Dai Teruzzi alla Tanzania
Durante l’inverno scorso, stressati dal lavoro e dagli studi universitari, io (Dominique) e la mia fidanzata Irene abbiamo deciso, appena fosse stato fattibile, di regalarci una bella vacanza.
Abbiamo quindi iniziato a pensare insieme quale potesse essere la destinazione più consona ai nostri gusti e desideri; il tutto quasi per scherzo, come se volessimo scappare dalla realtà della vita quotidiana.
Da subito fu evidente quale fosse il continente che volevamo visitare… Entrambi fin da bambini sognavamo l’Africa. Documentari, fotografie, racconti, ogni occasione era buona per viaggiare con la fantasia ed il cuore verso le sconfinate distese della savana, dove la vita animale regna sovrana.
Quale paese poteva offrire tutto ciò? Noi abbiamo scelto la Tanzania, la nostra Africa! Ci siamo quindi affidati ad una nostra amica (Fiorella), titolare di una agenzia viaggi e abbiamo prenotato: safari di cinque giorni e tre giorni di relax a Zanzibar.
Ci siamo informati riguardo a quali fossero le vaccinazioni consigliate e dopo averne discusso abbiamo deciso di farle tutte: antitetanica, antidifterica, antitifica, antiepatite A, febbre gialla; come precauzione contro la malaria abbiamo optato per il Malarone.
Nonostante ci avessero parecchio spaventati a riguardo del vaccino contro la febbre gialla non abbiamo avuto nessun problema: solo un po’ di spossatezza, così come per tutti gli altri vaccini.
Abbigliamento: abbiamo optato per un vestiario tecnico estivo, ma senza dimenticarci un pile e una giacca felpata da infilarci all’occorrenza.
… E così i mesi passavano e tra un preparativo e l’altro la data della partenza si avvicinava.
1° giorno.
Finalmente! Il fatidico 5 Luglio 2008.
Partenza nel cuore della notte da Teruzzi, un piccolo paese inerpicato sull’ Appennino piacentino ai piedi del Monte Lama e del Monte Menegosa.
L’atmosfera era un po’ surreale. Stavamo per vivere il viaggio più bello della nostra vita, ma non ci sembrava vero… Non ci credevamo nemmeno noi! Ci siamo diretti verso l’aeroporto Malpensa 2000 e, dopo aver sbrigato tutti i nostri doveri doganali, alle 6:20 siamo decollati. Dopo aver fatto uno scalo ad Amsterdam, siamo atterrati al Kilimangiaro airport di Arusha alle 19:45 locali.
All’uscita dall’aeroporto ci aspettava il nostro autista e guida durante il safari: Cassim! Dopo essersi presentato ha caricato i bagagli sulla jeep (l’indistruttibile Defender) e ci ha accompagnati presso il lodge dove avremmo trascorso la nostra prima notte in terra d’Africa: l’Arusha Coffee Lodge.
Nonostante la stanchezza, durante il tragitto, i nostri occhi erano incollati al finestrino.
Dopo circa un’oretta di strada siamo arrivati al lodge, che si presentava a noi illuminato da una calda luce gialla ed immerso in una piantagione di caffé. Bellissimo! La camera tutta in legno, con letto a baldacchino e camino, ci ha lasciato meravigliati, il bagno era grandissimo e il tutto perfettamente pulito come a casa nostra.
Dopo esserci rinfrescati abbiamo raggiunto il ristorante per rifocillarci. Qui abbiamo conosciuto uno dei personaggi più esilaranti del nostro viaggio: una signora tedesca tutta vestita da esploratrice inizio secolo. Impettita come pochi, comandava a bacchetta suo figlio e i nipotini e noi giù a ridere! Fantasticavamo sul suo passato da esploratrice in Africa, sulle sue avventure mozzafiato nella savana, quando andava a caccia di leoni e decidemmo di ribattezzarla “Signora Von Fustenberg”!! Sono bastati pochi minuti per non dimenticarla. Dopo esserci quindi divertiti a prenderla bonariamente in giro siamo andati a letto. Quella notte però abbiamo dormito malissimo.
Troppa era la voglia di safari!!! 2° giorno.
Il mattino seguente come da accordi con Cassim abbiamo partecipato al briefing preparato dal nostro tour operator, ci siamo diretti verso la nostra jeep e qui la prima sorpresa! Ci viene comunicato che nonostante avessimo pagato per effettuare un safari di gruppo il tour sarebbe stato individuale, perchè gli altri partecipanti avevano rinunciato all’ultimo; tradotto la jeep era completamente a nostra disposizione e la guida poteva dedicarsi completamente solo a noi due.
Ci sembrò subito una fortuna, ma non eravamo ancora consapevoli di quanta ne avessimo avuta.
Lungo il tragitto verso l’Ngorongoro National Park abbiamo attraversato diversi villaggi.
In uno ci siamo fermati per una brevissima sosta, perchè un ragazzo lungo la strada ci ha regalato un casco di banane in cambio della promessa di fermarci nei giorni a seguire presso il suo negozio di artigianato. Chi in Italia regalerebbe qualcosa a qualcuno in cambio di una sola promessa? La strada, prima asfaltata, all’ingresso al parco (Lodoare Gate) diventa sterrata ed inizia ad inerpicarsi lungo l’ascesa alla bocca del cratere.
La nebbia avvolgeva la lussureggiante vegetazione equatoriale ed il contrasto tra il rosso della terra e il verde della giungla era sbalorditivo.
Arrivati in cima al cratere la nebbia si diradò e ammirammo per la prima volta lo spettacolare panorama di cui i nostri occhi si sarebbero beati nei giorni a venire.
Eccoci allo Ngorongoro Serena Lodge, bellissimo! Credo che in vita nostra non alloggeremo mai più in uno spazio così bello, in cui l’interno e l’esterno dei locali sono in perfetta sintonia con l’ambiente circostante. Gli edifici, costruiti proprio sul bordo del cratere ed interamente in sasso, sono collegati tra loro da passerelle in legno sospese nel vuoto. La camera era interamente dipinta con disegni raffiguranti animali stilizzati e l’arredamento si presentava in perfetto stile etnico-coloniale. Esattamente davanti al letto una immensa vetrata dava accesso ad un balcone a precipizio sul cratere.
La nostra prima reazione a così tanta bellezza è stata di incredulità. La visuale dal nostro balcone permetteva di ammirare per intero tutta la circonferenza dell’Ngorongoro, del diametro di 16 km.
L’umidità prodotta dalla foresta dava vita ad una sorta di nebbia, che cadeva giù lungo la discesa al fondo del cratere: sembrava di vedere le nuvole scendere lentamente ad accarezzare la terra.
