Da Chicago a Los Angeles

CAMPER TOUR 2008, PERCORSO ROUTE 66 PROLOGO Certe idee nascono quasi per caso, ma non in una persona a caso. Quando abbiamo iniziato a pensare quale potesse essere la meta del nostro quarto viaggio in camper, eravamo molto indecisi. Dopo essere arrivati ai confini con la Russia, dopo esserci affacciati sull’Atlantico, dopo aver visitato le...
Scritto da: fafo66
da chicago a los angeles
Partenza il: 17/04/2008
Ritorno il: 04/05/2008
Viaggiatori: in gruppo
Ascolta i podcast
 
CAMPER TOUR 2008, PERCORSO ROUTE 66 PROLOGO Certe idee nascono quasi per caso, ma non in una persona a caso.

Quando abbiamo iniziato a pensare quale potesse essere la meta del nostro quarto viaggio in camper, eravamo molto indecisi.

Dopo essere arrivati ai confini con la Russia, dopo esserci affacciati sull’Atlantico, dopo aver visitato le maggiori città europee, avevamo poca scelta: o dirigerci verso nord (Gran Bretagna o paesi scandinavi), rischiando di imbatterci in quindici giorni di freddo e pioggia, o spingerci nell’Europa dell’Est (ex Jugoslavia, Romania, Bulgaria, magari fino in Turchia .

Così iniziò ad aleggiare l’idea di cambiare continente.

Ma mentre io sognavo ad occhi aperti, il cervello di Fabio era già proiettato sugli aspetti pratici e concreti dell’organizzazione.

Sei mesi prima della partenza, mio cognato aveva già in tasca un preventivo di massima per biglietti aerei e affitto del camper da Chicago a Los Angeles.

Nacque così l’idea di andare negli Stati Uniti.

Naturalmente la preparazione del viaggio fu più complicata del solito, quando ci era bastato prendere il camper e partire. Ma Fabio pensò a tutto: navigatore satellitare con mappe USA, computer portatile con connessione wireless per ogni evenienza, adattatori per prese americane (e chi lo sapeva che erano diverse da quelle europee…) e – non potevano mancare – spaghetti e caffè (“Io quella brodaglia non la bevo. Mi porto la macchinetta; almeno al mattino un caffè come il Signore comanda ci vuole…”). In definitiva, si può tranquillamente affermare che se non fosse stato per Fabio, per la sua abnegazione, per la sua ostinazione, per la sua ricerca ossessiva delle risposte, per la sua cura dei particolari, non saremmo andati in America.

A me non restò che comprare la Lonely Planet e studiare un percorso di massima fra Chicago e Los Angeles. La scelta cadde inevitabilmente sulla storica Route 66, che divenne più che altro un percorso mentale, dal quale potersi allontanare per vedere il più possibile dell’America.

Roberta e Caterina iniziarono a pensare come riempire le valigie… Venerdì 18-04-2008 Partiamo da Genova alle 8.30 del mattino. L’aereo dovrebbe partire da Malpensa alle 12.

Siamo carichi di bagagli.

Io e Kate: due valigie, un borsone, due zaini grandi, uno zainetto.

Fabio e Roberta: quattro valigie, un trolley, un laptop.

Piove. Fa freddo.

Arriviamo all’aeroporto con l’ansia di non avere troppo tempo a disposizione.

Parcheggiamo la macchina. Dopo check-in e controlli siamo pronti.

Decolliamo con un discreto ritardo.

Dopo due ore siamo a Londra. In realtà, reclusi all’interno dell’aeroporto di Heathrow, senza poter prendere una boccata d’aria, senza poter fumare una sigaretta… Il volo per Chicago arriva quasi come una liberazione.

Otto ore fra cibo, film in inglese, un po’ di musica. Penso di essere l’unico a non dormire.

Atterriamo sul suolo americano alle 07.00 p.M. Ora locale.

Ed è sempre venerdì.

Finalmente di nuovo all’aria aperta. Ed è un’aria calda che non ci aspettavamo, che ci accarezza e ci fa dimenticare di essere stanchi, sudati, sporchi. Ma contenti.

Finalmente io e Fabio possiamo accendere una sigaretta.

Troviamo il posto da dove passa la navetta dell’Hotel Best Western e arriviamo in albergo che è già buio.

Dopo esserci lavati usciamo e raggiungiamo a piedi il McDonald più vicino.

Domani inizia questa ennesima avventura.

Sabato 19-04-08 Ci svegliamo alle 06.00 a.M. Il tempo è incerto. Pioviggina, poi smette, poi riprende. Ma non fa freddo.

Alle 7 in punto ci viene a prendere un taxi. Carica noi quattro e tutti i nostri bagagli e ci porta alla Moturis di Chicago, dove ci attende un camper dalle dimensioni impressionanti (quasi 9 metri di lunghezza…) Oltre alla grandezza, mi spaventa il fatto che non ci sia la frizione, né la leva del freno a mano… Mentre io e Fabio sbrighiamo le formalità burocratiche e ci facciamo spiegare come si guida questa specie di camion (e non è facile, visto che non capiamo quasi nulla…), Roberta e Caterina prendono possesso del camper: disfano le valigie, fanno i letti, riempiono gli armadi.

Siamo pronti.

La prima guida spetta a Fabio (d’altronde ha quattro patenti…).

Si parte a scossoni e con un po’ di timore. Ma ci si scioglie in fretta.

Vaghiamo per le campagne dell’Illinois cercando un fantomatico campeggio dove lasciare il camper e muoverci con i mezzi. Ma dopo un’ora di inutili ricerche decidiamo di dirigerci verso il centro di Chicago.

Grazie all’imbeccata di un italo-americano (che addirittura ci fa strada con la sua auto), troviamo un ampio parcheggio a circa 20 chilometri dal centro (praticamente a due passi, e non c’è ironia).

Prendiamo un bus e la metro.

