Da Martinique a Tobago Key, in balia delle onde
L’agenzia ci aveva informati che a bordo del catamarano, fornito di 4 cabine doppie e due bagni, sarebbero stati tutti francesi e abbiamo passato mesi, a casa io a rispolverare il mio francese appreso in vari corsettini serali e mio marito a farsi un vocabolario di base, non avendolo mai studiato prima. Ma…Sorpresa, quando arriviamo a Le Marin negli uffici dell’agenzia francese, dopo aver conosciuto lo skipper, un bretone magrolino cotto dal sole, troviamo una simpatica coppia italiana. Mio marito é in sollucchero, per lui la vacanza é salva. Prendiamo posto nelle nostre rispettive cabine e piú tardi arrivano le due ultime compagne di viaggio: due giovani donne francesi conosciutesi durante una precedente vacanza in barca. Dato che ai nostri amici italiani a Parigi hanno smarrito i bagagli, perdiamo un giorno in attesa degli stessi, che per fortuna di tutti arrivano il giorno dopo. Il tempo peró é passato nei vari preparative fatti, fra cui andare tutti insieme a fare la spesa per riempire la cambusa di beni commestibili. St. Vincent Partiamo dunque il giorno dopo, in ritardo sulla tabella di marcia e per recuperare non facciamo tappa a St. Lucia come previsto ma facciamo una traversata di 11 ore non stop fino a St. Vincent. La cosa é tostissima: nel canale tra Martinique e St. Lucia ci accolgono onde alte 4-5 metri. Ci arrivano addosso secchiate d’acqua inprovvise che ci costringono a indossare le giacche a vento. Il catamarano é si stabile, plana sull’onda, le barche a vela dietro e avanti a noi sono con le vele oblique sul mare. “Si staranno lavando le orecchie per bene” penso fra me. Tranne lo skipper, me e una delle due francesi, tutti gli altri combattono fra conati di vomito e malessere generale. Io penso che quando avranno finito di vomitare avranno tutti fame e quando vedo St. Lucia vicina, capisco che potremo godere di un pó di tempo al riparo dell’isola. Cosí mi metto d’accordo con lo skipper e metto sú un pentolone di patate per fare uno sformato. Me tapina! Non avevo pensato di chiedere se ci fosse a bordo uno schiacciapatate e mi tocca schiacciare 2,5 kg di patate con una forchetta in un piatto, a gambe larghe, mentre il catamarano dondola. Una vacanza di contrasti questa: dalle comoditá della casa di Guadaloupe all’atmosfera spartana da ostello della gioventú di questo catamarano, dove dobbiamo usare un minibagno in 4, pulire, cucinare e fare la spesa. Ma io e mio marito siamo molto adattabili. Arrivati nella Baia di Cumberland a St. Vincent ci vengono incontro diversi uomini di colore in barchette o inginocchiati su tavole da surf colmi di frutta esotica e prodotti di artigianato. Uno di loro ci accoglie al grido di “kalu, kalu”, che non ho proprio idea di cosa significhi, mescola il creolo a uno stranissimo inglese e ci aiuta con l’ormeggio, attacando la nostra cima ad una palma. La spiaggia é di sabbia vulcanica nera (anche qui c’é l’immancabile Soufriere) orlata di palme altissime che crescono anche molto in alto (l’isola é piena di monti, dirupi e alture, ma tutto verdissimo, ricoperto di foresta pluviale). È tutto cosí fuori dal mondo, cosí lontano e diverso dalla civiltá di Guadaloupe e Martinique. Mi sento come sul Bounty. Gli uomini sono tutti a dorso nudo e hanno pettinature incredibili, non solo treccine rasta. Uno ha la testa tutta rasata tranne che in cima, dove porta un “polipetto” di treccine. Un altro ha i capelli raccolti come una coda di castoro infeltrita. Come avevo previsto, a cena tutti sono famelici e risolto il poblema acuto della fame, scendiamo a terra. Un gruppo di spagnoli di un altro catamarano ha pagato per avere musica in uno dei due localini sulla spiaggia e verso tarda sera arriva un gruppo con cappelloni di lana altissimi e colorati, che nascondono folte chiome intrecciate. Si sbizzarriscono a suonare ritmi reggae e soka su tamburi ricavati da bidoni di benzina. Una tradizione che in realtá viene