Con i cannocchiali abbiamo provato a scrutare il fondo nella speranza di vedere qualche branco di animali, ma purtroppo la distanza era troppa.
Nel pomeriggio come da accordi con Cassim siamo scesi per il game drive. Finalmente safari!!! I primi animali che abbiamo visto sono stati gruppi di gazzelle di Thompson e zebre .
Credo che in quei momenti entrambi abbiamo provato la massima sensazione di libertà. Gli animali, per nulla spaventati dalla nostra presenza, si lasciavano ammirare. La vista di tutta quella natura, i rumori e l’odore della savana ci hanno permesso di capire quale esperienza indimenticabile stessimo vivendo.
In corso di game drive abbiamo potuto osservare anche le immense mandrie di gnu e bufali, un piccolo gruppo di leoni che si riposava lontano e, avvicinandoci al lago caustico, un’infinita distesa rosa di fenicotteri, oltre a gruppi, qua e là, di facoceri e di iene; una di loro addirittura si stava cibando della carcassa di un fenicottero: vedere gli animali nelle loro consuete attività quotidiane, per nulla infastiditi da noi, ci ha fatto sentire in comunione con il mondo.
La fortuna di essere soli sulla jeep ci permetteva di spostarci per le foto e le riprese senza aver il timore di interferire con quelle di altre persone; inoltre il fatto che il tetto della jeep si alzasse permetteva una visuale a 360 gradi, ma restando comunque all’ombra. Cassim, sempre disponibile ad ogni nostra richiesta di fermarsi, cercava nel suo italiano un po’ stentato di spiegarci quali fossero le gerarchie all’interno dei gruppi sociali delle diverse specie e, proprio nel tentativo di spiegarci come funziona la vita sociale degli gnu, dal cassetto della jeep è apparso per la prima volta il suo vecchissimo manuale illustrativo degli animali della savana in lingua italiana.
Sembrava uno di quei diari di viaggio su cui gli esploratori annotavano gli appunti e disegnavano gli animali; mi piace pensare che lo fosse veramente!!! Durante la nostra prima giornata di safari abbiamo anche visitato un piccolo laghetto, dove si riposavano gli ippopotami. Il loro verso faceva da colonna sonora. Immersi quasi per intero nell’acqua usavano la coda per bagnarsi quel poco di pelle che rimaneva al sole; saranno stati circa una cinquantina: alcuni veramente immensi ed altri, cuccioli, che facevano tenerezza. Nonostante la loro apparente goffaggine sono gli animali che in Africa causano più morti tra gli uomini. Lasciati gli ippopotami al loro fresco bagno abbiamo incontrato un rinoceronte nero.
A dire il vero lo ha incontrato Cassim, visto che per farci capire dove si trovasse in mezzo all’erba alta avrà impiegato un minuto. Nero è un po’ un modo di dire, dato che il colore della sua pelle si mimetizzava perfettamente nell’erba alta e secca sella savana. Nonostante fosse lontano dalla pista dove sostava la nostra jeep la sua mole si faceva notare ugualmente.
Da grandi amanti dei documentari, nei mesi precedenti alla partenza, non ce ne eravamo lasciato scappare nemmeno uno che parlasse della savana e dei suoi animali. Tra tutti quello che più mi aveva colpito era il serval, ma a causa delle sue ridotte dimensioni non mi aspettavo di avere la fortuna di incontrarlo.
Invece mi sbagliavo. Grosso poco più di un gatto e maculato come un leopardo, passeggiava sul bordo di una pista che stavamo percorrendo e, per niente intimorito, continuava nella ricerca di qualche roditore di cui cibarsi. Ogni tanto, quasi si chiedesse cosa volessimo da lui, rivolgeva il suo sguardo felino verso di noi, uno sguardo magnetico ed altezzoso. Sono rimasto molto affascinato dal serval.
Nel risalire il crinale abbiamo chiesto a Cassim di fermarsi per poter scattare qualche foto al bellissimo tramonto. Questo nostro desiderio però ha quasi causato un pasticcio con i ranger che ci aspettavano all’uscita: sono molto fiscali con gli orari di ingresso ed uscita dai parchi.
Comunque scampata la multa siamo tornati al lodge, dove una cameriera all’ingresso ci aspettava con un’ottima spremuta per rinfrescarci e con una calda salvietta per toglierci la polvere dalle mani e dal viso. Servizio eccellente ! All’ingresso ci comunicarono anche che la sera stessa, prima di cena, sarebbero venuti a far visita al lodge un gruppo di giovani guerrieri Masai .
Il tempo di ripulirci e toglierci gli abiti da Indiana Jones e raggiungemmo il bar dove l’esibizione canora Masai si sarebbe svolta .
Canto di benvenuto. Stupendo e molto coinvolgente, ma entrambi ci siamo chiesti quanto fosse giusto che un popolo così fiero della propria cultura debba ora svenderla a quello che viene definito “il mondo progredito”.
Alla fine della loro esibizione ho voluto ringraziarli uno ad uno con il loro saluto tradizionale. In quel momento, incrociando i loro sguardi, ho capito che comprendevano quanto io li stessi rispettando: un momento commovente e molto forte.
Raggiunta la sala da pranzo abbiamo continuato a confrontarci su questo discorso sorseggiando un ottimo vino sudafricano e poi… La cena più romantica della nostra vita.
Eravamo in Africa , a cena in Africa.
La luce dorata e soffusa delle lampade, simili a quelle ad olio, riempiva la sala di un’atmosfera allo stesso tempo sognante ed avvincente. Avremmo voluto che quella cena non finisse mai, ma proprio perchè ebbe una fine ora il ricordo è così dolce e suggestivo. Indimenticabile! Uscendo dalla sala del ristorante abbiamo respirato l’aria frizzante della notte nella savana. Temperatura 5 gradi. Per fortuna, tornati in camera, abbiamo trovato i termosifoni accesi, ciononostante Irene aveva freddo e ha steso sul letto altre due coperte.
Anche quella notte non sono riuscito a dormire bene a causa dell’agitazione.
Alle 5 mi sono alzato e prestando attenzione a non svegliare la mia fidanzata sono uscito sul balcone.
Quasi fossi al cinema mi sono preso una sedia, ho appoggiato i piedi sul tronco di legno che ci faceva da ringhiera, mi sono messo il cappuccio della giacca in testa e ho aspettato di assistere all’alba.
Il cielo scuro della notte pian piano lasciava spazio ad una crescente luce rossastra, sempre più intensa. Le nuvole, che inizialmente apparivano scure, iniziarono a mutare di colore: prima viola e poi sempre più rosse. Anche le acque del lago Magadi sul fondo del cratere divennero rosse. Era tutto surreale. Dal fondo del cratere si udivano i versi degli animali e nel cielo il rossore assumeva tonalità sempre più arancioni e gialle. Il sole spuntò da dietro la sponda opposta del cratere, rispetto alla mia visuale, iniziando con i suoi raggi ad illuminare il fondo dell’antica caldera.
