Da Miami a Key West con bambini al seguito
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Gli Stati Uniti, se devo esser sincera, non mi hanno mai attirata. O meglio, sono sempre stata molto combattuta tra i tantissimi parchi e le riserve che vorrei vedere e la paura che mi fa un paese dove le armi sono così diffuse. Poi ho guardato troppi film e telefilm. Per me dire USA vuol dire stragi proprio nel cinema dove vado io, terroristi a Los Angeles inseguiti da figaccioni dell’NCIS, donne stuprate comunque-ovunque-quantunque e sul cui caso investiga Palla-di-lardo, serial killer che cercano proprio me, rapinatori che rapinano proprio il dehli dove vado io.
Erano anni che avevamo in ballo questo viaggio senza mai trovare: 1) Il coraggio di prenotare 2) La voglia di fare la domanda per l’ESTA visto che l’ultima volta che dal Canada siamo entrati negli USA non ci hanno staccato l’ESTA e risultavamo da allora nel paese illegalmente. Abbiamo dovuto raccogliere tutte le “prove” (tipo che nel frattempo ho partorito un figlio in Italia, abbiamo un mutuo, percepiamo due stipendi…) che non siamo là illegalmente a spadellare hambuger nel retro di un cencioso fast-food nei sobborghi di Ditroit, spedire il tutto e poi prenotare il volo e partire, come si suol dire, alla “spera in Dio”, visto che non si degnano di dirti se la pratica è andata a buon fine o meno e lo scoprirai solo all’Immigration… se è andata bene entri, sennò ti mettono sul primo aereo che torna senza tanti complimenti.
La prima cosa che ho fatto è stata appunto prenotare l’aereo. Ho aspettato quasi 6 mesi che saltasse fuori un’offerta dignitosa e alla fine ce l’ho fatta: 2500 euro in 4. Che è buonissimo se pensate che siamo in altisssssssima stagione! Poi la macchina. Io avrei preso un macchinino (macinino), ma Riccardo ha preferito una macchina un pochino più grande perché dice che là sono tutte enormi e non puoi andare in giro con una macchina che gli altri nemmeno vedono e calcolano! Secondo me la realtà è che i maschi hanno un po’ tutti, in fondo-in fondo… anche quelli che non sembra (o lo nascondono bene), la fissa per la macchina grossa. Alla fine abbiamo preso una Jeep alla modica cifra di 1550 dollari. E poi ho prenotato solo gli alberghi di Miami e di Key West. Per il resto del viaggio dormiremo in motel lungo la strada, senza prenotare nulla… i motel dovrebbero pullare in America… Dai… sono quelli dove non c’è modo di passare una notte tranquilla perché o ti becchi un serial killer, o una retata della DEA, o un pazzo che spara a caso (sempre perché guardo decisamente troppa TV… dovrei smetterla… anche perché ho sempre desiderato poter dire “ah sai… non ho idea di cosa parli perché noi non abbiamo la televisione”… fa DAVVERO Radical Chic / Milano Dabbene)
L’itinerario è abbastanza chiamato. Faremo una scorpacciata di parchi e natura!
1) Miami 2) Higher Keys 3) Middle Keys 4) Lower Keys e Key West 5) Everglades 6) Tamiami Trail e Shark Valley 7) Marco’s Island e Naples 8) Fort Lauderdale 9) West Palm Beach
Mia e Zeno hanno fatto le prime prove col loro inglese, hanno visto luoghi completamente diversi da quelli visti fino a ora, animali liberi nel loro habitat naturale e provato l’ebbrezza dello shopping americano!
Partiamo!
