Dal New England all’Ontario: oceano, foliage, lupi e alci

Viaggio d’autunno tra i colori accesi di Vermont e New Hampshire, i porti e i fari lungo la costa del Maine, il grande fiume San Lorenzo, i lupi e l’alce dell’Algonquin Park
Scritto da: balzax
dal new england all’ontario: oceano, foliage, lupi e alci
Partenza il: 05/10/2017
Ritorno il: 17/10/2017
Viaggiatori: 1
Spesa: 3000 €
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Dal New England all’Ontario: preparazione del viaggio

Fine settembre: in mezzo ai soliti annunci commerciali che intasano la mail spicca un’offerta di Air Canada: A/R Malpensa-Toronto a poco più di 400 €. Qualche momento di riflessione, riorganizzazione dei programmi di lavoro, poi la decisione: si parte. E’ l’occasione buona per realizzare un viaggio pensato da tempo: visitare le regioni famose per il “foliage”, la mutazione cromatica a cui vanno incontro in autunno le foreste di alcune regioni dell’Est americano e canadese, prima di perdere le foglie per il freddo invernale.

In un paio di giorni il piano è fatto: un loop che passando per lo stato di New York raggiunge il Vermont e le zone del foliage, poi si scende verso la costa del Maine fino all’Acadia Park e da lì si risale in Canada verso il Québec e l’Ontario, passando attraverso il misterioso Algonquin Park prima di ritornare a Toronto per il volo di ritorno. Programma impegnativo, che potrebbe risentire del meteo e delle condizioni delle strade. Vedremo.

Periodo del viaggio: prima quindicina di ottobre.

Scelta del volo: destinazione Toronto. Costo 413 € A/R. Valutata anche l’alternativa di volare su Boston, che però costava circa 200 € in più.

Auto a noleggio: 32 € al giorno, con Budget. Una Nissan Altima spaziosa e affidabile. I kilometri da fare sono molti, meglio stare comodi.

Dotazione cartine: New England, Québec e Ontario, nell’ipotesi che il navigatore di Google Maps abbia qualche problema di funzionamento nei luoghi più remoti.

Pernottamenti: quasi tutti pianificati dall’Italia via web, con l’opzione di annullamento senza penali entro 48 h in caso di imprevisti. A Rockport e Québec cercati al momento, sempre via web. Scelti hotel e B&B con costo variabile tra 28 e 105 € per notte (media sui 70 €).

Tappe previste: Niagara Falls – Burlington – due/tre nel Vermont – due/tre nel Maine (Portland, Camden, Bar Harbor, Lubec) – Québec – Madawaska o Muskoka nell’Ontario.

Km previsti: circa 3000.

Niagara Falls by night

Arrivo a Toronto nel primo pomeriggio. Ritiro macchina e trasferimento a Niagara Falls, dove ho previsto il primo pernottamento. Il traffico all’uscita da Toronto è caotico, peggio che fare la tangenziale Est di Milano alle 6 di sera. Alla fine l’ingorgo si sblocca e proseguendo lungo la QEW (Queen Elizabeth Way) che collega Toronto con Buffalo, si raggiunge abbastanza agevolmente Niagara Falls.

La Niagara Parkway, che segue il corso del Niagara River per 56 km, è sempre stupenda. Si passa tra vigneti con le foglie che stanno già ingiallendo (un anticipo dei colori che si incontreranno nel prosieguo del viaggio), venditori di frutta e dolci homemade, fattorie e wineyards, piccoli college tra i campi, gatti fuori dalla porta in attesa del padrone, ciclisti per la strada e canoisti lungo il fiume. Lungo il percorso i punti di attrazione sono molti: si passa sotto il Rainbow Bridge che collega USA e Canada, poi si raggiungono il Butterfly Conservatory, il Floral Clock, orologio floreale con le margherite appena sbiadite per l’autunno, le Whirlpool Rapids su cui fluttua appesa a un cavo la funivia che sorvola le rapide (Whirlpool Aerocar), il parco Niagara Glen. Alla fine della parkway c’è Niagara-on-the-Lake, graziosa cittadina affacciata sul lago Ontario dove le surfinie nei vasi appesi per le strade miracolosamente mantengono ancora i loro colori vivaci.

Al ritorno a Niagara Falls la Skylon Tower è aperta (chiude alle 22). Dall’osservatorio a 150 metri d’altezza una leggera pioggerellina non impedisce di ammirare le cascate in versione notturna: potenti fasci di luce colorano di azzurro e verde la Horseshoe Falls, la cascata canadese a ferro di cavallo più grande e famosa, mentre gli statunitensi puntano sul rosso per la Bridal Veil Falls in territorio USA.

Burlington e dintorni

Il confine con gli Stati Uniti è a pochi km da Niagara Falls. Formalità ridotte al minimo, non chiedono nemmeno di aprire il bagagliaio. Solo un quarto d’ora di attesa a causa dell’immancabile pullman di turisti cinesi da regolarizzare. Si entra nello stato di New York.

Il viaggio per raggiungere Burlington, che è la prima tappa prevista in Vermont, è lungo ma non stancante. Bello in particolare l’ultimo tratto che si svolge lungo la US 11, a ridosso del confine tra lo stato di New York e il Canada, per poi entrare in Vermont appena superato il grande Lake Champlain. Lungo la strada si vedono distese coltivate a grano e tante fattorie variopinte con i caratteristici granai dal tetto spiovente (“barns”). Bambole di pezza, streghe di Halloween sulle scope, pupazzi di stoffa sui trattori e le grandi zucche dalla faccia sorridente illuminate da dentro fanno capolino un po’ dovunque, anche se manca ancora parecchio a Halloween. Qua e là, soprattutto lungo le rive dei fiumi, compaiono le prime macchie bruno-arancio degli aceri in foliage, fenomeno per il quale il New England è famoso. Le soste per le foto, come era prevedibile, sono tantissime, così arrivo a Burlington un po’ più tardi del previsto.

Burlington è la città più grande del Vermont: 60 mila abitanti, più i circa 12mila studenti dell’università che è una delle più antiche d’America. Tutto il New England è disseminato di college famosi: Yale, Syracuse, Providence, Farmington, Massachusetts Institute of Technology, Springfield, la famosa e aristocratica università di Harvard. Il centro di Burlington brulica di studenti che si affollano lungo Church Street riempiendo tutti i locali, al punto che qui alla sera è praticamente impossibile trovare un posto libero in un ristorante (salvo i McDonalds che però mi sono ripromesso di evitare per quanto sarà possibile). Affollatissime anche la gelateria di Ben&Jerry e la pasticceria di Lake Champlain Chocolates. Ripiego quindi sullo Shanky restaurant, con veranda sul lago e le nere sagome dei monti Adirondack sullo sfondo. Malgrado la loro specialità sia il seafood, non mi negano un assortimento dei famosi formaggi del Vermont con una birra locale, proveniente dalla vicina Magic Hat Brewery.