Sbuchiamo in mezzo ai grattacieli di Chicago che è già passato mezzogiorno.

Spunta un timido sole. Ci dirigiamo subito alla Sears Tower, il grattacielo più alto della città, degli Stati Uniti e, antenne comprese, del mondo (527 metri).

Saliamo allo Sky Deck (piano 108) e ci troviamo ad ammirare la città dall’alto. Attraverso la vetrata (e noi che ci aspettavamo una bella terrazza all’aperto!) vediamo uno spettacolo per noi inusuale: dal lago Michigan sta salendo una leggera nuvola di nebbia che si fa strada fra gli alti palazzi, circondandoli e nascondendoli, in parte, al nostro sguardo. Dopo aver filmato e fotografato la città dall’alto a 360 gradi, scendiamo e cerchiamo un posto dove mangiare.

Ci fidiamo del nome: Giordano’s.

Impariamo a nostre spese quali fissazioni hanno gli americani: il ghiaccio (in grandi quantità in ogni tipo di bevanda) e le porzioni gigantesche, tanto che dobbiamo lasciare cibo in abbondanza per altre quattro persone… Però è tutto buono: le insalate con tacchino, cipolle, uova sode, pomodori e poi una serie di fritti (funghi, zucchine, bastoncini di mozzarella, patatine).

Camminiamo un po’ per la città, dirigendoci verso il lago.

Ma il tempo stringe. Fermiamo un taxi e ci facciamo portare al Navy Pier, il vecchio molo trasformato in luogo di attrazione, con negozi, ristoranti, giochi, musei, cinema.

Alcune grandi imbarcazioni aspettano il sole e i turisti per inoltrarsi nel lago Michigan. Ma forse non è il periodo giusto.

Ricomincia a piovere. Dapprima piano, poi più forte.

Entriamo attraverso una porta laterale e ci troviamo in una specie di paese dei balocchi, immersi nello spesso odore di dolciumi e nel frastuono di gente, di colori, di negozietti, di bancarelle.

Torniamo quasi subito all’aperto e prendiamo un taxi. E’ quasi sera e dobbiamo ancora fare la spesa.

Con la metro e con il bus ritorniamo al camper. Non piove più.

Si fa buio e partiamo alla ricerca di un supermercato.

Da Dominick troviamo quello che ci serve; e una cassiera di origine siciliana che ci tratta bene… Lasciamo Chicago, ma ci fermiamo dopo poco per fare benzina e per dormire. E’ l’una di notte (01.00 a.M.). La sveglia è alle 04.00 a.M.

Domenica 20-04-08 In Illinois non fa altro che piovere.

Ma più ci avviciniamo allo stato del Missouri, più il tempo migliora.

E quando spunta il sole prendo in mano il mezzo (prima Fabio non si fidava e, a dire il vero, neanche io…).

Dunque… Il freno a mano dov’è? Già, non c’è… Al suo posto c’è un pedale da sbloccare tirando una leva qui sotto, da dove di solito noi apriamo il cofano… Ecco fatto… Aspetta un attimo che è meglio che rimetto il freno… Schiaccio questo strano pedale con il piede sinistro ed ecco che resta spiaccicato giù… Ok… Il sedile è scomodo per definizione o si può aggiustare? No? Vabbè… Il cambio dov’è? Già, non c’è… Dunque, ora la leva è sulla P di Parking… Per partire la devo mettere sulla D di Drive… Ecco fatto…Non resta che fare l’equilibrista fra acceleratore e friz… Non c’è neanche la frizione. Niente equilibrismi. Sblocco il freno “a mano” e accelero. Uno strattone. Accelero. Mi immetto in strada. Cerco la leva del cambio per mettere la seconda… Il mio braccio destro gira a vuoto e ritorna placido sul volante.

Va tutto bene. In poco tempo (quanto poco non saprei) mi adatto al mezzo.

Sull’arco di St. Louis che sovrasta il fiume Missouri splende il sole.

Ma noi dobbiamo proseguire. Vediamo la città dall’autostrada.

Ci fermiamo giusto per fare benzina e per mangiare (oggi rigatoni al sugo!).

Arriviamo in Oklahoma al tramonto.

Facciamo più strada possibile prima di fermarci per la cena e per la nanna in un’area di servizio.

Sono le 11.00 p.M.

Sveglia alle 04.00 a.M. (bisogna sacrificarsi…).

Lunedì 21-04-08 Non abbiamo fatto neanche in tempo a svegliarci che ci ferma la polizia.

Nel buio si vedono solo le luci colorate dell’auto che ci segue e che ci invita ad accostare.

Fabio viene invitato a scendere dal posto del conducente. Io resto al posto del passeggero. Sento solo delle voci fuori dalla mia visuale. Riesco a distinguere le parole “driver license”, ma non mi va di gridare a Fabio “Dagli la patente!”. Chissà come la prenderebbe il poliziotto… Eccoli finalmente entrambi nel mio campo visivo attraverso il finestrino del conducente. Il poliziotto ha una torcia in mano e scruta l’interno del camper. Vuole il contratto di noleggio. Dunque… Dove lo abbiamo messo… Deve essere qua dietro… Gli diamo quello che vuole, cerchiamo di rispondere alle sue domande (per quello che riusciamo a capire). Minuti che sembrano ore. Io mi vedo già in un posto di polizia della provincia americana a cercare di spiegare le nostre ragioni… Dopo aver controllato tutto ci lascia andare; ma prima ci consiglia di tenere i documenti del mezzo a portata di mano, in modo da non muoverci troppo se ci dovessero fermare ancora. Alcuni poliziotti si innervosiscono e usano la pistola… Quando il sole non si è ancora svelato del tutto, ci fermiamo per un rifornimento di acqua. E finalmente io e Fabio possiamo farci una bella doccia! Entriamo in Texas e puntiamo verso Amarillo.

Arriviamo giusto all’ora di pranzo al Big Texan Steak Ranch & Motel, uno dei posti più famosi di tutta la Route 66.