L’inizio di un nuovo giorno nello Ngorongoro! Per riprendermi del freddo patito sono tornato sotto le coperte, intirizzito ma felice di aver assistito alla mia prima alba africana. E che alba! 3° giorno.
All’orario prestabilito la sera precedente abbiamo caricato sulla jeep i nostri bagagli e dopo un’ abbondante colazione abbiamo lasciato lo Ngorongoro Serena Lodge.
Direzione Serengeti National Park.
Scendendo i ripidi fianchi dello Ngorongoro abbiamo incontrato molti pastori Masai con le loro piccole mandrie e greggi.
Il paesaggio si presentava a noi in tutta la sua atavica bellezza.
Alte montagne e valli profonde, praterie tipiche della savana, sparute piante e in lontananza villaggi Masai .
Nei prati abbiamo visto molti struzzi.
La strada, tortuosa e polverosa, rendeva il tutto ancor più avventuroso.
Quando il paesaggio ha iniziato a digradare in morbide seppur aspre colline, abbiamo incontrato le nostre prime giraffe: animali che noi abbiamo giudicato tra i più eleganti d’Africa.
Un vero e proprio branco tranquillamente si cibava delle foglie delle acacie e impassibili alla nostra presenza, hanno perfino attraversato la strada proprio davanti alla jeep.
Terminato il tragitto montano la strada si spianava per lasciare spazio ad una infinita distesa pianeggiante: il Serengeti, che in lingua kiswahili significa infatti pianura infinita.
A causa delle ormai logore guarnizioni del Defender quel giorno abbiamo letteralmente mangiato la polvere.
Cassim come da programma ci ha guidato alla visita delle gole di Olduvai: importante patrimonio archeologico, conosciute come la “ culla dell’umanità ”. In queste gole vennero infatti rinvenuti i resti di uomini primitivi risalenti a circa 1,75 milioni di anni fa.
Presso il piccolissimo ma interessante museo abbiamo potuto vedere un calco in gesso delle impronte lasciate in quei paraggi dai piedi dei primi ominidi, oltre a svariati fossili di animali di epoche remote.
All’esterno il paesaggio si presentava come un canyon, infatti ci trovavamo esattamente sul bordo della Rift Valley.
Fatte le nostre foto ricordo siamo risaliti sul nostro mezzo di trasporto e dopo circa un paio d’ore ci siamo fermati presso un villaggio Masai.
Scesi dalla jeep, Cassim ci ha presentato il capo villaggio e a lui abbiamo lasciato praticamente tutti i medicinali che avevamo portato con noi dall’Italia.
In cambio della nostra donazione i guerrieri Masai e le loro donne hanno intonato un canto di benvenuto in nostro onore. Al termine di questa piacevole sorpresa ci hanno invitato a visitare il villaggio. Qui mi hanno invitato a cantare e saltare insieme ai guerrieri.
Accompagnati dal capo villaggio abbiamo visitato la sua capanna. Un’apertura strettissima faceva da ingresso ad un ambiente piccolissimo dove secondo la tradizione vivono il marito, le sue mogli e i loro figli. Da un piccolissimo foro sul fianco della capanna entrava un filo di luce che permetteva a malapena di vederci tra noi. Il fumo provocato dal fuoco acceso al centro era un po’ fastidioso, ma la curiosità e il rispetto verso il nostro amico Masai ci hanno permesso di resistere ed ascoltare il suo racconto.
Usciti all’esterno abbiamo visitato anche la loro piccola capanna adibita a scuola.
Abbiamo donato al loro insegnante una borsa di pennarelli, pastelli, biro ecc. E i piccolini hanno ricambiato cantando per noi una filastrocca.
Nei loro occhi si leggeva sincero entusiasmo per la nostra visita e Irene, che nella vita di tutti giorni fa proprio l’insegnante, si è commossa.
Un’esperienza che tutti dovrebbero provare per capire.
Raggiunta l’uscita del villaggio il capo Masai ci ha chiesto se potevamo dare un passaggio ad un guerriero appartenente ad un altro villaggio. Onorati per questa richiesta siamo ripartiti e lo abbiamo portato a destinazione.
Prima di scendere ci ha ringraziati e salutati con il saluto Masai. I Masai: un popolo che ci ha trasmesso un profondo senso di dignità e rispetto.
Lungo il percorso ovunque mandrie di gazzelle ed antilopi .
Verso le tredici abbiamo raggiunto l’entrata al parco del Serengeti e Cassim ha deciso per una sosta che ci permettesse di sbrigare le pratiche di ingresso e pranzare. Presso la zona adibita a pic-nic ci siamo seduti all’ombra delle acacie e abbiamo provato a consumare il nostro box lunch. Perchè provato vi chiederete voi? Perchè dei bellissimi e variopinti uccellini (blu e arancio con riflessi quasi metallici) volevano a tutti i costi partecipare al nostro pranzo, arrivando perfino a svolazzare sfiorandoci il naso! Per liberarci della loro presenza abbiamo ben pensato di buttare loro a terra un po’ di pane, ma siamo stati immediatamente redarguiti da un guardia parco, che per poco non ci ha multati! L’insistenza di quegli uccellini ci aveva quasi fatto dimenticare che è severamente vietato dar da mangiare agli animali liberi: quelli però erano assolutamente addomesticati: avrebbero potuto esibirsi in un circo tanta era la loro maestria nel “volo rasente al panino”!! Consumato il pasto siamo risaliti sul nostro “ aspirapolvere ”: la strada sempre più accidentata ha richiesto l’uso di un po’ di spirito di sopportazione: vibrazioni e scossoni continui, polvere, per non parlare del rumore, che all’interno dell’abitacolo era talmente infernale da permettere solo brevi scambi di parole.
Intorno a noi una immensa distesa di erba giallastra, interrotta soltanto dalle forme tondeggianti dei kopje.
Dopo qualche ora abbiamo raggiunto una zona più verde: la presenza di qualche piccola pozza d’acqua faceva sì che il paesaggio cambiasse drasticamente, infatti vicino ai laghetti, in alcuni dei quali si rinfrescavano gli ippopotami, crescevano grandi palme.
Poco lontano abbiamo notato uno strano assembramento di jeep ferme, Cassim allora mediante il ponte radio si e’ informato. C’era un ghepardo!!! Lentamente ci siamo avvicinati agli altri mezzi. Tutti gli occupanti delle jeep guardavo verso un’acacia, ma nonostante aguzzassimo la vista non riuscivamo a vedere il felino.
