Da Capo Horn a Rio

DA CAPO HORN A RIO DE JANEIRO FEBBRAIO – MARZO 2002 Il desiderio di un viaggio in Patagonia mi perseguitava da anni e così la scorsa primavera, nell’ambito di un progetto di viaggio di tipo “Round World” mi sono così deciso a considerare come tappa questa remota destinazione. Tralasciato poi a settembre il progetto...
Scritto da: Luca Sist
da capo horn a rio
Partenza il: 09/02/2002
Ritorno il: 15/03/2002
Viaggiatori: fino a 6
DA CAPO HORN A RIO DE JANEIRO FEBBRAIO – MARZO 2002 Il desiderio di un viaggio in Patagonia mi perseguitava da anni e così la scorsa primavera, nell’ambito di un progetto di viaggio di tipo “Round World” mi sono così deciso a considerare come tappa questa remota destinazione. Tralasciato poi a settembre il progetto Round World per problemi post-caduta torri (nonostante avessi già comprato e studiato quasi tutte le edizioni della Lonely Planet del pianeta) mi sono così concentrato solo sul sud america.

Dopo le torri di NY interveniva però anche la grave crisi economica argentina e dopo i duri scontri di dicembre di Buenos Aires sinceramente la situazione non era delle più incoraggianti ad intraprendere un viaggio di piacere da quelle parti. Nonostante queste difficoltà ho però tenuto fede al programma e sono partito modificando solo qualche data e qualche itinerario; è stato sicuramente uno dei miei viaggi più belli. Sono venuti con me Sandro e Franco. Cristina, mia moglie, ci ha raggiunto a Buenos Aires due settimane dopo.

Dalla mia moleskine…… Sabato 9 febbraio Partenza nella fitta nebbia padana. Sono stressatissimo da amici e parenti che mi guardano come se partissi per l’Afghanistan. Sono talmente stressato che se fossi solo e non avessi già anticipato i biglietti aerei me ne andrei a Cortina a sciare per un mese e mezzo. Voli regolari. Air France non delude; immaginavo chissà quali tagli alla qualità dei servizi dopo la crisi, invece tutto sommato non ci sono stati grossi cambiamenti. Il viaggio inizia “bene” soprattutto per Franco e Sandro che all’aereoporto di Parigi vengono subito “agganciati” da tre simpaticissime ragazze italiane in vacanza. Naturalmente noi, da veri boys scout, non aderiamo all’invito di fermarci con loro nella capitale francese e tiriamo dritto per la nostra destinazione. Le turbolenze incontrate in Atlantico favoriscono un buon sonnellino ed il tempo “vola”. Ero terrorizzato da oltre 14 ore di volo senza scalo, che invece sono trascorse senza troppi disagi.

Domenica 10 Arrivo a Buenos Aires con la paura di essere sbranato vivo dalla popolazione ed invece la città appare molto tranquilla. Formalità sbrigate molto velocemente. Il taxista che ci traghetta all’aereoporto nazionale dimostra un certo fatalismo e ci rassicura che i problemi sono più o meno quelli di sempre. Vista dal finestrino del taxi BA è molto bella anche in periferia (paghiamo 25 USD ma impieghiamo solo 40 minuti perché è domenica e non c’è traffico). Ottimo clima. L’aereoporto nazionale è molto più bello di quello internazionale nonostante si trovi in una posizione non molto felice (praticamente in mezzo alla città). La coincidenza per Ushuaia parte in orario (voliamo con Aerolineas Argentinas con un bel cimelio d’antiquariato) e dopo 30 ore, da quando abbiamo abbandonato l’uscio di casa, mettiamo piede sul suolo della mitica Terra del Fuoco. Prima di atterrare sorvoliamo anche il mitico arcipelago di Capo Horn e tutto il Canale di Beagle e Puerto Williams (Cile). Appena scesi decidiamo di noleggiare un’auto (una WV GOL a 45 usd al giorno). Partiamo così subito per il Parque Nacional della Terra del Fuoco (ingresso 3 usd) dove piantiamo la tenda in una splendida baietta chiamata “Baia Azul” .Nonostante sia molto tardi c’è ancora molta luce (siamo in piena estate australe a quasi 60 gradi di lat. Sud) e decidiamo di tornare ad Ushuaia per una lauta cena, nonostante la stanchezza ed ulteriori 25+25 km da percorrere su una strada non proprio rilassante. Effettivamente la cena meritava il rientro a Ushuaia ed infatti abbiamo il piacere di gustare la prima meravigliosa carne argentina. Strepitoso Lomo Chorezo a prezzi stracciati (nonostante il cambio del Peso con il dollaro sia ancora vicino alla parità). La nottata in tenda rende bene l’idea di cosa sia il tempo variabile di queste zone, con vento, pioggia, freddo, caldo, calma che si avvicendano continuamente. Ho un ricordo incredibile delle nubi scure e minacciose provenienti dal pacifico che si condensano sul canale di Beagle trasformandosi in una pioggia impalpabile asciugata all’istante dal vento fortissimo. Tutto intorno per decine di chilometri (per lo meno fino ad Ushuaia) non c’è traccia di essere umano a parte noi.