E qui siamo davvero nell’America dei cappelli e degli stivali e delle fibbie argentate; e delle grandi “T-bone steak” e delle “french fries” e del chili. Il tutto in un ambiente di legno, molto western, con le teste imbalsamate di svariati animali alle pareti.

Il pranzo è ottimo. Il cameriere che ci serve si presta per una foto con Caterina. La cameriera che serve altri tavoli si presta per due foto con Fabio.

Ripartiamo, senza fermarci ad Amarillo (che vista dal camper non ci sembra granché) e senza fermarci al Cadillac Ranch, che visto dal camper non è altro che dieci cadillac piantate a muso in giù nella terra, in mezzo al nulla.

Prima di lasciare il Texas deviamo sulla Route 66 nei pressi di Adrian, dove c’è il Midpoint (il punto di mezzo fra Chicago e Los Angeles) e dove perdiamo un po’ di tempo a fotografare un vecchio bar e un camioncino arrugginito, simboli di un America mitica, che viaggiava lungo questa strada e che, forse, non c’è più.

Entriamo in New Mexico all’imbrunire, ma recuperiamo un’ora di fuso orario.

Ci fermiamo a Tucumcari a fare la spesa.

La parte di città che riusciamo a vedere è molto carina. Peccato non avere il tempo per andare a vedere la Old Town. Ma abbiamo altre priorità e dobbiamo ripartire.

Vorrei arrivare ad Albuquerque. Vorrei essere già lì domani mattina. Vorrei… Ma mi si chiudono gli occhi… Il fatto è che sto guidando io… Non mi era mai capitato. Fin dal primo viaggio. E’ anche per questo che abbiamo sempre sfruttato al meglio i giorni a disposizione; perché utilizzavamo la notte per i lunghi spostamenti. Non posso mollare… Alle 10.00 p.M. Mi arrendo. Mi fermo. Crollo dal sonno.

Buonanot…

Martedì 22-04-08 Ripartiamo di buon mattino, ma non troppo presto e ci dirigiamo ad Albuquerque.

Parcheggiamo dietro al Museo Atomico Nazionale, non distante dalla Old Town.

Central Avenue, la via principale, non è altro che la Route 66, che attraversa la città.

Intorno alla Plaza, il cuore della città antica, tutto sembra rimasto come se gli ultimi cento anni non fossero passati. Tutto richiama le antiche culture indiana e ispanica: bassi edifici di architettura coloniale spagnola, tortuosi sentieri di mattoni, negozi originali, vecchie chiese (per esempio, quella di S.Felipe de Neri). La prossima destinazione richiede una leggera deviazione verso l’interno. Lasciamo l’autostrada e ci dirigiamo verso Acoma Pueblo.

Questo è uno dei più antichi insediamenti abitati del Nord America (fin dall’undicesimo secolo) e si trova in cima a una splendida mesa, a circa 2100 metri sul livello del mare (e per questo è soprannominato Sky City). La visita guidata parte dal Centro Visitatori, ai piedi della mesa.

Dobbiamo pagare il biglietto anche per ogni fotocamera o videocamera. Portiamo solo quella di Fabio. La prima cosa che vediamo è la chiesa dell’antica missione, con un minuscolo cimitero di fronte. Le case del pueblo sono fatte di fango, paglia e pietra; alcune hanno all’esterno delle scale a pioli per accedere ai piani superiori. Le donne aspettano i turisti per esporre le loro ceramiche. Da qui si domina davvero un panorama sterminato.

Adesso non ci resta che andare dritti verso l’Arizona. Ma poco prima del confine ci fermiamo a Gallup, una cittadina situata sulla Route 66. A causa dell’orario (sono passate le 07.00 p.M.) troviamo tutti i negozi chiusi; quindi, dopo un rapido giro per la downtown, torniamo al camper e ci rimettiamo in cammino.

Appena entrati in Arizona, ci troviamo a Window Rock, la città principale dei Navajos.

Approfittiamo del buio per effettuare un’operazione di scarico ai limiti del lecito (anzi, del tutto illegale) e ci fermiamo per la notte nella piazzetta di un distributore.

Prima di metterci a letto, mentre io e Fabio fumiamo fuori dal camper, sentiamo alcuni cani abbaiare. Sembrano eccitati da qualcosa. Iniziano a correre. Ma cosa… All’improvviso, dalla campagna spunta una mucca… No, sono due… I cani si avvicinano. Le mucche, per sfuggire all’assalto, si dirigono verso la strada, quasi al galoppo; attraversano la freeway al buio, inseguite ancora per un po’. I cani si arrendono. Le mucche scompaiono chissà dove.

Dopo aver assistito a questa scenetta, andiamo a letto.

Ma dopo un’ora circa, una specie di allarme ci fa svegliare di soprassalto. E’ il rilevatore di monossido di carbonio, di cui scopriamo ora l’esistenza, situato proprio sopra il letto in cui dormiamo io e Caterina. Non sappiamo come farlo smettere; le istruzioni del camper non ci sono d’aiuto. Toccandolo e scrollandolo in tutti i modi, smette.

Non appena richiudiamo gli occhi, ricomincia a suonare. E sembra non volersi fermare più. Io cerco di scardinarlo, riuscendo solo a togliere il coperchio. Allora mi accanisco inutilmente sul meccanismo scoperchiato, finché a Fabio non viene l’idea geniale: “Datemi un coltello”. E taglia i fili. “Ora possiamo andare a dormire. Domani ci penseremo”.

Mercoledì 23-04-08 “Per prima cosa, come ci comportiamo con i fili tagliati?” “Per ora, li lasciamo così. Non vorrei doverli tagliare di nuovo… Quando sarà finita la vacanza, prima di riconsegnare il camper, ci procuriamo del nastro isolante e li riattacchiamo.” Adesso, il nostro problema principale è che abbiamo quasi finito l’acqua. Speriamo di trovarla a Kayenta, vicino alla Monument Valley. Io non mi faccio una doccia da due giorni… Ma pare che da queste parti l’acqua sia una merce rara. Niente da fare.