da Trinidad e Tobago, ma che si é estesa un pó dappertutto nelle indie occidentali, dato che i tamburi sono in acciao si chiamano steel bands. Ce ne torniamo a bordo mentre suonano ancora, perché il giorno dopo si riparte per Bequia. Bequia e Moustique Prima di ripartire dalla baia di Cumberland il tizio che ci aveva accolto al grido di “kalu, kalu” il giorno prima viene a chiederci se abbiamo batterie per ascoltare la radio. Ho la sensazione che la gente qui non se la passi bene come a Guadaloupe e Martinique, super sponsorizzate dalla loro madre patria francese. St. Vincent era colonia inglese, ma é indipendente dagli anni ottanta. Quando infine partiamo facciamo prima una sosta nella baia successiva, dove é ancora in piedi il set del film “la maledizione della seconda luna”, il film di pirati con Johnny Depp. Infine si parte per Bequia. Durante la navigazione un tonnetto, qui chiamato bonito, abbocca al nostro amo, rispetto ad ieri la traversata é piacevole ed il dondolio piacevole della barca induce alla meditazione, ogni tanto interrotta dall’apparizione affascinante dei pesci volanti, che sfrecciano per qualche decina di metri a pelo dell’acqua. Lo skipper ci dice che a volte te li trovi nel pozzetto della barca. Quando abbiamo raggiunto il primo lembo dell’isola un gruppo di meravigliosi delfini ci accompagna per un buon tratto. Infine entriamo a Porth Elisabeth. Scendiamo a terra. Che bella sorpresa Bequia! Casette colorate orlate dall’immancabile merletto di legno traforato e dipinto di bianco detto Ginger Bread. Ragazze di colore in divisa scolastica, camicetta bianca e gonna nera, ridono e bevono bibite all’ombra di grossi alberi, alle loro spalle c’é un mercatino coperto ricolmo di frutta meravigliosa. Poi in attesa che il nostro skipper venga a recuperarci, beviamo una bibita fresca anche noi all’ombra di grossi alberi, davanti ad un locale, in cui una mamma creola confeziona torte. Mi avvicino a guardare: torta di cocco, torta di banana e di non so che altro. Sono belle, ma i dolci con sto caldo…! Risaliamo a bordo, pranziamo e facciamo una siesta. Poi dalle 15.00 veleggiamo verso Moustique. L’isola privata degli straricchi, i cui villoni troneggiano giá all’ingresso della baia. Prima di cena, a base del nostro pescato del giorno, si va a prendere l’aperó come lo chiamano i nostri amici francesi, al Basil’s bar, un locale palafitta sul mare molto curato, preferito dal pubblico dei VIPs in abbigliamento casual chic. I prezzi degli aperitivi sono abbordabili, ma cenare é proibitivo. Il giorno dopo alle 9.00 si va tutti a terra dove lo skipper ha giá organizzato un taxi buffissimo: un pick up, la cui superficie di carico, in modo molto fai da te, é riadattata per il trasporto di persone: panche di legno e tenda da sole! L’autista é l’immancabile rasta con barbona, treccine e cappellone di lana a righe multicolori. Facciamo un giro dell’isola e constato che qui la natura é diversa rispetto alle isole piú a nord: non piú vegetazione verde lussureggiante, ma piú secca. Predominano i ficus Benjamin su cui si sono annidate bromelie ed orchidee, al momento non in fiore, probabilmente lo saranno nella stagione delle pioggie. Di tanto in tanto spinosi cactus filiformi si ergono da questa vegetazione. Dove non c’é natura originaria ci sono i villoni traboccanti di bouganville e vegetazione lussureggiante. Tra villa e villa aree che somigliano a campi da golf, con prati tenuti rigorosamente in forma da persone di colore che tagliano tutto in continuazione e maniacalmente. Data la scarsitá di pioggia in questo periodo, l’erba non é proprio verdissima,ma neppure secca, segno che ogni tanto innaffiano. Vorrei sapere proprio da dove prendono l’acqua! In giro per le viuzze ci sono solo veicoli tipo le macchinine elettriche sui campi da golf. Ed in effetti quest’isola, raggiungibile solo in aereo privato o in barca, ha l’aria di un asettico, curatissimo campo da golf, contornato da ville e