FLORIDA – PARTE 2 – MIAMI
Nonostante il volo sia diretto, ci asciuga. Arriviamo talmente stanchi che impariamo subito a nostre spese (carissime per altro) una lezione che non dimenticheremo mai più e che condivido subito nella speranza che altri, parimenti rinco******** all’arrivo, non commettano il nostro stesso errore. In aeroporto c’era da ritirare la macchina, che avevamo già scelto e pagato con carta di credito dall’Italia. È andato Ric a fare le pratiche mentre io tenevo d’occhio bimbi e bagagli. Oddio, come si vede nella foto… non è che ci fosse il rischio che corressero di qua e di là per l’aeroporto e li perdessi di vista…
La tipa alla reception s’è messa a bofonchiare di assicurazioni indispensabili, obbligatorie addirittura, pass per l’autostrada, isomma, alla fine siamo usciti alleggeriti di quasi 1000 dollari per poi scoprire, leggendo il giorno dopo con calma tutte le clausoline in inglese del contratto e non rincoglioniti dal sonno e dalla stanchezza che ci aveva rifilato 1000 dollari di FUFFA assolutamente non obbligatoria. Insomma, sappiate che una macchina prenotata online ha TUTTE le spese obbligatorie comprese, altrimenti non ti fanno nemmeno concludere l’operazione. Poi al ritiro si possono aggiungere altre cose, ma se vi dicono che sono obbligatorie o cmq caldamente consigliate, considerate che sono, appunto, solo consigliate. Anche se vi mettono l’ansia che se poi fate un incidente sono guai… tutto quel che serviva davvero l’avete già pagato (perché non sono mica scemi che danno in mano la macchina a uno se non sono sicuri di non smenarci in nessun caso!) Questa cosa ha tolto il sonno a Ric per i primi 3 giorni di viaggio, anche perché al secondo prelievo si è smagnetizzato il mio bancomat, la carta di credito era praticamente piena a causa dei soldi che ti blocca il noleggio della macchina e quindi gli è salito uno stress notevole. Devo dire che io ho la grandissima fortuna di stressarmi per le cazzate e invece diventare moooooooolto zen quando i guai si fanno seri. In questo ci compensiamo molto. Tant’è, ma che dovevamo fare?! Dico, eravamo in vacanza! VA-CAN-ZA!!! 1) Se non bastano i soldi, spenderemo meno, alla peggio ci faremo qualche notte a dormire in macchina (tanto è enorme!) 2) Possiamo sempre farci spedire qualche soldo dai nostri genitori via Western Union (e restituirli al rientro in Italia) e campare con quelli fino allo sbocco del mese successivo della carta.
Scrivo subito che la PRIMA cosa che abbiamo fatto al rientro in Italia è stato farmi una carta di credito così ne usiamo una per voli e macchina e l’altra per la vacanza… perché i bancomat all’estero non sono affidabili!
Detto ciò… il fighissimo albergo a Miami, pagato tanto su Groupon (USA) per non rischiare di finire in un covo di spacciatori portoricani, alla fine non era poi così figo. Anzi, è stato abbastanza una delusione. Si spaccia per una SPA solo perché ha una vasca comune con l’idromassaggio nel centro della hall… ma sarà grossa come un catino per i panni.
Amareggiati non tanto dall’albergo (che cmq era più che dignitoso), quanto dal costo, partiamo alla scoperta di Miami, che da scoprire ha ben poco, almeno a livello architettonico. E dire che io ci volevo fare 3-4 giorni. Meno male che Ric mi ha ridimensionato sentenziando “negli Stati Uniti, a parte qualche rarissima eccezione, non ci sono città che valga la pena di visitare per più di mezza giornata”. E aveva ragione!
(Le eccezioni sono NY, San Francisco, Saint Louis, Boston, Chicago e Washington… sempre secondo Ric, che da baby-single vide un po’ di ammmerica)
Chi ci è stato molto recentemente, mi dice che la città è molto cambiata e adesso è quasi bella. Mah… fidiamoci.
Il primo giorno ci svegliamo prestissimo e per sfruttare al massimo il jet lag usciamo subito e puntiamo al monastero spagnolo. Wrooooong! Chiuso. Allora andiamo all’Oleta State Park, un isolotto di mangrovie piuttosto interessante. Quello che ci colpisce subito di Miami è che ci sono molte zone protette e la gente le sfrutta moltissimo per passare il proprio tempo all’aperto, spesso e volentieri facendo sport. Poi, visto che il tempo tiene parecchio bene sebbene le previsioni fossero PIOGGIA, andiamo a South Beach a goderci un po’ la spiaggia, a passeggiare sulla boardwalk e ad ammirare i famosissimi palazzi art deco. Ecco diciamo che con l’art deco (in quell’unica via), a mio avviso Miami ha detto tutto quello che doveva dire, storicamente e architettonicamente. Bon, visto quello, visto tutto. Questo è lo struscio, la zona dei negozi, dei locali, del cibo, della spiaggia. Tutto lungo un’unica via, neanche tanto lunga. Nel pomeriggio, essendoci un faro nel raggio di 100km e ormai sanno tutti che io sono drogata di fari, andiamo a Key Biscaine, un’isola collegata alla città da un ponte. Parco naturale con in punta questo gran bel faro. La passeggiata è piacevole, ci sono tanti pescatori e i bambini si divertono parecchio. Chiudiamo la giornata con Bayside Market, turisticissimo, ma divertente, pullula di negozi, locali dove si balla e dove si mangia, il tutto affacciato su un porticciolo. Il peso del jet lag inizia a farsi sentire, siamo tutti stanchi, reggiamo a mala pena un panino al volo e poi ci fiondiamo a letto! Il giorno dopo avevamo in programma il Seaquarium, ma il costo era folle e le recensioni su Trip Advisor sconfortanti e quindi abbiamo lasciato perdere. Il nuovo piano è andare in un giardino botanico: il Fairchild Tropical Botanic Garden. Lo consiglio a tutti. È un bellissimo posto, molto grande, in cui passeggiare tra la natura. Tutto tenuto molto bene, con piante e fiori stupendi e un laghetto. Pranziamo in riva al lago mentre i bambini giocano. Nel primo pomeriggio puntiamo alla super-famosa Venetian Pool per scoprire, con immensa delusione, che è chiusa!!! Anche qui, quindi, passiamo al piano B: l’Hammock Park. Qui ci spiaggiamo a prendere il sole mentre Mia e Zeno giocano in acqua. Giornata di fregature… a cena volevamo andare a Calle Ocho, cuore della Miami ispanica, ma porca miseria che zonaccia… non ci siamo nemmeno osati scendere dalla macchina e quindi torniamo mesti su Ocean Drive, dove ci buttiamo in uno dei tantissimi locali super-affollati di gggente-gggiovane e con la musica super-alta. Ogni locale ha la fila davanti, tutti che pressano per entrare a ballare, molti già ampiamente su di giri. Tra me e me penso “cavolo, va… la giornata è volata… e come ci siamo ripresi già bene dal fuso!”. Chiedo l’ora a Ric convinta che mi dica una cosa del tipo “mezzanotte” e invece sono le sette! Ma questi vanno in discoteca alle sette? Beh… non è una brutta idea, in effetti. Ha più pro che contro!