Allora godiamoci il paesaggio.

Attraversiamo il confine con lo stato dello Utah e seguiamo la Highway 163, che si srotola in mezzo a imponenti guglie rossastre e grandiosi promontori di roccia.

Mangiamo ai piedi di una colossale montagna rossa, vicino al Goulding’s Lodge.

Ripartiamo alla volta del Grand Canyon Village. Speriamo di trovare dell’acqua.

Il sole è ormai sparito quando all’improvviso Fabio si ferma sgommando sulla ghiaia. Ha visto un piccolo negozietto indiano, forse l’unico ancora aperto a quest’ora. All’interno una donna navajo e la sua piccola bambina si stanno preparando per andarsene, ma ci lasciano curiosare. Ci sono orecchini, braccialetti, collanine, vasellame. Sono tutte cose fatte a mano dagli indiani. Compriamo qualcosa e ci rimettiamo in strada. Non dovremmo essere lontani dalla meta.

Al varco d’ingresso del Grand Canyon National Park non c’è nessuno. Si pagherà? A chi? Proseguiamo. Troviamo un campeggio. La reception è chiusa, ma possiamo prendere un talloncino che corrisponde a una piazzola libera e registrarci domani. Mentre ci inoltriamo nel buio del campeggio a passo d’uomo, Fabio vede i bagni e decide che è il momento di caricare l’acqua, anche con metodi rudimentali. Così, mentre lui tiene un’estremità della canna appoggiata al rubinetto e schiaccia il pomello, io reggo l’altra estremità appoggiata all’imbocco del serbatoio dell’acqua. Nel frattempo, Caterina e Roberta si fanno la doccia. Poi ci danno il cambio e ci laviamo anche noi (finalmente…).

Tutti lavati, serbatoio dell’acqua pieno, raggiungiamo la nostra piazzola. Dopo cena, tutti a nanna. Giovedì 24-04-08 Ci svegliamo alle 08.00 a.M. (forse per la prima volta) e siamo pronti per visitare il Grand Canyon.

Prima di tutto, passiamo alla reception a pagare. E decidiamo di fermarci qui a dormire anche stanotte (un po’ di riposo), eliminando dal nostro itinerario il Bryce Canyon. E’ un vero peccato, ma è troppo lontano. Meglio rinunciare.

Il ranger che troviamo alla reception è molto gentile e ci fornisce la guida del parco anche in italiano.

A due passi dal campeggio troviamo la fermata di una delle tre linee di navette gratuite che trasportano i turisti.

Siamo sulla linea blu. Primo punto d’osservazione:Yavapai Point.

L’impatto visivo con il Grand Canyon ci toglie il fiato. Impossibile descrivere la maestosità di questa meraviglia della natura.

Lungo il percorso che decidiamo di seguire per un breve tratto, è tutto un succedersi di angoli da fotografare. Cambiamo linea. Prendiamo la navetta verde e andiamo al Kaibab Point. Da qui parte anche un sentiero che scende sul fondo del Grand Canyon, ma è consigliato ai professionisti del trekking (e ce ne sono parecchi). Noi non siamo attrezzati. Ci accontentiamo di ammirare il panorama dall’alto.

E’ l’ora del pranzo.

Mangiamo in un self-service al Village e poi prendiamo la navetta rossa che ci porta all’Hopi Point, uno dei due punti da cui si vede anche il fiume Colorado.

Lungo la via del ritorno ci fermiamo alla stazione ferroviaria del Grand Canyon, che sembra rimasta intatta da un secolo, così come il trenino che porta i turisti da Williams a qui.

Sono all’incirca le 4.00 p.M. E decidiamo di tornare al campeggio a riposarci un po’, per poi tornare a vedere lo spettacolo del tramonto.

Caffè. Doccia..

Phon… Lavatrice… Asciugatrice…

Quando saliamo sulla navetta il sole non c’è più. Non scendiamo neanche. Ritorniamo al campeggio e prendiamo una sofferta decisione: domani ci sveglieremo presto presto per vedere l’alba! Venerdì 25-04-08 Come previsto, sveglia alle 05.00 a.M. E via di corsa.

Alle 05.30 a.M. Siamo pronti alla fermata… E aspettiamo.

E aspettiamo… Dove abbiamo sbagliato? Ma c’è una navetta laggiù… Corriamo… Chiediamo all’autista se è la navetta giusta per andare a un qualsiasi punto d’osservazione. Ci dice di no e ci fornisce delle indicazioni incomprensibili, grazie alle quali ci perdiamo. Quando riprendiamo una navetta a caso ritroviamo un po’ di speranza. Ma l’autista, incurante della nostra disperazione, si ferma alcuni minuti alla fermata successiva. Poi riparte, molto lentamente, senza fretta, per rifermarsi ancora e ancora… Arriviamo a Yavapai Point a un’ora imprecisata, con il sole ormai allo scoperto. Ma i colori del primo mattino ci ripagano (in parte) della levataccia.

Non ci resta che ripartire.

Destinazione Las Vegas.

Quando siamo in prossimità della strada che sale verso il Nevada, decidiamo di proseguire sulla Route 66 e percorrere il tratto che da Kingman porta a Oatman, descritto dalla guida come un paesino molto caratteristico.

Las Vegas può aspettare.

In entrambi i sensi è un continuo viavai di Harley-Davidson. Più ci avviciniamo a Oatman, più motociclisti incontriamo.

Dopo qualche chilometro, la strada inizia a inerpicarsi sulle colline e si fa sempre più stretta e tortuosa, fra dirupi e pareti inclinate pericolosamente verso il tetto del nostro camper.

Lascio il posto di conducente a Fabio, che guida in maniera sciolta e tranquilla.