Il giorno dopo, sabato mattina, doverosa visita al campus dell’università, praticamente vuota per il fine settimana quando gli studenti fanno ritorno in famiglia. Scendo a piedi verso il Waterfront, ma un trambusto proviene dalla vicina Market Place. Come ogni fine settimana, gli agricoltori, gli allevatori o anche semplici casalinghe della zona portano la loro mercanzia nella piazza della chiesa, trasformata per l’occasione in piazza del mercato. Church Street Market Place diventa una cornucopia di ortaggi, frutta, formaggi (cheddar a profusione), sciroppo d’acero, merletti, statue di legno intagliato, robivecchi che espongono i loro gingilli, barattoli di confettura, cesti di funghi e castagne. Tra la mercanzia si aggirano furtivi gli scoiattoli speranzosi di riuscire a arraffare qualcosa. Il top del mercato sono i gazebo dove puoi fare colazione con i dolci fatti in casa: compro due homemade tartes, una al lampone e una ai mirtilli, che sono una delizia. Impossibile resistere a mangiarsele lì sul posto, respingendo gli attacchi di uno scoiattolo più intraprendente degli altri. Sono talmente buone che decido di prenderne altre quattro: serviranno per la colazione del giorno dopo. Forse, se ci arrivano.

Tappe all’uscita da Burlington: Magic Hat Brewery, a 5 miglia dal centro in direzione sud. Dall’esterno sembra una di quelle fabbriche abbandonate da archeologia industriale, con silos arrugginiti e camini semidiroccati. Ma quando entri scopri le caldaie per la bollitura del mosto, i tini per la fermentazione, la giostra di imbottigliamento. Nella sala di ristoro della birreria propongono accoppiamenti di vari tipi di birre con i migliori formaggi locali: eccezionali il Cabot Clothbound stagionato e il Moses Sleeper, crosta fiorita di tre settimane proveniente dalle fattorie di Greensboro, a una trentina di km di distanza.

Perché “Magic Hat”, cioè “il cappello magico”? Provate a guardare sotto i tappi delle bottiglie: ci sono delle simpatiche frasi magiche tipo quelle sulla carta dei baci Perugina: “hocus pocus non perdere il tuo focus” o “fai la tua mossa per cercare la traccia da seguire”. In verità le frasi sono abbastanza banali: la vera magia sta nella qualità della birra che è notevole.

Di microbirrifici come questo ce ne sono un sacco nel Vermont, e anche nel Maine. Vale la pena di visitarne qualcuno, ma soprattutto di fare la scorta di bottiglie, perché ho letto che molti ristoranti sulla costa sono alcohol-free e quindi se uno vuole accompagnare il pasto con la birra se la deve portare. Altrimenti, coca cola e soft drinks.

Poco più avanti c’è lo Shelburne Museum. Non sono un fanatico dei musei, ma questo è davvero speciale. Più che un museo, è un’esposizione di quadri storici del Vermont che la famiglia Havemeyer Webb ha raccolto con pazienza certosina e precisione svizzera. Mostra un passato di vita rurale e l’evoluzione della colonizzazione da parte degli immigrati europei, francesi e irlandesi soprattutto. Il must del museo è il Ticonderoga, un piroscafo di 900 tonnellate con la caratteristica grande ruota a pale, che fece servizio sul Lake Champlain fino al 1923. Visitate l’interno della nave: gli stucchi e i velluti dei corridoi e del salone testimoniano uno splendore antico. Come siano riusciti, nell’inverno del 1955, a portarlo qui superando i 3 km di avvallamenti che lo separano dal Lake Champlain, è una storia affascinante. Il piano di trasbordo da solo richiese mesi di studio. Fecero scivolare il piroscafo in un bacino laterale appositamente scavato, poi da lì costruirono una ferrovia speciale, con un treno rinforzato speciale capace di trasportare la nave.

Eccezionale anche la riproduzione dell’antica stazione di Shelburne della Central Vermont Railway, epoca fine ‘900. Ci sono due locomotive a vapore perfettamente conservate e un vagone di prima classe con spaccati di vita di viaggio. L’ufficio del capostazione è di un realismo incredibile, con i fischietti, il telegrafo, la macchina da scrivere a tasti, gli inchiostri, i sacchi della posta, le tabelle con gli orari scritti a mano, gli astucci con i biglietti. Pare di vederlo, chinato sulla fioca luce di una lanterna a olio, mentre studia i tempi e gli incroci dei treni preparandosi all’arrivo di un convoglio.

Altre meraviglie assortite di questo museo: una antica farmacia piena di vasi di erbe medicinali, una fucina con tanto di fabbro in carne e ossa che forgia ferri di cavallo, un faro portato qui da chissà dove, una segheria con macchinari a vapore, una collezione di preziose bambole di pezza, una giostra di quelle con i cavalli a dondolo che ormai non si vedono più, e tanto altro ancora. Non perdetevelo.

Attraverso Vermont, New Hampshire e Maine lungo le strade del foliage

Continuando lungo la US 7 che scende verso sud si incrociano le bellissime scenic byways che percorrono le vallate di queste contee del New England. Sono almeno una decina quelle che si diramano tra Vermont, New Hampshire e Maine. Sceglietene una tra le tante che deviano a est verso le Green Mountains: sono tutte uno spettacolo. Io ho fatto la Vermont 125 che collega Middlebury con Hancock e consente poi di risalire verso Stowe lungo la VT 100. A Waterbury, poco prima di Stowe, le code lungo la strada segnalano che siamo vicino a un punto degno di nota. Il motivo di tanto interesse è… una fabbrica di gelati. Gli americani vanno pazzi per i gelati della factory di Ben&Jerry. Pare che sia l’attrazione turistica n.1 del Vermont. I pulmini verdi e celesti di Ben&Jerry si trovano dovunque da queste parti. La coda per prendere un gelato con gli strani gusti prodotti qui è lunga 100 metri. C’è persino il gelato all’astice (che a me pare praticamente insapore), assieme ad altri gusti opinabili come “la pasta della sera” o “caramello salato biondo”. Lasciamo agli americani la loro ice cream mania: penso che molti dei nostri gelatai ruspanti qui potrebbero fare da maestri.

