente il motore. Forse però non è proprio come si pensa, infatti Anar, il nostro interprete, scende dalla macchina con due taniche gialle e sale per pochi passi su un dirupo alla nostra sinistra, solleva un coperchio e lo sposta, poi tira una corda e dopo poco spunta un secchio nero in plastica colmo d’acqua. Si tratta di un pozzo, molto interessante. Con l’acqua raccolta riempie le taniche e poi rituffa il secchio e il contenuto lo versa in una delle due canali che partono proprio dalla bocca del pozzo e finiscono in una buca grande poco più di una grossa bacinella e poi procede allo stesso modo anche con l’altra. Alla domanda “ come mai?” risponde che è un obbligo morale e buona educazione che l’uomo, quando si serve dell’acqua del pozzo, prima pensi per lui e poi lasci da bere anche per gli animali. Mandalgov è il primo villaggio che incontriamo e il traduttore ci chiede se vogliamo fare una sosta e noi scendiamo volentieri. C’è un monastero ma è chiuso troviamo però un supermarket aperto e più per curiosità che per necessità entriamo e sicuramente non usciremo a mani vuote, infatti c’erano tanti tipi di frutta disidratata, come resistere? Risaliamo in macchina e via che si riparte. Ormai è passato da un po’ mezzogiorno e quindi bisogna pensare anche allo stomaco e per questo ci fermiamo a una ger ristorante e ordiniamo ancora riso con verdure senza carne, è il meno peggio. Oggi è una giornata molto ventilata non è freddo ma il vento è molto fastidioso e anche pericoloso per le macchine fotografiche a maggior ragione se sono digitali, perché naturalmente viene sollevata la terra e la sabbia che possono entrare nella macchina e sconvolgere tutto il sistema, infatti quella di Mirella si è bloccata. L’attrattiva principale di Tsagaan Suvarga sono le rocce calcaree e noi ci fermiamo a visitarle. Sono imponenti, bellissime e come solito ognuno di noi si lamenta perché si sa già che non ci sarà foto che faccia giustizia a una tale magnificenza. Sono alte circa trenta metri e noi le stiamo osservando, fotografando e ammirando dall’alto. Sembrano stalagmiti con tutte le varie forme che possono assumere e la più comune e quella di colonne romane con tanto di capitello. Questa volta nelle ger dove ci fermiamo a dormire ci sono anche i letti, qualcuno ha la testiera come quelli dei nostri ospedali ma molto più piccole, altri ne sono addirittura privi, comunque sono letti. Sono sulla porticina d’entrata che sto ammirando l’interno quando ad un tratto sento Anar che sbiascica qualcosa, mi spinge dentro la ger e chiude la porta. Ora mi rendo conto che quel polverone di color arancio bruciato che si vedeva da lontano così grande da sembrare un muro è una pericolosa tempesta di sabbia, infatti dopo pochi minuti si abbatte sulle ger. Stasera cuciniamo noi, una bella spaghettata ci sta proprio bene. Gli spaghetti li abbiamo portati noi da casa e il sugo è mongolo e devo dire che è buono. Anche il grana abbiamo portato dall’Italia ma nonostante Bilegt abbia pensato al fornello, padelle e stoviglie alla grattugia non ha pensato nessuno e allora gioco forza usare il coltello e tagliarlo a schegge. Finita la cena e lavati i piatti Martina entra con Anar per chiedere se qualcuno fosse interessato a farsi massaggiare perché la padrona di casa è una brava massaggiatrice. Si mettono in coda Martina, Paola e Maria Angela e quando tornano sono belle rilassate e contente, forse Maria Angela un po’ meno perché essendo stata l’ultima, la massaggiatrice era forse stanca e l’ha sbrigata subito. La giornata è finita e ognuno va verso la sua ger, alziamo gli occhi al cielo e non vediamo le stelle, è tutto coperto si preannuncia la pioggia e di pioggia ne sanno bene Vanni e Silvia che durante la notte hanno dovuto alzarsi e darsi da fare a trovare pentolini e contenitori per prendere l’acqua che entrava dal tetto.