Forse un po’ troppo sciolta… A ogni tornante mi devo tenere forte… Rischiamo addirittura di tamponare i motociclisti che ci precedono placidi.

Preferisco andare sul letto in fondo al camper. Così se voliamo giù arrivo nove metri dopo… Continua questa specie di rodeo. Tant’è che mi ritrovo spesso a testa in giù, o con la faccia spiaccicata su un finestrino.

Finché… Tutto bloccato. Il paese è invaso dai “bikers”. Non si può proseguire.

Retromarcia e inversione a U in un fazzoletto.

Parcheggiamo in uno spiazzo polveroso.

Bisogna prendere una decisione.

“Visto che il paese non si può attraversare, vogliamo almeno visitarlo prima di andarcene?” “Ma ci sono dei brutti ceffi. Non so se siamo nelle condizioni di affrontare la situazione.” “E poi con il camper cosa facciamo? Lo lasciamo qui, incustodito?” “Vabbè, non saranno mica tutti delinquenti; sono solo motociclisti…” “Io ho visto solo brutta gente. Sono passati certi messicani… No no no. Io non scendo.” “E allora andiamo via. Anche se…” “Se volete andate voi due.” “E lasciamo voi qui, da sole?” “Ci chiudiamo dentro…” “…?…” “…” “Andiamo a dare un’occhiata da lontano…” “Torniamo subito.” Le ultime parole famose.

Da lontano lo spettacolo è già bello.

Centinaia di Harley-Davidson, di tutti i colori, di ogni modello disponibile, mai viste prima.

Più ci avviciniamo più veniamo risucchiati da questa folla variegata e dal rombo incessante delle moto che continuano a spostarsi da una parte all’altra del paese. Effettivamente ci sono personaggi stravaganti, ma mi sembrano per lo più intenzionati a divertirsi. Qualche brutta faccia la puoi incontrare in ogni luogo.

E comunque ci sono anche un paio di sceriffi e alcuni poliziotti.

Forse potevano venire anche le ragazze. Mentre riprendiamo il viaggio verso Las Vegas, io e Fabio abbiamo la sensazione di essere stati fortunati. Senza i “bikers” la visita di Oatman non sarebbe stata la stessa cosa. Questa sensazione ci accompagna fino al confine con il Nevada, dove attraversiamo il Lago Mead passando sull’imponente Diga Hoover.

Raggiungiamo Las Vegas che è quasi sera. Ci fermiamo in un parcheggio fuori dal centro e approfittiamo della sosta per farci tutti una bella doccia.

Dopo vari tentativi, troviamo un posto vicino al Rio e raggiungiamo a piedi la zona dove sorgono le maggiori attrazioni della città.

Caesars Palace, Bellagio, Paris-Las Vegas, New York-New York, MGM, Luxor, Tropicana…

Questi imponenti alberghi-casinò illuminano il cielo di Las Vegas con mille colori. Si respira un’atmosfera di festa che sembra eterna, immutabile. Come se qui si potesse vivere solo con il sorriso in faccia e le tasche piene di soldi.

Entriamo al Bellagio.

Ci colpisce subito lo sfarzo degli arredamenti e delle vetrine. Il soffitto della lobby, alto più di 5 metri, è ornato da una scultura in vetro formata da 2000 fiori di vetro soffiato che risaltano con i loro colori sgargianti contro lo sfondo illuminato.

Facciamo un rapido giro all’interno e quando usciamo assistiamo ai famosi giochi d’acqua del laghetto, con fontane danzanti a tempo di musica.

Al di là della strada, la Tour Eiffel e L’Arc de Triomphe del Paris-Las Vegas.

Passeggiamo a lungo, entrando qua e là, sballottati fra suoni, luci e colori.

Mangiamo qualcosa in un McDonald.

Entriamo anche al Luxor, forse il resort più imponente della città.

La piramide di 30 piani è rivestita di vetro nero dalla base all’apice; l’atrio è gigantesco. Di fronte, la Sfinge, Abu Simbel… Verso le 02.00 a.M. Prendiamo un taxi e ci facciamo portare al camper.

Ripartiamo e ci fermiamo a dormire appena fuori dalla città.

Sabato 26-04-08 Ci svegliamo con calma e ci apprestiamo a passare dal deserto del Nevada alla famigerata Valle della Morte, in California.

In realtà, neanche ci accorgiamo di aver attraversato il confine, se non quando vediamo il cartello che segnala l’inizio del Death Valley National Park. Qui ci fermiamo per alcune foto.

Che caldo… E siamo appena all’inizio! Ed eccoci arrivati al famoso Zabriskie Point, immortalato da Michelangelo Antonioni nell’omonimo film, con la musica dei Pink Floyd.

Da qui la vista abbraccia una terra sinuosa, che per effetto dell’erosione somiglia a una serie di onde dorate.

Proseguiamo fino a Furnace Creek, dove il deserto è stato trasformato in verde oasi per turisti, con tanto di campo da golf… Troviamo un posto all’ombra di una palma e ci fermiamo a mangiare.

Sarà colpa del caldo, sarà colpa degli spaghetti, ma dopo pranzo siamo tutti piuttosto stanchi.

Fabio si addormenta; io e Caterina andiamo a fare un giro al piccolo market.

L’aria condizionata… Che piacere… Dopo aver fatto un po’ di spesa, verso le 05.30 p.M. Ci muoviamo alla volta di Badwater.

Siamo a 86 metri sotto il livello del mare. C’è ancora un caldo torrido. Camminiamo per un po’ su questa distesa di terra salata, che crea un effetto surreale.

E’ quasi il tramonto quando ci fermiamo al Golden Canyon, che io e Fabio decidiamo di “scalare” per un breve tratto, per ammirare dall’alto un panorama fantastico.

Torniamo a Furnace Creek, dove (incredibile!) troviamo l’acqua che ci serve per farci una bella doccia, riempire il camper e ripartire.

