Da Shanghai a Beijing, lungo la via dei giardini
Agosto-Settembre 1995: Arriviamo a SHANGHAI dopo circa 12 ore di volo da Munich (D), abbiamo dovuto fare uno scalo tecnico a Beijing dove ci hanno fatti scendere a terra e letteralmente chiusi in una sala d’aspetto dell’aereoporto guardati a vista da poliziotti, quasi fossimo soggetti molto pericolosi. La cosa ci turba un po’, l’aria di libertà in Cina è molto apparente, nella sostanza il Governo controlla tutto e tutti. Ma torniamo a Shanghai. L’impatto con la città è scioccante. Le strade sono affollatissime, rumore ovunque, code di macchine ferme ai semafori, grattacieli che svettano da ogni lato. Ci aspettavamo una Shanghai più tradizionale, ma a quanto pare la modernità fa ormai parte della Cina odierna. Il lungofiume (il Bund) mantiene ancora il suo fascino, ma già si avverte che il progresso sta per deturpare anche questo bel paesaggio (amici che si sono recati a Shanghai la scorsa estate mi hanno detto che sull’altra riva sono sorti altri spettacolari mega grattacieli). Qualche ora di riposo e partiamo alla scoperta del “Tempio del Buddha di Giada”. Attraversando la caotica città ci dirigiamo in un quartiere meno centrale, le abitazioni sono un po’ vecchie e talvolta diroccate. Passando attraverso un’apertura circolare ci ritroviamo in un cortile su cui si affacciano antiche costruzioni in legno laccato rosso e pietra, i tetti spioventi con le punte in sù sono rivestiti di tegole scure. Appese al tetto ci sono lampade cinesi in carta di riso con disegni floreali. Entriamo nel tempio, passando dalla luce abbagliante dell’esterno alla penombra, abbiamo la sensazione di non vedere più nulla ma la ricchezza di decorazioni dorate, le tende di seta rossa con ricami turchesi, rosa, bianchi, il profumo dell’incenso, ben presto colpiscono tutti i nostri sensi. Sull’altare sotto il grande buddha di giada sono accesi dei ceri rossi con scritte dorate e molte sono le offerte votive (un’anguria, delle mele verdi…). Sulla via del ritorno, un simpatico “quadro” di vita quotidiana “scatena” l’obiettivo delle nostre macchine fotografiche: sopra un camion carico di scatoloni di birra (Beck’s!!!) fermo in fila davanti al nostro pullman, dormono beatamente dei giovani cinesi. Distesi sugli scatoloni, chi con un braccio che pende, chi con la gamba piegata, dormono incuranti dei rumori e dello smog…Devono essere stanchissimi!! L’indomani ci rechiamo nel centro storico di Shanghai, l’unico spaccato della città antica che ancora sopravvive nella modernissima metropoli. Attorno e sopra un grande lago, dall’acqua verde come un prato ed invaso da ninfee che galleggiano placidamente, si snoda questo quartiere mantenutosi intatto nel tempo. Ci guardiamo intorno: stradine tortuose, case in legno laccato, lanterne rosse, ponticelli di pietra che collegano i vari edifici…Finalmente la Cina che ci aspettavamo…Ma, cosa vediamo? Dragoni in bronzo alti due metri, campeggiano minacciosi davanti agli immancabili negozi per turisti che hanno invaso anche quest’angolo di città, negozi di sete, gioielli e l’onnipresente punto vendita di una multinazionale (la Adidas) che deturpa con una scritta gigante il delizioso quartiere. La Cina è fatta così, una terra di profondi contrasti, il vecchio ed il nuovo che coesistono senza troppi problemi. Sospiriamo e proseguiamo il nostro giro visitando il “Giardino del Mandarino