Venerdì 14 L’itinerario prosegue verso sud, sempre più vicino al deserto, ovverosia Yolyn Am passando per Dalanzadgad. La strada è sempre sterrata però non sentiamo più quei sobbalzi del primo giorno. Ci sono più piste adesso, una a fianco all’altra e si può passare dall’una all’altra senza problemi, perché di traffico non ce n’è, evitando così la più parte delle buche. Anche oggi i kilometri da percorrere non sono tanti ma la strada non ci permette di correre e intanto ammiriamo il panorama che mano a mano si procede diventa sempre più sabbioso e meno popoloso di animali ,quali pecore, capre, mucche e cavalli, ma si cominciano a vedere cammelli. Oggi ci va di lusso, niente ger-ristorante ma un ristorante vero e proprio. Siamo a Dalanzadgad, l’ultimo villaggio prima di entrare nel deserto, buona opportunità per chi ha bisogno di far rifornimento, noi tutto sommato a scorte stiamo ancora bene. Vero ristorante dicevo, sì, è fatto in muratura e appena si entra ti si apre il cuore. Sembra di essere in una foresta, piante rigogliose con dei grossi tronchi e rami che salgono e si diramano per tutto il soffitto e le fronde che scendono fino quasi a toccare i tavoli. Peccato che mano a mano ci si avvicina ci si accorge che è tutto finto. Qui fortunatamente è possibile ordinare alla carta e il menù è vario. Un piccolo neo, alla fine del pranzo si ordina il caffè e ci arriva caffelatte, noi tutti in coro esclamiamo “nooo”la cameriera si spaventa e le si riempiono gli occhi di lacrime, ma noi la tranquillizziamo assicurandole che li paghiamo lo stesso e poi li offriamo ai nostri autisti. Adesso bisogna smaltire il pranzo per cui è meglio ripartire per andare a visitare Yolyn Am. Diversi anni fa questa valletta era coperta di ghiaccio fino ad estate avanzata, ora non più, però è rimasta un’ oasi, una gran bella oasi. Oggi è un po’ freschino ma volentieri ci inoltriamo in questo posto magico dove la verde pianura è attraversata da un ruscello e tutto intorno alte rocce che la circondano. In fondo alla valle un breve canyon che sfocia in un’altra valle altrettanto bella. Torniamo indietro e lasciamo andare avanti Anar e i nostri maschietti perché la natura chiama e se non ci sono le toilette nelle ger è impensabile trovarle qui. Ognuno cerca la sua privacy dove può. Gina è la più lontana di tutti ed essendo alta ha trovato posto dietro una grossa pietra ma lo stesso la testa sporge. Noi la teniamo d’occhio e l’avvisiamo se dovesse arrivare qualcuno. In effetti stanno arrivando due uomini e Maria Angela, per fermarli un po’ affinché Gina abbia il tempo per ricomporsi, mi chiede di domandar loro da dove arrivano e io, senza pensarci due volte dico:” Where are you from ?” e loro, con quegli occhietti a mandorla resi quasi una fessura dal riso divertito:” Me?…Mongole of corse”. Ecco Gina che arriva, io saluto i mongoli con allegria e loro se ne vanno. Dopo un momento vediamo i due uomini seduti sul sasso di fronte a quello che la nostra compagna di viaggio ha usato come toilette, lanciano un sasso e pregano, Gina si mette a ridere e alla domanda “perché” risponde che, quando si è accorta che stavano arrivando, ha coperto il tutto con dei sassi e l’ha fatto a mo di oovo.

Stasera la cena la prepariamo noi e decidiamo per un piatto freddo cioè mais ( ricordo che Anar quando glielo abbiamo detto ha fatto una faccia schifata perche in inglese mais è il plurale di topo) e tonno. Le ger di volta in volta diventano sempre più belle. Queste hanno i letti come quelli delle bambole non per le dimensioni ma per i colori sgargianti, i decori e la forma e inoltre ci si dorme bene. Le due coppie Mario e Martina, Vanni e Silvia stanotte hanno avuto una visita speciale, non so se è stata Silvia ad attirarle ma di certo si sa che in piena notte un paio di pecore o tre, approfittando di una apertura nella ger, sono entrate e non avevano nessuna intenzione di andarsene, fuori era piuttosto freddo mentre dentro c’era un tepore…Comunque ci sono riusciti a convincerle e a malincuore però se ne sono andate.

