Dal festival di Segou a Bobo seguendo la musica

Forse qualcuno ha letto il mio report dello scorso anno “Il Festival di Essakane”? Bene, questa è la puntata seguente, sono stata al “Festival sur le Niger”, dall’1 al 3 febbraio. Segou è una città dal passato coloniale, tranquilla e un pò rètro. Nel periodo del festival si riempie di gente e si anima di spettacoli di ogni genere....
Scritto da: Valev
dal festival di segou a bobo seguendo la musica
Partenza il: 31/01/2008
Ritorno il: 14/02/2008
Viaggiatori: fino a 6
Forse qualcuno ha letto il mio report dello scorso anno “Il Festival di Essakane”? Bene, questa è la puntata seguente, sono stata al “Festival sur le Niger”, dall’1 al 3 febbraio. Segou è una città dal passato coloniale, tranquilla e un pò rètro. Nel periodo del festival si riempie di gente e si anima di spettacoli di ogni genere. Durante il giorno: danze rituali delle varie etnie, maschere zoomorfe, marionette, gli chasseurs con i vestiti ornati di cauri che sparano all’impazzata con vecchi fucili, il mercato, le mostre d’arte…La sera, sul palco montato direttamente nell’acqua, cantano alcuni fra i migliori musicisti del Mali e diversi ospiti. Quest’anno è stato premiato dalla BBC Bassekou Kouyatè, per il miglior album world music, “Segou blue”( ascoltate l’apertura!).

Alle tre del mattino di sabato, sale sul palco, in un delirio generale, Salif Keita, il menestrello albino, il griot nobile! Ascoltato sotto le stelle, nel cuore dell’Africa…Ah, la vita! Da Segou abbiamo proseguito per Gao, all’estremo Est del Mali, facendo tappa a Mopti e a Duentza. Lungo il percorso abbiamo visitato un villaggio, Ibissa, e portato medicine e materiale vario alla scuola, diretta dal giovane preside Oumar. Il villaggio è “sponsorizzato” da una associazione di volontariato di Modena, Bambini nel Deserto, che si occupa di diversi paesi (oltre al Mali, la Mauritania, il Burkina Faso, etc.). L’entusiasmo del gruppo ci ha contagiato, vista anche la vicinanza (noi siamo di Bologna) e ci ha permesso di prendere contatto con questa realtà davvero speciale. Un piccolo report sull’esperienza sta nel sito di Bambini nel Deserto.

Un altro incontro molto toccante è stato quello con le donne dell’ospedale di Mopti. Si tratta di persone che hanno subito da piccole un’escissione o un’infibulazione che, col tempo, ha dato origine a fistole molto invalidanti. Così queste donne devono trascorrere molti mesi o addirittura anni in ospedale per le cure. Ma si sono organizzate, eccome, costituendo una cooperativa che produce e vende stoffe, collane, orecchini molto graziosi e a ottimo prezzo. Se qualcuno pensa di visitarle, please, non si fermi al piccolo chiosco esterno, ma entri all’interno del giardino, che è di fianco all’ospedale, vicino al lungo-fiume.

Tornando al viaggio, Gao è veramente stupenda. La strada per arrivarci, lunghissima e deserta (ma ben asfaltata) passa attraverso un paesaggio fantastico: dalla brousse, piatta e grigiastra, si ergono delle “dolomiti”, rilievi di roccia a volte piatti e acuminati, a volte rotondeggianti.