Yu”. Praticamente si tratta quasi di una casa galleggiante, immersa in una fitta vegetazione, tra alberi, salici, ponticelli strettissimi in legno e pietra e magnifiche rocce bianche inserite, dal mandarino, allo scopo di creare vere e proprie sculture naturali. Ci sono molti scorci idilliaci, pagode che spuntano tra il verde del lago ed il verde degli alberi che quasi si confondono a creare un’unica macchia di colore. La sensazione è quella di una quiete profonda, di un’immersione totale nella natura e nel silenzio… sembra quasi di essere in un giardino zen (anche se lì il principio fondamentale è il vuoto). La sera passeggiamo per le strade della città, Shanghai è un tripudio di luci. Poi decidiamo di vedere uno spettacolo del circo cinese al Ceum Theatre. A differenza dei circhi occidentali, quelli cinesi non hanno animali in cattività, per cui gli spettacoli si svolgono in veri e propri teatri. Il pubblico cinese è molto rumoroso, anche se la musica dei numeri acrobatici copre in parte il brusio. Ci sono molti bambini, non solo come spettatori ma anche come atleti del circo. Sembra strano che bambini così piccoli debbano allenarsi molte ore al giorno per provare i numeri, forse sarebbe meglio lasciarli a giocare…
Partiamo alla volta di SUZHOU detta “la Venezia d’oriente”, proseguendo la “via dei giardini” che è il filo conduttore del nostro viaggio. Il “Giardino dell’Amministratore Umile” è il fiore all’occhiello della piccola città. Anche qui una casa costruita su un lago. Ma la bellezza del luogo è senza eguali. Le strade sono fatte con piccoli pezzi di pietra bianchi e neri, che formano un disegno a scacchiera, un fiume verde giada scorre sotto minuscoli ponti, c’è il prato all’inglese e la vegetazione è rigogliosissima, grazie anche al tasso di umidità che è davvero elevatissimo (sarà all’incirca del 90%). Sudiamo e l’aria sembra quasi irrespirabile, l’umidità penetra nelle ossa, la possiamo respirare, ma il posto è così bello che non ci facciamo più caso. In un grande cortile immerso nel verde, ci sono tavolini e sgabelli in pietra e strane colonnine con animali di ceramica smaltata. Mi informo, chiedo cosa sono. “Sputacchiere” mi dicono. Sì, proprio così, in Cina si usavano e si usano ancora adesso le “sputacchiere”, che però hanno forme decisamente simpatiche, ranocchia e draghetto smaltati con la bocca aperta, panda con accanto un pezzo di bambù (in ceramica ovviamente!) forato, che assolve al gradito compito. Comunque il giardino dell’umile servitore di “umile” ha molto poco!! Alcune parti del lago poi, sono letteralmente infestate dalle ninfee, bellissime, giganti, di un delicatissimo color rosa confetto.
Lasciamo a malincuore questo tripudio di natura per visitare una fabbrica di seta. Ci spiegano come si ricava il filo di seta dal baco. Il lavoro è molto duro e viene svolto dalle donne, che praticamente stanno (per almeno otto ore al giorno) con le mani immerse nell’acqua molto calda, per svolgere il filo dai bozzoli del baco da seta. L’ambiente di lavoro sembra abbastanza malsano, ovviamente l’umidità è pazzesca e loro sono tutte lì in piedi, in fila nella semioscurità, dentro un capannone, per diverse ore al giorno. Ci dicono che guadagnano qualcosa come un dollaro al giorno…Pazzesco. Penso al lavoro sottopagato che si nasconde sotto ogni scampolo di seta…
Secondo giorno a Suzhou, oggi tocca al “Giardino del Maestro delle Reti”.