Lunedì 11 Mi sveglio al mattino presto e faccio una bella camminata scattando decine di foto ad animali e paesaggi indiscutibilmente suggestivi. Siamo alla fine del mondo. Foto di rito sotto il cartello di Baia Lapataia “..Aqui finaliza la ruta nacional nr. 3..” – “ alaska 17.848 km” . Poi visitiamo la laguna nera (per via di una particolare alga che vi cresce) e quindi leviamo le tende per spostarci nella zona ad Est di Ushuaia. Il Canale di Beagle è molto bello e la costa settentrionale, non so perché, mi ricorda la costiera amalfitana ( le mie foto di queste parti, non so per quale motivo, non renderanno minimamente giustizia). Qui a Ushuaia non incontriamo concitazione ma una calma assoluta. Il porto offre riparo a diverse imbarcazioni quasi tutte provenienti dal Pacifico; una rompighiaccio è in partenza per l’antartico che si trova a soli 1000 Km da qui. Visto il nutrito calendario che ci attende nei prossimi giorni, decidiamo che il tempo trascorso ad Ushuaia è stato sufficiente e programmiamo la partenza il giorno successivo con prenotazione ed acquisto del biglietto del bus che ci porterà in Cile a Punta Arenas (62 pesos). Riconsegnata l’auto, con sopra e dentro una tonnellata di polvere, ci affranchiamo presso l’Hostal Cesar (75 pesos la tripla). Mui lindo. I primi contatti con la gente del posto sono entusiastici. Ceniamo all’Ideal a base di pesce con suggestiva veduta notturna del porto (mi piacciono da impazzire le rompighiaccio di colore arancione acceso ancorate in rada). Gran mangiata di molluschi poi ad un certo punto crollo svenuto dalla stanchezza. Non ricordo come sono rientrato in albergo.

Martedì 12 Sveglia alle 7, si parte per Punta Arenas. Il fatto che il viaggio duri 12 ore non mi spaventa minimamente; la curiosità di vedere la famosa steppa patagonica e più forte di ogni sacrificio. Infatti la vera Patagonia inizia più a Nord della Terra del Fuoco che invece pur bellissima è molto montuosa con le vallate ricoperte di vegetazione, quindi un po’ simile alle nostre Alpi. Il viaggio è veramente eccezionale e passiamo dai Laghi dalle mille tonalità e i Monti della terra del Fuoco al ventosissimo stretto di Magellano (a Punta Delgada) all’estremità meridionale della vera e proprio Patagonia. La fermata al confine tra Argentina e Cile mi consente di assaporare il silenzio che regna in questi posti, disturbato solo dal fruscio del vento. Punta Arenas tutto sommato mi delude molto, e data l’ora e la stanchezza ci fidiamo di una tipa di nome Vicky che ci abborda alla stazione dei bus che ci conduce al suo Hostal Guisanda (11 usd) che onestamente non è un granchè ( la stufa non è sufficiente a scaldare la stanza ma per fortuna l’acqua è calda). Il tutto è compensato dalla simpatia di Vicky e dalla gente del posto veramente strepitosa. Usciamo a cena dove assaporiamo un buon vino cileno; anche la carne è buona anche se quella argentina è imbattibile. Qui comunque è il regno dei crostacei. In Cile di questi tempi si spende un po’ di più che in Argentina.