FLORIDA – PARTE 3 – HIGHER KEYS e MIDDLE KEYS
Iniziamo la calata nel profondo Sud (che più sud non si può!). Prima tappa: Monkey Jungle, dove potremo passeggiare tra le scimmie. La peculiarità del posto è che TU, visitatore, cammini all’interno di un percorso guidato ingabbiato e LORO, scimmie, se ne stanno libere e beate nella loro riserva. All’ingresso compriamo delle scatoline di frutta secca da dare alle scimmiette per farle avvicinare, ma è talmente buona che in mano mia e di Mia la merenda delle scimmiette è in serio pericolo. I bambini sono emozionatissimi. All’interno del percorso guidato ci sono delle catenelle che pendono con un ciotolino appeso. Tu ci metti la frutta secca e le scimmiette se la tirano su e mangiano e poi te la ributtano giù. Sagaaaaaaci, ingegnooooooose! Ci sono anche due “momenti”. Li chiamano spettacoli, ma non lo sono. Sono momenti della giornata che è bello poter vedere. Il primo è quando King, il gorilla, fa la sua passeggiatina. È un gorilla molto coccolato perché aiuta un gruppo di studiosi a capire meglio le sue potenzialità e oltre alla natura e a un habitat molto vicino al suo, può godere di una “cameretta” tutta sua, dove ha imparato a fare una serie di cose come ascoltare la musica, mettersi su un film e dipingere. Tra tutte queste attività, lui predilige dipingere e nel negozietto che c’è all’ingresso si possono comprare anche i suoi disegni. Mia e Zeno sono letteralemente rapiti. L’altro “momento” è quando le scimmie si tuffano in acqua per mangiare il pesce. Anche qui, restiamo tutti abbastanza a bocca aperta! Il pomeriggio si rivela davvero piacevole. Io e Ric ce lo aspettavamo più una baracconata e invece gli animali ci sono sembrati tutti molto a loro agio, sicuramente più felici di quelli che stanno in gabbia. Almeno sono liberi in un territorio non sconfinato, certo, ma molto ampio. Usciti da Monkey Jungle siamo andati spediti fino a Key Largo percorrendo la S1 che taglia le paludi regalandoci dei panorami mai visti prima. Una volta arrivati a Key Largo abbiamo fatto un po’ di scouting per trovare un buon motel e abbiamo avuto fortuna. Per 53 dollari abbiamo trovato una camera matrimoniale + due letti singoli, non lussuosa, ma molto pulita, cosa sempre apprezzabile! (Amy Slate’s Amoray Dive Resort) L’unica cosa che non mi sconquiffera è che a me pare che questi letti siano sempre un po’ troppo alti! Quelli a Miami saranno stati un metro e anche questi non scherzano! Oh, c’è anche la piscina riscaldata e una spiaggetta privata… ma chi ci ammazza più a noi?! Abbiamo passato il resto della giornata tra tuffi in piscina e ralax in spiaggia fino al tramonto, poi doccia, ci siamo preparati e siamo andati a caccia di cibo. Anche qui, siamo stati fortunati, trovando un posto molto alla mano, coi camerieri che si fermano a chiacchierare e il padrone-cuoco che passa a chiederti se ti è piaiuto tutto e a capire che ti porta nel suo locale. E poi… abbiamo assaggiato la Key Lime Pie… mmm! (Rib Daddy’s Streak & Seafood).