Qui la guida ci insegna anche i movimenti basilari del massaggio cinese per la vista, sono movimenti circolari attorno agli occhi, sul naso, sulle tempie. Anche questo giardino è splendido, ricco di vegetazione tropicale. Ci sono molti turisti cinesi, delle bambine bellissime (che bevono…Pepsi!) che indossano gambaletti bianchi e portano i capelli raccolti in deliziose codine fatte con nastri rossi. Visitiamo anche l’interno di alcune stanze della casa del Maestro delle Reti, ci sono mobili di ebano, lanterne in legno e carta di riso, lunghi rotoli di seta appesi alle pareti, dipinti con alberi. Ci offrono anche dell’ottimo thè verde, in bicchieri di vetro. Il thè verde è versato sfuso nel bicchiere, poi si aggiunge acqua bollente e si aspetta che sedimenti sul fondo prima di berlo. Visitiamo la Pagoda del Tempio del Nord. Nel pomeriggio assistiamo ad una sfilata di moda in una fabbrica di seta. Le indossatrici sono ragazze alte e slanciate dai visi dolci, un po’ impacciate mentre sfilano con castigatissimi abiti da sera di seta colorata, sventolando impalpabili scialli. I disegni sulla seta vengono ancora fatti a mano, o meglio, si usano dei timbri giganti immersi nel colore che poi si pressano sulla stoffa per riprodurre il disegno che vi è impresso. Partiamo in direzione di HANGZHOU, dove visitiamo subito la “Pagoda delle 6 armonie” (alta 8 piani più la base) che svetta tra alberi e cespugli. Nel cortile si svolge una piccola cerimonia con uomini vestiti di giallo e rosso che portano un baldacchino pieno di decorazioni con dentro una donna riccamente abbigliata, ma ben presto scopriamo che è tutta una messa in scena per turisti (anche cinesi) che possono indossare gli abiti tipici e fare un giro in portantina! Preferisco qualcosa di meno teatrale e mi metto a contrattare per l’acquisto di un libro di “carving” dedicato all’arte di intagliare frutta e verdura, di cui i cinesi ed i thailandesi sono dei veri e propri artisti. Le spiegazioni del libro sono in cinese, ma non mancano le foto e così lo compro nella speranza di capire ugualmente come si fa a dare forma artistica ad un’ insignificante carota! Facciamo un giretto per Hangzhou, anche qui c’è un bellissimo lago con pagode, ninfee, alberi di mele verdi in formato bonsai, sull’acqua praticamente immobile scorre dolcemente un’imbarcazione tradizionale (una sorta di canoa) che trasporta un grosso retino da pesca. Sull’imbarcazione una donna indossa un tipico cappello di paglia e cerca di nascondersi al nostro occhio un po’ indiscreto. Andiamo a visitare una piantagione di thè. Le piante di “camelia sinensis” sono alte e verdissime disposte fittamente, assistiamo “in diretta” all’essiccazione del thè che avviene in un grosso recipiente caldo in cui vengono messe le foglioline, che poi sono mescolate continuamente a mano (come faranno a non bruciarsi le mani per il calore..?!!) per evitare che si tostino troppo. Ad Hangzhou scopriamo l’esistenza di un bellissimo complesso di templi indiani, miracolosamente salvato dalla distruzione della rivoluzione culturale maoista. La guida ci spiega che la popolazione locale ha detto ai militari che i templi stavano per crollare e così sono stati risparmiati. Sono bellissimi!! Scavati nella roccia grigia ci sono buddha panciuti, divinità hindù, storie scolpite nella pietra. Entriamo negli anfratti e nelle grotte in cui sono quasi nascosti diversi buddha di pietra seduti in varie posizioni, ci sono anche delle scale di roccia. Infine, ricavati nella pietra color giallo rosa ne troviamo decine e decine…Piccoli e grandi buddha, monaci e figure cinesi, testimonianza di un passato sfuggito alla devastazione. Lasciamo Hangzhou con la sensazione di aver visto qualcosa di unico, meraviglioso che ricorderemo per sempre. Finalmente giungiamo a BEIJING, metropoli in continua crescita ed espansione. Il nostro albergo è un po’ lontano dal centro, ma ci sono vari modi per raggiungerlo…Ci sono gli autobus…Ma vai a capire le fermate dette in cinese..Meglio i piccoli furgoncini gialli (una sorta di taxi a buon prezzo, per diverse persone) piuttosto malandati e praticamente privi di ammortizzatori, ottimi per girare in città…L’importante è avere una cartina bilingue cinese/inglese per indicare al tassista dove si vuole andare. In Cina infatti (a quell’epoca era così adesso non saprei) la conoscenza dell’inglese è molto ridotta, anzi minima, così se ci si vuole muovere da soli è importante aver scritto in cinese (mandarino, credo) dove si è deciso di andare. Prima tappa assolutamente obbligata Piazza Tian’Anmen. E’ enorme anzi immensa, pavimentata con grandi lastre di pietra bianca. Ci sono alcune fontane, grandissime lanterne e tante bandiere cinesi, ma ciò che attira l’attenzione è l’enorme ritratto di Mao.