Mercoledì 13 Ci sveglia un tempo da lupi; oltretutto fa un freddo terribile anche in casa; infatti non sono più riuscito a riaccendere la stufa (che già scaldava poco) dopo averla spenta ieri sera per motivi di “sicurezza”. Mi armo di coraggio e mi faccio comunque la doccia, anche perché una volta partiti per il remoto Paine potremmo non avere più occasione di farla per diversi giorni. Dopo una breve passeggiata su un lungomare trasformato dai cittadini in discarica (una brutta discarica) la pioggia il vento fortissimo il freddo e in generale il luogo per niente ameno ci inducono a decidere di partire immediatamente per Puerto Natales senza perdere altro tempo. Dopo aver salutato Vicki (che alle 10 sta ancora dormendo) ci avviamo a piedi verso il centro e nel giro di pochi minuti acquistiamo il biglietto dell’autobus (2500 CPL) che parte però alle 13.30. Approfittiamo così per acquistare qualche rullino, il fornello da campo alla “zona franca”, centro commerciale a 5 minuti di taxi dal centro, e a fare uno spuntino a base di empanaditos (menzione al cameriere che ci consiglia l’ordine). L’autobus in perfetto orario si inoltra verso Puerto Natales attraversando distese di terra che, se non fosse per il diverso colore, potrebbero assomigliare moltissimo per la forma, alle onde del Pacifico quando è calmo viste da una imbarcazione in alto mare. La lentezza del bus e le pessime condizioni atmosferiche però mi stordiscono e dopo un po’ mi addormento. Ad un certo punto soccorriamo i passeggeri di un altro bus rimasto in panne e a quel punto il viaggio richiede un po’ di sacrifici (ho ceduto il posto ad una signora sdentata simpaticissima che però mi ha lasciato in piedi per due ore). Arriviamo a Puerto Natales, altro paesino da “fin del mundo”, sempre con condizioni del tempo avverse anche se tutto sommato preferibili ad un caldo torrido considerato il peso dei nostri zaini. La città a mio avviso è molto più accogliente di Punta Arenas (anche perché molto più piccola) . Per prima cosa andiamo in cerca dell’agenzia che organizza le escursioni al Paine per via fluviale. Contattiamo così la “Onas”, che (per 75 usd) ci porterà in due giorni dentro alla piccola alaska in miniatura del sud america. Fuori dalla agenzia della Onas incontriamo e conosciamo Itne, una ragazza di Santiago uscita momentaneamente dal Paine per problemi tecnici (aveva rotto gli scarponi) che ci consiglia di passare la notte in un ostello con bagno compartidos molto economico situato a pochi metri da dove ci trovavamo. Il personaggio da fumetto che gestisce l’ostello si chiama Manuel che (per 2500 pesos) ci offre una pessima sistemazione che però accettiamo con gioia per le facce simpatiche di chi lo occupa (e poi se ci sta la bella Itne, professoressa di arti plastiche (?) all’università di Santiago, non vedo perché non possiamo starci noi). Per cena però non badiamo spese ed andiamo nel miglior locale di P. Natales; l’“Ultima esperanza”. E dopo questa cena posso dire, senza temere smentite, che in Cile si mangiano i migliori crostacei al mondo; mai mangiato un granchio più buono, più grande e più bello della Centolla Gigante servita qui. Verso mezzanotte ci raggiunge Itne che si accontenta “solo” di un mega filetto di carne con huevos e di finire l’ottimo vino cileno di cui abbiamo abbondato. Piacevolissima serata.

Giovedì 14 Sveglia alle 6.30 perché dobbiamo imbarcarci sulla “Nueva galicia” che ci porterà al rifugio Balmaceda sotto l’omonimo ghiacciaio. Viaggio avventuroso lungo la baia; infatti le condizioni meteo da paura (sembra di essere in una tempesta d’alto mare pur essendo in una baia lunga e stretta) a momenti costringono il “capitan” a tornare indietro. Alla fine però raggiungiamo la baia Ultima esperanza e veniamo scaricati a terra in prossimità del camping sotto il ghiacciaio Balmaceda (in realtà il camping è solo un’area verde dove è possibile piantare la tenda). Problemi di spazio comunque non ce ne sono anche perché nel raggio di migliaia di km quadrati ci siamo solo noi. In serata scopriamo che al rifugio situato lì vicino, una famigliola sta festeggiando un compleanno . Naturalmente veniamo invitati a partecipare e la serata trascorre con la loro piacevole compagnia gustando l’aguardiente cilena chiamata pisco (nelle varie versioni tipo piscola e piscosauer) e delle strepitose vongole giganti d’acqua dolce. Consumiamo la nostra cena seduti sulla spiaggia di fronte al ghiacciaio, (pasta al pomodoro e parmigiano) e ci godiamo questo posto incantato senza però riuscire a realizzare quanto siamo effettivamente lontani dal resto del mondo. Un uccellino si è posato sopra la mia scarpa e mi guarda con aria perplessa ma senza il minimo timore. Sandro ed io facciamo anche un po’ di bucato (senza usare detersivi ma solo sapone) sfruttando un ruscello che passa vicino alla tenda. Nel frattempo le condizioni meteo sono decisamente migliorate (non si vedono più i mulinelli d’acqua alzati dal vento nella baia). Durante la notte mi accorgo che il vento si è completamente fermato, il celo è stellato e la temperatura è decisamente salita. I nostri saccoletti cominciano addirittura a diventare troppo caldi; da non credere se si considera a che latitudine ci troviamo e che un’enorme ghiacciaio si trova a poche centinai di metri da noi.