La cosa più simpatica del luogo è sicuramente il “cimitero dei gusti estinti”. Ebbene sì, c’è un vero e proprio cimitero con tanto di lapidi dove “riposano” i gusti che la fabbrica non produce più, con la data di creazione e la data di ritiro dal mercato. Divertenti gli epitaffi. Esempi: “antica zolletta di prugna che sbattevi nelle nostre bocche ma non sei mai riuscita a soddisfarci” oppure “mirtillo selvatico del Maine, sei stato un soffio evanescente e ti abbiamo trasformato in muffin”.

Percorrere le strade di queste contee è un piacere assoluto. Si attraversano paesini bucolici con bianche chiese e annessi lunghi campanili slanciati, e deliziose villette di legno a colori pastello una più bella dell’altra. Tutte con la veranda, tre gradini all’ingresso, la cassetta per la posta sul ciglio della strada, l’immancabile canestro da basket in giardino e le zucche esposte sul prato. Ma mai l’ombra di un cancello, mai una recinzione, al massimo uno steccato che delimita la proprietà di una famiglia da quella dei vicini. Alcuni paesi che degni di nota che sicuramente troveranno il dovuto spazio sulla X-card della vostra macchina fotografica: Stowe, piena di gente intenta a far shopping, Rutland, uno dei pochi con la chiesetta dipinta di rosso, Montpelier, un paesotto che è la capitale del Vermont, Barre, Peacham. La barn rossa di Peacham, con accanto la chiesina col campanile bianco aguzzo e le macchie colorate degli aceri che fiammeggiano, è uno dei punti più fotografati d’America.

Proseguendo verso est si entra nel New Hampshire. Qui la regina delle strade del foliage è la US 112, la mitica Kancamagus Scenic Byway, o più semplicemente “The Kanc”. Da Lincoln a Albany, la strada attraversa la White Mountain National Forest, tra paesaggi multicolori, boschi chiazzati di rosso e di giallo, i caratteristici ponti coperti, mulini a pale, decine e decine di sentieri che si aprono verso ruscelli e laghetti. Calcolate almeno 5-6 soste.

Lascio “the Kanc” all’altezza di Albany per puntare verso nord raggiungendo la US 2. All’altezza di Gilead si entra nella foresta di Shelburne dove predominano le betulle dalla bianchissima corteccia, che danno il loro contributo di toni chiari ai colori dell’autunno.

Pernottamento a Rumford nella No View Farm: un nome un programma perché il navigatore di Google Maps non riesce a localizzarla e solo con l’aiuto della farmacista del paese riuscirò a raggiungerla, quando è già buio pesto. Davvero un luogo no view (invisibile). Per la prima volta qui sperimento la camera budget, prenotata via web. Costo solo 28 dollari (23 € circa): in pratica ti danno un posto per dormire, ma i servizi, la doccia e tutto il resto sono in comune con la famiglia proprietaria e con gli altri ospiti. La sorpresa positiva è che nel retro della fattoria c’è una bakery (panificio-pasticceria) gestita dalla signora Kate padrona di casa. Per sdebitarsi del disagio patito per raggiungerli, mi offre una porzione di mixed berries pie fatta in casa: giuro che le avrei portato via tutta la torta!

Il foliage

Due parole sul fenomeno del foliage.

In autunno alcune specie di piante decidue, cioè quelle soggette alla caduta delle foglie, vanno incontro a un cambiamento di colore per il degrado della clorofilla dovuto all’abbassamento della temperatura e alla riduzione delle ore di luce. La clorofilla, che è responsabile del colore verde, viene progressivamente sostituita da altri pigmenti che hanno una componente cromatica compresa tra il giallo e il rosso, come le antocianine, i carotenoidi e alcune sostanze fenoliche. In generale, il fenomeno è favorito dal soleggiamento e sfavorito dalla pioggia e dall’umidità, che possono accelerare il processo di caduta delle foglie durante il periodo del cambio di colore.

Nelle regioni del nord degli Stati Uniti e nelle foreste del Canada l’osservazione di questo fenomeno è diventata una vera e propria mania, che coinvolge botanici, fotografi, appassionati di trekking, semplici curiosi. I principali attori di questa mutazione cromatica sono varie specie di acero (maple – vira al rosso), il larice (tamarack – vira al giallo/arancio), la betulla (birch – vira al giallo), il frassino (ashtree – vira all’arancio-bruno), il pioppo (poplar – vira al giallo).

Negli USA e in Canada quello che colpisce sono l’intensità e l’estensione del fenomeno. Distese sterminate di pianure e vallate si riempiono di macchie colorate a perdita d’occhio. Ma anche da noi è possibile ammirare gli splendidi colori dell’autunno: per esempio nelle valli prealpine, nelle Langhe, nelle foreste umbre e casentinesi, nel parco della Sila in Calabria. In Italia contribuiscono al cromatismo autunnale anche specie come il platano, il castagno e il nocciolo. Ma qual è la specie vegetale più soggetta ad accendersi di calde tonalità autunnali gialle e rosse da noi? E’ la vite, cosa che pochi immaginano.

Maine 17 e US 201 “Old Canada Road”

Alcune tra le più belle strade del foliage non sono nemmeno citate sulle guide turistiche. Semplicemente eccezionali sono i 50 km circa della Maine 17, che da Mexico (si chiama proprio così) conducono in direzione nord verso Oquossoc e il Rangeley Lakes State Park.

Pioggia e nuvole basse quando faccio questa strada. I colori dell’autunno sono offuscati dall’umidità e da una fastidiosa nebbiolina che sale dal terreno, ma la pioggia non impedisce di cogliere gli stupendi colori delle foreste e delle valli che si susseguono lungo la strada. Sono almeno tre i punti da non perdere: il Coos Canyon all’altezza di Byron e i due overlook collinari che si incontrano poco prima di arrivare all’abitato di Rangeley.

Mano a mano che salgo verso nord qualche sprazzo di luce si fa strada tra le nuvole. Grazie al tempo migliore, la vista spazia su valli e colline punteggiate di giallo, rosa e rosso, inframmezzate dall’azzurro dei laghi e dal verde degli abeti, che per contrasto appaiono persino più brillanti di quello che sono in realtà. In luoghi come questo, molto semplicemente ti siedi su una delle panche dell’overlook e rimani lì a guardare estasiato, perdendo la cognizione del tempo. Poi arriva il solito pullman di cinesi (anche qui!) e allora capisci che è meglio fare un filmino da portarsi come ricordo prima che gli intrusi invadano il luogo per fare le fotoricordo e si infilino anche nelle tue immagini. Arrivato a Oquossoc noto che molti shops lungo la strada hanno già esposto le motoslitte anche se siamo solo all’inizio di ottobre, segno che la neve qui non tarderà molto ad arrivare.

La Maine 17 è magica per il foliage e malgrado la giornata non proprio favorevole la metto al top della mia classifica personale delle strade del foliage.