Entriamo nella “Città Proibita” (Forbidden City) è davvero vastissima e quasi impossibile visitarla tutta, ci sono centinaia di cortili ed edifici…È proprio come la si vede nel film “L’ultimo Imperatore” di Bertolucci, magnifici edifici dai tetti arancioni un po’ scoloriti e le pareti esterne rosse, con scale e dragoni in pietra bianchissima. Alcune costruzioni hanno anche decorazioni dorate sui tetti e disegni azzurri sul bordo finale dei muri, proprio sotto i tetti spioventi. L’atmosfera è magica e nonostante i moltissimi turisti, data la vastità del complesso, ci sono degli angoli in cui ci si ritrova praticamente soli. Degli arredi interni è rimasto poco, nella sala del trono tutto è rosso e dorato, apprendiamo che solamente l’imperatore poteva indossare il colore giallo per i suoi fastosi abiti. Usciti dalla Città ci aspetta un’altra tappa obbligata: il bellissimo “Tempio del Cielo”. Di forma circolare vi si accede tramite una scala in pietra bianca con decorazioni e lanterne di legno rosso. Il tempio in sé non è grandissimo, ma delizioso con il suo tetto blu cielo e le decorazioni dorate che ricordano le stelle. E’ tutto di legno laccato rosso con disegni dorati, verde smeraldo e blu.
Da Beijing partiamo per un’escursione alla “Grande Muraglia”, vi è un tratto non troppo distante dalla città (circa 60 km) che si può “scalare” facilmente. In poco tempo il paesaggio cambia radicalmente: passiamo dal caos di Beijing alla tranquillità delle montagne ricoperte da una fitta vegetazione. La Muraglia è , a quanto dicono, l’unica opera umana visibile dalla luna ed è lunga circa 6000 km. La guida ci spiega che possiamo scegliere di “scalare” il versante più ripido e difficoltoso, ma meno affollato, o l’altro più facile ma decisamente intasato da decine di turisti. Scegliamo la scalata più difficile. La strada lastricata di pietre sembra inizialmente poco ripida e man mano che saliamo il paesaggio diventa magnifico. Il cielo coperto di nubi forma un ‘aurea grigia sui monti e sulle colline circostanti, la natura appare selvaggia, aspra.. Più saliamo più la strada però si fa ripida, ci sono dei corrimano di ferro a cui appoggiarsi per non scivolare, i gradini di pietra si fanno strettissimi, lisci ed inclinati. Arriviamo fino alla prima torre, la fatica si fa sentire, l’aria è fresca e rarefatta, alla fine decidiamo di incamminarci sulla via del ritorno. La discesa si rivela più difficoltosa della salita! Ma l’esperienza è unica, lascia un senso di “grandezza”, quasi fossimo gli unici dopo gli antichi cinesi ad aver scalato queste mura! Una sensazione bellissima. Ma prima di tornare in città contratto (in Cina è d’obbligo!) il prezzo di uno stranissimo copriletto patchwork di stoffa coloratissima, con animaletti cinesi in rilievo (un drago, un panda…) lo trovo molto carino ed alla fine lo compro per circa 20 mila lire. Tornati a Beijing abbiamo poi l’occasione di visitare le Tombe dei Ming. Il nostro albergo è una sorta di centro per congressi, con vari ristoranti, negozi. Decidiamo di fare un’incursione al primo piano dove sono esposte le “specialità