La mattina dopo facciamo colazione dove abbiamo cenato la sera prima e poi ci mettiamo alla ricerca di un Western Union dove andare a ritirare i soldi che la mamma di Ric è andata a ritirarci e ci ha spedito. Così a Ric gli cala un po’ di stress. Soldi in mano, impostiamo il navigatore su Big Pine Key (ce lo siamo portati dall’Italia, che se lo affitti insieme alla macchina costa talmente tanto che fai prima a comprarlo da Walmart), un’isola parco naturale dove hanno trovato rifugio gli 800 cervi delle Keys. È un cervo che esiste solo qui, alle Keys, è alto al massimo un’ottantina di cm ed è l’unica specie al mondo che si è adattata a bere acqua salmastra. Ancora più sagaaaaaaaaci delle scimmiette di Monkey Jungle! Abbiamo la fortuna di vederli da molto vicino e di fare una bella passeggiata nel loro territorio. Emozionantissimo! Andiamo anche alla Blue Hole, una piccola riserva che cresce attorno a una pozza. Una zona con una flora e una fauna bellissime, che spaziano tra arido e paludoso e in cui convicono tantissime specie di uccelli, i cervi e gli alligatori. Per non parlare della quantità di pesci! Riusciamo anche a fare un paio di belle passeggiate e ci rendiamo presto conto che questa è la prima vacanza in cui sia Mia che Zeno camminano sempre senza stancarsi e senza aver mai bisogno di essere presi in braccio! Che figataaaaaaa!!!! Certo… questo è anche il momento in cui parte il conto alla rovescia per le bingo arms… ma non voglio pensarci adesso! Stanchi dalle passeggiate, cerchiamo un motel, ma oggi ci va male. Non troviamo NIENTE. L’unico è un motel vecchio e zozzo (in realtà non riesco bene a capire se è zozzo davvero o solo “quel-vecchio-che-fa-brutto”): 122 dollari per Big Pine Motel che se dovessi paragonarlo a quello del giorno prima avrei dovuto pagarlo non più di 20 dollari! La moquette mi fa schifo (non è sporca, ma a me la moquette negli alberghi mi fa sempre schifo) e la stanza è stata arredata nel 1981 massimo. Tant’è… questo c’è. Posiamo le valigie, ci lasciamo la moquette alle spalle e ci fiondiamo di gran carriera al Bahia Honda State Park, dove ci spiaggiamo per un paio d’ore con i bimbi. Verso le sei facciamo due passi fino alle altre spiagge, che sono più belle, ma esposte dalla parte dell’oceano e quindi più ventose e con le onde. Andiamo anche a vedere il vecchio ponte della ferrovia, quel che resta, perché fu spazzato via da un uragano nel 1935. Venne sostituito dall’attuale, ampio, famosissimo (anche perché ci hanno girato un sacco di film!) Seven-Miles-Bridge che collega Pigeaon Key alla Key successiva. Rientrati in camera, relax, doccia, cena in un ristorante. Buono, ma quello di ieri era meglio! Mia e Zeno cmq mangiano come due lupetti e ben prima delle nove siamo a letto. Anche qui, i letti sono altissimi. Ma porca miseria, sta cosa mi toglie il sonno alla notte. Ho sempre l’ansia che Mia o Zeno caschino dal letto. Ho tappezzato il pavimento di cuscini in caso cadessero, ma cmq ogni volta che si girano nel sonno io mi sveglio. E taaaaaak, sento Zeno che si gira e rigira, mi alzo, ma non faccio in tempo ad arrivare che cade giù sbattendo la faccia sul comodino e rimediando: 1) Crisi di pianto 2) Gran botta al mento 3) Taglietto che fa molto “duro” Non ho poi specificato che i materassi mollacciosi che piacciono tanto qui mi hanno massacrato dal primo giorno di viaggio. Ho passato dei momenti con un male da non sapere come mettermi e ho trovo sollievo solo facendo un po’ di yoga (lo chiamo yoga che fa figo, ma in realtà è ginnastica yogosa a modo mio che però mi fa molto bene). Ormai ho perso il sonno e passo il resto della notte a leggere e fare yoga. La mattina dopo mi sono finalmente sbarazzata del mal di schiena… ma che sonno! A togliermi un po’ di sonno sicuramente ha contribuito anche l’emozione per domani: arriveremo a Key West, dove Hemingway scelse di trascorrere così tanto del suo tempo.
FLORIDA – PARTE 4 – KEY WEST e RISALITA
Colazione al locale del motel (migliore del motel stesso, direi), un salto a vedere se i cervi si fanno ancora vedere e poi drittone fino a Key West. Ci arriviamo in un’oretta e la prima impressione è molto piacevole. La prima tappa è all’Eco-Discovery Center, poi andiamo a visitare un bellissimo giardino all’interno di quello che un tempo era un fortino e infine il favoloso Butterfly Recovery Center.