vegetazione. Il nostro rasta guida pianissimo, va su per salite e discese e di tanto in tanto fa una pausa. Poi si gira e urla “Foto”, indicandoci un bel panorama. Oppure “Lovely view” o ancora “American, Italian…” a seconda della nazionalitá del proprietario del villone davanti al quale si é fermato. Ma guai a chiedere chi sono. Su questo ha la bocca cucita. “Chissa chi di quelli che ha provocato il crack della Parmalat ha la sua magione qui” penso tra me e me! E penso anche che tutto questo avremmo potuto risparmiarcelo, io voglio la natura!!! Ma poi arriviamo a Maccaroni Beach, dove il rasta ci lascia per tornare a riprenderci un’ora dopo. La spiaggia é bianchissima, rivolta verso l’atlantico, ci sono onde tempestose, sono le 9.45 e ci siamo solo noi. È stupendo, ci tuffiamo allegri come bambini e tenendoci con le mani i costume da bagno, altrimenti le onde ce li portano via. Poi scappiamo, rincorsi dalla prossima onda, poi urliamo e poi ci rituffiamo. Infine torna il nostro rasta. Si torna a bordo per il pranzo e la siesta e nel pomeriggio lo skipper ci porta in gommone in mare aperto, in un punto in cui si trova uno scoglio affiorante, intorno al quale fare snorkelling, avvertendoci che bisogna sentirsi sicuri nel nuoto e di stare uniti. Io sono la meno forte del gruppo in questo senso, cosí mi butto per ultima, al loro ritorno, legata con una corda al gommone e con una mano in quella di un nostro compagno di viaggio, esperto sub. Data la profonditá intorno alla roccia tutto é blú scuro, ma ci sono coralli, spugne e alcuni pesci che ho giá visto a Guadaloupe. Quando piú tardi li descriveró al nostro sub, mi dirá che avevo visto dei pesci chirurgo. La sera ci prepariamo un’altra cena con il resto del nostro pescato, tenuto in riserva e dopo andiamo al Basil: stasera ci sará musica dal vivo. Quando arriviamo il locale é strapieno zeppo di VIPs a cena. Ci fanno pagare 5,- Euro a testa per l’ingresso e…Poi si scopre che ci danno l’ultimo tavolo lontano, in un angolo, da cui la band non si vede e dove ci sono solo 4 sedie. I nostri uomini rimangono tutti all’impiedi. Poi ordiniamo. Il cameriere di colore sbaglia ad eseguire l’ordinazione e mi da una birra invece del Banana touch da me chiesto. Quando glielo faccio notare mi sbatte la birra davanti adirato dicendomi “here you have your banana touch”! Mio marito si arrabbia e gli urla in tedesco (la sua madrelingua) che cosí non ci si comporta. Iil tizio capisce benissimo anche senza parlare tedesco e mi sostituisce la bibita mugugnando. Intorno a noi aragoste e champagne a go-go! Per questo siamo poco piú che tollerati: non solo non siamo nessuno, ma ordiniamo solo cazzate! Nel frattempo la gente balla a ritmo di reggae e soca. Il nostro umore é alquanto nero, ma una delle francesi non vuole darsi per vinta e archiviare la serata come finita male. Ci tira uno per uno a ballare in pista. Ma solo noi donne lo facciamo. Gli uomini sono ancora arrabbiatissimi. Ad un certo punto i camerieri portano un tavolino poco distante da noi, lo accostano alla balaustra sul mare, ci mettono due sedie. La nostra intraprendente francesina ruba subito le sedie ed invita gli uomini a sedersi: “abbiamo pagato, ci spettano le sedie” dice. Per noi non fa una grinza, ma per l’omone nero alto due metri che arriva subito da noi, non sembra proprio, “they are for our friends” le dice. La francesina gli fa lo stesso discorso, gli fa capire che non ci alziamo e l’omone va via. Portano altre sedie e poi arrivano i suoi friends, una coppia americana, che viene leccata e slinguazzata dal personale. Restiamo ancora qualche ora, noi ragazze ci buttiamo nella mischia e balliamo, gli uomini rimangono chiusi nel loro malumore e a mezzanotte torniamo a bordo fra commenti vari sull’accaduto. Io so solo che domani voglio finalmente essere piú vicino possible alla natura, per la quale sono in fondo venuta qui. Lontana da questa zanzara d’isola artificiosa, sulla quale non torneró mai piú.