gastronomiche della casa” di uno dei tanti ristoranti. Messi in acquari senza acqua ci sono alcuni serpenti (prezzo a serpente 58 yuan), delle tartarughe, ma anche dei più tradizionali pesci rossi!. Incapaci di apprezzare tali prelibatezze, optiamo per la cucina Sechuan…Piccantissima. Ordiniamo una carpa ed una pietanza di riso e pollo. Improvvisamente spunta la cameriera con un retino in mano, c’è dentro la carpa..Viva! Il povero pesce si agita mentre noi incerti guardiamo la ragazza, poi capiamo che è usanza che si faccia vedere che il prodotto è fresco prima che esso venga cucinato. Un brivido ci scorre lungo la schiena, pensando che forse potrebbe arrivare vivo anche il pollo! Nulla di tutto questo, per fortuna. Il cibo è ottimo ma “bollente” nel senso di piccantissimo e dobbiamo scolarci acqua e thè a litri per spegnere il fuoco! Continuando a parlare di cibo (un proverbio cinese dice che in Cina si mangia tutto ciò che cammina, tutto ciò che vola, e tutto ciò che nuota nell’acqua…Praticamente si mangia di tutto!!!) come non assaggiare la famosa “anatra laccata” o anatra alla pechinese? La tappa d’obbligo è il famoso ristorante Quan Jiu de. E’ conosciuto in tutta la città.Decine e decine di anatre laccate appese ad essiccare fanno bella mostra di sé in una lunga vetrina. L’anatra è praticamente “laccata” con un misto di salsa di soia, miele ed erbe aromatiche, poi cotta in forno fino a che la pelle diventi croccante. Il cameriere arriva con un carrello fino al nostro tavolo, c’è sopra un grossa anatra che abilmente viene tagliata in pochi minuti, separando la carne dalla pelle croccante. Ogni commensale immerge i pezzetti di anatra in salsa hoisin, assieme a pezzetti di cipollotto, poi li poggia su una sorta di crepe che va infine avvolta e mangiata. Davvero ottima. Finita l’anatra ci portano delle ciotole con un liquido incolore con gocce di grasso che galleggiano… assaggiamo, è il brodo fatto con l’anatra di cui non si butta via nulla. Ma la cucina cinese è ricca e varia, durante il mio soggiorno non ho mai ceduto alla tentazione di mangiare all’italiana o all’occidentale. Ricordo ancora con nostalgia i magnifici ravioli al vapore ripieni di carne di maiale e cipolla, gli spaghetti fritti con verdure, e gli strani panini-ravioli bianchissimi e senza sale, ripieni di carne. Abbiamo provato le uova “marmorizzate”, il cui aspetto è dovuto alla cottura in salsa di soia ed anice stellato. Una signora di Hong Kong osservandoci al ristorante ci ha spiegato gentilmente come mangiarle accompagnate da una strana salsina. Si trovava in Cina per la conferenza mondiale delle donne (a cui ha partecipato anche Hillary Clinton, allora first lady) e mi ha regalato dei libri sulla Cina. In un centro commerciale ho trovato anche la biografia in inglese, dell’Ultimo Imperatore cinese Aisin Gioro Pu Yi, dal titolo significativo “From Emperor to Citizen” (“da Imperatore a Cittadino”) in cui narra la sua singolarissima vita dai fasti della corte imperiale alla vita da giardiniere. Il senso del libro è che comunque questo importante cambiamento storico è stato positivo.