Sabato 15 La prima settimana di vacanza è già andata e non ce ne siamo neanche accorti. In effetti ora siamo a metà strada del nostro emozionante viaggio, siamo diretti alla località più a sud del nostro itinerario e toccheremo con mani la sabbia del deserto del Gobi. Sono le nove del mattino ed è piuttosto freddo la giornata non è limpida ci sono delle nuvole che parlano d’acqua, speriamo di no. Le piste sono le solite, terra battuta, dossi e buchi, si procede zigzagando da una carreggiata all’altra sempre cercando la pavimentazione più omogenea. Ora siamo di fronte a una bella salita ma fra le tre piste non c’è una grande differenza e allora rimaniamo sulla nostra e saliamo, a fatica però si va, no no non funziona siamo a metà e la 4×4 si rifiuta di procedere. Un po’ preoccupato l’autista ci fa scendere poi indietreggia con la macchina fino a trovare il piano poi prende la rincorsa e porta il van fino in cima. Noi facciamo la rampa a piedi e arrivati al culmine vediamo un oovo proprio a fianco alla pista e il nostro autista che gli gira intorno, lancia un sasso e recita una preghiera come ringraziamento. L’altro van probabilmente essendo più leggero non ha avuto problemi. Procediamo verso Khongoryn els e quando arriviamo al campo nomadi non troviamo nessuno, ma lo stesso ci impossessiamo delle ger e in attesa che arrivino i padroni, consumiamo il nostro pasto frugale all’interno di una tenda. Le nuvole ci sono ancora e sempre piuttosto minacciose ma fanno da corona a Khongoryn, qui c’è il sole ed è piuttosto caldo. Anar rimanda la salita sulle dune a più tardi, quando sarà più fresco, ma noi ci ribelliamo perché abbiamo paura che arrivi la pioggia dato che le nuvole si stanno avvicinando. Riusciamo a convincere l’interprete e ci accingiamo a salire in macchina. Le dune sono lì , si vedono benissimo, finisce la prateria e si alzano subito così maestose e dorate. Ci vien voglia di andare a piedi perché sembrano proprio lì a due passi ma l’autista ride e ci assicura che sono distanti almeno 2km. Partiamo pieni di buona volontà e prendiamo la costa della prima duna convinti che saremmo saliti fino in cima per poter fotografare una meravigliosa distesa di dune. Paola Gina e Maria Angela hanno detto basta a metà della prima duna. Vanni, Silvia, Mirella e Martina a metà della seconda, Anar ed io li abbiamo raggiunti dopo. Mario invece è quello che ha parlato di meno e ha fatto di più, infatti è arrivato in cima senza problemi. Le nuvole si stanno avvicinando sempre di più e son ancora di colore nero, meglio affrettarci a scendere e metterci al riparo. Siamo quasi ai piedi della prima duna che ecco arrivare la pioggerellina, nascondiamo le macchine fotografiche sotto gli indumenti e ci avviciniamo alle macchine. Questa sera avremmo proprio bisogno di lavarci con acqua e shampoo, ci sentiamo la sabbia un po’ dappertutto anche nei capelli. Non molto lontano dal nostro campo di ger ce n’è un altro ed è per i turisti e là sicuramente c’è la struttura per la pulizia della persona e toilette incluse. Paola si è informata ed è possibile,pagando 5000T a testa, usare le loro docce. Stasera la nostra cena sarà a base di spaghetti e come solito a prepararli sarà Silvia. Finito di mangiare e dopo aver lavato i piatti, Anar ci chiede se permettiamo ai nostri ospiti di entrare nella nostra ger a mostrarci i loro manufatti. Perché no! Certo. Sono in tre, probabilmente marito, moglie e figlio, stendono in terra un telo nero e poi pescano da una borsa gli oggetti uno per uno finché il telo non è pieno. Sono piccole sculture in legno o in pietra e poi ci sono le piccole ger in feltro con l’interno ammobiliato o no, è insomma quello che si trova in tutti quei mercatini che abbiamo visto fino adesso. Qualche volta si vedono anche dei guanti in cashmere fatti a mano ma sono talmente duri da sembrare di crine. Non c’è una grande scelta, certamente anche perché la Mongolia non è molto gettonata dal turismo di massa, meno male per noi. Comunque i nostri padroni di casa non sono usciti a mani vuote, qualcuno di noi qualcosa ha comprato.

Domenica 16 Adesso siamo pronti per la risalita, lasciamo il deserto alle spalle e cominciamo il secondo lato del triangolo. Ci siamo alzati alla solita ora anche se la sveglia, essendo domenica, non ha suonato. Il mio cellulare fa da sveglia, in quanto il mio orario di lavoro combacia con quello dell’alzata di tutti i giorni del nostro viaggio, e visto che di domenica non timbro il cartellino il telefonino non suona. Come sempre ci ritroviamo nella ger dove alloggia Silvia perché dove c’è lei ci sono sempre anche le derrate alimentari, chissà perché!!! Facciamo colazione e poi via verso Bayanzag. I nostri autisti ci fanno una sorpresa. In un piccolo villaggio, non lontano dal nostro campo, si svolge una festa con tanto di lottatori e…Quanti poi…Ma noi femminucce non siamo tanto attirati da questo genere di sport, ma, poco lontano si svolgono le gare dei cavalli. I fantini sono indistintamente grandi e piccoli ed è uno spettacolo vederli specialmente i bambini che ci mettono anima e corpo in questo tipo di manifestazione. In questo contesto, è usanza locale per gli uomini di sedersi per terra e scambiarsi il tabacco per odorarlo e fare dei commenti al riguardo. Anche questo è un modo come un altro di socializzare. Sempre in questo villaggio ci sono in esposizione, in un vasto parcheggio, una cinquantina di macchine Diana due cavalli, molto in voga una ventina di anni fa. Parlano di una gara che dovrà avvenire fra pochi giorni e probabilmente sarà il giro della Mongolia. Ormai è ora di partire, Bayanzag ci aspetta. Come solito la