Poi spiaggia a prendere un po’ di sole, giocare e rilassarci. Prima di andare in spiaggia è però doveroso fare una tappa al Southernmost Point, un pilone che indica che siamo arrivati al punto più meridionale degli Stati Uniti. Siamo molto ingenui e pensiamo di poterci fare una foto… ma c’è la fila!!! E noi non siamo tipi da fila. “Sgraffiniamo” una foto al pilone, senza noi davanti, tra un turista e l’altro e andiamo in spiaggia… molto meglio passare il tempo in spiaggia, che a fare la fila per una foto! Alla sera non ci facciamo mancare un po’ della vita che caratterizza questa cittadina: facciamo una passeggiata per le vie del centro e poi ceniamo in un locale molto “american style”; infine, andiamo al nostro resort che, per inciso, costa più o meno come il motel moquettoso del giorno prima, ma è infinitamente più bello!!! Peccato che ho perso il bigliettino da visita e non mi ricordo il nome! Sempre in albergo, facciamo una buonissima colazione, addirittura leggera, che in USA mica è una cosa da poco! Andiamo subito in spiaggia. A metà mattina si mette a piovere e siamo costretti a scappare in macchina. Quando spiove torniamo in albergo, ci buttiamo in piscina ma si rimette presto a piovere. Abbandoniamo quindi l’idea di abbronzarci e torniamo a fare quello che sappiamo fare meglio: i turisti! C’è ancora molto da verere: il faro e Mallory Square. Passiamo il resto delle giornata a spasso per la cittadina e devo ammettere che, sebbene piena zeppa di turisti, mantiene un certo fascino. Anche galli e galline in giro liberamente per strada contribuiscono! Ceniamo in albergo e faccio le valigie: domani inizia la risalita. Iniziamo la risalita verso le Everglades. Scottati dal motel a Big Pine Key, decidiamo di andare diretti a quello precedente, che per altro si trova proprio vicino all’ingresso di un parco che vogliamo visitare. Facciamo una pausa a metà mattina in una spiaggia bellissima proprio alla fine del Seven-Miles-Bridge. Un po’ di relax, qualche foto e poi ci rimettiamo in macchina verso il motel per scoprire che alla vigilia delle feste di Natale il prezzo di una notte è più che raddoppiato (da 49 a 119 dollari)! Che sfigaaaaaaa! Vabbé risparmiamo sul pranzo concedendoci una grandissima porcata: Donkin Donuts da asporto… le volevo da quando sono partita!!! Scofanati i donuts andiamo al John Pennekamp State Park. Qui affittiamo una canoa, ci mettiamo i giubbotti e iniziamo ad esplorare questo parco bellissimo in un intreccio di magrovie, acqua cristallina e fondali vivacissimi. Emozionante! Ci siamo incagliati qualche volta per mancanza di coordinazione delle pagaiate mie e di Ric, ma dopo un po’ ci abbiamo preso la mano! Concludiamo la giornata in piscina, poi una bella doccia e cena da Rib Daddy’s… come ci era mancato!!! A letto presto che domani ci attendono le Everglades!
FLORIDA – PARTE 5 – EVERGLADES
Le Everglades, un territorio molto ampio, che occupa gran parte della punta sud della Florida. Un’area estesissima è parco nazionale: un immenso prato allagato dalle esondazioni del lago Okeechobee. Ciò che differenzia quest’area dalle “normali” paludi è che l’acqua non è stagnante, visto che scorre e “sfocia” nel mare. In pratica abbiamo lasciato le risaie della padania per andare a vedere una mega-risaia… dove però il riso non cresce e al posto delle mondine ci sono i coccodrilli. Zeno è già gasato. Ciondoleremo in quest’area per 3 giorni, alla scoperta di flora e fauna. Ecco la cartina che avevamo e il giro che abbiamo fatto: Alligator Farm, Ingresso Ernest Coe dell’Everglades National Park, Tamiami Trail, Shark Valley, Big Cypress Park.
La prima tappa è più ludica che esplorativa, a dir il vero: l’Alligator Farm, dove facciamo una scorpacciata di emozioni: coccodrilli, serpenti che i bambini trovano il coraggio di toccare e prendere in braccio (il coccodrillo era cucciolo… s’intende), un tamarrissimo e divertente giro sulle rumorose airboat. Apro una parentesi sulle airboat: ROVINANO il territorio delle Everglades, perché creano come delle strade, afflosciando l’erba, distruggendola, quindi tutti i baracchini ai margini del parco che propongono i giri in airboat sono illegali. L’Alligator Farm NON è all’interno del parco e fa fare un piccolo giro in un’area che fa parte della Farm e che è loro premura (e interesse) tenere con molta cura.