La Cina è famosa per i suoi panda, vorremmo vederli ma come arrivare fino alle montagne? Optiamo per una visita allo zoo della città. I panda ci sono, ma si trovano dentro una sorta di serra climatizzata (dove non si può, ovviamente, entrare) in cui dovrebbe essere riprodotto il loro habitat naturale. Li guardiamo e ci sembrano un po’ tristi ed apatici, chiusi in quella serra, lontani chilometri e chilometri dalle loro foreste di montagna. Ci soffermiamo ancora un po’ a guardarli poi proseguiamo il nostro giro per lo zoo. Il caldo è pazzesco, il sole picchia forte, praticamente tutti gli animali si trovano in condizioni disastrose. Sono chiusi in gabbie piccolissime rispetto alle loro necessità, con una ciotola riempita a metà d’acqua, sono così stremati dal caldo e dal sole che stanno sdraiati privi di forze. Ci fanno una pena immensa. Intanto lo zoo è piuttosto affollato ma di occidentali ci siamo solo noi o quasi, gli altri sono cinesi o taiwanesi. Ci sono alcune mamme con carrozzine in bambù che somigliano piuttosto a carrelli del supermercato! Ci fermiamo a mangiare un ghiacciolo a forma di spicchio d’anguria, con pastiglie di cioccolato ad inmitarne i semi, ma il luogo è veramente triste, vorremmo andarcene ma…Non ci posso credere…Ci siamo persi! Non esistono cartine dello zoo, le scritte sono tutte in cinese e ci sembra di esser chiusi in un labirinto infernale! Dopo vari tentativi di “fuga” ed una foto ricordo richiestaci da turisti orientali che non avevano mai visto dal vivo degli occidentali, ormai privi di speranze giochiamo l’ultima carta! In albergo avevo notato l’ideogramma che indicava l’uscita di sicurezza, vedo un chiosco di bibite con due signore e mi lancio all’attacco. Provo a chiedere informazioni in inglese, ma nulla da fare.. Non capiscono, non mi scoraggio..Vedo carta e penna, chiedo il permesso di usarli (a gesti, of course!) e cerco di tracciare come meglio posso il famigerato ideogramma. Le donne scoppiano in risolini, coprendosi la bocca con le mani, si guardano tra di loro, hanno capito perfettamente quello che ho scritto e sono stupite dal fatto che io conosca gli ideogrammi (…Magari…Fosse vero! conosco solo quello!!!) cominciano a parlare in cinese, ma con i gesti ci indicano la direzione verso l’uscita. Le ringraziamo con un cenno del capo e sorrisi di gratitudine, seguiamo la strada e..Cavolo! siamo davvero arrivati all’uscita!! A quanto pare ci è andata bene anche stavolta! Prima di ripartire per l’Italia facciamo un giro nel quartiere degli antiquari, con edifici antichi in pietra scura e legno, molto caratteristici. E’ un quartiere poco battuto dal turismo e notiamo molta decadenza. Una delle ultime tappe è al “Tempio di Confucio” dove assistiamo ad un concerto con strumenti musicali tipici cinesi. Visitiamo infine il “Palazzo d’estate”, residenza estiva (magnifica) dell’imperatore, accordandoci con un tassista per l’andata ed il ritorno (è un po’ fuori città, il prezzo è di circa 30 mila lire per quattro persone).Il palazzo è un’apoteosi di lusso e vegetazione, con ponti in pietra sull’acqua verde ed annesso lago con splendide ninfee color rosa-avorio. Mentre passeggiamo veniamo attirati dal suono di uccellini, ma scopriamo che si tratta di un vecchietto che li imita alla perfezione fischiando, mentre dipinge con colori simili ad acquarelli delle lunghe strisce di carta. Guardo nel suo taccuino e ci sono varie frasi in cinese con la traduzione in inglese. Lui, vedendomi incerta mi indica con il dito “Buon viaggio di ritorno a casa”, vorrebbe scrivermi quella, io lo lascio fare e l’abilissimo vecchietto la dipinge in pochi istanti sulla carta, insieme a canne di bambù che si muovono al vento e piccoli uccellini che si guardano. Mi piacerebbe restare ancora un po’, ma siamo arrivati alla fine del nostro viaggio.. Dobbiamo partire. “Buon viaggio di ritorno a casa”, questa frase riecheggia nella mia mente…Un augurio che mi è rimasto impresso nel cuore.