E’ ormai buio, ma cerchiamo di fare ancora un po’ di strada. Domani potremmo riuscire a visitare Yosemite! Guido io. La strada sembra discreta, anche se nel buio più totale.

Dopo qualche chilometro, si inizia a salire. Ma non piano piano. Il camper fatica su pendenze degne delle Dolomiti. In pochissimo tempo passiamo da sotto il livello del mare a +1.500 metri! Non c’è più il caldo torrido della Death Valley, ma l’aria fresca e pulita tipica della montagna.

Cerchiamo un posto dove fermarci per mangiare e per dormire, ma sembra che ogni forma di vita sia bandita da questi luoghi. Non c’è niente. Solo il buio.

Dopo circa tre ore, ecco delle luci. Un paese. Lone Pine.

Facciamo il pieno di benzina e ci fermiamo in un grande piazzale di fronte al distributore.

Cena e nanna.

Domenica 27-04-08 Dopo il caldo torrido della Death Valley, ci svegliamo e ci troviamo di fronte alle vette innevate della Sierra Nevada (che ieri sera al buio non avevamo visto).

Colazione e ripartenza.

Lungo il tragitto ci fermiamo a Bishop, approfittando della bella giornata e dell’aria fresca per fare due passi. La trafficata strada principale si presenta con ristoranti, motel, negozi e tante insegne colorate.

Dopo aver fatto anche un po’ di spesa, ripartiamo.

La strada che stiamo percorrendo corre parallela alla Sierra Nevada. Alla nostra sinistra abbiamo sempre la compagnia delle montagne innevate. Giungiamo a Lee Vining (dove ci fermiamo per il pranzo) e siamo molto vicini, in linea d’aria, a Yosemite. Dobbiamo solo attraversare il Tioga Pass. Peccato che sia chiuso a causa della neve… L’unico passo percorribile si trova molto più a nord. Ma poi, per raggiungere Yosemite dovremmo tornare indietro di molti chilometri. Dopo aver studiato la mappa, decidiamo di proseguire fino al Lago Tahoe e di piegare poi direttamente verso San Francisco.

La strada continua a salire e ad un certo punto… La neve! Ma non lontana compagna di viaggio. E’ proprio qui, accumulata ai lati della strada. Breve sosta per toccare la neve con le mani nude.

Arriviamo sul Lago Tahoe all’ora del tramonto. Uno spettacolo di nuvole rosse e vette innevate che si riflettono nell’acqua placida, mentre alcuni gabbiani si fanno fotografare sulla spiaggia che cambia colore.

Dopo una passeggiata lungo il lago, mangiamo e ripartiamo.

Guida Fabio fino all’altezza di Sacramento. Ci fermiamo a dormire in un’area di servizio.

Lunedì 28-04-08 Guida ancora Fabio, perché solo lui può affrontare il traffico che, prevedibilmente, troveremo nei pressi di San Francisco.

Infatti, più ci avviciniamo alla città, più si moltiplicano le corsie e le macchine.

Lo stress è moltiplicato dal dover guidare un carrozzone di queste dimensioni.

Percorriamo il San Francisco-Oakland Bay Bridge e vediamo i grattacieli di San Francisco… Il navigatore ci guida alla perfezione davanti alla nostra meta. E’un RV-Park (in America i camper e i motorhome li chiamano RV, Recreative Vehicle).

Prendiamo possesso della nostra piazzola, fornita di acqua, elettricità e scarico wc.

Dopo esserci lavati, prendiamo la navetta gratuita che ci porta nel centro della città in venti minuti.

La Lonely Planet diventa ora fondamentale. Descrive un percorso a piedi attraverso i quartieri di Chinatown e North Beach, fino al Fisherman’s Wharf, sul mare.

Per puro caso, la navetta ci ha lasciati proprio a due passi da dove inizia l’itinerario.

Non abbiamo ancora iniziato a camminare che abbiamo già comprato magliette e felpe a prezzi stracciati.

Oltre alla marea di negozi per turisti, Chinatown colpisce per gli edifici colorati, alcuni davvero sgargianti. Il quartiere è da sempre il più vivace e affollato della città, anche a causa del flusso continuo di immigrati cinesi, che si ritrovano in Portsmouth Square, dove gli anziani giocano seduti sulle panchine.

Quando è l’ora del pranzo, accettiamo l’invito di una gentile signorina che ci conduce all’interno di un ristorante (cinese) molto carino.

Nonostante l’iniziale diffidenza, il cibo si rivela ottimo e molto diverso da quello che si trova solitamente nei ristoranti cinesi in Italia.

Continuando il nostro giro ci troviamo a North Beach, considerato il quartiere italiano. In effetti, i nomi dei ristoranti hanno un che di familiare.

Ecco la libreria City Lights, fondata da Lawrence Ferlinghetti ai tempi “on the road” della “beat generation” di Jack Kerouac, Allen Ginsberg e tanti altri.

Dall’altra parte della strada c’è il Caffè Trieste, dove possiamo gustare un espresso quasi perfetto (Fabio, l’intenditore, non è del tutto soddisfatto; comunque, meglio della solita acqua sporca).

Proseguendo lungo Columbus Avenue arriviamo al National Shrine of S.Francis of Assisi, dove entriamo per un breve momento di raccoglimento.

Su Washington Square, il parco di North Beach, domina la Saints Peter & Paul Church.

Salendo in cima a Telegraph Hill, ci troviamo ai piedi della Coit Tower, uno dei simboli di San Francisco. Da qui si vede la baia, con l’isola di Alcatraz nel mezzo.

La scalinata Filbert, fiancheggiata da incantevoli giardini, ci riporta in basso.

Quando arriviamo in vista del mare, al Fisherman’s Wharf, ci dirigiamo subito al Pier 39, il molo famoso per la presenza di una colonia di leoni marini, attrazione di tutti i turisti.