meta non è vicinissima per cui ci dovremo fermare a metà percorso per il pranzo. Il paesaggio è cambiato di nuovo, dalla sabbia del Gobi lentamente siamo passati alla steppa eppure anche questa ha il suo fascino Ci fermiamo in un villaggetto che si chiama Bulgan. Appena scesi dalla macchina vedo una bambina molto carina anche se un po’ sporca, ( non c’è cemento è tutto sterrato ) pettinata con due dignitose trecce e con un sorriso sincero che ci guarda con curiosità. Certo il turismo di massa qui non viene di sicuro per cui quei pochi che passano sono visti come persone strane. Dall’Italia, con il contributo delle mie colleghe, ho portato un po’ di gift da regalare ai bambini e questo era il momento giusto per tirarli fuori. Dalla macchina prendo la famosa borsa stracolma di regalini e incomincio a darle una sciarpa che gliela metto al collo , poi la berretta in tinta e gliela sistemo in testa, poi una saponetta che gliela metto nelle mani e mimo il movimento di lavarsi affinché sappia che serve per la pulizia del viso e del corpo, in quanto il prodotto si presenta come la bandiera tricolore. La bimba continua a guardarmi e non smette mai di sorridere, le luccicano gli occhi e, anche se è una giornata calda, si stringe addosso la sciarpa felicissima, attratta da quelle frange così dorate che al sole brillano ancora di più. La bambina se ne va e io ripongo la borsa, ma per poco, il tempo materiale per girarmi e la rivedo, sempre con lo stesso sorriso ma con tre altri bambini più piccoli di lei. Naturalmente do anche a loro quello che ho dato a lei ma sta volta è lei che spiega cosa sono, facendo gli stessi gesti che io ho fatto con lei. Tutti contenti se ne vanno, oggi per loro è stata una giornata fortunata. Anar ci viene a dire che la ger grande pochi passi avanti a noi è un ristorante, ha già chiesto il menù e si tratta di una specie di ravioli molto grossi ripieni di carne di montone o di verdura, sempre con contorno di verdura. Oggi ho abbastanza appetito e a me va bene, come alla maggior parte di noi,compresa Martina che è vegetariana e li mangerà ai vegetali. Gina appena entra nel ristorante sente l’odore di carne di montone, si scusa ma non riesce a resistere e torna indietro a mangiare i suoi formaggini che ha portato dall’Italia. Certamente il ristorante non si presenta molto bene. La ger è molto spaziosa; appena entrati, sulla sinistra, c’è un tavolo grande che in otto ci stiamo larghi, in fondo, di fronte all’entrata, un rudimentale mobile regge un grosso televisore acceso, ai piedi del quale c’è un uomo accovacciato su un tappeto che la sta guardando, un po’ più in là la cuoca sta preparando il nostro pranzo, mentre una giovane donna ha in braccio un bambino seminudo e ci mostra il culetto del piccolo che è di colore blù ma nessuno di noi sa cosa ci vuole dire. Nelle corde che reggono la parete in feltro c’è infilato di tutto, sacchetti in plastica, vestiti, carte e poi da lì parte un’altra corda che attraversa metà locale ed è legata a una specie di separè dietro il nostro tavolo. Ecco lì stesi su quel filo ci sono strisce di carne di montone a seccare. Non aveva tutti i torti Gina quando diceva di sentire puzza di carne di montone. I ravioli che ci hanno servito erano buonissimi, ma talmente grossi che due riempivano il piatto.

Bayanzag è un sito archeologico e nel 2000 scavando hanno trovato delle uova di dinosauro pietrificate e anche un piccolo scheletro. Intelligentemente non sono stati rimossi ma lasciati lì per mostrarli ai turisti. E’ tutto un coprire e scoprire continuo per poter creare un momento di suspense per ogni gruppo di visitatori. Il costo del biglietto è di circa 2500 T a testa e li vale tutti. Appena usciti dal sito ovviamente ci sono i banchetti con i souvenir, fra le solite cose troviamo anche i minerali molto belli e Gina ne approfitta e ne acquista due. Sempre ospiti dei nomadi, per questa notte abbiamo trovato due ger: una a tre posti e l’altra a sei. In quella da tre dormiranno Mario, Martina e Paola, e nell’altra tutti noi. A questo punto credo proprio che sia Martina ad attirare nella tenda di notte gli animali. Qualche notte fa erano le pecore adesso addirittura un gatto con in bocca un topo.

Lunedì 17 Questa giornata è abbastanza tranquilla, la nostra meta è Ongiin Khiid. La raggiungiamo verso l’una del pomeriggio. Andiamo subito a pranzo e stavolta in una costruzione in muratura. Io chiedo i “nudol “ che sono una specie di tagliatelle ma un po’ viscide e quasi trasparenti con carne di montone e verdure, altri possono chiedere riso con o senza carne. Ci sembra una cosa strana che si possa ordinare piatti diversi, tanto siamo abituati a un piatto unico per tutti, prendere o lasciare. I miei nudol sono squisiti non sono per niente viscidi o trasparenti, sono favolosi e li mangio tutti. Qualcuno del gruppo, che è andato alla “toilette” dice di aver visto un gatto legato a un palo, io esco subito e vado a vedere. Lo vedo e mi fa una gran pena perché è sotto il sole cocente, gli è persino impedito di andare all’ombra. Gli porto subito da mangiare, è affamato. Io non ho mai visto un gatto legato, solo in Mongolia succedono queste cose. La padrona di casa mi vede e allora sorridendo esce e libera il gatto il quale poverino corre subito a cercare l’ombra. Chissà forse volevano semplicemente evitare che entrasse nel ristorante a disturbare. Anar viene a chiamarci per andare a vedere le rovine. Non è lontano perciò si va a piedi. Sono le rovine di due monasteri. Il fiume li divideva, c’è ancora l’alveo ma l’acqua non scorre più. A giudicare dalle rovine erano piuttosto grandi e sicuramente maestosi.