Dopo circa una mezz’oretta, quando ormai eravamo sfiduciati, il ghepardo ha deciso di mostrarsi a noi in tutta la sua bellezza.
Si è alzato sulle lunghe zampe e lentamente si è spostato, per sistemarsi all’ombra del tronco di una pianta secca.
Pochi istanti, ma intensissimi: prima di accovacciarsi ha rivolto il suo sguardo nella nostra direzione, poi si è lasciato languidamente cadere per proseguire nel suo riposo.
Lungo la via verso il lodge che ci avrebbe ospitato per le successive due notti abbiamo anche incontrato il nostro primo branco di babbuini, molto più numeroso di quanto ci aspettassimo.
Il lodge , il Serengeti Serena Lodge, è apparso ai nostri occhi quasi come un miraggio: dopo tante ore in jeep finalmente un po’ di riposo.
All’ingresso, anche qui, ci e’ stato offerto un buonissimo succo di frutta e un asciugamano caldo per eliminare la polvere dai nostri visi.
Un fattorino ci ha accompagnati al nostro bungalow a forma di capanna Masai .
All’interno la stanza era perfetta e pulitissima e un per noi gradito compagno di stanza ci guardava dal soffitto: un piccolo geco. Una grande vetrata dava sulla sottostante pianura del parco.
Il panorama era talmente bello che ci siamo seduti in silenzio ad ammirarlo. Solo più tardi, in attesa che arrivasse l’orario di cena, siamo andati a rilassarci in piscina.
Prima di cena abbiamo deciso di concederci un aperitivo africano .
Un bel bicchiere di vino bianco sudafricano a testa.
Forse l’atmosfera sarà stata complice, ma a nostro parere è stato il miglior vino bianco della nostra vita.
Per cena ci hanno portato due scodelle di zuppa e poi ci siamo serviti da soli al ricchissimo buffet della zona grill. Prima di andare a letto abbiamo assistito allo spettacolo serale, composto da canti e danze acrobatiche.
La voce delle ragazze che cantavano era da pelle d’oca e il loro modo di ballare era un inno di gioia alla vita.
4° giorno.
Sveglia alle 5 per un game drive all’alba.
Ci siamo addentrati nella savana mentre era ancora tutto buio, con le sole luci dei fanali della jeep a illuminare la stretta strada sterrata.
Percorrendo una pista all’improvviso ci siamo accorti che a fianco del nostro mezzo c’era una grossa iena che correva. Raggiunta una radura ne abbiamo incontrate altre: due femmine ed un cucciolo; abbiamo anche assistito al suo allattamento al termine del quale il piccolo, giocoso e con la pancia piena, si divertiva a cercare di salire sulla schiena della madre.
Poco lontano dalle iene abbiamo visto anche una coppia di “ romantici ” sciacalli: il maschio leccava il capo alla femmina e facevano una gran tenerezza. Nel frattempo le primissime luci iniziavano a rischiarare la savana.
Cassim allora ci ha condotto in un posto ideale per assistere all’alba nel Serengeti.
Il sole sorgeva dall’orizzonte dietro alle piante di acacia, facendo capolino tra i rami e le foglie. Il contrasto del nero delle sagome delle acacie stagliate contro il giallo, rosso, arancione del cielo lasciava senza fiato. Abbiamo fatto un filmato e delle foto sensazionali e poi in silenzio siamo rimasti a contemplare la bellezza e la perfezione della natura .
Tornati al lodge per la colazione abbiamo visto appeso al ramo di un’acacia vicina alle stanze un particolarissimo pipistrello giallo, poi abbiamo fatto la conoscenza di un nutrito gruppo di amichette manguste. In silenzio ci siamo avvicinati a loro, pur tenendoci a debita distanza per non spaventarle, riuscendo così ad assistere per qualche minuto alla loro vita sociale. Comunicano tra loro con una specie di fischio, che sembra quasi un cinguettio, si muovono di continuo e sempre tutte in branco.
Mentre gli esemplari più adulti sembravano essere alla ricerca di qualcosa da mangiare, la loro prole si divertiva a giocare rotolandosi nell’erba del lodge.
Dopo un’abbondante e ottima colazione abbiamo trascorso la restante parte della mattinata del nostro quarto giorno in Africa per intero nella savana. In prossimità di una zona acquitrinosa abbiamo visto un grosso Cobo, detto anche Antilope d’Acqua e più da vicino due imponenti Bufali. Se ne stavano nel bel mezzo della nebbia mattutina e si sentiva il rumore del loro respiro. Ci guardavano ruminando, mentre i loro sbuffi si condensavano in nuvolette. E’ stato un momento intenso: questi animali danno un’idea di forza temibile.
Più tardi abbiamo incontrato un folto gruppo di babbuini oliva: alcuni se ne stavano seduti nel bel mezzo della pista, altri arrampicati sulle piante, saranno stati circa una quarantina di esemplari. A bordo strada era seduto un grosso maschio e vicino a lui sedeva tranquillo un piccolissimo cucciolo, che avrà avuto pochi giorni di vita. La cosa che stupisce di più di questi animali è che il loro sguardo somiglia in maniera davvero innegabile a quello umano.
Mentre le ore passavano, l’aria frizzante della notte e della prima mattina lasciava spazio alla calura del giorno.
Purtroppo quest’ anno la stagione secca nel Serengeti ha anticipato un po’ i tempi e quindi non abbiamo potuto assistere all’incredibile fenomeno della migrazione degli gnu, che si era concluso pochi giorni prima, ma nonostante questo abbiamo visto tantissime varietà di antilopi e gruppi di gnu stanziali.
Una delle specie che ci hanno colpito di più e che abbiamo avuto la fortuna di poter vedere da vicinissimo è lo Tsessebi, detto anche Topi .
In una delle rare occasioni in cui siamo scesi dalla jeep abbiamo visitato una pozza occupata da numerosissimi ippopotami e da un coccodrillo, ma purtroppo l’atmosfera era rovinata da un gruppetto di francesi che sghignazzavano e parlavano a voce davvero troppo alta.
A nostro parere durante un safari la natura va contemplata perchè sono momenti preziosi, che probabilmente non vivremo mai più e poi non ha senso disturbare la vita di questi animali.
Fortunatamente in altre occasioni abbiamo incontrato dei turisti più educati, dei veri viaggiatori, che sanno rispettare i luoghi che hanno la fortuna di visitare e cercano di portare con se’ qualcosa di più di una fotografia o un filmato, qualcosa che rimanga nell’animo: è questo lo spirito con cui abbiamo affrontato questo viaggio. Mediante il ponte radio abbiamo ricevuto la comunicazione, da parte di un collega di Cassim, che nelle vicinanze c’era un leopardo. Raggiunto il luogo indicato abbiamo visto almeno una decina di mezzi uno in fila all’altro, ma in silenzio quasi religioso anche noi siamo riusciti ad ammirare questo felino in tutta la sua affascinante bellezza. Se ne stava steso su un alto e grosso ramo a sonnecchiare. La lunga coda, rivolta verso il basso, si muoveva pian piano, quasi seguisse il ritmo di una danza.