Dopo aver tanto camminato, decidiamo di prendere un taxi. La direzione… Boh… Cerchiamo di comunicare al tassista il desiderio di vedere quella zona dove ci sono belle case… Giriamo per un po’, salendo e scendendo per le ripide strade di San Francisco, ammirando effettivamente molte case particolari, sparse in una zona della città molto tranquilla.

Il tassametro inizia a girare un po’ troppo; il tassista non sembra intenzionato a portarci in un luogo preciso. Forse vuole farci fare il giro della città. Ma non è proprio quello che vogliamo.

Ci facciamo lasciare in un luogo imprecisato, salvo scoprire di essere molto lontani dal centro.

Dopo aver camminato a lungo, prendiamo un autobus e scendiamo in un altro luogo imprecisato, da dove riusciamo a prendere un altro taxi al volo. Ma stavolta l’indicazione che gli forniamo è perentoria: “Union Square!”. E dopo qualche minuto siamo in pieno centro.

Girovaghiamo per circa un’ora fra i grattacieli del Financial District e quando sono le 08.00 p.M. Ci troviamo puntuali all’appuntamento con la navetta che ci riporta al camper.

Per domani abbiamo già un programma bello fitto. San Francisco ci deve ancora sorprendere! Martedì 29-04-08 Prendiamo la navetta alle 09.30 a.M. E per prima cosa decidiamo di prendere il famoso Cable Car, la funicolare che ci porta da Powell Street fino a Lombard Street. Qui scendiamo per ammirare “la via più tortuosa del mondo”, anche se l’assenza delle aiuole fiorite non ci consente di vedere le stesse immagini ammirate in tante cartoline.

Da qui, con un breve tragitto a piedi, raggiungiamo il Fisherman’s Wharf, da dove partiamo per la gita nella baia.

Ma prima, il caso vuole che noi si passi proprio davanti al negozio Harley-Davidson. E Fabio trova modo di comprarsi un giubbotto da vero “biker”, imitato da Caterina che ne compra uno bianco, più leggero.

La gita nella baia ci porta fino al Golden Gate e poi vicino ad Alcatraz.

Torniamo a terra dopo circa un’ora.

Per sentirci davvero in America, mangiamo un hot dog al primo chiosco che incontriamo.

Dopo aver fatto visita ai leoni marini al Pier 39, decidiamo di pranzare e scegliamo un fast food messicano.

Prendiamo un taxi e ci facciamo portare a Union Square. Ed inizia il giro dei negozi. In realtà, passiamo la maggior parte del tempo nell’edificio della Levi’s, dove acquistiamo qualcosa quasi tutti. Il negozio New Balance è deludente. Entriamo da Lacoste. Entriamo da Diesel. Il negozio Ralph Laurent è chiuso… Non ci siamo accorti dello scorrere del tempo, ma sono passate le 07.00 p.M. E non ci resta che entrare da Macy’s, una specie di Rinascente che occupa un enorme edificio.

Ritorniamo a Chinatown, dove Fabio e Roberta, spinti dall’esigenza di rimpatriare i numerosi acquisti, decidono di comprare un’altra valigia.

La navetta dell’RV-Park, puntuale, ci riporta al camper, dove ci prepariamo a trascorrere la notte.

C’è un po’ di tristezza. Domani inizia la discesa. Si avvicina la fine del viaggio.

Comunque abbiamo ancora tante cose da vedere.

Mercoledì 30-04-08 Ci svegliamo con calma. Doccia.

Scarico.

Carico.

E si riparte.

Prima tappa a Monterey, sulla baia omonima. Il vento che ci perseguita da quando siamo giunti sulla west coast è ancora più intenso.

Dopo un breve giro, pranziamo e ripartiamo verso Carmel, percorrendo la suggestiva 17-mile drive.

Si tratta di una strada meritatamente famosa, perché consente di ammirare il caratteristico Lone Cypress (cipresso solitario) di Pebble Beach, residenze esclusive immerse in sterminati campi da golf e un tratto straordinario di costa frastagliata.

Giunti a Carmel, percorriamo la strada principale che termina dove inizia una bella spiaggia di sabbia bianca. Purtroppo, c’è un vento talmente forte che Caterina e Roberta non scendono neanche dal camper. Io e Fabio ci accontentiamo di qualche foto.

Ed ora ci attende il Big Sur.

La costa qui è di una tale bellezza da mettere soggezione. Alcuni tratti della Highway 1 sembrano aggrappati alla scogliera. E non mancano i punti panoramici, che ci invogliano a fermarci spesso per osservare lo spettacolo da angolazioni diverse.

Il tramonto è bellissimo.

Mentre mangiamo, suona una specie di allarme. Non è il rilevatore di monossido di carbonio (ha ancora i fili staccati da quella notte); questa volta è il rilevatore di fumo.

“Ora tagliamo pure ‘sti fili…”. Ma quando lo apriamo – sorpresa! – c’è una pila, che viene rimossa all’istante. “Ricordiamoci di rimetterla a posto prima di restituire il camper…”. Ci rimettiamo in cammino e ci fermiamo a dormire non appena imboccata la Highway 101. E’ passata da un po’ la mezzanotte. Giovedì 01-05-08 Sono giusto le 05.00 a.M. Quando il benzinaio ci sveglia, picchiando forte sul camper.

Quello che capisco nel torpore è solo: “Hey guys, it’s five o’clock!” In effetti, gli avevo detto che ci saremmo fermati per poco, ma non pensavo che ci sarebbero stati problemi. Forse è passato qualche sceriffo a cui non piaceva che fossimo fermi lì.

Ci tocca ripartire.

Guido io fino a Santa Barbara, dove arriviamo alle 07.00 a.M. E dove troviamo un ampio parcheggio.

Dopo aver fatto colazione ed esserci svegliati per bene, facciamo un giro. Dapprima sul lungomare, tipico californiano, con sterminate spiagge di sabbia chiara; poi ci spingiamo nel centro di questa bella cittadina, con le tipiche case bianche con il tetto di tegole rosse.