La magnifica US 201 “Old Canada Road” era la strada principale che dalla costa atlantica saliva verso il Canada prima che venissero costruite le autostrade Interstate 91 e 95. Dopo la diramazione dalla Interstate 95 i centri abitati che si incontrano si contano sulle dita di una mano. In compenso, il percorso lambisce una quantità infinita di laghi e laghetti che costituiscono il bacino del Kennebec River. Anche lungo questa strada ci sono dei viewpoints sopraelevati che offrono paesaggi mozzafiato. Macchie di rosso, giallo, rosa e verde, più il bianco delle betulle e l’azzurro dei laghi e del cielo: qui non siamo solo davanti a un panorama spettacolare, questa è proprio la tavolozza di un pittore.

Fate attenzione perché a volte questi punti panoramici sono segnalati solo come semplici piazzole di ristoro, senza il cartello “scenic overlook ahead”. La bellezza dei luoghi prosegue in territorio canadese, dove la strada viene rinominata in QC 173. C’è l’alternativa autostradale, l’Autoroute 73 che se possibile sarebbe da evitare.

Consiglio vivamente di scegliere questa strada se intendete trasferirvi dalla costa atlantica al Québec in Canada. Ci metterete magari un po’ più di tempo, ma i vostri occhi (e la X-card) si riempiranno di colori e panorami eccezionali, specialmente in autunno.

La costa Atlantica del Maine

E’ tempo di scendere verso la costa. Prima tappa a Portland, uno dei centri più importanti del New England costiero. Lascio la macchina in un parcheggio a qualche centinaio di metri dal mare. Passeggiando tra gli edifici in mattoni rossi, tra viuzze punteggiate di caffè, negozi e bar si arriva all’Old Port. Prima di tutto visita al mercato del pesce (attenzione: chiude alle 4), quindi doverosa sosta per il primo lobster di questo viaggio da Portland Lobster & Co, proprio sul lungomare, con accompagnamento di una corposa Allagash brown ale di produzione locale. Allagash è un altro delle decine di microbirrifici di questa regione che si possono visitare. Le loro birre sono prodotte secondo un procedimento molto simile a quello dei trappisti belgi e generalmente non sono filtrate.

Non c’è molta coda al Lobster Pound, si può ordinare con calma e sedersi a uno dei tavolini all’aperto con vista sul molo, approfittando della temperatura sopra i venti gradi. C’è anche un arcobaleno all’orizzonte, segno che deve esserci stato un temporale da poco. Lobster, come noto, sarebbe in realtà l’aragosta e non l’astice, ma gli americani identificano con questo termine entrambi i crostacei. Prima di sederti ti danno un simpatico “lobsterino” di plastica rossa, che si accende e trilla quando il tuo piatto è pronto, avvertendoti che devi andare allo sportello cucina a ritirarlo. C’è il tempo di fare un giro per il porto e quindi di riprendere la macchina per andare a vedere il faro Portland Head Lighthouse a Cape Elizabeth. Ci vogliono solo 10 minuti dal centro. Vale davvero la pena di fare una deviazione per ammirare questo scenografico faro posto su uno sperone roccioso con le onde che si frangono sulla scogliera, specialmente se la giornata è chiara e senza nebbia.

Serata in uno dei pub del porto, con un complessino che suona musica jazz.

Nel programma del giorno dopo ho inserito la visita a Boothbay e Pemaquid Point, ma il tempo è cambiato. Nuvole basse, pioggia battente, una densa nebbia che avvolge ogni immagine. Provo a raggiungere la penisola di Pemaquid, ma il faro, che sarebbe uno dei più belli tra i 67 fari della costa del Maine, rimane un’ombra indistinta nella nebbia. La pioggia continua per tutta la giornata, quindi anticipo il trasferimento che ho fissato a Rockport. Nello spostamento sto ben attento a tenermi alla larga da Cabot Cove, che come noto è la cittadina dove opera Jessica Fletcher “la signora in giallo”, capace di attrarre assassini e omicidi come la carta moschicida. In realtà il luogo non esiste, è solo una finzione cinematografica, ma una toccatina preventiva si impone. Non si sa mai.

Lungo la strada mi fermo per una visita alla “State of Maine Cheese Company”, uno dei caseifici dove si produce il famoso cheddar del New England. Noto che il formaggio è bianco, mentre lo ricordavo di un bel colore arancione. La casara Maureen mi spiega che a est del Mississippi il cheddar è bianco, mentre quello colorato, più noto, lo fanno a ovest aggiungendoci dei pigmenti. Un’altra sezione dello stand è dedicata ai famosi mirtilli del Maine, i blueberries venduti in cestino o in vasetto, con la relativa ottima marmellata.

Camden

Ancora nuvole in cielo oggi, ma almeno non piove. Camden, a pochi kilometri da Rockport, è un paesino grazioso con un porto da cartolina in cui sono ormeggiati una decina di bellissimi windjammer, i famosi velieri a più alberi costruiti nei cantieri del paese e di altri centri vicini.

Prima della crociera nella baia, che è in programma alle 11, c’è il tempo per salire sulla collina del Camden State Hill Park, da dove si domina la Penobscot Bay punteggiata di 300 e più isole. Sulla destra c’è il centro abitato, con due campanili bianchi alti e aguzzi che spuntano dal verde degli abeti lungo i viali. Qua e là macchie gialle e rosse di aceri in foliage, fenomeno intenso anche qui.

Al molo è pronto il Surprise, uno schooner di 12 metri a due alberi con la carena verde scuro. Lo skipper ci avverte che il meteo non promette niente di buono, quindi non è sicuro di potere issare le vele una volta che saremo in mare. Partiamo, ma non appena siamo fuori dal porto comincia a piovere a dirotto. La crociera, prevista di due ore, si riduce alla circumnavigazione dell’isoletta con il faro di Penobscot Lighthouse e un affrettato rientro in porto. Peccato. Almeno facciamoci una fotoricordo sul Surprise da conservare nei ricordi.

Si prospetta un’altra giornata di pioggia. Piano B: rifugiarsi nella Sea Dog Brewery & Company per un lobster roll con le patatine fritte, il famoso panino con l’astice che viene servito in tutti i pub e i ristoranti (lobster pound) lungo la costa da Boston al New Brunswick. Tra l’altro l’opzione di prendere il lobster roll è più comoda e conveniente che ordinare l’astice intero. Costa meno, ti servono solo la carne dell’astice già estratta dalla coda e dalle chele, non è necessario fare manovre complicate con le pinze per spaccare la corazza e non ci si impiastra nel tentativo di succhiare quello che rimane dentro la carcassa del crostaceo.