Ogni tanto il felino rivolgeva lo sguardo verso la savana, forse per controllare il suo territorio, poi appoggiava di nuovo la testa sulle sue zampe anteriori e si rimetteva a dormire.
Era un po’ lontano da noi, ma mediante la telecamera e l’obbiettivo dell’apparecchio fotografico abbiamo potuto ammirarlo abbastanza bene.
In quel momento tutti erano coscienti dell’occasione che la fortuna ci aveva concesso: avendo abitudini prevalentemente notturne è un animale molto difficile da vedere! A mezzogiorno ci siamo fermati a consumare il nostro box-lunch presso un centro di abilitazione per i ranger; questa scuola si trova nelle immediate vicinanze di un massiccio kopje ed intorno ad esso hanno costruito una passerella in legno, percorso per i turisti. Spinti dalla curiosità e desiderosi di fare qualche passo a piedi nella savana abbiamo deciso di effettuarlo. Il luogo e’ veramente bello: la vegetazione e’ rigogliosa e ci sono tantissime grandi piante Candelabro, così chiamate perché i rami di questo vegetale, che ricorda un cactus, sono rivolte verso il cielo e lo fanno somigliare proprio ad un candeliere. In mezzo a queste rocce ha trovato riparo un folto gruppo di procavie, buffi roditori talmente abituati alla presenza dell’uomo da accovacciarsi vicino ai nostri piedi mentre mangiavamo. Irene, partita dall’Italia con la speranza di vederne una, era stata accontentata e le guardava con gli occhi di una bambina; ogni tanto senza farsi vedere dai ranger lasciava cadere come per caso qualche piccola briciola del suo panino, per rendere felice la sua nuova amica. Da quel giorno dice che la procavia è l’animale più simpatico del mondo! Nel pomeriggio abbiamo visto tantissimi altri animali: gruppi di impala, di zebre, di gazzelle ,di giraffe, gli stranissimi alcefali dal muso lungo e stretto e due taurotraghi che, spaventati dalla nostra presenza, sono scappati nella boscaglia scalciando e saltando molto in alto ed anche iene e sciacalli solitari.
Immersi nell’erba alta abbiamo visto anche tanti dik-dik: sono talmente piccoli che potrebbero passare quasi inosservati, ma sono veramente animali simpaticissimi: il loro ciuffetto sulla fronte conferisce loro un aspetto buffo.
Il tempo passava e noi eravamo sempre più desiderosi di vedere un leone da vicino. Ci siamo spostati verso nord, al confine con il Seronera Park e lì abbiamo avvistato, vicino ad un albero, la carcassa di una zebra. L’atmosfera era elettrizzante: nei paraggi doveva esserci anche un felino: non abbandonano mai il loro pasto. Mentre scrutavamo nella savana ecco spuntare tra l’erba alta, proprio accanto alla carcassa, la coda di una leonessa che frustava l’aria. Nonostante siamo rimasti lì parecchio, però, la leonessa non accennava ad alzarsi per farsi ammirare e rimaneva nascosta da erba e arbusti. A malincuore, quindi, abbiamo riposto i nostri apparecchi fotografici e siamo tornati al lodge.
Siamo arrivati al campo base all’imbrunire, giusto in tempo per sederci fuori dal nostro bungalow per assistere al tramonto. Il mio amore, a mio malincuore, si è accesa una delle pochissime sigarette che si è fumata in Africa. Ma credo che quella sigaretta abbia avuto per lei un gusto tutto speciale. Così, mentre in mezzo alla vegetazione che circondava il lodge i dik-dik pascolavano e correvano, la notte calava il sipario sulla savana.
Dopo un aperitivo, ancora una volta a base di ottimo vino bianco sudafricano, abbiamo cenato. La cena come sempre era ottima, anche se Irene era disgustata dal fatto che trovassi buono il brodo di montone, del cui arrivo a tavola si era accorta ben prima che il cameriere si avvicinasse a noi, a causa di quello che io considero tuttora un buon profumino, ma che lei trovava essere un odore tutt’altro che gradevole! Più tardi abbiamo raggiunto il bar dove abbiamo potuto assistere allo spettacolo e ai canti delle varie etnie della Tanzania.
Una volta tornati in camera, mentre Irene preparava i suoi bagagli per la trasferta del giorno a venire ed io iniziavo a compilare alcune cartoline, abbiamo udito provenire dall’esterno del nostro bungalow uno strano verso. Un “ uuu-uuu ” che ci incuriosiva. Armato della mia pila sono uscito fuori e Irene, un po’ titubante, ma comunque incuriosita, mi ha seguito. Siamo saliti sul muretto che faceva da ringhiera al nostro balcone e come due esploratori, provando anche una certa inquietudine, abbiamo provato ad illuminare l’erba nei paraggi… Ad un certo punto la luce ha illuminato gli occhi di un animale che si trovava tra una siepe ed il bungalow a noi vicino, facendoli risplendere.
Gli occhi erano giallo-arancione e assolutamente fermi. Ci guardava!! Sì, ci stava guardando!!! La tensione era veramente palpabile .
A quel punto l’animale ha smesso di fare il suo verso…Lì sì che abbiamo iniziato ad avere veramente paura! Piano piano, camminando all’indietro, ma sempre mantenendo quegli occhi illuminati per controllare che l’animale non si muovesse, abbiamo raggiunto la portafinestra scorrevole ed abbiamo pensato saggiamente di tornare in camera.
Al risveglio ci è stato comunicato che si trattava di una iena; era veramente molto vicina a noi la sera precedente e ci siamo resi conto che la curiosità non ci aveva fatto pensare ai rischi che avremmo potuto correre, salendo sul muretto e puntandole una luce senz’altro fastidiosa negli occhi! Una follia, ma una follia che ha reso il nostro viaggio ancora più avventuroso e denso di emozioni.
5° giorno.
Dopo aver appreso a colazione del rischio sventato, abbiamo così caricato sull’ “indistruttibile” Defender i nostri borsoni e a malincuore abbiamo lasciato il parco dei parchi: il Serengeti .
Ci aspettavano circa 250 km di strada sterrata per raggiungere la nostra ultima meta, per quanto riguardava i giorni di safari: il lago Manyara.
Tappa di trasferimento massacrante. Fino a quando la strada lo ha permesso abbiamo chiacchierato, poi entrambi abbiamo cercato di schiacciare un pisolo, ma, in mezzo a tutto quel rumore, tutti quei sobbalzi e tutta quella polvere, era pressoché impossibile.