Venerdì 15 La giornata è meravigliosa; limpida e calda. Dopo una mattinata passata in pieno relax smontiamo le tende perché alle 13 circa dovrebbero venirci a prendere i motoscafi che ci porteranno dentro il Paine. La baia è agitatissima e l’acqua è grigio chiaro e non si capisce il perché considerato che non c’è vento. Partiamo quindi super equipaggiati (contro freddo e acqua) ma il Rio Serrano, pur dotato di una fortissima corrente, non crea grossi problemi ai potenti gommoni Zodiac. Il paesaggio è meraviglioso ma ancora più stupefacente è la vista del ghiacciaio Tyndal (estremità meridionale dello “hielo patagonico sur”) che in un primo momento mi era sembrata una enorme e soffice nuvola adagiata sul fondo di una vallata. Sono molto emozionato perché ho letto che questa distesa di ghiaccio è uno dei posti più inesplorati della terra ed è stato attraversato da est a ovest solo una volta in epoca recentissima, solo diversi anni dopo l’esplorazione dello stesso Polo Sud. Durante una sosta nel bosco incontriamo uno strano personaggio tipo folletto (ci dicono vive lì da 50 anni in solitudine) che ha la macabra abitudine di attaccare tutti i teschi di animali morti sulla cima degli alberi….Contento lui. Nel corso del viaggio facciamo amicizia con una coppia di ragazzi francesi residenti a Santiago del Cile da qualche anno che ci consigliano di seguirli. In effetti grazie alla loro dritta arriviamo in un battibaleno al meraviglioso camping Pehoe dove ci fermeremo tre giorni. Dal camping Serrano del Paine, con un pulmino raggiungiamo via terra in poche decine di minuti l’imbarco per il Pehoe (il camping si trova dal lato opposto di un lago di un colore azzurro irreale). Il traghetto è particolarmente e inspiegabilmente caro (usd14) per un quarto d’ora di viaggio ma alla fine arriviamo soddisfatti a destinazione ringraziando i nostro nuovi amici francesi che così ci hanno fatto risparmiare una mezza giornata di fatica inaudita. Naturalmente piantiamo la tenda dove meglio ci piace, e quindi nel posto più incantevole, perché in questo periodo il parco non è per niente affollato (2500 pesos a notte). Questo è un vero camping dotato di toilette, acqua corrente e docce con acqua calda. Cena ancora a base di pasta al pomodoro in scatola e qualche altra schifezza, ma ne vale la pena. Vedo per la prima volta le mitiche nuvole lenticolari del Paine e il favoloso lunghissimo tramonto multicolore sulle ande (..Avete mai visto il marchio “Patagonia” dell’azienda americana che produce abbigliamento sportivo…). Sabato 16 Alle 8.00 siamo già in marcia per il ghiacciaio Grey. Sottovalutiamo la gita che ci porta via complessivamente 10 ore in un continuo saliscendi (io mi prendo anche una bella storta) ma i panorami che riusciamo a scorgere e la natura circostante sono strepitosi e non ci sono fotografie che possono trasmettere le sensazioni provate nella realtà. Tentiamo anche di salire sul ghiacciaio ma la stanchezza ci costringe al rientro. Durante il tragitto ci dissetiamo direttamente dalle cascate disseminate lungo il percorso. Io e Sandro ci concediamo anche un bel bagnetto rinfrescante in un piccolo lago di acqua a dir poco cristallina. La temperatura dell’aria è altissima e inusuale per questi posti. Cena a base di schifezze liofilizzate, birra, poi tutti svenuti dalla stanchezza.

Domenica 17 Piccola e tranquilla escursione alla Val del Frances fino al Campamento Italiano (5 ore a\r) dal quale si può godere di un ottima vista ravvicinata delle multicolori torri del Paine. Al rientro dopo un pranzetto veloce ci godiamo il sole caldissimo in costume da bagno. Quindi rifacciamo i bagagli perchè alle 18.30 c’è l’ultimo traghetto per rientrare alla fermata del bus che ci riporterà in Argentina questa volta via terra. Salutiamo i francesi che proseguono per altra meta. Purtroppo non riusciamo a trovare il modo di andare direttamente al Calafate (via Cerro Castillo) e siamo costretti a rientrare a Puerto Natales (3500 p) dove l’indomani troveremo la coincidenza. Poco male; alle 22.00 siamo di nuovo al’ “Ultima Esperanza” dove ci strafoghiamo con tutto quello che offre il menù. Per dormire ritorniamo naturalmente alla casa di Manuel.

Lunedì 18 Alle 9.00 si riparte con la Bus Sur per El Calafate dove arriveremo dopo 5 ore (23000 CLP). Viaggio molto lungo ma interessante anche perché conosciamo Melissa di S.Francisco e Leon di Buenos Aires. Con loro finiamo all’ottimo Hostal Glaciar (10 ARP); luogo che mi ricorda un po’ i goliardici college universitari americani che si vedono nei film.