Tobago Keys Partiamo alle 10.00 per Tobago Key e giá dopo poco abbocca un’altro pesce alla nostra lenza appesa a poppa. È un pesce che non ho mai visto prima: lungo 45-50 cm, grigio azzurro con il corpo piatto allungato pinna caudale gialla e striscie giallo verdognole sui fianchi, mi dicono che si chiama yellow tail. Rimettiamo giú la lenza e la navigazione riprende. Dopo poco abbocca un bonito. Cosí tra un pesce e l’altro abbiamo raggiunto quasi Canouan, un’altra isoletta da straricchi su cui troneggia un enorme edificio: un casinò, come poi ci dirá il nostro skipper. Dai bungalow che emergono molto distanti fra loro tra la vegetazione é facile capire che l’isola é un residence-bunker per ricchi. I Tobago Key si avvicinano. Mi colpiscono da lontano lunghi pali metallici che si stagliano all’orizzonte, sembrano ergersi dall’acqua, come lunghi stuzzicadenti grigi: sono gli alberi delle numerose barche e catamarani alla fonda dietro alla barriera corallina. Lo scopriremo piú tardi. Intanto ci avviciniamo sempre piú sospinti da un vento parecchio forte e piú avanziamo meglio si vedono le grandi onde che s’infrangono con enormi spruzzi contro la barriera. La schiuma finisce poi dietro, lá dove l’acqua assume un colore turchese-smeraldo dovuto al fondale basso e sabbioso. Di questo smeraldo da lontano all’inizio si vede solo una striscia che si staglia contro il blú scurissimo delle acque profonde dell’Atlantico su cui stiamo navigando. Cosí per la prima volta in vita mia capisco come é fatto un reef. Alla TV non lo avevo mai capito. Man mano che avanziamo passiamo davanti ad isolotti ed atolli disposti intorno alla barriera che la forma di un ferro di cavallo e che sulle carte nautiche ha proprio questo nome. Il mare color smeraldo é concentrato all’interno del “ferro di cavallo”. Noi siamo vicinissimi, ma l’acqua sotto di noi é ancora blú scuro, tra noi e lo smeraldo il reef. Il vento fischia fortissimo nelle mie orecchie e mi gonfia la maglietta, come fosse un’altra vela. Costeggiamo il reef perché dobbiamo entrare da dietro, dal punto in cui il ferro di cavallo é aperto. Diventiamo sempre piú veloci ed un nodo di emozione mi stringe la gola. Vedo cose che fino ad ora conoscevo solo stando seduta sul divano, davanti alla TV e mi sento cosí privilegiata, di poter vedere questo meraviglioso spettacolo e quando infine lo skipper con una audace manovra entra nel ferro di cavallo, il mio nodo alla gola si scioglie e un fiume di lacrime mi rotolano giú per le gote. Mio marito mi abbraccia emozionatissimo anche lui. Le mie lacrime diventano vere e proprie singhiozzi, che non posso piú controllare. Per fortuna che tutti sono intenti ad aiutare nelle manovre il nostro skipper e nessuno mi vede. Poi veniamo esortati a prepararci per fare snorkeling, lo skipper ci porterá per un pezzo con il gommone e fino al reef nuoteremo da soli. Dal punto in cui ci tuffiamo sembra una sciocchezza arrivare in fondo al reef, ma le onde che premono all’esterno della barriera, creano una corrente pazzesca, contro cui si deve nuotare e se smetti vieni letteralmente portato indietro dall’acqua come una barchetta di carta. Io sono l’unica del gruppo non tanto forte nel nuoto, cioé non so fare il crowl e non so usare le pinne, per cui vado dietro per ultima, in una specie di stile ranocchio e con ai piedi un ridicolo paio di scarpette di gomma rosa. Metto la testa sott’acqua e… É indescrivibile: coralli, gorgonie, spughe gialle, spugne rosse, pesci grandi e piccolo, bicolori verde e blú, tricolori giallo bianco