Bar Harbor, la pesca all’astice e l’Acadia National Park

Al risveglio, al Ledges Bay motel di Rockport, entra luce dalla tendina: finalmente un po’ di sole dopo tanta pioggia e nebbia, e due giorni di viaggio quasi buttati via per causa del maltempo.

Proseguo il viaggio verso est lungo la costa del Maine. Prima tappa la penisola di Deer, fino a Stonington che sta proprio sulla punta. Questo borgo di quattro case è il primo porto peschiero del Maine. A occhio e croce, credo che per ogni casa ci saranno cinque o sei pescherecci.

Ritorno sulla US 1 e proseguo verso est, per poi deviare verso Mount Desert Island e l’Acadia National Park. La giornata di sole ha invogliato un sacco di gente a venire qui per un picnic o per passare un pomeriggio sulle spiagge tra le rocce, così il traffico è abbastanza caotico. Le 27 miglia del loop del parco fanno parte a buon diritto delle scenic byways del Maine. Il percorso è decisamente scenografico, con viste stupende sulle Cranberry Islands e sulla cittadina di Bar Harbor. Una deviazione porta alla sommità della Cadillac Mountain, da cui la vista spazia a 360 °C su un lungo tratto di costa del Maine. Dopo avere macinato tanti km finalmente posso spaparanzarmi su un prato e prendere un po’ di sole.

Rientro a Bar Harbor nel pomeriggio. Alle 3 c’è in programma l’escursione per la pesca all’astice con Lulu Lobster Boat. Lulu è una tipica barca di pescatori modificata in modo da ospitare i turisti. Lasciato il porto di Bar Harbor, ci dirigiamo verso il faro di Egg Island (l’isola dell’uovo). Il sole deve piacere anche alle foche: un gruppo di otarie occupa gli scogli affioranti e rimangono tutte lì sdraiate a crogiolarsi. Curiosamente, mentre passiamo davanti ci seguono con lo sguardo, controllando dove va la barca. Da uno scoglio si leva in volo un’aquila testabianca, mentre cormorani neri e collobianco scorrazzano un po’ dappertutto.

La guida sulla barca ci introduce alla tecnica di pesca all’astice. Mostra alcune gabbie che vengono pasturate con pezzi di pesce andato a male. Pare che gli astici siano particolarmente attratti dall’odore del pesce rancido. Le gabbie hanno una serie di camere di non ritorno, un po’ come le nasse, o le cuette come le chiamiamo qui in Lombardia. Una volta che l’astice, attratto dall’odore del pesce, entra nelle camere, non può più tornare indietro. Nell’ultima camera viene tenuta aperta una finestrella le cui misure sono tarate sulle dimensioni minime consentite per la cattura. Questo permette agli esemplari più piccoli di uscire indenni dalla gabbia. Le gabbie vengono attaccate al caratteristico galleggiante di segnalazione variopinto che si vede in molte fotografie e calate in acqua. Di galleggianti tutto attorno ce ne sono centinaia e centinaia.

Dopo una mezz’oretta di giro in barca nella baia ritorniamo a recuperare le gabbie. E’ impressionante come in così poco tempo le gabbie si siano già popolate di astici: due nella prima e ben 5 nella seconda. Chissà quanti ce ne devono essere in queste acque. Gli esemplari pescati vengono utilizzati per una dettagliatissima spiegazione sulla vita del crostaceo, le abitudini alimentari, il comportamento sociale (scopriamo che sono aggressivi e cannibali: uno degli astici pescati manca di una chela, che secondo la guida è stata strappata da un suo simile), come riconoscere se è maschio o femmina, come avviene l’accoppiamento. Alla fine vengono tutti rigettati in mare per la gioia dei bambini presenti sulla barca, che si sono divertiti un sacco.

Cena da Stewman’s Lobster Pound proprio sul molo di Bar Harbor. Lobster roll con verdure e per finire uno strepitoso blueberry pie fatto in casa.

Il meteo del giorno dopo prevede il ritorno della pioggia, per cui abbandono l’idea di proseguire lungo la costa fino a Quoddy Lighthouse, l’estrema punta orientale degli USA al confine con il New Brunswick canadese. Domani si va direttamente in Canada puntando verso Québec.

Bienvenue au Québec!

Il percorso dalla costa dell’Atlantico verso il Québec si snoda lungo la US 201 Old Canada road, che dopo il confine prosegue in Canada come statale QC 173. Un’altra strada meravigliosa per ammirare il foliage, poco o nulla citata dalle guide. Noto che molti aceri qui sono nelle fasi brown e bare, cioè nudi. Hanno già perso le foglie alla sommità, anche se siamo solo a metà ottobre. Più si va a nord, più il periodo del foliage è anticipato. Il tratto di strada che attraversa il bacino del Kennebec River è magnifico. Fermo l’auto in un paio di piazzole a caso e mi addentro un po’ nei boschi, scoprendo cascatelle nascoste e panorami sulle vallate multicolori. La speranza in realtà era quella di incontrare l’alce…. Occhi aperti ma non se ne vedono, pazienza.

Teoricamente per raggiungere il Québec era possibile fare la Interstate, cioè l’autostrada, con risparmio di tempo ma perdendo l’opportunità di ammirare paesaggi splendidi. Formalità di confine ancora ridotte al minimo ed eccoci davanti alla bandiera azzurra del Québec su cui campeggia il giglio bianco, emblema araldico della regalità francese dall’epoca dei Capetingi che nostalgicamente i québecois mantengono nei loro stendardi.

Bienvenue au Québec! Per qualche giorno si cambia lingua.

Provenendo da sud, si raggiunge Québec col ferry di Lévis, sull’altra sponda del San Lorenzo. In questo modo, oltre a evitare il caotico traffico di ingresso nella città, comune a tutti i grandi centri canadesi, si ha la migliore visuale sulla città bassa e sull’imponente mole del Chateau Frontenac che domina la basse ville. Il castello è in realtà il sontuoso hotel Fairmont.

Trovato un parcheggio, faccio un giro per il centro storico vagabondando senza una meta precisa. Il nome Québec non è di origine francese, come si potrebbe pensare. In realtà deriva dalla parola Algonquin kébec, cioè “dove il fiume si restringe”, riferito chiaramente al San Lorenzo. Ma le insegne, i colori, l’atmosfera sono tali e quali a un quartiere di Parigi. Café de Paris, bistrò, l’hotel de ville (il Municipio), la basilica copia in piccolo di Notre Dame, Rue Saint Louis che da sola vale la visita. Rue du Trésor è affollata di artisti che espongono i loro acquarelli, ci sono musicisti di strada un po’ dovunque, tra cui riconosco il bravissimo arpista che avevo incontrato durante un viaggio precedente. La Terrasse Dufferin che sormonta il grande fiume San Lorenzo e Rue du Petit Champlain come sempre sono affollate di turisti. C’è la coda per prendere la funiculaire du vieux Québec che collega basse ville e haute ville. Noto che quelli in attesa hanno tutti gli occhi a mandorla. Io faccio la scalinata, che diamine.