Dividiamo la camera con Melissa che non si preoccupa minimamente della nostra odorosa e rumorosa presenza . Poi dopo un stressante giro di agenzie di viaggio, prenotiamo il successivo transfer per Comodoro Rivadavia che dovremo affrontare tra due giorni (aereo 116 p e bus 25 p). Parillada mitica in un locale chiamato “la Tablita” . Offriamo anche la cena all’indio tuttofare dell’hostal (dice di avere origini italiane) che ci racconta le ultime del posto e decidiamo di aderire alla gita programmata per il giorno successivo al ghiacciaio Perito Moreno con “Diego l’alternativo” (30 p). Sarà una scelta azzeccata.

Martedì 19 Alle 7 si parte per il Perito Moreno con Diego che veramente incanta con il suo modo di fare e di raccontare le cose. Il ghiacciaio lo raggiungiamo attraverso una strada alternativa più lunga ma permette alla nostra strana guida, che nel frattempo continua a sorseggiare il suo mate dalla bombilla, di spiegarci un sacco di cose interessanti facendoci assaporare al massimo la natura. Il ghiacciaio naturalmente è stupendo e cattura lo sguardo come solo il fuoco di solito riesce a fare; è una natura potente ed immensa che ogni secondo cambia di forma emettendo dei suoni a volte sinistri e indistinti e a volte potenti come un tuono. Anche in questo caso nessuna foto o ripresa può suscitare le emozioni che si provano nella realtà. Restiamo sulla scena per diverse ore senza annoiarci minimamente ammirando gli enormi blocchi di ghiaccio alti fino a 60 metri (sessanta)che ad intervalli più o meno regolari si staccano dal fronte centrale del ghiacciaio (che in questo periodo ci dicono sta avanzando a circa due metri al giorno) cadendo nel Lago Argentino. Cena di nuovo alla Tablita con gran misto di carne (da svenimento) (25 p per tre). Mercoledì 20 Oggi si parte per Rio Gallegos. In realtà il nostro itinerario avrebbe dovuto condurci da Ele Calafate direttamente a Nord sulla RN 40 verso Tres Lagos Bajo Caracoles, Rio Pinturas e Perito Moreno ma nessun trasporto offriva tale possibilità tanto meno concedendoci l’autonomia che noi ricercavamo. Così siamo ridiscesi a Sud a Rio Gallegos dove abbiamo preso un volo per Comodoro Rivadavia. Rio Gallegos mi ha fatto molta tristezza. Un paesotto affaciato sull’atlantico meridionale spazzato dal vento senza colore ….Miseretto. Dopo un breve volo arriviamo a CR dove troviamo 32 gradi ad attenderci (noi vestiti con pile e scarponi pesanti). Noleggiamo subito un auto e perdendo solo un po’ di tempo con la simpatica agente dell’Avis, partiamo subito per la località di Perito Moreno distante “appena” 418 Km (località che niente ha a che fare con l’omonimo ghiacciaio). Costeggiamo per poco la bella costa atlantica dopodichè ci dirigiamo dritti a ovest verso il Cile attraversando per ore uno sconfinato e desolato altipiano ricoperto a perdita d’occhio dalle animate pompe dei pozzi petroliferi. Dopo una sosta in una grande città fantasma di cui non ricordo neanche il nome e dopo aver rimuginato a lungo sulla possibilità di prendere una scorciatoia diretta a Bajo Caracoles (per fortuna non l’abbiamo fatto) a notte fonda arriviamo a Perito Moreno dove pernottiamo al decadente hotel Austral (10 p) senza cena. In questo ultimo viaggio durato diverse ore abbiamo incrociato solo 2 autovetture. Giovedì 21 Siamo sulla RN (ruta nacional) 40 direzione Sud (verso El Calafate); 170 km di sassi logoranti a 30 km\h di media. A Bajo Caracoles (sostanzialmente una posada e due casette) facciamo rifornimento all’unica pompa di benzina esistente tra Perito Moreno e Tres Lagos (due abitazioni) quindi proseguiamo per Rio Pinturas e “Cuevas de las manos” dove oltre al sito archeologico esiste solo la casetta del guardaparque. Una sfaticata immane ma ne valeva proprio la pena. Il posto e mistico e tanto meraviglioso da essere stato scelto come residenza già oltre 9000 anni fa; a tanto infatti risalgono, secondo alcuni studiosi, le stupefacenti pitture rupestri riproducenti centinaia di mani colorate che si rinvengono sulle rocce di questo sito. Il rientro è molto faticoso ma alla fine rivediamo Perito Moreno. Non ancora stanchi decidiamo di andare a cena a Los Antiguos (per fortuna la strada è asfaltata) dove ci aspetta un tramonto dai colori fortissimi e un vento che provoca nel vicino lago onde oceaniche. Los Antiguos putroppo è un po’ desolata e la cena non è delle migliori.