e nero e poi, e poi …Devo smettere di guardare sotto, altrimenti per l’emozione e la sorpresa divento ancora piú lenta e la corrente é impietosa. Arrivo per ultima, ma arrivo. Solo mio marito mi ha aspettata attaccato ad una roccia, dopo essersi assicurato che non fossero coralli. Da li trasportati dalla corrente e senza fatica torniamo indietro, questa volta solo con la faccia in acqua. Banchi di pesci chirurgo. Pesci enormi come cernie con tutti I colori dell’arcobaleno (pesci pagliaccio, mi dicono piú tardi), poi pesci biano,neri come zebre, giallo e blú come a Guadaloupe. Non so i nomi di tutte queste creature stupende e mentre mi chiedo chissá cos’é questo o quello, la corrente mi porta indietro, verso il nostro punto di ancoraggio, purtroppo piú veloce di quanto vorrei, piú veloce perfino di quanto io possa stupirmi. Non ho finito di meravigliarmi di una cosa che la corrente mi ha giá trascinato davanti alla meraviglia successive. Troppo presto. Nel giro di dieci minuti, siamo infatti lá dove il fondo é sabbioso. Nel frattempo sono le 14.00 e risaliamo tutti a bordo. Di solito a quest’ora abbiamo giá preparato il pranzo e mangiato. Ma oggi lo abbiamo saltato e nessuno ne fa menzione. Alla spicciolata andiamo al frigo, ne estraiamo delle cose e mangiamo alla rinfusa, con gli occhi stravolti di chi ha visto i marziani. Nessuno parla, tutti masticano veloci. Tra un pó ci si immerge di nuovo, andiamo a vedere le tartarughe. L’acqua, lá dove il fondale é di sabbia, é torbida ed inizialmente non vedo nulla per un bel pó e sono delusa. Poi ad un tratto una enorme stella rossa, su cui sta arrotolato su se stesso un serpente marino multicolore: grigio, azzurro, giallo, verde. Lo guardo. Mi chiedo se sia pericoloso. Lui guarda dal fondo con l’occhietto girato verso l’alto e forse si sta chiedendo di me la stessa cosa. Opto per la prudenza e nuoto via e dopo poche bracciate…E poi…Eccola una tartaruga di un metro e passa di dimensioni, proprio sotto di me. Tiro fuori la testa, chiamo a squarciagolamio marito, che é distante un paio di metri e ha la testa in acqua e non sente. Poi recepisce e viene da me. Nuotiamo insieme, tutti e tre. Ma lei sembra essere poco disposta e va per i fatti suoi. Mio marito ha le pinne e le nuota dietro per un pó. Íncontrerá ancora un’altra tartaruga piú in lá. La nostra intanto risale in superficie a respirare, poi s’immerge di nuovo e sparisce alla mia vista. Decido di tornare a bordo e quando raggiungo il catamarano…Altra sorpresa: una grossa razza di un metro e venti di diametro, forse piú, attirata dagli scarti di pesce prodotti dal nostro skipper che pulisce il bonito pescato oggi, sta in attesa sotto alla barca. Per l’emozione di vederla ingoio acqua di mare. Poi mi sistemo meglio la maschera, faccio un respirone e la vedo per bene. Ma una nostra compagna di viaggio urla che le razze sono pericolosissime. Lo skipper dalla barca le riurla che non é vero e io come sempre scelgo la prudenza: in fondo sono pur sempre una handicappata che nuota per miracolo e per giunta con ai piedi un paio di ridicole scarpette rosa fucsia, le quali nel risalire a bordo in questo momento mi costano pure uno scivolone sui tre scalini della barca, sbattendoci sopra uno per uno con il sedere. Poi cado rovinosamente in acqua. Niente di grave, domani avró un ematoma tipo carta geografica su didietro. “Quante emozioni in un solo giorno” mi dice mio marito, confessandomi tra l’altro che al contrario di me, che ho pianto sopra, lui per l’emozione stava per piangere sott’acqua.