In Place de l’Hotel de Ville e nella Place Royale gruppi di studentesse dell’istituto artistico fanno schizzi a matita di scorci della città. Il Columbus day è imminente: in Place de l’Hotel de Ville c’è una caravella con la statua in cartapesta di Cristoforo Colombo …solo che l’hanno riempita di zucche. Altre due enormi zucche arancio marcano la scalinata di ingresso del Municipio: per le vie della città c’è una curiosa confusione di immagini tra Columbus day, zucche di Halloween, manifesti elettorali per l’elezione del sindaco e proclami di indipendenza del Québec. La costante invece sono i cinesi, scaricati a migliaia da due enormi navi da crociera ormeggiate al porto, che si intrufolano senza ritegno in tutte le fotografie che tento di scattare.

La parete del palazzo in fondo a Parc de la Cetière, all’angolo tra Côte de la Montagne è Rue Notre Dame, è stata interamente dipinta col magnifico Fresque des Québecois, un colossale murale trompe-l’oeil di 420 m2 realizzato dagli artisti di Cité Création. In una ventina di scene l’affresco racconta 4 secoli di storia, dall’arrivo dei francesi nel Québec fino alla guerra con gli inglesi e alla civilizzazione del territorio. Un altro bellissimo affresco murale è più in basso, su un edificio del Quai Chouinard lungo il San Lorenzo.

Qui si respira aria di Europa. Cena da Aux Anciens Canadiens in fondo a Rue Saint Louis. Escargot come entrée e a seguire l’eccezionale tris di carni per cui questo ristorante va famoso: cervo, bisonte e caribù. Conclusione con la tarte d’érable (pasticcio d’acero). Conto alto di 79 CAD (circa 55 €), ma per questo menu ne vale la pena.

Pernottamento al Monastère des Augustines, prenotato la sera prima su internet. Le stanze sono proprio alcune celle delle monache. In effetti sono alquanto spartane: 4 metri per 4 o forse neanche, servizi in corridoio, niente TV. Unica concessione alla modernità: il wi-fi. Un’ala del monastero è riservata alle monache, con ovvio divieto d’accesso per gli ospiti dell’hotel. Si può visitare il refettorio, il coro, la corte per la meditazione, l’archivio delle Augustines che assistevano gli immigrati provenienti dall’Europa, persino un museo. Una scelta suggestiva ma non proprio la più comoda, considerando anche il costo dell’hotel (150 CAD, il più alto di tutto il viaggio).

Flashback: il cambio della guardia nella Citadelle

Settembre 2011. Nella notte l’uragano Irene si è appena abbattuto su Québec e ha ingrossato il San Lorenzo colorando le acque del grande fiume di giallo e ocra con fango e detriti. Ma al mattino presto è già uscito il sole: in hotel mi confermano che la cerimonia del cambio della guardia verrà eseguita. Di corsa quindi verso la piazza d’armi della Citadelle nella città fortificata. Alle 10 i soldati del ventiduesimo reggimento Canada Royal “Van Doos” (storpiatura di vingt-deux, 22), in divisa da giubbe rosse e col caratteristico colbacco nero in testa, entrano nella piazza e cominciano a fare strane evoluzioni di cui non si capisce bene il significato. Poi a un certo punto arriva lei: la capra Batisse, mascotte del reggimento e primadonna della manifestazione, fasciata con lo stendardo cittadino. I québecois sono talmente fanatici di questo animale che hanno creato persino il Batisse Fan Club. Come tutte le cerimonie di cambio della guardia, anche questa è svolta a uso e consumo dei turisti e non ha alcun valore pratico. Infatti la fanno solo d’estate. Ma vale la pena di assistere, se non altro per lo stupendo panorama che si gode dall’alto della Citadelle su Québec Ville, sul Chateau Frontenac e sull’Ile d’Orléans in mezzo al San Lorenzo.

Montréal

Prossima tappa Montréal, che si raggiunge facilmente da Québec con l’autoroute 40.

Solito caos per entrare in città in macchina. Per fortuna Google Maps funziona benissimo e individua un percorso cittadino abbastanza spedito per raggiungere Centre Ville. Le cose interessanti da vedere a Montréal non sono molte. Il tanto decantato quartiere latino volendo si può anche tralasciare. Ma non si può assolutamente perdere la basilica di Notre Dame de Montréal.

Dietro una facciata neogotica abbastanza anonima si cela un trionfo di decorazioni in legno, dipinti, mosaici, vetrate istoriate, volte a crociera in colori pastello, un grande organo a canne. La meraviglia però sta nello stupendo colore azzurro dell’abside e del coro, che rende l’interno di questa cattedrale uno dei più belli del mondo.

La basilica è diventata famosa per il primo incontro ravvicinato tra USA e Cuba dopo la revoluciòn castrista, quando nel 2000 Jimmy Carter e Fidel Castro si trovarono vicini per partecipare ai funerali di stato dell’ex primo ministro canadese Pierre Trudeau.

In Ontario: Ottawa e il parco delle mille isole

Una trentina di km dopo Montréal, proseguendo lungo la superstrada 401 che costeggia il San Lorenzo, si entra in Ontario e si torna a parlare inglese. Tra Brockville (cittadina davvero graziosa) e Kingston si estende il Thousand Islands National Park, il parco delle mille isole, un arcipelago d’acqua dolce formato da una miriade di isole e isolotti disseminati lungo il corso del fiume. Fate una crociera in barca perché il percorso fluviale è spettacolare. I tour partono da Brockville e Gananoque. Alcuni raggiungono il Boldt Castle in territorio statunitense. Bisogna accertarsene perché è necessario il passaporto per scendere e visitare il castello, che peraltro è piuttosto insignificante. Gli scorci tra le mille isole, le villette con tanto di torretta di avvistamento, gli aceri rosseggianti sugli isolotti regalano immagini straordinarie. Se poi passa una nave, si rimane letteralmente a bocca aperta. A un certo punto la barca del tour si ferma e accosta. Dietro un bosco di aceri compare la sagoma grigia della prua di una nave. Ma come… si faceva a fatica a passare col battello della crociera! Un enorme cargo sta procedendo verso l’estuario che sfocia sull’Atlantico. Sarà lungo almeno 200 metri: come faccia una nave così gigantesca a passare in pertugi così angusti sfiorando le isole, è davvero un mistero.