Quando poi, vinti dalla stanchezza, entrambi ci eravamo quasi abbandonati tra le braccia di Morfeo… un’improvvisa e brusca frenata e l’esclamazione di Cassim: “Leoni!!!” Immediatamente la nostra attentissima guida ha spento la jeep.
Finalmente un branco di sette leoni! Le femmine si trovavano su un lato della strada, mentre sull’altro c’era il maschio con quattro cuccioli già abbastanza cresciuti.
Erano a meno di dieci metri da noi.
Una femmina che stava accucciata si è alzata sulle possenti zampe anteriori ed ha iniziato ad annusare l’aria, un’altra portava un radio collare.
I cuccioli se ne stavano stesi a prendere il sole, mentre il maschio, con la sua folta criniera, volgeva lo sguardo verso la savana .
Stavamo fermi , immobili. Il vento ci faceva da colonna sonora. Eravamo increduli e felicissimi: ormai ci eravamo rassegnati ad aver visto i leoni solo da lontano, invece eccoli, a così poca distanza che ci sembrava perfino di sentire il loro odore.
Nonostante fossimo così vicini a loro, non si allontanarono, quasi fossero lì proprio per farsi immortalare dalle nostre foto camere.
Il loro sguardo penetrante e fiero rimarrà per sempre nella nostra memoria. Sono davvero i re della savana.
Avremmo voluto che quei momenti non finissero mai, ma purtoppo eravamo attesi per pranzo al Lodge… o almeno così avrebbe dovuto essere, secondo programma.
Uso il condizionale perché, raggiunta la salita verso l’Ngorongoro, il nostro quasi indistruttibile Defender ci ha abbandonato! Altro momento avventuroso e imprevisto del nostro viaggio.
Cassim mediante il ponte radio ha chiamato i soccorsi. Il sole quella mattina era veramente cocente, così siamo scesi dalla jeep per respirare meglio e sgranchirci, approfittando dell’occasione per fare anche qualche foto.
Mentre noi chiacchieravamo con Cassim, un pastore Masai, che poco prima si trovava con la sua mandria in fondo alla valle, ci ha raggiunto e si è seduto su di una roccia ad osservarci in silenzio. Da sotto la sua tunica si scorgeva un lungo coltello che non era molto rassicurante, ma si è limitato a rimanere a sorvegliarci per un po’. Avremmo tanto voluto sapere cosa pensava, sarebbe stato bello instaurare un dialogo, ma il problema linguistico e il suo sguardo intenso e piuttosto enigmatico ci hanno fatto pensare che fosse meglio tacere: in fondo a lui non avevamo chiesto nessun permesso per poter entrare in quella che, a ragione, probabilmente considerava la sua terra. Dopo circa un’ora e mezza finalmente la jeep dei soccorsi: dopo aver risolto il disguido in pochi minuti siamo ripartiti, ma non prima di aver ringraziato e lasciato una buona mancia ai nostri meccanici.
A questo punto le sorprese della giornata parevano finite. Invece no ! Arrivati al Lodare Gate, Cassim è sceso dalla jeep per andare a pagare, presso il locale ufficio del turismo, l’uscita dal parco Ngorongoro. Mentre lui pagava dazio noi ci dilettavamo a filmare un grosso babbuino maschio che si faceva spulciare da una femmina.
All’improvviso un giovane maschio, passando dal finestrino del conducente, lasciato aperto da Cassim, è salito all’interno dell’abitacolo della jeep. Irene, sbigottita e anche un po’ spaventata, è scesa immediatamente, lasciando che il babbuino curiosasse pure indisturbato, mentre io preso dal panico e dalla voglia di filmare la scimmia sono rimasto all’interno. L’animale, dal sedile del conducente, è saltato sul sedile al mio fianco, fino a poco prima occupato da Irene e quando ho cercato di spaventarlo, per fare in modo che scendesse, ha rivolto il suo sguardo verso di me e mi ha mostrato i denti in segno di sfida. Con un balzo si è spostato sui sedili posteriori ed allora anch’io sono sceso. Non vi nascondo che inizialmente eravamo abbastanza turbati, ma poi abbiamo sfogato tutta la tensione in una risata fragorosa. Tuttora quando ricordiamo quell’episodio ridiamo come matti! Lungo la strada abbiamo visto tante persone camminare sul bordo della carreggiata con qualsiasi tipo di mercanzia sulla testa, donne che fuori dalle loro semplici case facevano il bucato, bambini vestiti tutti uguali che tornavano da scuola, mercati coloratissimi ed affollati e soprattutto una povertà che fa riflettere, soprattutto perché, nonostante sia davvero terribile, non riesce a togliere il sorriso a queste genti. Il Lake Manyara Serena Lodge, come gli altri lodge della catena Serena che in cui avevamo già alloggiato, era da lasciare senza fiato.
I bungalow dal tetto conico si trovano tutti attorno ad una piscina, ricavata direttamente a filo di una scarpata che domina il sottostante lago Manyara. La posizione straordinaria permetteva di ammirare dall’alto l’incredibile effetto visivo provocato dal colore delle penne delle migliaia di fenicotteri rosa.
Nel pomeriggio come da accordi con Cassim abbiamo visitato il parco. Nonostante sulle guide venga descritto come un riempitivo dei classici tour del nord della Tanzania il lago Manyara ci ha veramente stupiti. Consigliamo vivamente di visitarlo! Qui si respira veramente l’atmosfera della giungla: piante altissime e liane che cadono da esse ci ricordavano l’ambientazione del film Tarzan.
All’interno del parco abbiamo visto un elefante da distanza davvero ravvicinata, un gruppo di babbuini numerosissimo che ha attraversato la strada dinanzi a noi, cercopitechi verdi, gli gnu dalla barba bianca, giraffe, aquile pescatrici, tucani, avvoltoi, pellicani, fenicotteri ed avvicinandoci alle rive del lago un numero veramente infinito di specie di altri uccelli, tra cui il marabù.
Entrambi incantati da così tanta fauna, restavamo in piedi ad ammirare la natura, a contemplare la natura, a respirare la natura.
La luce dai toni caldi del tramonto rendeva poi l’atmosfera ancora più africana .
Purtroppo però, a causa dell’inconveniente capitato nella mattinata alla jeep, la visita del parco è stata più breve del previsto.
Dopo aver cenato presso il ristorante del lodge, mangiando ottima carne ed ascoltando la musica di un gruppo locale, abbiamo trascorso l’ultima serata del nostro safari presso la piscina, poi a letto perchè domani di nuovo ad Arusha e da lì in volo verso l’isola di Zanzibar.
6° giorno.
Lungo il percorso verso Arusha, come avevamo promesso,ci siamo fermati presso il negozio del nostro amico delle banane.