Venerdì 22 Oggi di nuovo sulla RN 40 ma verso Nord, verso Comodoro via Rio Mayo. Altri 130 (+60 asfaltata) di strada impossibile. Le mani e le braccia mi fanno male. Velocità media 30 km orari; l’auto da noi noleggiata non era proprio la più indicata per questo viaggio purtroppo. Rio Mayo la vediamo solo dal finestrino (è una cittadella militare bruttissima e senza senso). Sosta ad un Bosco Pietrificato; molto suggestivo il panorama desolatissimo e i resti mineralizzati di enormi araucarie preistoriche. La zona circostante fino a Commodoro è molto bella, montagnosa con colori molto forti e laghi bellissimi. Comodoro è decisamente migliore di Rio Gallegos anche se incastrata tra enormi pozzi raffinerie e depositi petroliferi. E’ una città moderna cresciuta tra la montagna ed il mare con strade molto ripide che incrociano altre strade piane con strani diritti di precedenza agli incroci (sotto questo punto di vista è meglio guidare tra i sassi della RN 40). La notte la passiamo in un pessimo hospedaie con camere senza finestre (10 p) ma la stanchezza e tanta e va bene lo stesso. Cena a base di buona carne in una bella rosticceria (13 p).

Sabato 23 Non so per quale motivo Franco ci fa svegliare alle 6.30. Oggi si vola a Buenos Aires e un po’ di apprensione per i recenti fatti accaduti nella città non manca. Viaggio ottimo con sosta a Trelew e decollo rocambolesco per l’equipaggio (decollo con le hostess ancora in piedi in corridoio); arriviamo così nella capital federal. Salutiamo con affetto il pilota dell’aereo che ci risponde con il pollice alzato, e in taxi raggiungiamo a colpo sicuro l’hotel Castelar situato in pieno centro (75 p la doppia ****). Passeggiata a zonzo per la città che ci fa subito una bellissima impressione. L’enorme 9 de Julio (la via che taglia in due il centro della città) è la strada più larga del mondo con le sue immense corsie e attraversarla è una vera sfida alle automobili; in compenso questa enorme autostrada offre vedute di ampio respiro che non ho mai visto nel centro di nessuna metropoli. Bella, pulita, sembra impossibile che qualche mese fa sia morta della gente su queste strade….. L’albergo è dotato di bagno turco e noi naturalmente ne approfittiamo salvo poi pentircene causa una eccessiva presenza di uomini di “tendenza”. Per la cena decidiamo di recarci nel quartiere della Recoleta, dove ancora una volta restiamo sorpresi della vitalità notturna dei portegni e dai primi ballerini di tango. Menzione anche al cameriere del ristorante la “Parillada” di nome Juanca al quale lasciamo una meritatissima lauta mancia. Torniamo in albergo alle 2,30 nonostante ci sia ancora gente che sta cenando nei ristoranti.

Domenica 24 Sveglia presto per andare a prendere Cristina. Per fortuna è domenica e non c’è traffico così arriviamo in aereoporto in un attimo discutendo del più e del meno con l’autista del taxi che, tanto per cambiare, ha una dozzina di parenti italiani e non disdegna di parlare di calcio e della situazione economica del suo paese “…..Questa classe politica ha venduto agli stranieri la terra dove camminiamo per arricchirsi……” e quando, davanti alla sede del parlamento, gli chiediamo di che palazzo si tratti ci risponde con enfasi “… es la cueva dei ladrones….”. Cristina arriva un pò in ritardo. Nonostante il lungo viaggio, dopo una rinfrescata in albergo, Cristina è subito operativa così ripartiamo subito per le nostre escursioni portegne; percorriamo le famose vie di La Florida e la Valle, visitiamo la sede del governo chiamata Casa Rosada, i mercatini della Feria di San Telmo, il quartiere italiano della Boca con la caratteristica via denominata il caminito, ed infine anche il quartiere residenziale meta di amanti dello shopping di Palermo. Per cena non possiamo evitare di ritornare alla Recoleta. Poi, ridotti come pere cotte ce ne andiamo a letto presto. Lunedì 25 Sandro e Lanfranco decidono di fare una sortita in Uruguay. Montevideo e Colonia Sacramento, una piccola città coloniale dichiarata patrimonio dell’umanità dall’unesco, sono infatti a poche ore di catamarano da Buenos Aires (dall’altra parte del fangoso Rio della Plata) . Io e Cri invece andiamo a zonzo ancora per Buenos Aires. In realtà in mattinata ci siamo recati nella vicina El Tigre (45 min di treno) perché volevamo traghettare anche noi per Colonia Sacramento (in quel punto il Rio della Plata e strettissimo e in pochi minuti si arriva in Uruguay) ma Cristina ha dimenticato il passaporto in albergo; quindi optiamo per un giro sul delta del Rio, tutto sommato curioso, soprattutto nel vedere con quale naturalezza la gente si immerge in queste acque marroni (l’acqua non è sporca però….). Quindi di nuovo in centro a B.A.; quartiere di Retiro, il Parlamento (o Cueva dei Ladrones come lo chiamano qui), aperitivo all’antico Caffè Tortoni dove assaggio per la prima volta i churro (sorta di biscotto). La sera ancora passeggiata in Florida (piena di vita locali e negozi) e gran cena di carne (tanto per cambiare) all’Estancia in La Valle. Martedì 26 Al mattino visita al monumentale teatro Colon. Impressionante a dir poco, quasi completamente progettato e costruito da Italiani e con materiali italiani (marmi di carrara); una deliziosa guida ci illustra tutti i segreti del teatro. Purtroppo però la visita è parziale in quanto, essendo in corso le prove per l’imminente inizio della stagione teatrale, non possiamo visitare il backstage. Nel pomeriggio, sotto un sole caldissimo, visitiamo il museo delle belle arti (con alcuni modigliani e picasso) che forse potrebbe essere valorizzato e curato un po’ di più (potrebbero far pagare un modesto biglietto d’ingresso per finanziarsi). Sfiniti uno più dell’altro, ci riavviciniamo all’albergo passando dal Cimitero della Recoleta (dove tutti sanno ora è sepolta definitivamente Evita Peron). Per fortuna ci risolleviamo con una fresca sangria. Saunetta in albergo quindi io e Cristina usciamo di nuovo (gli altri due non ce la fanno) per vedere uno spettacolo di tango. Purtroppo, un po’ per la crisi economica un po’ perché è martedì, i locali erano troppo vuoti o troppo tristi per offrire qualcosa di decente in tal senso. Anche i teatri in questo periodo iniziano gli spettacoli di giovedì pertanto abbandoniamo l’idea e torniamo a Recoleta. Ma la serata non è delle migliori e non indoviniamo neanche il ristorante (niente di grave). Rientriamo ancora una volta sfiniti.