Questa notte vogliamo trattarci bene andando al campo, sempre di ger, ma per i turisti. Là troveremo le docce e le toilette con i water. Tutto il campo è nuovo, le tende comunque si nota che non sono dei nomadi, che il freddo vero dell’inverno non lo possono reggere, in quanto l’imbottitura del feltro è proprio leggera. A noi va bene così, infondo di notte non è che scenda tanto la temperatura, comunque io a scanso di equivoci ho preparato il pigiama di pile. Che bello fare la doccia, ci sarei stata sotto tutta la sera, ma ci sono anche gli altri. Le toilette però sono chiuse, c’è una fascetta che indica il fuori uso, ma a Gina non gliene frega niente, toglie la fascetta ed entra. Funziona tutto e allora tutti ne approfittiamo.

Martedì 18 Siamo in viaggio verso Orkhon waterfall e ricominciamo a vedere la prateria. Deve aver piovuto bene in questa zona perché si trovano delle pozzanghere in mezzo alla pista che sono difficili da schivare, ma è già buono che non abbia cancellato del tutto la strada. Gli oovo sono disseminati dappertutto , grandi, piccoli, con le sciarpette azzurre o senza. Non so con quale criterio il nostro autista lo scelga, so soltanto che a volte ferma la macchina, scende, fa tre giri intorno all’oovo, lancia un sasso e recita una preghiera. Chiaramente non può farlo ogni volta che ne vede uno altrimenti non arriveremmo mai a destinazione. Però ho notato che ogni volta che ne incontra uno e non può scendere a fare il giretto intorno, da due colpi di clacson a mo di saluto. Khujirt si trova circa a metà strada e oltre tutto è l’ultimo villaggetto dove si può trovare un ristorante quindi ci fermiamo. Oggi mi sembra che i nostri autisti abbiano esagerato un po’. Il ristorante consta di una ger piccola e per niente attrezzata a ristorante e in più il menù è unico, prendere o lasciare, si tratta di ravioli in brodo ripieni di carne di montone e verdure. Se vogliamo essere sinceri fino in fondo non è un piatto invitante, i tortellini non bisogna confonderli con i nostri, questi sono grossi e scivolosi, un po’ come quelli cinesi e la carne non è proprio macinata con il robot da cucina, la cuoca non sa neanche cosa sia. Non c’è alternativa , una parte di noi, me compresa, accetta, il resto si arrangia con le nostre scorte. Come previsto non sono molto buoni, infatti io ne ho mangiati pochissimi, in compenso ho bevuto il brodo. Mario invece ha mangiato tutti i suoi e anche quelli che ha avanzato Paola. Se Martina ha qualche problema sul mangiare Mario sicuramente no, l’ho sempre visto mangiare senza lamentarsi. E’da quando stavamo preparando l’itinerario che parliamo di affittare dei cavalli per fare una bella cavalcata, ma fino adesso Anar e gli autisti ce l’ hanno sconsigliata in quanto non conoscevano i padroni e allora non sapevano se i cavalli fossero domati oppure ancora piuttosto selvaggi perciò pericolosi. Pare che oggi si possa fare, è tutto in regola, prima di sera avremo ognuno il nostro cavallo, Che meraviglia!!! Come solito appena si arriva si va a prendere possesso della ger in modo da posare i borsoni e borse e viaggiare liberi. Anche oggi quello che abbiamo in programma di vedere non è lontano quindi si va a piedi. Chissà se riuscirò a descrivere bene quello che i nostri occhi vedono. Si tratta di una cascata, quella in copertina tanto per intenderci, che è bellina a maggior ragione sapendola in Mongolia dove l’acqua è preziosa, però è tutto il contesto che la rende particolare. E’ come se, tanti anni fa, un gigante fosse passato da qui e avesse lasciato l’impronta del suo piede. Interrotta così la lenta discesa del corso d’acqua, non poteva che crearsi una cascata. Forse sotto il piede, senza saperlo, trasportava semi e concime naturale, si giustificherebbe così l’abbondanza di vegetazione e l’erbetta morbida e frasca. Per accedere a questo paradiso terrestre, bisogna scendere una scaletta