La giornata si conclude con il sacrificio del bonito sul grill di bordo. Finita la cena siamo tutti morti di stanchezza. Si guarda l’orologio e poi..Scoppiamo a ridere: sono appena le 20.30. Le altre sere a quest’ora iniziavamo a cenare! Si scherzo e si ride ancora un pó e poi si va a letto. Io ed il mio consorte ci dividiamo gli auricolari del nostro MP3. Buffa sensazione ascoltare Parsifal in mezzo al mare. L’olandese volante sarebbe stato piú consono! Poi cadiamo in un sonno profondo, mentre la barca ci culla. Piú volte di notte mi sveglio. Il vento fischia e ulua passando da obló ad obló e questo, unito al pensiero che in fondo siamo in mare aperto, protetti solo dal reef (gli atolli sono piatti e non offrono protezione) conferisce alla situazione un’aria sinistra. Si l’olandese volante sarebbe stato piú idoneo! Mi chiedo come facciamo a rimanere ancorati. “Speriamo di non ritrovarci domattina sulla barriera corallina ”, penso! Mayerau e Petit St. Vincent Mi alzo presto per vedere l’alba, ma questi Tobago Key sono sempre nella foschia, oltre che nel vento. Dopo colazione ci si sposta a Mayerau dove tra pranzo, passeggiata e ozio passa la giornata. Alle 16.00 siccome abbiamo pure finito l’acqua andiamo a farne scorta a Petit Martinique. Poi al tramonto ci spostiamo a Petit St. Vincent, dove finiamo la serata in bellezza. PVS, come in breve viene chiamata l’isola, é un’altro bunker privato per ricconi, ma si puó accedere almeno ad una boutique ed al ristorante-bar, dove andremo per l’aperitivo, dopo che io avró finito di cucinare un sugo per la pasta, con il pesce preso oggi. L’atmosfera, rispetto a Moustique, non é da palafitta sul mare. Si tratta infatti di un edificio di sobria eleganza in pietra viva e travi a vista e con mobili coloniali, il tutto avvolto in luci soffuse e candele. I camerieri sono gentilissimi con noi e non ci fanno nessun problema. L’etá media degli ospiti é molto piú alta che a Moustique, ma piú alto é anche il livello delle buone maniere. Dietro ed intorno a noi sento parlare un altolocato inglese britannico e la gente é relativamente ben vestita, non vige il causal, ma il sandaletto a tacco alto, i vestitini ed i pantaloni lunghi per gli uomini. Solo di una cosa sono certa, stasera mangeremo noi meglio di loro, ma non perché abbia cucinatio io. Sul menu all’ingresso del ristorante ho letto: “ministroni”. Ci si puó immaginare! Ed in effetti gli spaghetti con il nostro sugo di yellow-tail si rivelano un successo. Alle 10.15 si va tutti a dormire dopo risate e barzellette, da me tradotte, per le nostre due amiche d’oltrape, in un francese approssimativo, che fa piú ridere delle barzellette stesse.
Palm Island e Union Island Manco a dirlo anche Palm é una di quelle isole in cui vanno a nascondersi i ricchi. Qui peró abbiamo solo accesso alla battigia. Ovunque ci sono cartelli con su scritto “Guests only, Keep off”. Facciamo poi snorkelling a Marpio Island un miniisolotto sul reef, su qui c’é solo una capanna sgangherellata, con il tetto di foglie di palma. Qui protetti da un piccolo pezzetto di reef circolare si fa snorkelling come in una minipiscina, senza corrente e stress, ma i pesci sono meno numerosi e meno spettacolari. Nel tardo pomeriggio arriviamo al molo di Union, dove faremo altri rifornimenti per ripartire di nuovo verso nord, domattina. Eh si siamo al giro di boa! Union é un isola che a primo acchitto si presenta male, la gente é povera e tutto é un pó sgarrupato. Ma gli abitanti sono tanto, tanto gentili. Chiacchierano con noi e quando io chiedo come mai loro sono cosí aperti, mentre a Guadaloupe e Martinique non é cosí, mi rispondono che loro sono poveri ed hanno bisogno di noi turisti. A Guadaloupe e Martinique “They are French”. Loro hanno alle spalle una madrepatria che li sovvenziona, per questo hanno la puzza sotto al naso. Sull’isola ci sono vari localini pieni di velisti con tanta musica locale. Purtroppo peró non riusciamo molto a godere di questa atmosfera e d’ora in avanti la via del ritorno sará un inferno.