Era quasi incredulo che avessimo mantenuto la promessa data.
Dopo aver visitato il laboratorio di pittura sul retro del negozio abbiamo acquistato un quadro per i nostri amici Andrea ed Elena e, scattate un paio di foto con il nostro negoziante, siamo ripartiti.
Tornati alla base di partenza del nostro viaggio, l’Arusha Coffee Lodge, abbiamo pranzato e poi raggiunto l’aeroporto di Arusha. Lì abbiamo salutato per l’ultima volta il nostro amico Cassim: una persona eccezionale, sempre disponibile e molto professionale, che terremo per sempre nei nostri ricordi.
Il piccolo aeroporto di Arusha non è altro che una serie di baracche in zinco (simili a quelle che si trovano presso le nostre feste paesane). Nell’attesa del nostro volo, scrutavamo al di là della recinzione i velivoli parcheggiati . Piccolissssssimi!! Per non parlare dell’aria piuttosto malconcia che avevano.
Alla chiamata abbiamo raggiunto l’aereo e depositato i bagagli in spazi ricavati all’interno delle ali.
Esternamente pareva abbastanza ok, ma all’interno abbiamo scoperto di essere negli anni settanta.
I sedili, disposti su due file di cinque posti ciascuna, erano veramente vissuti. L’abitacolo come immaginerete era stretto, anzi: strettissimo; io che non sono certo uno spilungone toccavo con la testa il soffitto.
Con noi una famigliola di francesi, lui che fisicamente non era certamente Jonny Stecchino non stava nel sedile, la moglie, visibilmente agitata, continuava a guardarsi intorno quasi cercasse conforto, mentre il figlio che “voleva fare il figo” la prendeva in giro.
Io ed il mio amore invece, forse a causa dell’agitazione, continuavamo a ridere .
Il primo tentativo di avviare il motore andò a vuoto e così anche il secondo, finalmente alla terza volta le eliche iniziarono a roteare, ma lì vi garantisco che era impossibile non iniziare a fare dei brutti pensieri! Il panico si è poi ulteriormente diffuso quando, in piena fase di decollo(?!?), lo sportello da cui eravamo saliti si è chiuso.
Il rumore dei motori era assordante quando ci siamo staccati da terra.
Il panorama sulla savana era veramente stupendo, ma la tensione che mi attanagliava non mi permetteva di godermelo appieno.
Quando poi abbiamo attraversato le nuvole, l’aereo ha iniziato a oscillare a destra e a sinistra, come se non avesse abbastanza forza per restare fermo.
Irene allora, compresa la situazione, ha iniziato a cercare di tranquillizzarmi come se fossi un bambino. Ero terrorizzato!!! Il francesino, che poco prima faceva il furbo, si è quietato ed è diventato bianco come il latte.
Oltrepassate le nubi però l’aereo si è stabilizzato e sono persino riuscito, come da mio solito, ad addormentarmi.
Dopo circa un paio d’ore di volo la savana sottostante è stata sostituita dalle turchesi acque dell’Oceano Indiano. L’arcipelago di Zanzibar dall’alto si presentava ai nostri occhi, composto da tante isolette contornate dalla barriera corallina: uno spettacolo! Atterrati abbiamo sbrigato le nostre faccende doganali e mediante un pulmino, che ci aspettava all’uscita, abbiamo raggiunto il Karafuu Beach Resort.
La città di Stone Town è un miscuglio di influenze indiane, arabe ed africane.
Le strade affollatissime di moto, automobili, carri trainati da buoi, biciclette, tutti che suonano il clacson. A lato della strada case appiccicate l’una all’altra, affollatissimi bazar, negozi di artigianato locale ed ovunque bancarelle.
Il clima ben diverso dall’Africa continentale: un caldo umido che ti si appiccica alla pelle.
All’arrivo al resort siamo stati accolti della nostra corrispondente in loco presso la bellissima hole.
Tutta la struttura è costituita da piccoli villini con il tetto in foglie di palma e, immersa tra baobab e palme, ha sbocco su di un tratto di mare incantevole, dalle incredibili sfumature turchesi.
Dopo aver sistemato il bagaglio in camera siamo andati a rilassarci in spiaggia, nonostante fosse già l’imbrunire.
La battigia si presentava completamente deserta. Ci siamo seduti sugli sdrai di corda intrecciata e tenendoci per mano ascoltavamo la melodia del mare e delle foglie delle palme scosse dal vento.
In quei momenti entrambi ci sentivamo in pace col mondo… 7° giorno.
Come deciso il giorno precedente abbiamo dedicato tutta la giornata al relax in spiaggia.
Dopo cinque giorni di safari, d’altronde, era proprio quello che ci voleva.
Ma perche’ abbiamo scelto Zanzibar ? Principalmente per riposarci, ma anche perchè volevamo completare il nostro viaggio con un bel safari acquatico che avesse come principali protagonisti i delfini.
Per realizzare questo nostro desiderio abbiamo deciso di affidarci ai beach boys.
Allontanandoci dalla porzione di spiaggia di proprietà del resort, onde evitare loro problemi con le guardie, abbiamo espresso il nostro desiderio di visitare all’indomani la baia di Kizimkazi.
Ricordo i divertenti nomi italiani, con cui alcuni componenti di questa allegra agenzia viaggi da spiaggia si sono presentati: Giulio Cesare detto anche l’Imperatore della Tanzania ed il Dottore della Mente .
Sono un gruppo di ragazzi simpaticissimi e dalla battuta sempre pronta. Inizialmente eravamo un po’ titubanti, ma poi ci hanno convinti.
Durante questa simpatica trattativa abbiamo anche fatto conoscenza con una coppia di neo sposini di Prato di nome Silvia e Sauro e abbiamo deciso di dividere con loro le spese dell’escursione.
Il resto della giornata lo abbiamo passato ad ammirare quel bellissimo mare.
Il fenomeno delle maree in questa zona è veramente impressionante: nella fase di bassa marea l’acqua si ritira all’incirca di 500 metri, fino alla barriera corallina ed il resort è provvisto di una passerella che permette di arrivare, durante la bassa marea appunto, a piedi fino al reef.
Ci siamo avventurati su questa passerella alla ricerca di qualche conchiglia (da ammirare, non da portare in Italia !!!) ed Irene, che guarda tutti gli animali con gli occhi di una bimba, si è divertita a giocare con le lumachine di mare, che nel loro cammino lasciavano impressi, nella sabbia fine e bianchissima, i loro percorsi.