che si è formata naturalmente. Appena giù ci si trova inaspettatamente al buio, quello causato dalle piante, e noi non siamo più abituati a questo tipo di oscurità perché in Mongolia è piuttosto raro trovare alberi. C’è un sentiero segnato subito sulla sinistra, vicino alla roccia che si alza per quasi una decina di metri, poi per tutta la larghezza dell’oasi una vegetazione abbastanza fitta e in mezzo scorre il ruscello. Seguendo il sentiero si arriva alla cascata e al laghetto che si è formato. Non è una bellissima giornata e le nuvolacce non dicono niente di bello, meglio ritirarsi prima che piova. Abbiamo appena fatto in tempo ad entrare nella ger che è arrivato il finimondo. Altro che pioggia questa è grandine! Accidenti proprio stasera che potevamo andare a cavallo! Tempo una manciata di minuti e tutto è passato, la grandine già si è sciolta e il terreno è asciutto. Anar ci chiama per la cavalcata. Su nove siamo sei temerari che vanno all’avventura. Martina è già sul suo stallone bianco e sta prendendo confidenza. I nostri stanno arrivando e a condurli è il proprietario. Io scelgo il più piccolo anche se piccoli lo sono tutti. La sella è molto strana, piccola e posta molto in avanti, quasi sul collo dell’animale e questo mi mette a disagio in quanto ogni volta che abbassa il muso per brucare l’erba mi sembra di cadere in avanti. Non ci lasciano soli, sanno perfettamente che, a parte Silvia che è abituata a suoi da corsa, nessuno sa cavalcare, ad accompagnarci ci sono: Anar, il proprietario e un bambino che sembra nato sul cavallo. Ci avviamo tutti insieme per un percorso già deciso ma non detto. Io sono l’ultima, fatti un centinaio di metri li vedo tutti sparire davanti a me. C’è una discesa in fondo alla quale si vede l’alveo di un fiume in secca fatto di pietre piatte e nere, tanto lucide da sembrare bagnate. Io mi sono spaventata e mi sono vista già per terra con il cavallo sopra, quindi ho preferito tornare indietro. Dopo poco vedo spuntare Silvia e si lamenta che il suo si rifiuta di andare avanti. Ci stavamo avviando per un giro nei dintorni quando vediamo che anche Mirella ha problemi analoghi. Pazienza, ci accontenteremo di cavalcare qui tenendo d’occhio il campo di ger per non perderci. Invece no, non possiamo fare di testa nostra, infatti un attimo dopo arriva il bambino che prende il laccio del mio cavallo e lo tira incitandolo al trotto, inutili i miei NO il ragazzino pare abbia problemi di udito e continua per la sua strada. Facciamo la discesa, attraversiamo il greto del fiume e risaliamo dall’altra parte tutto con una facilità incredibile, poi mi accompagna ancora per un po’ fino a quando arriviamo vicino agli altri e lui torna indietro a recuperare Silvia e Mirella. Una volta giunti insieme al gruppo mi accorgo che l’unica a cavalcare per i fatti suoi è Martina mentre noi tutti siamo trainati da chi sa ben cavalcare. Siamo un bel gruppo compatto e i nostri cavalli sono vicini l’uno all’altro e a volte si toccano liberando ad ogni passo sonore flatulenze che però, bontà loro e fortuna nostra, non lasciano odore di qualcosa marcescente. Un’ora e un quarto è durata la cavalcata e adesso è ora di cena. Sono rimasti nella ger Vanni, Gina e Paola che hanno già portato a bollore l’acqua per gli spaghetti, quindi siamo a buon punto. Stasera c’è una sorpresa, una bambina entra nella nostra ger con un secchiello colmo di yogurt appena fatto e ce lo dona. Che meraviglia, io sono golosa di yogurt e me ne mangio subito un bicchiere pieno, è squisito. Anche Mario ci da sotto e penso che se non fosse per quella paura che abbiamo di un effetto poco simpatico Mario e io lo mangeremmo tutto, c’è anche Maria Angela che ne mangia un po’ sperando in quel effetto poco simpatico… Gli spaghetti sono pronti e non ci resta che mangiarli. Mi sembra una buona conclusione di una giornata così ricca di emozioni e di avvenimenti.

