Dall’Italia all’Ucraina: Nasi Rossi a Kiev, ma il cielo è sempre più blu!
Certo, l’impatto non è stato facile. Nemmeno spiegare ora le emozioni provate in quei giorni intensissimi è facile. In una settimana di attività mattutine in dormitorio senza condividere una lingua, si è costretti a condividere la vita. Perciò via, tutte le mattine, a disegnare, a ridere, a parlare lingue mai sentite e a crearne di nuove, a improvvisare discorsi fatti di fischi, a provare a usare Google Translator, ma solo per ridere delle traduzioni bizzarre del computer; eccoci a progettare di volare via e a fare a gara a chi costruisce l’aeroplano che vola più in alto, a colorare le mani e a lasciare impronte ovunque (anche su un muro!), a soffiare bolle di sapone magiche che prendono il volo leggere e che non scoppiano mai; a colorarci i visi e a trasformarci in mostri mai visti, in bellissime principesse e in farfalle coloratissime; e poi di nuovo a diventare elegantissimi principi vestendo gonne di carta crespa e bellissimi frac di sacchi neri improvvisando gare di canto. E ancora, anche il pomeriggio, nell’ospedale regionale, in oncologia, in casa di accoglienza, in neurochirurgia, a entrare in reparto su moto velocissime e a improvvisarci attori: ecco Puà e Meringa che devono eseguire il triplo salto mortale, ed ecco Sara che deve acchiappare una zanzara, ed ecco che io, Tiramisù, mi trovo a tirare dei gran schiaffoni a Giancarlo perché è sempre distratto, fino a quando me ne tira uno lui e mi stende; ecco che Julia sorride perché scopre di essere magica quando moltiplica palline rosse, ecco che Boba e la mamma di Boba imparano in Italiano “Ti amo” “grazie”, “arrivederci” e ci fanno ridere tanto; eccoci al casinò con la Slot Machine, eccoci al parco col cane al guinzaglio, eccoci nella savana con l’elefante, eccoci a cantare nella vecchia fattoria…
Tutto in una stanza di ospedale.
Non è stato facile nemmeno dire se abbiamo vinto o fallito. Le chiacchierate serali in ostello, i dubbi, le perplessità, anche le difficoltà, ci hanno fatto molto riflettere sul nostro metterci in gioco. Ci chiediamo se funziona quello che facciamo, ci chiediamo in quale misura sia efficace il nostro stare tutti i giorni con i nostri amici più piccoli. Ci chiediamo se sia giusto chiederci ciò. Ci chiediamo se alla fine della mattinata Nikita ha riso, ci chiediamo come stanno i ragazzi che da qualche giorni hanno cambiato reparto. Ci chiediamo come stiamo noi. E proprio mentre noi ci chiediamo tutto questo, mentre ci confessiamo quanto sia difficile fare il clown, la risposta arriva, poco prima del 22 agosto. E viene da Julia, 5 anni, che al momento dei saluti, in casa d’accoglienza, ci chiede: “Potete stare a vivere per sempre con noi?”
Il 22 agosto, naso al collo, tutti i clown tornano a casa. Non so di preciso cosa e quanto ho trovato, ma sicuramente so che è tanto, e che la valigia del ritorno è decisamente più piena e più pesante di quella dell’andata. So che Giancarlo ha trovato Jancake, il suo nome clown; so che anche se la gente in metropolitana sembra sempre arrabbiata, in realtà sorride se vede dei nasi rossi, e so che un palloncino non lo rifiuta mai; so che Yana, un giorno, ci ha detto che “La bandiera dell’Ucraina è azzurra come il cielo, e gialla come il grano” e so anche che l’ultima mattina in ostello, mentre facevano le valigie, Tiramisù, Puà, Meringa, Jancake e Sara cantavano a squarciagola “…MA IL CIELO è SEMPRE Più BLU!”
Soprattutto sapete cosa so? So che dall’aereo che da Kiev ci riportava a Milano, gli stessi Tiramisù, Puà, Meringa, Jancake e Sara hanno visto un arcobaleno che dall’alto sembrava rotondo. Sì, rotondo: proprio come i nostri nasi.
Un Grazie di cuore a tutti i miei compagni di viaggio.
Spaaasibaaaa!
Tiramisù