La guida sulla barca ci spiega che c’è un preciso canale navigabile segnalato con boe, ma che è necessaria una patente nautica speciale per potere manovrare una nave in questo tratto del San Lorenzo. Comunque sia, a vedere questi mastodonti del mare risalire lentamente il San Lorenzo sfiorando gli scogli si rimane esterrefatti. La foto è tra quelle allegate al diario.

Lascio il San Lorenzo in direzione di Ottawa, la capitale del Canada. Stavolta l’ingresso in città è abbastanza agevole. Il centro si gira facilmente a piedi in un paio d’ore, o un po’ di più se volete fare la visita guidata che parte dalla torre al centro del complesso. Tutti gli edifici più interessanti sono concentrati sulla Parliament Hill, una collinetta che domina la città. Qui c’è una serie di palazzi in stile gotico vittoriano col tetto verde che costituiscono l’insieme del Parlamento canadese: il Centre Block con la Camera dei Comuni e il Senato, la Peace Tower, la torre della pace, l’East Block con gli uffici dei senatori e il West Block con gli uffici dei ministri e le sale riunioni. Ai lati di Parliament Hill corrono l’Ottawa River e il famoso Rideau Canal, quello che d’inverno ghiaccia e si riempie di pattinatori, visto spesso nelle fotografie.

Algonquin Park

L’Algonquin Provincial Park è uno dei più bei parchi del Canada Orientale, poco conosciuto e poco visitato. Si trova a 250 km da Ottawa e a 320 km da Toronto. Nel giro che ho programmato, è l’ultima tappa sulle strade del foliage. Qui il colore che predomina è il giallo-arancio, perché gli aceri rossi hanno già perso quasi tutte le foglie anche se siamo solo a metà ottobre.

Siamo nella regione lacustre Madawaska, che è anche il nome del B&B che ho scelto (Madawaska Lodge), praticamente una fattoria in mezzo alla foresta.

Il parco è attraversato dalla highway 60, che è aperta al traffico commerciale ma non dà diritto di fermarsi e di usufruire delle attrezzature. Per farlo bisogna pagare un biglietto di entrata di 17 CAD al giorno (circa 12 €) e esporre il tagliando in ogni luogo dove ci si ferma.

Il biglietto dà diritto a fare trekking lungo i sentieri, noleggiare bici o canoe, fermarsi per le fotografie. Ai lati della strada e dietro ogni curva si scoprono paesaggi magnifici. Molte delle tracce portano a punti di vista panoramici sopraelevati. Per il primo spettacolare lookout non c’è neanche da camminare: si trova proprio dietro il Visitor Centre. Una visione perdita d’occhio di foreste, laghi e fiumi macchiati di colore per la livrea autunnale.

I must dell’Algonquin Park:

– i sentieri, tanti e per ogni categoria di visitatori. Alcuni sono davvero facili. Ho fatto il Lookout Trail (2.1 km), il Track and Tower fino alla ferrovia abbandonata (circa 4 km), Hardwood Lookout (1 km) e una parte del Centennial Ridge

– i magnifici lookout che si raggiungono alla fine di un sentiero, o a volte direttamente dalle piazzole sulla highway, che offrono panorami mozzafiato

– gli animali: in questo parco la probabilità di incontrare l’alce e i castori è alta (vedi dopo….)

– i percorsi ciclabili: le bici si noleggiano presso lo store del Lake of Two Rivers, da dove parte anche la pista ciclabile più lunga e più bella. Sono una ventina di km pedalabili che dopo un tratto lungo una vecchia ferrovia abbandonata si inoltrano nella foresta. Costo 29 CAD/4 ore

– la canoa. Si noleggiano a Opeongo Lake e Canoe Lake. Meglio il secondo punto, per la maggiore estensione dei laghi e per i colori dell’autunno più variati (sull’Opeongo Lake predomina il giallo). Non avevo mai pagaiato prima: è facilissimo e non stanca. Consiglio di provare anche agli appassionati di kayak. A richiesta comunque noleggiano anche questi. Costo delle canoe o del kayak: 24 CAD/giorno.

Durante il secondo giorno di visita nell’Algonquin ecco finalmente il re delle foreste del nord. Un alce maschio (moose bull) seminascosto nella boscaglia appena all’inizio del sentiero Centennial Ridge, poco dopo il parcheggio per le auto. L’alce ha ancora in testa frammenti del palco corneale, che cresce in estate e poi viene perso durante l’inverno. Se ne sta tranquillo tra gli alberi a ruminare erba e fronde, incurante dei click dei visitatori che accorrono a frotte. Sarà a una ventina di metri, quindi si riesce a riprenderlo bene, inquadrando col tele il caratteristico muso che sembra un badile. Dopo un po’ l’alce si stufa, si erge in tutta la sua possanza (2 metri d’altezza per 7-8 quintali di peso) e si inoltra nel bosco scomparendo alla vista. Tutti subito a controllare le foto per vedere se l’abbiamo ripreso bene, con i soliti scambi di mail: mandami le tue foto dell’alce che io ho quelle dei castori al Beaver Lake, etc… Poi andiamo al Visitor Centre per registrare l’avvistamento sulla lavagnetta delle osservazioni. Vedo che in settimana siamo già al terzo avvistamento di alci. In particolare uno è stato segnalato proprio a Centennial Ridge, quindi si tratta probabilmente dello stesso esemplare. E’ il secondo alce che vedo nei viaggi in questi territori, il primo fu un giovane esemplare nel Montana, ma l’emozione che si prova a vedere questo imponente cervide è sempre forte.

Un souvenir molto speciale

A parte le solite magliette, felpe, orsi e alci di plastica, magneti da frigo e oggetti in legno intagliato, c’è un souvenir davvero unico che si può riportare in Italia dopo essere stati da queste parti. Poco prima dell’East gate dell’Algonquin Park, accanto all’agenzia di Opeongo Outfitter, c’è The Moccassin House, uno store che vende mocassini in pelle di cervo o di alce. Ce ne sono in stock più di 1000 paia. Prezzo attorno ai 100-120 CAD (70-85 €).

Haliburton Forest: lupi e adrenalina

Dal Madawaska si passa al Muskoka. In entrambe le regioni l’acqua prevale sulla terraferma, tanto il territorio è disseminato di laghi e laghetti incastonati tra le colline. Sono migliaia e migliaia, uno più bello dell’altro. Il National Geographic le ha incluse nei 20 luoghi “Best of the World”.

Camminando tra le nuvole

A un centinaio di km dall’uscita ovest dell’Algonquin Park, dopo un percorso che si inoltra sinuosamente tra gli infiniti laghi della regione, c’è la Haliburton Forest, una proprietà privata che offre due esperienze da provare assolutamente.