Mercoledì 19 Ci si alza alla solita ora e stamattina voglio provare a lavarmi con l’acqua della fontanella del campo, anziché le salviettine umidificate. La fontanella è formata da un piccolo recipiente di metallo fissato a un palo. Al massimo può contenere un litro d’acqua, appoggiata sopra il contenitore c’è una saponetta e in basso il rubinetto. No non riesco a lavarmi cercando di essere parca con l’acqua, preferisco ancora le mie salviettine, avremo ancora modo di fare una doccia prima o poi. La meta di oggi è Shankhiin per arrivarci dobbiamo fare a ritroso parte della strada che abbiamo fatto ieri. Deve aver piovuto abbastanza bene stanotte, ci sono pozze dappertutto, già era una strada impervia prima, adesso è peggiorata di molto. Ma il bello deve ancora venire, arrivati a un fiumiciattolo, nel guadarlo il van più piccolo perde un pezzo del motore e bisogna fermarci per farlo asciugare e cercare di metterlo a posto. Fortunatamente sono bravi meccanici per cui non abbiamo aspettato molto e poco tempo dopo riprendiamo la marcia. Ormai siamo arrivati a Khujirt e parlando di pranzare in coro abbiamo detto no alla ger ristorante di ieri, piuttosto andiamo al supermercato e ci compriamo qualcosa e così è stato fatto. Ci rimettiamo in cammino e sta volta si va dritti a destinazione senza interruzione per causa motore. La vita in questo campo di ger ( sempre dei nomadi ) è molto dinamica, c’è un bel via vai di animali , che si spostano o stazionano lì vicino alle tende per lasciarsi mungere. Io non ho mai visto mungere cavalli e pensavo che non fosse possibile, invece eccoci qua davanti a una mandria e la proprietaria che li munge. Dicono che il loro latte non si riesce a conservare più di tanto e quindi non si può fare formaggi ma so che in Mongolia agli ospiti viene offerto il latte fermentato di cavalla. Speriamo che i nostri padroni di casa non ci ritengano ospiti perché non muoio dalla voglia di assaggiare latte fermentato. Fortunatamente non è successo perché sarebbe stato offensivo per loro vederlo rifiutato e la più parte di noi non voleva provare questa esperienza. Adesso andiamo a visitare il monastero di Shankhiin. Questo è quello con più monaci di tutta la Mongolia. Di fronte all’entrata, qualche metro indietro, ci sono due lunghe panche con schienale, una di fronte all’altra, dove sono seduti i monaci che col tam tam del tamburo pregano. Attaccato alla panca di sinistra c’è un tavolino dove sopra c’è un secchio e delle scodelle. Dalla parete di sinistra partono proprio a contatto con il muro lunghe panche semplici senza schienale per i fedeli. Noi prendiamo posto là dove c’è per cui siamo un po’ sparsi qua e là. A fianco a me c’è Silvia e dalla nostra posizione vediamo qualche monaco, fra i quali ci sono anche un ragazzino e addirittura un bambino. Il ragazzino sta dormendo e quando la testa gli cade in avanti si sveglia ma per poco poi torna a dormire e allora è il bambino che con una gomitata gli fa aprire di nuovo gli occhi. Intenta come sono a guardare la scena dei piccoli monaci non mi accorgo che un ragazzo si ferma di fronte a me e tiene in mano una scodella colma di liquido bianco, mi sorride e me la porge, io risoluta dico: “ No grazie “ ma lui insiste, e qualche metro lontano da me vedo sporgere la testa di Anar che imperativamente mi dice : “ You must ! ” ma io ripeto –no grazie- e Anar mi risponde : “ Only a little but You must ! “ e allora la prendo, dopo un attimo ne porta un’altra per Silvia e Mario che si trova poco più in là di noi. Silvia ed io ci guardiamo e ci diciamo: “ …E adesso cosa facciamo? Io di certo non lo bevo. “ Naturalmente si tratta di latte di cavalla fermentato e io mi rifiuto assolutamente di berlo. Con Silvia ci accordiamo di far solo finta di berlo e quindi lo portiamo alle labbra stando attente a tenerle ben chiuse e poco più in là sempre Anar che sporge la testa per controllare. Dopo circa dieci lunghi minuti arriva lo stesso ragazzo e mi incita a berlo tutto ma stavolta molto più risoluta rifiuto e lui sempre sorridendo finalmente mi leva la tazza dalle mani. Tiro un sospiro di sollievo, meno male che me ne sono liberata, intanto seguo con gli occhi che fine fa la mia tazza, il ragazzo va al tavolo pesca dal secchio con un mestolo dell’altro latte, ne versa un pochino nella mia tazza e lo va ad offrire a un signore che ha appena preso posto. Evviva l’igiene, chissà in quanti hanno bevuto da quella tazza senza lavarla! Mario ci dirà poi che lui ne ha bevuto circa metà scodella e noi lo abbiamo guardato come se si trattasse di un alieno. Ritorniamo nelle nostre ger e senza bussare e senza aprir bocca entra una bambina che avrà nove o dieci anni e si accinge ad accendere la stufa, finito il suo compito se ne va come è arrivata e noi la ringraziamo perché in effetti è un po’ freschino. Vicino alla porta c’è un cartone scoperchiato dove c’è un po’ di legna e noi piano piano la bruciamo tutta. Adesso è un peccato lasciar spegnere la stufa, si è formato un bel tepore e vorremmo mantenerlo. Usciamo e ci guardiamo intorno ma non vediamo boschi o cataste di legna già pronta e quindi ci rivolgiamo alla padrona di casa, la quale ci porta dello sterco di mucca e ci indica dove trovarlo. Certo qui non è soltanto l’acqua a mancare ma anche la legna.