Mercoledì 27 Sveglia presto perché oggi lasciamo Buenos Aires per andare ad ammirare le spettacolari cascate di Iguacù. Per fortuna il nostro volo decolla dall’ aereoporto nazionale così, nonostante il traffico caotico in pochi minuti siamo già di fronte al check-in della Aerolineas Argentina. Dopo un breve volo atterriamo con non poca apprensione nella stretta striscia di terra rossa dell’aereoporto di Foz de Iguacù (siamo ancora in argentina) sfiorando di poco l’altissima foresta sub-tropicale. All’uscita la provvidenza ci fa incontrare un taxista (Adolfo) che diventerà, per la sua simpatia e bravura, la nostra guida H24 per tutto il periodo di permanenza in questa bella zona a cavallo fra argentina brasile e paraguay. Adolfo, al quale abbiamo dato carta bianca, per prima cosa ci porta in un modesto ma decoroso Ostello (15 pesos a camera) poi subito alle cascate dal lato brasiliano. Molto panoramiche ma molto distanti dalle passerelle. Apprezzo quasi di più l’ambiente nel suo complesso che le cascate di per se. La curiosità ci porta ad entrare in una specie di zoo per volatili. In un primo momento resto un po’ perplesso (soprattutto per il costo del biglietto d’ingresso che mi sembrava spropositato), ma poi mi rendo conto della unicità del posto. Migliaia di uccelli tropicali di tutte le dimensione (in realtà anche qualche rettile e diverse meravigliose farfalle). Emozionante è stato trovarsi a tu per tu con dei meravigliosi Tucani. A Foz de Iguacù (Brasile) assaggiamo per la prima volta i favolosi succhi di frutta Brasiliani. Poi alla sera Adolfo ci porta a cena in un ristorante con show Brasiliano di contorno. A dir la verità non è stato proprio il massimo, a parte lo spettacolo della Capoeira, ma ci ha consentito di vedere in che modo si divertono i brasiliani nelle piccole province distanti da Rio e San Paolo. Giovedì 28 Oggi, sempre con Adolfo e la sua scassatissima (ma amatissima) Peugeot, affrontiamo un lungo viaggio (500 km andata e ritorno) che ci porterà nel cuore della provincia argentina di Missiones. La destinazione finale sono le rovine di S. Ignacio Minì. Sono così suggestive che non sembra possibile risalgano solo al 1700; non so per quale motivo, forse la foresta tutt’intorno , il silenzio (ci siamo solo noi e pochissimi altri turisti), l’enormità del sito, il colore rossastro delle pietre, ma mi sembra di essere in un posto molto antico e mi tornano in mente immagini di siti Maya o Aztechi; il posto è sicuramente da non perdere. Dimenticavo che all’andata ci siamo fermati a visitare la “mina di wanda”, una miniera di pietre semipreziose (ametisti, acquemarine ecc.) molto interessante; non immaginavo che questo tipo di minerali venissero estratti in modo così singolare e cioè da delle specie di bolle, più o meno grandi inglobate nella roccia. Al rientro passiamo anche a salutare la famiglia di Adolfo a Santo Pipo e poi visitiamo una delle fabbriche più importanti di Yerba Mate dell’argentina: la “Piporè”. La fabbrica è abbastanza moderna ma le condizioni di lavoro sono incredibilmente dure in quanto quasi tutte le macchine richiedono ancora un intervento a ciclo continuo dell’uomo; se lavorassi qui solo per un giorno diventerei pazzo. Cena a Puerto Iguacù a base di pesce; assaggio il Surubì, una specie di grossa trota molto diffuso in queste zone; niente male.