Usciti dalla Farm facciamo una pausa (nel nulla, perché qui le strade sono drittoni infiniti senza NIENTE introno se non campi, e campi, e campi e un cielo immenso) all’incrocio fra due drittoni, dove c’è questo famoso fruttivendolo (non si pensi ai nostri fruttivendoli… questo ha più le dimensioni di un mercato comunale): ROBERT IS HERE. Qui pranziamo ingollando frullati, ci compriamo una bella scorta di frutta e ci mettiamo in viaggio verso l’Ernest Coe. Zeno e Mia si sono appisolati, quindi decidiamo di puntare subito a Sud, così li lasciamo dormire ancora un po’. Il primo percorso è su un Hammock, ossia un’isola di alberi nel mare d’erba. Tappa in un punto panoramico (Pa-Hai-Okee) dove possiamo ammirare la distesa d’erba (sawgrass) interrotta solo da qualche cipresso. Poi facciamo due percorsi su passerella (chiaro, mica ci si possono mettere gli stivaloni fino a mezza coscia e farseli nell’acqua!): il Gumbo Limbo Trail e l’Anhinga Trail (l’anhinga è un uccellone imponente che vive nelle Everglades e che passa il suo tempo ripartendolo così: 10% caccia in acqua, 90% sta fermo su un ramo, ali spiegate, ad asciugarsi). Possiamo così iniziare a scoprire un po’ di fauna, coccodrilli, anhinga, pellicani, avvoltoi, tartarughe… tutti liberi nel loro territorio. Ormai si sta facendo buio e ci fiondiamo alla ricerca di un motel. Ne troviamo uno nei pressi di Homestead a un buon prezzo con colazione compresa, mentre per cena è TUTTO CHIUSO (eh beh… anche noi sveglioni… è il 24 dicembre). Troviamo solo un pacchianissimo ed enorme ristorante italiano e ci adeguaiamo. Appena i bambini si addormentano, tiriamo fuori due regalini che siamo riusciti a comprare di nascosto e, con tanto ingegno e altrettanta fortuna, a tenere nascosti. Loro sanno che Babbo Natale non sa che siamo via e quindi i regali li porta a Milano e li apriremo quando torniamo… ma dai… Mia e Zeno non sono mica scemi e più volte ci hanno chiesto com’è che Babbo Natale, che sa tutto, non sa che loro sono qui e non là. Il loro ragionamento non fa una piega… non è uno usa la magia per una cosa e per un’altra no… non è che uno si smazza i regali dei bambini di tutto il mondo in una notte e per questi due qui sbaglia indirizzo… e quindi una cosina piccola-piccola gliel’ha portata anche qui. Quando si svegliano alla mattina e trovano dei regali assolutamente inaspettati si illuminano!!! Dopo la colazione partiamo subito per il Tamiami Trail, ossia la Route 41 che taglia orizzontalmente il territorio delle Everglades e collega la costa est a quella ovest (della Florida… non degli USA!!!). Prima fermata, Shark Valley, laddove il nome non è dato dal fatto che ci sono gli squali adattati all’acqua dolce (oddio… non stupirebbe trovare uno squalo d’acqua dolce in un paese dove i cervi bevono quella salmastra!), ma dal fatto che il fiume che taglia la valle si chiama Shark. Qui si prende un tram che si addentra nel parco lungo un percorso di 24 km. Un ranger ci spiega tutto e ci dà la possibilità di camminare a piedi nudi nelle paludi. Prego tutti di cliccare sulla foto e ingrandire la faccia di Zeno, ultra-schifata dalla sensazione dei piedi nudi in quella melma viscida!
Lungo il percorso vediamo alligatori e una varietà infinita di uccelli.Tornati al punto di partenza facciamo due passi lungo i sentieri nei dintorni, dove abbondano “placidi” alligatori a pochi metri da dove camminiamo noi. Specifico che non siamo impavidi. Abbiamo scoperto che finché gli stai a 3 metri di distanza non riescono a raggiungerti con uno scatto e se non riescono col primo scatto poi non riescono più, visto che corrono lentamente e non ci vedono nemmeno granché bene. La loro tecnica infatti è più che altro di attesa. Stanno ore e ore immobili aspettando che qualche uccello gli si posi praticamente in bocca scambiandoli per un tronco. Tutte cose molto belle… noi però di metri ne mettiamo in mezzo sempre almeno 5 perché… 1) non si sa mai che becchiamo uno scattista superdotato e 2) loro non saranno veloci, ma non è che noi invece siamo chissà che schegge. Già così i bambini sono entusiasti, ma il top lo raggiungono quando riconsegnano il libro dei ranger (un quaderno che danno all’ingresso a ogni bambino con una serie di cose da completare, come avvistare tot anhinga, tot ibis, tot alligatori e rispondere ad alcune domande, tutto rigorosamente in inglese) e, dopo aver fatto il giuramento (sempre in inglese), ottengono il Badge di Junior Ranger! Solo Mia, perché Zeno era troppo piccolo. Com’era orgogliosa! E anche brava, visto che ha condiviso la gloria con Zeno!