Ritorno da Union a Martinique, Via Saint Vincent e Saint Lucia Nel frattempo serpeggia fra noi del gruppo il dubbio atroce che il nostro skipper voglia farsi la cresta sui soldi della cambusa. Ha iniziato a farci strani discorsi, in contrasto con gli accordi di partenza: da ora in poi si mangerá sempre a terra, pagheremo di tasca nostra e anche l’aragosta prevista per domani sera (cucinata in spiaggia dai pescatori e con consegna a bordo) dovremo pagarla noi. Secondo noi ha in mano 900 Euro. Discutiamo mentre lui non c’é e decidiamo di parlargli con calma il giorno dopo. Questo colloquio con lui provocherá urla e ira, un’atmosfera avvelenata. Nei giorni successivi lui ci sottoporrá addirittura ad una serie di torture psicologiche, quando stufi di non ottenere risultati, chiameremo le nostre rispettive agenzie. Evidentemente gli arriva sul telefonino un feed back poco gradito e si scarica su di noi. Notiamo sempre piú spesso che, come per un effetto Dr. Jackill e Mr. Hyde, lui di sera diventa una persona diversa. Poi capiamo che si droga, con cosa non sappiamo, sicuramente si spinella. Nei Caraibi di droga ne gira molta e lui stesso a St. Vincent, quando io avevo notato un mucchio di capanne nel verde della foresta, in punti molto impervi e gliene avevo chiesto spiegazione, mi aveva risposto: la gente é povera e coltiva Marjuana. Come se non bastasse per effetto della droga, sempre piú spesso durante la navigazione inserisce il pilota automatico e dorme seduto nella dinette con la faccia sulle braccia conserte sul tavolo. Una volta mio marito lo urta per caso. Lui si sveglia di soprassalto con due occhi stralunati ed iniettati di sangue. Per fortuna a bordo ci sono alcune persone che ne capiscono un pó di vela e uno ha un patentino nautico. Per cui se succeede qualcosa, mi sento tranquilla. Tuttavia inizio a soffrire di insonnia e di incubi di notte e a San Lucia succederá un episodio che, ci dará un senso totale di impotenza. Ci ha fatto fare, con gentilezza insolita per questi giorni, una sosta snorkelig, questo ci fa arrivare troppo tardi a St. Lucia (che é una repubblica a sé e che richiede formalitá di dogana per scendere). La dogana non si puó fare. “Quindi non potete scendere” ci dice. Gli diciamo di darci i nostri passaporti (li ha in mano lui dall’inizio, perché ogni tre isole cambia la nazione e va rifatta la dogana ogni volta) e che ci assumiamo la responsabilitá, se qualcuno ci ferma. Ci urla che non puó. Ne segue un litigio furibondo. Alla fine ci facciamo portare a terra lo stesso e andiamo in giro senza i nostri documenti, ma per fortuna nessuno vuole vederli. La notte, dopo essere stato a lungo a terra, torna a bordo e ci disturba il sonno accendendo e facendo girare a vuoto la pompa di sentina. Una pompa che gira a vuoto puó anche bruciarsi! Ma uno di noi se ne accorge verso le 3.00 e la va a spegnere. Gli altri, me compresa, credevano tutti che il rumore provenisse da fuori. Come Dio vuole arriviamo a Martinique. Ci mettiamo in rada a St. Anne per fare qualche ultimo bagno, per desiderio piú che altro delle francesi. Io sarei tornata a Marin, per chiarire tutta la faccenda in agenzia. Ma loro pensano al lavoro che le aspetta a casa e ai sei giorni su dodici, persi in questa seconda parte della vacanza. Qui lo skipper fa di nuovo quello gentile e professionale. Va a terra in gommone un paio di volte e quando ritorna si va a chiudere in cabina. In questo istante partono sul telefonino dell’altra italiana una serie di messaggini.Capiremo pí tardi che li ha mandati lui da terra con il suo computer. Li firma con il nome di una delle due francesi. Il contenuto é un tentativo di seminare zizzania fra noi. La ragazza si mette a piangere, ma io, mio e suo marito la induciamo a riflettere. Quando le francesi ritornano dalla nuotata una, il cui nome era in