Un consiglio: non entrate mai in acqua senza un paio di ciabatte: è pieno di ricci! Tornando in spiaggia abbiamo assistito alla raccolta delle noci di cocco: un ragazzo, munito di una sola corda legata ai piedi, si arrampicava fino alla cima della palma con estrema agilità e mediante un macete faceva cadere le noci mature. Se partecipasse al gioco dell’albero della cuccagna non avrebbe rivali! Il programma del villaggio per la serata prevedeva una cena swahili: naturalmente abbiamo assaggiato un po’ di tutto, ma la pietanza che entrambi abbiamo trovato veramente eccezionale è stato il minestrone di banane.
Il tutto era organizzato all’aperto e, mentre gli ospiti cenavano, un gruppo di percussionisti allietava la serata con la propria musica.
Seduti vicino ad un falò abbiamo assistito anche allo spettacolo delle danze tribali.
8° giorno.
Alle nove del mattino ci siamo incontrati in spiaggia con Sauro e Silvia ed abbiamo raggiunto il vicino villaggio dei beach boys, da cui siamo partiti per la visita alla baia di Kizimkazi.
Ad aspettarci c’era un confortevole pulmino e il nostro amico Dottore della Mente ci ha accompagnato.
Durante il tragitto abbiamo dato un’ulteriore occhiata alla vera Zanzibar. Non quella dei bellissimi villaggi a cinque stelle e ci è parso subito evidente che anche qui la ricchezza non è equamente distribuita.
Raggiunto il porticciolo di Kizimkazi abbiamo ascoltato i consigli del Dottore della Mente e senza dare troppo ascolto ai venditori sulla spiaggia siamo saliti sulla barca che ci aspettava.
Una barca in legno strettissima e molto lunga, simile ad una lancia.
Il timoniere era un ragazzino che avrà avuto circa 15 anni e suo fratello di circa 8 era la nostra guida subacquea.
Il mare purtroppo era un po’ agitato, comunque in circa mezz’oretta abbiamo raggiunto la zona dove i delfini solitamente fanno capolino.
Qui il bambino ha iniziato a fischiare per attirare l’attenzione dei cetacei. Incredibilmente, dopo pochissimi secondi, un gruppo di delfini ha incrociato la prua della barca.
Che emozione!!! In pochi istanti io ed il bambino-guida abbiamo indossato le pinne ed il boccaglio e ci siamo tuffati in acqua.
Sotto di noi c’era un numeroso gruppo di delfini: comunicavano tra loro con il loro tipico “fischio”.
Alcuni mi sono passati veramente vicinissimo ed altri parevano divertiti dalla nostra presenza, tanto da farsi inseguire per poi fermarsi e farsi ammirare.
Con una macchina fotografica subacquea usa e getta sono anche riuscito a scattare qualche foto.
Purtroppo Irene e Sauro non hanno partecipato allo snorkeling in mezzo ai delfini a causa di un fastidioso mal di mare.
Silvia invece, visto il mio entusiasmo nel descrivere cosa si vedeva sotto alla barca, si è tuffata e quando siamo risaliti sull’imbarcazione ha detto a tutti che aveva vissuto una delle più belle esperienze della sua vita.
Effettivamente i delfini sono animali davvero affascinante: nei loro occhi impossibili da dimenticare c’è qualcosa di estremamente intelligente e anche un po’ misterioso.
Nel corso dell’ escursione abbiamo avuto anche la possibilità di fare snorkeling in un tratto del reef molto bello, popolato da tantissime enormi spugne, pesci pagliaccio e stelle marine coloratissime.
Purtroppo il tempo scorreva velocissimo e dopo qualche ora siamo tornati alla spiaggia da cui eravamo partiti. Qui siamo scesi dalla barca ed abbiamo raggiunto il bagnasciuga.
Abbiamo salutato i nostri accompagnatori ed ho regalato al bambino tutto il mio occorrente per lo snorkeling ed una maglietta che indossavo.
I suoi occhi si sono riempiti di gioia, mi ha stretto allegramente la mano e mi ha ringraziato, trasmettendomi tutta la sua felicità. Pochi istanti … uno scorrere di secondi … che tuttavia non potrò mai dimenticare.
Tornati al resort abbiamo fatto una romantica passeggiata sulla sabbia bianchissima .
Allontanandoci un po’ dal villaggio abbiamo scattato delle bellissime foto in un tratto di spiaggia completamente deserto.
L’unica traccia di presenza umana erano le orme lasciate dai nostri piedi dietro di noi.
All’orizzonte l’azzurro del cielo si fondeva con quello del mare diventando un tutt’uno.
Un luogo incantevole, quasi paradisiaco.
Una giornata da incorniciare, terminata con una deliziosa cena italiana. 9° giorno.
Ultimo giorno a Zanzibar. Oggi si torna in Italia.
Le poche ore rimasteci le abbiamo passate tra spiaggia e piscina.
Non ricordo molto di quella mattinata, forse perchè ero troppo assorto nei miei pensieri africani.
Raccolti i nostri bagagli alle ore 15 abbiamo lasciato il Karafuu ed abbiamo raggiunto l’aeroporto di Stone Town. Un lungo viaggio di ritorno ci aspettava: da Zanzibar a Dar Er Salam, da Dar Er Salam ad Amsterdam e da Amsterdam a Milano.
C’era veramente poca voglia di parlare. Eravamo arrivati alla fine del nostra vacanza.
Decollando da Zanzibar la grande Madre Africa ha deciso di salutarci con quella che io considero la sua massima espressione di romanticismo: il tramonto.
Un tramonto di fuoco che tutt’ora, quando ci ripensiamo, riscalda i nostri cuori .
Un degno finale per un’esperienza, un’avventura, un sogno che noi amiamo definire il nostro sogno africano.
Il nostro racconto volge al termine e vi confidiamo che solo ora ci rendiamo conto che lo abbiamo vissuto veramente. Per noi il continente africano è stata una rivelazione.
Una terra piena di contraddizioni, ma capace di stupire con la sua straordinaria bellezza. Una natura incontaminata e un popolo dal quale abbiamo molto da imparare.
Torniamo a casa con la consapevolezza che non abbiamo scelto noi di visitare l’Africa, ma è lei che ha voluto noi…Ed ora che siamo a casa portiamo in noi la consapevolezza che un giorno…Torneremo nella terra dei Masai.
Vi lasciamo con una frase che abbiamo scritto su tutte le cartoline che abbiamo spedito dalla Tanzania : “ Luoghi che rimarranno per sempre impressi nella nostra memoria , un’esperienza che ci resterà per sempre nel cuore , questa è l’ Africa . ” Dominique e Irene.
P.S. Solo un consiglio se ancora ce ne fosse bisogno. Se amate veramente la natura non rinunciate all’esperienza del safari e non dedicategli un solo giorno! Se Mamma Africa vi chiama… andate… Non ve ne pentirete ! Il Mal d’Africa esiste … e non è curabile.