Ritornati in prossimità del camper, mi impongo per provare un tipico breakfast americano: scrambled-eggs, pane tostato, bacon e un buon succo di frutta.

Con qualche variazione, mangiamo tutti e con soddisfazione.

Ripartiamo verso Venice Beach.

Troviamo un parcheggio a pagamento proprio di fronte al mare.

La spiaggia sembra quella di Baywatch. Non c’è Pamela Anderson, ma ci sono le torrette di osservazione e i mezzi della polizia che camminano a passo d’uomo sulla sabbia.

L’Ocean Front Walk non è affollato da tutti i personaggi bizzarri e stravaganti che mi aspettavo (pattinatori, culturisti ad allenarsi sulla spiaggia, ragazze in costume, vecchi hippie). Forse non è ancora stagione. C’è poco movimento. Ma ci sono tutti i negozietti aperti.

Dopo una breve passeggiata, decidiamo di prendere l’autobus fino a Santa Monica.

Ed eccoci dove finisce ufficialmente la Route 66: il Santa Monica Pier, ossia il vecchio molo della città, trasformato in piccolo parco giochi. Ci spingiamo sulla Third Street Promenade, ricca di negozi e ristoranti.

Torniamo a Venice. Troviamo il modo (non proprio ortodosso) di usufruire dell’acqua del bagno pubblico e ci facciamo tutti la doccia sul camper.

Già che ci siamo, mangiamo.

E decidiamo di andare a cercare un posto dove dormire nei pressi di Hollywood, meta di domani.

Il buio non ci aiuta.

Giunti a Beverly Hills ci inoltriamo fra le splendide ville, ma non troviamo tracce di un parcheggio o di un luogo accogliente che possa soddisfare le nostre esigenze.

Giriamo tanto che alla fine troviamo un posto di fronte a un edificio che ospita alcune aziende.

Speriamo di non essere svegliati anzitempo… Venerdì 02-05-08 A quanto pare non abbiamo dato nell’occhio(!).

Comunque è meglio andare via presto.

Arriviamo a Hollywood alle 09.00 a.M. E troviamo un parking a pagamento proprio dietro la Walk of Fame.

Ci tocca contrattare sul prezzo con la signora che gestisce il parcheggio, spaventata dalla mole del nostro camper. Ma possiamo restare fino alle 05.00 p.M. Ed abbiamo quindi tutta la giornata a disposizione per girovagare.

Sull’Hollywood Boulevard non c’è nessuno; solo le stelle di tanti personaggi famosi sul selciato. Evidentemente è troppo presto e la notte deve essere stata lunga… Passeggiando scorgiamo alla nostra sinistra la famosa scritta HOLLYWOOD sulle colline.

Fa molto caldo. Il vento è rimasto a soffiare sull’Oceano Pacifico.

Prendiamo un autobus che ci porta nel centro di Los Angeles.

Scendiamo dove ci sono numerosi grattacieli adibiti a uffici e passeggiamo per un po’, fra Broadway e Pershing Square. Quando è quasi l’ora di pranzo, prendiamo un altro autobus per raggiungere El Pueblo de Los Angeles. Questo parco statale storico, raccolto, pieno di colori e chiuso al traffico, ospita gli edifici più antichi della città, fra cui spicca l’Avila Adobe, del 1818. Ha il suo centro in Olvera Street, una stradina di mattonelle in stile messicano fiancheggiata da bancarelle di souvenir e locali dove mangiare un boccone. Infatti, mangiamo. Messicano. Ottimo.

A Union Station prendiamo la metropolitana in direzione degli Universal Studios, per visitare non gli studi cinematografici (che ci vorrebbe un giorno intero), ma il City Walk, una sorta di passeggiata nel mondo della fantasia, fra negozi, ristoranti, cinema e locali.

Riprendiamo la metropolitana e scendiamo… a due passi dal nostro camper! Se ce ne fossimo accorti stamattina, avremmo camminato molto meno e risparmiato un sacco di tempo.

Adesso l’Hollywood Boulevard è pieno di gente.

Davanti al Kodak Theatre (famoso per ospitare la serata degli Oscar) ci sono alcuni artisti di strada travestiti da personaggi del cinema, che cercano di estorcere denaro ai turisti in cambio di una foto.

Fabio non paga il pizzo… Consumiamo un po’ di tempo in alcuni negozietti, cercando di rimandare il più possibile il momento in cui risaliremo sul camper e dovremo pensare a rifare i bagagli.

Lasciamo Hollywood alla ricerca di un RV-Park, dove passare l’ultima notte di questa fantastica avventura. Con un po’ di difficoltà, troviamo quello che cercavamo, a Playa del Rey, in front of ocean, in tempo per assistere ad un ultimo, meraviglioso tramonto.

Le valigie sono di nuovo piene, come quindici giorni fa (quelle di Fabio e Roberta scoppiano, persino quella acquistata a San Francisco…) e gli armadi del camper sono vuoti, senza più le tracce della nostra presenza.

Domani mattina, riporteremo il camper alla Moturis di Los Angeles. Poi ci accompagneranno al LAX (Los Angeles International Airport). Dopo aver fatto il check-in ed esserci sbarazzati dei bagagli, andremo ad assaporare per l’ultima volta il sole, il vento, la sabbia, l’oceano. Aspetteremo ad Hermosa Beach fino all’ultimo minuto possibile. Prenderemo l’autobus e ritorneremo all’aeroporto. Io e Fabio ci fumeremo ancora una sigaretta. E poi sarà di nuovo aria condizionata, sale d’attesa, decollo-atterraggio, Londra (reclusi ad Heathrow senza poter fumare), decollo-atterraggio, Malpensa, attesa dei bagagli, jet-lag… Sarà come la fine di ogni viaggio.

Nell’attesa del prossimo.



    Commenti

    Lascia un commento

    Leggi anche