calce al messaggio, si arrabbia e va in cabina sbattendo la porta, l’altra piange. Quando siamo tutti riuniti, dico a tutti che dobbiamo mostrarci compatti, ridere e scherzare. È quello che faremo, per dimostrargli che le sue bizze da asilo infantile non ci riguardano. Nel frattempo io e mio marito decidiamo di prendere un albergo e di non passare una notte di piú su questo catamarano, anche se ci spetta passare l’ultima notte a bordo, attraccati al molo di Marin: siamo sicuri che fino all’ultimo lo skipper ne tenterá ancora una delle sue. Infine arriviamo. Sul molo c’é un tizio dell’agenzia, che avevo giá notato all’andata. Ci dirá che l’agenzia é chiusa a quest’ora (sono solo le 16.00), che lui é un impiegato e non ci puó aiutare. Tuttavia vuol sapere cosa é successo. Gli raccontiamo tutto in tono molto emozionato e accorato ed infine gli diciamo che rivogliamo i passaporti. Ci risponde che non é possible. Questa volta mi incazzo forte. Dimentico tutti i tentativi di parlare francese ed inglese gli urlo: we want our passports right now” e poiché un poliziotto va sú e giú poco lontano (a fianco all’agenzia c’é l’ufficio di polizia). Il tizio infine acconsente, li va a prendere dallo skipper e ce li restituisce. Gli diciamo anche che non vogliamo che lui dorma sul catamarano stanotte ed anche su questo veniamo accontentati. Nel frattempo lo skipper raccolte le sue cose, passa sulla banchina piena di gente e ci urla che non trova piú la sua carta di credito, quasi ad insinuare che alla fonte di ció ci siamo noi. A questo punto io e mio marito non abbiamo piú dubbi: andiamo in cerca di un hotel e trovatolo facciamo i bagagli a tempo di record e con un tassí andiamo via. Torneremo ad ora di cena in banchina per incontrare gli altri e andare a piedi in un bel ristorante poco lontano e…Nuovo colpo di scena: lo skipper ci insegue con la macchina gridando: “volete marijuana, eh”. Adesso io sono proprio nel pallone. Dopo cena dobbiamo aspettare il tassí per andare al nostro alberghetto, ma non faccio che guardarmi alle spalle. Ho il terrore di altri colpi di mano. Il giorno dopo dobbiamo tornare in agenzia per chiarire. Noi arriviamo troppo tardi perché non riusciamo a trovare un tassí che venga a prenderci (il nostro hotel é un pó fuori mano). Quando arriviamo é tutto finito. Gli altri ci raccontano che in agenzia hanno voluto gli indirizzi di tutti e che hanno fatto come dal dentista. Lo skipper é stato ascoltato da solo e il gruppo separatamente. Poi…Altra sorpresa: il tizio che era ieri sulla banchina e che aveva dichiarato di essere solo un impiegato in realtá é il capo. Lo ha rivelato la segretaria, che ha gestito “gli interrogatori”. Ora é chiaro che siamo stati giocati due volte: dallo skipper e dall’agenzia e molto probabilmente la cresta sui nostril soldi se la fanno tutti insieme.
CONCLUSIONI In fondo abbiamo passato i primi sei giorni una meraviglia. Il gruppo era simpaticissimo e nonstante tutto é stato bellissimo.
A chi leggerá questo diario mi sentirei di dare solo un consiglio: se fate un cabin charter prendete una barca in cui lo skipper é anche proprietario. Noi abbiamo pensato di essere in mano ad esperti, ma una ditta proprietaria di 400 catamarani con altrettanti skipper impiegati, non solo non li paga benissimo, ma non puó offrire un servizio personale e accurato. Il catamarano era moderno e pulito, ma c’era solo l’essenziale e il frigorifero era mezzo rotto. Agli skipper a cui la barca appartiene importa moltissimo far stare bene l’ospite, perché ha bisogno di pubblicitá. Queste grandi agenzie invece hanno clienti comunque, perché il mercato lo controllano ed in quella stagione non potete immaginarvi quanta gente é in giro in quelle acque. Per il resto forse abbiamo avuto sfortuna e quando non si conoscono personalmente le persone é sempre un rischio.