Io invece addocchio al Visitor Center uno strano baracchino con dei timbri… mi informo e scopro questa cosa FANTASTICA: esiste un passaporto dei siti nazionali (che spaziano tra siti storici, parchi nazionali, monumenti nazionali). Te lo compri e ogni volta che vai in uno dei siti ci trovi il baracchino col timbro e timbri. Porca miseria! Perché lo scopro solo adesso?! Mi sono lisciata il timbro che c’era da fare a Key Biscayne!!! Ma non mi perderò i prossimi e soprattutto… prima o poi voglio riempirlo TUTTO!!! Un hamburger lungo la strada in un posto indiano davvero improponibile, congelato nel tempo non so bene in che decade, che sembrava più partorito dalla mente di David Lynch che un posto reale. Mangiamo mediamente male e riprendiamo la traversata del Tamiami Trail. Un’ultima, bellissima tra l’altro, passeggiata ci permette di addentrarci nelle paludi di cipressi (paludi, questa volta… visto che in quest’area invece l’acqua è stagnante), popolate di pesci, ragni, tartarughe, uccelli e serpenti. Una flora, però, completamente diversa da quella del mare d’erba e degli hammock. Abbiamo anche la fortuna di riuscire a vedere ben due Black Rat Snake. Pernottiamo in un motel molto carino a Everglades City e ceniamo nell’unico ristorante aperto la sera di Natale: il Gun&Rod (quanto è southern questo nome…), un vecchio e bellissimo hotel che sembra un avamposto di cacciatori di alligatori e dove magiamo carne di alligatore (che pare pollo… anzi secondo me era una bufala e ci hanno dato il pollo!!!). Qui viviamo una grandissima tragedia. Pollo (che è il fidanzato della Polly di Mia) rimane precocemente vedovo. La Polly che Babbo Natale ha portato a Mia sparisce (non s’è capito se rapita inavvertitamente dalla cameriera quando ha pulito il tavolo o se è caduta per terra e per sfiga si è infilata nei vuoti tra le assi di legno del pavimento). Mia è affranta e anche Zeno. Per fortuna riusciamo a spiegargli che Pollo sarà ugualmente felice di fare una vacanza da single e, tornati a Milano, potrà scegliersi una nuova fidanzata tra il vasto campionario di Polly che ha Mia. Felice Pollo, felici tutti, possiamo andare a letto sereni!
FLORIDA – PARTE 6 – FINE DEL VIAGGIO, RELAX A JUPITER E RIENTRO A MILANO
Ultimo giorno di viaggio, anche se non ultimo giorno di vacanza, visto che l’ultima settimana la passeremo a casa dei nostri amici a Jupiter, un quartiere di West Palm Beach.
Lasciato il motel andiamo a Chokolosokee dove c’è un antico trading outpost che risale al 1906 (sì, ok, negli USA il termine “antico” ha un valore sensibilmente diverso che in Europa… da noi una cosa che risale al 1906 è vecchia e basta!) È tutto molto tranquillo e questa piccola isoletta tra le centinaia di isolette di questa zona (che si chiama Ten Thousend Islands mica a caso…) ci lascia un’ottima sensazione. Puntiamo poi a nord, verso il Big Cypress Park per apporre un nuovo, scintillante, timbro al nostro passaporto dei parchi! Facciamo due tratti offroad nel parco e poco più avanti troviamo una bella passeggiata da fare tra le paludi: la Big Cypress Bend. Qui incrociamo anche una mamma alligatore con i piccoli, da cui ci teniamo a grandissima distanza visto che le mamme sono sempre incazzose! I bambini non hanno voglia di fare la passeggiata (che è –ina) e ci chiedono di restare in macchina a giocare. Rassicurata da Ric che non possono fare danni tipo partire a 100 km/h e schiantarsi contro un cipresso o finire nelle sabbie mobili o venire divorati da un alligatore che ha bussato alla porta e a cui loro hanno imprudentemente aperto, acconsento a lasciargli questi 15 minuti di totale indipendenza.