Gao è vicino al fiume e circondata dal deserto, al confine con il Niger. È una città pulita (per gli standard locali), con strade larghe ed edifici bassi, poco frequentata dai turisti. Il monumento più rilevante è la tomba di Askià, il fondatore dell’impero Songhai morto nel 1538, fatta a imitazione delle piramidi, cioè senza che si sappia dov’è l’entrata del sacello. Dal tetto la vista è bellissima: poco lontano dalla città, sul fiume, si intravede un’immensa duna, che al tramonto diventa rosa. A Gao ho fatto un incontro che mi ha turbato: una guida locale, I., ci ha accompagnato in giro; era un ragazzo “triste”, sembrava molto più vecchio della sua età. Siamo anche andati a cena insieme, in un ristorante piuttosto modesto, popolare. A un certo punto ho ordinato un piatto che poi si è rivelato essere qualcosa che non volevo. Così non l’ho toccato e ho chiesto se qualcuno aveva appetito. Insomma I. L’ha preso, si è alzato da tavola e si è messo in un piccolo corridoio, contro il muro, a mangiare, con molto pane e altre cose. Insomma, aveva fame e si vergognava. Poi ci hanno detto che abita con i genitori e guadagna poco. Mi ha colpito perchè sono abituata a vedere famiglie o interi villaggi in difficoltà. Ma è chiaro per tutti (loro e noi) che hanno bisogno di aiuto. Si tratta di un problema comune e condiviso. Invece I. Aveva una sua dignità solitaria, un lavoro, per quanto precario, e sfuggiva a questa categoria. Sembrava piuttosto uno di quei borghesi napoletani, colti ma poverissimi, descritti nella nostra letteratura del dopoguerra. Non me la sento di consigliare l’hotel dove abbiamo dormito a Gao, il Tizi Mizi. Il giardino è piuttosto piacevole, ma le camere hanno porta e finestre senza vetri: un’unica lastra di metallo. Così avete la scelta fra chiudervi dentro e rimanere sempre con la luce elettrica e l’aria condizionata se non volete morire nel loculo, o aprire e farvi mangiare dalle zanzare. Nell’incertezza, abbiamo ordinato il pranzo e siamo rimasti due ore e mezza a guardare, affascinati, la lentezza con cui l’addetta preparava un piatto di riso, scotto ovviamente, e una salsina. Da segnalare senz’altro allo Slow Food.

Da Gao, lunga giornata di ritorno a Mopti. Poi giù verso il Burkina Faso, il “Paese degli uomini onesti”. E tali sembrano davvero, visto che a differenza di quello che accade in Mali, dove ad ogni posto di blocco soldati e polizia fanno storie per avere una piccola tangente, nessuno chiede nulla. Anzi, ci fanno cortesemente accomodare al posto di frontiera e in dieci minuti i visti sono pronti. Fino a vent’anni fa il nome del paese era Alto Volta, attribuito dai colonialisti francesi. Poi la rivoluzione del 1983 di Thomas Sankara, ridette dignità e vigore al paese, che mi è parso, nella sua povertà, uno dei meglio organizzati dell’Africa Occidentale.

Quella di Thomas Sankara è una figura di grande rilievo nella storia africana e tuttora molto amata; meno conosciuto da noi, ma a livello di un Nelson Mandela. Pensate che riuscì a far vaccinare tutti i bambini nel giro di sei mesi, che per legge costituì in ogni villaggio un “responsabile della sanità”, appositamente addestrato e che, incredibile, prescrisse ai ministri del suo governo di usare come auto di rappresentanza…Una Renault 5. Thomas Sankara era un giovane militare di sinistra, a lungo perseguitato per le sue idee che alla fine, stufo della situazione, fece un colpo di stato e prese il potere. La cosa fu sicuramente poco democratica, ma nella situazione di “legge del più forte”, che vigeva e tuttora vige in molte zone dell’Africa, era forse l’unica praticabile. Nel giro di pochi anni egli dette un volto e un nome nuovo al Burkina Faso, prima di venire a sua volta deposto e ucciso da una congiura di palazzo che portò al potere il suo braccio destro, ancora oggi Primo ministro, Blaise Campaoré. Però ogni anno il 15 ottobre, una cerimonia popolare ricorda e onora, in un cimitero alla periferia di Ouagadougou, la disadorna tomba di Thomas Sankara. Chi vuole sapere di più su questo eroe africano può visitare il sito a lui dedicato o quello dei Padri Bianchi (missionari di origine francese molto aperti e vicini alla “Chiesa dei poveri”). Ma torniamo al nostro viaggio. Ci dirigiamo verso Bobo Dioulasso e subito dopo il confine ci imbattiamo in una battuta di pesca nel lago. Una cosa veramente singolare: l’acqua è stata tolta per più di due terzi per cui gli uomini stanno immersi fino alla cintura e menano botte da orbi con machete e bastoni, pescando…Con le mani. Schizzi, urla, scivoloni nel fango…Un caos pazzesco ma produttivo perchè i pescigatto, anche di notevoli dimensioni, presi dal panico e storditi, finiscono nelle mani dei “cercatori”, che poi li lanciano a chi sta a riva. Per la sera, il villaggio farà una gran festa, a cui siamo invitati. Grazie, ma purtroppo non abbiamo tempo. Restiamo a Bobo due giorni e due notti, il tempo per innamorarci della città e della sua musica. A pranzo andiamo all’Eau Vive, che è gestito dalle stesse suore dell’omonimo ristorante di Roma. Incredibile, l’atmosfera è la stessa…Pulita, pia e internazionale. La sera si va a Le Bambou, a sentire i gruppi locali: balafon, diembe, tamburi, ritmi mozzafiato. C’è anche un piccolo ma interessante Museo della Musica. Se ci capitate, guardate il video sul cadavere che “gira” indicando il suo improbabile assassino.