La prima è il Canopy Tour. E’ una passeggiata di 4 ore che include trekking, tratti in canoa, e soprattutto l’adrenalinico Walk in the clouds (camminata tra le nuvole), una lunga passeggiata nella foresta sospesi a 20 metri d’altezza lungo una serie di passerelle tra gli alberi. La “camminata tra le nuvole” è lunga 750 metri, ripartiti in 26 sezioni. I momenti più critici sono quelli di sgancio e riaggancio delle funi di sicurezza tra una sezione e l’altra, ma il rischio obiettivamente è contenuto. Le emozioni che si provano facendo questo percorso sono indimenticabili: vertigine e batticuore quando si guarda giù in basso, palpitazione a ogni ondeggiamento della passerella, una sensazione di dominio sul mondo quando ci ferma a osservare il paesaggio dall’alto sulle piazzole di interscambio. Ci si mette persino la pioggia a rendere sdrucciolevoli gli assi sospesi. Qualcuno scivola facendo ondeggiare paurosamente la passerella, ma l’imbragatura e gli agganci sono a prova di caduta. Arrivati alla fine, ci si sente fieri dell’avventura vissuta.

Il Canopy Tour, prenotato dall’Italia via Internet, è costato 95 CAD (circa 68 €), ma è un’emozione esclusiva che non si dimentica facilmente.

I lupi di Haliburton

L’altro punto di interesse della foresta di Haliburton è il Wolf Centre. Qui vivono in libertà 10 lupi, alcuni grigio-neri, altri dal pelo fulvo e quasi tendente al bianco. Li si può osservare stando dietro una vetrata. Bellissimi animali, si muovono in gruppo con la caratteristica andatura dinoccolata seguendo il capobranco, un maschio alfa di pelo grigio-beige. Mi ricordano Due Calzini, il lupo di “Balla coi lupi” che il tenente John Dunbar (Kevin Costner) stava cercando di ammaestrare e che verrà poi ucciso dai soldati federali. Fanno una tremenda impressione gli occhi di questi animali, che si stagliano gialli come fari sopra il lungo muso appuntito. Immagino il terrore che può provare chi si dovesse trovare davanti questi occhi di notte.

Conclusione

Dopo le avventure nella foresta di Haliburton, che sono state un po’ la ciliegina sulla torta, questo bellissimo viaggio tra foliage, oceano, lupi e alci è terminato. Ritorno a Toronto attraversando la regione di Kawartha, anche questa tappezzata da migliaia di laghi come le vicine Madawaska e Muskoka.

L’autunno è meraviglioso in queste regioni tra la costa atlantica e il sud del Canada. Per il foliage, il periodo migliore dipende dalla latitudine: più si va a nord, più il fenomeno è anticipato. In Québec e Ontario il picco dei colori è verso fine settembre, nel New England invece si protrae fino a dopo metà ottobre. Sia il periodo che l’intensità del fenomeno possono variare in funzione delle condizioni meteo. Le giornate di sole conferiscono alle foglie toni più caldi e accesi, mentre la pioggia tende ad accelerare il processo di distacco dai rami, riducendo la durata del cambiamento di colore.

La mia personale classifica delle strade del foliage

1° la Maine 17 da Mexico a Oquossoc

2° Kancamagus highway da Lincoln a Albany

3° Vermont 125 da East Middlebury a Hancock

4° US 201 Old Canada highway

5° Highway 60 in Canada da Maynooth a Huntsville, ma tantissime altre stradine secondarie non citate nelle guide offrono scorci di foliage di uguale intensità e bellezza, col vantaggio di essere praticamente prive di traffico.

Le cittadine più belle

Peacham – Rutland – Stowe – Burlington – Oquossoc – Camden – Stonington – Saint Georges – Brockville – Huntsville.

Le scene e i colori che si colgono sono eccezionali. Alcune foto, riviste a fine viaggio con gli amici, ricordano quadri di impressionisti e macchiaioli. L’accostamento con la tavolozza di un pittore, di fronte a tanti stupendi e variegati panorami, è una sensazione che si è ripetuta spesso durante il viaggio.

Il Vermont ha talmente tanti punti di interesse che meriterebbe un viaggio da solo, magari fermandosi un po’ di più a visitare i centri dove gli attivissimi vermonters producono formaggi, dolci, birra, marmellate, oggetti d’artigianato.

Le giornate passate lungo la costa del Maine purtroppo sono state sfavorite dal tempo piovigginoso e nebbioso, ma i rari momenti di sole hanno offerto immagini e impressioni eccezionali. E poi se proprio la pioggia non dà tregua ci sono sempre le birrerie e i lobster pound

L’Algonquin Park si è rivelato una magnifica scelta. E’ lontano dai percorsi turistici più battuti, ma spero che qualcuno dopo avere letto questo diario ci voglia andare, perché merita veramente e cela sorprese dietro ogni cespuglio e nel folto di ogni bosco, con l’aggiunta di panorami indimenticabili.

Riepilogo

Km percorsi: 3227. Per un viaggio così articolato è fondamentale avere un navigatore, specialmente se capita di dovere fare tratti notturni tra laghi e foreste. A volte per 30-40 km non si incontra neanche una luce. Il navigatore di Google Maps installato sul cellulare si è rivelato molto efficiente, segnalando persino le stradine nei boschi imboccate per sbaglio. E’ necessario impostarlo in modalità attivo offline, per le aree dove non c’è rete web.

Stati attraversati: negli USA New York, Vermont, New Hampshire e Maine – in Canada Québec e Ontario

Parchi: White Mountain National Forest – Rangeley Lake State Park – Camden Hills State Park – Acadia National Park – Algonquin Provincial Park

Animali visti: foche, cormorani, aquila testabianca, scoiattoli, castori, lupi, l’alce

Costo medio di un lobster roll (panino con l’astice) con patatine e birra: 25-30 dollari

Costo medio dei pernottamenti: 63 €

Grazie per essere arrivati fin qui

Luigi

Luigi.balzarini@tin.it

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La chiesetta di Stowe

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Acadia National Park - vista dalla Cadillac Mountain

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Camden

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Rangeley Lake

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Maine 17 Overlook

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Penobscot bay all'alba

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Vermont 125 Road

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Halloween impazza tra le fattorie

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Peacham

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L'alce - Algonquin Park

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Walking in the clouds - Haliburton Forest

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I lupi della Haliburton Forest

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Autunno nell'Algonquin Park

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Autunno nell'Algonquin Park

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Una gigantesca nave tra le isole del Thousands Islands Park

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Interno della basilica di Notre Dame de Montréal

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Québec - Chateau Frontenac

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Kennebec lakes



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