La prima cosa che noto è che i cipressi che dovrebbero essere BIG sono molto più piccoli di quel che mi aspettavo. Ok… io ero partita con un’idea un po’ deviata… mi ero fatta un film tutto mio e pregustavo già dei cipressi secolari come le sequoie… ma questi sono addirittura più piccoli dei cipressi normali. Qualcosa non mi torna e inizio a leggere ogni cartello che trovo finché, proprio fuori dall’edificio all’ingresso del parco (peccato che noi il cartello l’abbiamo letto all’uscita!), scopro l’arcano. Big Cypress Park. BIG (pausa di riflessione) CYPRESS PARK. E non BIG CYPRESS (pausa di riflessione) PARK. Insomma… è il parco che è BIG, non i cipressi! Infatti è enorme. La parte visitabile è piccolissima rispetto all’area che copre e che è quasi totalmente impraticabile per l’uomo (più che per l’Uomo, per il Turista… Bear Grills secondo me se lo fa bendato): fango, acquitrini, serpenti, ragni, topi e paludi a perdita d’occhio.
Decidiamo di pranzare nell’arcipelago, a Marco’s Island… immaginandocela (traditi dalla guida) chissà che paradiso incontaminato e scoprendola invece un paradiso sì, incontaminato no. Un paradiso per i pensionati ricchi. Ci sono solo vecchi ricchi. Molto ricchi. Molto vecchi. Tutti delusissimi, sgranocchiamo qualcosa in uno Starbucks e scrocchiamo la connessione. Dopo pranzo ci dirigiamo a Naples. Dove ci sistemiamo subito in un bellissimo motel con piscina, pulitissimo, la proprietaria carinissima e tutto molto nuovo (Naples Courtyard Inn). Una nuotata tutti insieme non ce la toglie nessuno e una volta rinfrescati usciamo per andare a caccia della cena e fare due passi nella sciccosissima 5th Ave. illuminata per le feste. Il giorno dopo ci svegliamo con comodo e ci rimettiamo in marcia verso West Palm Beach. La strada è lunga e facciamo tappa a Fort Lauderdale dove pranziamo con un enorme gelato passeggiando sul lungomare e poi ci buttiamo un po’ in spiaggia a rilassarci. Il tempo non è granché, le nuvole vanno e vengono, ma la sabbia è sempre un gran piacere per i bimbi. E anche a noi non dà certo fastidio pisolare un po’ al sole.
Ripreso il viaggio, arriviamo a casa dei nostri amici accompagnati da un temporale. I bambini non stanno più nella pelle e appena parcheggiati spariscono in casa con le amichette e ricompaiono, perché chiamati con un certo vigore, solo a cena.
Le giornate successive trascorrono molli e rilassanti. Tra Miami e Orlando c’è ben poco da vedere e noi ci siamo prontamente adeguati alla vita americana: un centro commerciale, una manicure, la piscina, un altro centro commerciale, ogni tanto spiaggia, ristorante, un altro centro commerciale. Il tutto condito dalla piacevolissima compagnia dei nostri amici e annaffiato da tentativi, spesso fallimentari, di trovare un buon vino sotto i 50 dollari!
I bambini hanno fatto una full immersion di nuoto e gioco, gioco e nuoto. E in una settimana di solo spagnolo, ci accorgiamo che quando parlano ai nonni colombiani iniziano a buttarci dentro qualche parola in spagnolo. Il bello del frequentare persone che parlano spagnolo è che è rischiesto zero sbattimento linguistico. Ognuno continua a parlare la propria lingua come se nulla fosse e gli altri capiscono lo stesso. E senza nemmeno che te ne accorgi, tu inizi a far confusione tra spagnolo e italiano e loro tra italiano e spagnolo e nel giro di tre giorni ci si assesta su un “itagnol” che, incredibile ma vero, funziona assai bene!
FORT LAUDERDALE – NEW YORK NEW YORK – MILANO
È la prima volta che al rientro i bambini sono tonici e su di giri… Non vedono infatti l’ora di arrivare a casa e vedere se è passato Babbo Natale e questa curiosità è abbondantemente sufficiente per non far sentire alcuna stanchezza. Apriamo la porta di casa… entrano per primi loro… e c’era la sala INVASA da pacchetti, pacchettini e pacchettoni. A Mia e Zeno sono partiti una decina di capillari dall’emozione. Fino all’ultimo, sebbene noi gli avessimo sempre detto che sicuramente Babbo Natale avrebbe portato i regali, erano stati poco convinti… temevano che si sarebbe offeso perché non c’era il bicchiere di latte coi biscotti! In circa 2 ore hanno spacchettato lo spacchettabile e per le 4 successive hanno testato OGNI regalo. Poi sono crollati e si sono addormentati. Io e Ric eravamo crollati, cerebralmente parlando, attorno all’apertura del terzo pacchetto e per le successive 5 ore e mezzo abbiamo solo finto di essere svegli. Tratto da bagagliamano.wordpress.com