Bobo è anche un notevole centro religioso. Sembra che le varie fedi convivano tranquillamente: quando la bella moschea di fango deve essere restaurata prima delle piogge, collaborano anche cristiani e animisti. Questi ultimi sono in teoria una minoranza, ma le credenze sono molto consolidate e diffuse anche fra chi è cristiano o mussulmano (non dimentichiamo che il Benin, patria del vodoo, è vicino).

Gli animisti vivono in un quartiere di Bobo e costruiscono delle montagnette di fango, una più alta per gli uomini e una più piccola per le donne (figuriamoci se non era così…), su cui sacrificano i polli. Così la montagnetta ha sempre qualche piuma sulla cima e rigagnoli scuri che scorrono giù: orrenda. Ci sono anche un sacco di feticci, credo autentici, anche quelli con le piumette, in vendita nelle botteghe vicino al mercato. Notevoli le statuette di bronzo che artigiani-scultori forgiano davanti a noi, direttamente in strada. A me piaceva un piccolo modello in cera, fra i cento e più di una bottega. Il fabbro mi guarda meravigliato: perchè voglio la mascherina? E come faccio a portarla in giro, visto che col caldo si squaglia? Pas problèmes, acquistiamo una busta di acqua minerale fresca e ce la mettiamo dentro. Insomma, ho proseguito per tutto il viaggio, compresi 3 aeroporti, portandomi a mano una di quelle simil-teiere di plastica che i mussulmani usano per le abluzioni, con dentro il sacchetto dell’acqua e dentro la maschera di cera! Da Bobo ripassiamo la frontiera e pernottiamo a Sikasso, all’Hotel Wassolou: gestito da un francese, molto religioso credo,visto che a metà febbraio aveva ancora l’albero di Natale con le lucine accese! I bungalow sono confortevoli, un po’ fuori mano, vicino allo stadio. Sikasso è nota per essere l’ultima città arresasi alla conquista francese, nel 1898; un piccolo monumento, nonché le mura distrutte dalle cannonate e non ancora restaurate(!) ricordano l’evento. Ed eccoci di nuovo a Bamako, bellissima città. Quest’anno, su indicazione di un’amica, andiamo a cena al ristorante San Toro (con musica ma senza alcolici) e poi a visitare l’hotel Le Djennè. Appartengono ad Aminata Traoré, ex ministro della cultura del Mali, donna di grande impegno e prestigio, che spesso viene in Italia, invitata a parlare dei problemi dell’Africa Occidentale e in particolare della questione femminile. Prima della partenza, un salto nella boutique Malichic (ex Mia Mali): era proprietà di una signora americana che si è ritirata e l’ha ceduta alle sue dipendenti; si trovano oggetti veramente di classe: orecchini, tovaglie, specchi, maschere, a prezzi onestissimi. Il segreto è che per la boutique lavorano direttamente moltissimi artigiani e non c’è ricarico per intermediazioni. Inoltre questo incentiva notevolmente la produzione locale. Noi abbiamo fatto la nostra parte, comprando una quantità di cose destinate ai mercatini di Bambini nel Deserto! L’aeroporto, di sera, è il solito caos: voli cancellati, folla in attesa, e…I bagni si trovano soltanto al di là del controllo passaporti! Passo la notte in aereo e all’arrivo mi godo una bella giornata di sole a Parigi. Ah, l’Europa.



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