Giovedì 20 Oggi finiamo il secondo lato del triangolo. Stiamo andando verso KharKhorin, la vecchia capitale. A un paio di kilometri dalla cittadina c’è un monastero tutto recintato con diversi templi e quello dove ancora adesso tengono le funzioni è chiuso a chiave, sarà una custode ad aprircelo. All’interno della cinta muraria, a differenza degli altri finora visitati, c’è anche una casetta adibita a negozio dove si vendono souvenir. Siamo entrati a guardare ma nessuno ha comprato. Tutti i monasteri che abbiamo visitato fino adesso sono molto belli e interessanti ma che ci lascia un po’ perplessi è la grave incuria che rileviamo fuori dai templi e monasteri. Ci si aspetterebbe di vedere bellissimi prati verdi se non addirittura giardini, invece ci sono solo erbacce alte che riescono a sminuire la bellezza delle antiche opere d’arte. Ricordo però di aver visto a Ulaan Baatar degli operai che tagliavano l’erba in un prato e non avevano altri arnesi che un coltello. Sembra molto strano, ma sarà possibile che neanche nella capitale ci sia un taglia erba? E’ ora di andare a pranzo e questa volta si va in un ristorante vero fatto in muratura in quelli, tanto per essere chiari, che si può scegliere dal menù il piatto che si desidera. Il prossimo monastero che andiamo a visitare ha una particolarità il Dalai Lama è una donna, in più, come Martina ha letto sulla guida della Lonely, la signora sa leggere il futuro. Siamo un po’ tutti incuriositi per questo fatto perciò vorremmo saperlo di certo, quindi chiediamo ad Anar se glielo traduce, ma lui scandalizzato risponde di no perché si vergogna in quanto non crede a queste cose così profane, ma dietro insistenza cede e a malincuore glielo chiede. Sì, risponde la signora, ma adesso devono entrare altre persone a visitare il monastero. Ci consiglia di andare a fare un giretto e poi se ne riparlerà. Usciamo e prendiamo per un sentiero che ci porta in salita su dove c’è un fabbricato che non sappiamo a cosa serva, c’è una specie di piccola terrazza che invita a fermarsi per osservare il panorama. Sinceramente se non fosse per quelle erbacce meriterebbe proprio la salita, ci sono anche qualche pianta del tipo ulivo e qualcuno ne ha approfittato per stare un po’ all’ombra. Non siamo soli a godere la bella vista e un signore, sentendo che siamo italiani ci chiede di quale gruppo facciamo parte e Paola,molto orgogliosa, risponde che è un gruppo fai da te. Loro invece sono di “avventura nel mondo” però, il nostro interlocutore si lamenta, non sono molto uniti e ognuno va dove vuole, allora noi, tanto per girare il coltello nella piaga, gli rispondiamo che noi siamo molto compatti perché siamo un gruppo di amici. Forse abbiamo esagerato un po’ perché questi ad un certo punto se n’è andato e,visto che gli avevamo detto che non vedevamo l’ora di farci una doccia vera, senza girarsi ci dice di ricordarci, quando saremo sotto la doccia di usare tanto ma tanto sapone. Scendiamo anche noi e ci avviciniamo al monastero, ci dividiamo in due gruppi, quello che vuol farsi leggere il futuro ai piedi della gradinata del monastero, l’altro sotto un albero. Io faccio parte dei curiosi che vuol farsi leggere la mano e mi metto con gli altri temerari. Anar, che è entrato per avvisare la Dalai Lama che siamo tornati, scende velocemente la scala per dire che la signora ne riceve una sola e lei ha scelto la donna più giovane. Martina emozionata entra e quando esce è ancora più emozionata ma anche soddisfatta, mentre Anar torna da noi scioccato in quanto La Dalai Lama sembra che lo conosca da sempre perché ha indovinato tutto sulla sua vita. Ecco che adesso Anar ha smesso di essere scettico su questo genere di cose. Stasera usciamo a cena, no non nel senso di andare al ristorante, semplicemente abbiamo due tavoli uno per ogni ger, li portiamo fuori e mangiamo all’aperto.

Venerdì 21 Oggi è il giorno in cui chiudiamo il triangolo, infatti torniamo a Ulaan Baatar, un po’ a malincuore però domani rientriamo in Italia. In macchina siamo più silenziosi del solito. Siamo contenti perché è stato un bel viaggio ed è andato tutto bene e comunque come sempre già abbiamo in testa il prossimo viaggio. Ci fermiamo come previsto a metà strada per il pranzo e poi via di nuovo fino ad arrivare alla capitale. Bilegt ci sta aspettando, torniamo nel nostro appartamentino tranne Paola,Martina e Mario che li ha sistemati in casa sua. Bilegt aveva ragione, di soldi ce ne sono rimasti e adesso li andremo a spendere al famoso negozio dove abbiamo già comprato il secondo giorno in Mongolia. Curiosità

Compagnia aerea : Air Flot Costo del biglietto : Euro 1.200 Costo del viaggio : Euro 400 ognuno Moneta : Tugrik Euro 1 : T. 2086 Fuso orario : + 6 ore Kilometri percorsi : C.Ca 2000



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