Venerdì 1 marzo Si torna alle cascate, ma questa volta dal lato argentino. Adolfo ci consiglia un tour organizzato che comprende prima il giro nella foresta (niente di particolare) e poi la navigazione con il gommone sul fondo delle catarrate (meraviglioso). Il pilota ci porta fin sotto ad una delle più grosse cascate che si possono avvicinare senza rimanere uccisi; ed è un bagno totale rinfrescante, veramente emozionante. Un’esperienza indimenticabile. Raggiungiamo quindi riva e, come consigliato da Adolfo iniziamo a percorre il sentiero che ci condurrà alla mitica Garganta del Diablo. Dopo qualche ora (il paesaggio ci costringe a fare infinite soste) raggiungiamo la Garganta che ci lascia senza parole. Non esistono infatti modi adeguati per descrivere questo spettacolo della natura. Qui sembra di entrare in un’altra dimensione. Questa deve essere stata sicuramente l’idea che gli antichi navigatori avevano dei confini della terra (quando pensavano ancora che questa fosse piatta). Al rientro facciamo amicizia con due guardiaparco di origine italiana molto simpatici che ci ricordano di essere stati fortunati in quanto le passerelle alla Garganta del Diablo erano state ricostruite e riammodernate da pochissimo tempo dopo che un alluvione le aveva distrutte; nel frattempo inizia a piovere ed il celo assume colori molto minacciosi. Per fortuna che una parte della strada di rientro la facciamo al coperto nelle piccole carrozze del trenino. Poi all’uscita del parco, come sempre puntualissimo, troviamo Adolfo il quale ci riferisce sugli orari degli autobus in partenza per Curitiba. Doccia (anche se eravamo già ben umidi, valige, cena veloce e via verso Foz de Iguacu dove alle 21.40 ci aspetta la corriera per Curitiba (45r). Congediamo Adolfo un po’ dispiaciuti. Alla Rodoviaria riusciamo a trovare posto nel bus solo per puro miracolo. Sabato 2 Dopo 9 ore di bus (con una sola sosta) arriviamo a Curitiba. Durante il viaggio sono riuscito a dormire abbastanza bene. La stazione dei bus di Curitiba è incredibilmente enorme; trovo quasi subito l’agenzia dei bus per Paranaguà (8 r) e alle 8 ripartiamo. Dopo un ora e mezzo di viaggio in un paesaggio stupendo, arriviamo a Paranaguà bel paesino coloniale con l’aria un po’ medievale. La guida consiglia di fare questa viaggio con un particolare trenino ma anche con la corriera non è niente male (e impiega molto meno tempo). Dopo qualche commissione in città (qualche problema poi risolto per prelevare contanti con la visa) alle 13 prendiamo il traghetto per Ilha do Mel (altra ora e mezzo). Durante il viaggio veniamo a sapere da un passeggero del traghetto che per consuetudine nell’isola si balla in modo sfrenato fino all’alba. L’isola è molto bella, forse limitata come servizi ma per questo ancora più particolare Innanzitutto non ci sono veicoli a motore di nessun tipo e ci si sposta da un punto all’altro solamente a piedi o prendendo delle barche. L’atmosfera è molto giovane; e stasera c’è anche la festa reggae. Tutto intorno “mui descanso”; mi ricorda tanto Cahuita un paesino sulla costa caraibica del Costa Rica invaso di “rasta” giamaicani. Nonostante però la nostra posada (Posadigno) sia molto carina, economica e con vera cucina italiana (finalmente mangio un bel piatto di pasta al pomodoro cucinata da un napoletanto lì trapiantato) un innocente scarafaggino in camera rovina la festa. Passo così la notte insonne per le fisime di Cristina. Domani dovremo ripartire e mi dispiace molto.

Domenica 3 Sveglia con le ….. Girate. Anche perché non trovo il portafoglio (un ragazzo brasiliano poi me lo restituirà con tutto quello che c’era dentro; mi era caduto dalla tasca nell’amaca appesa nel porticato della nostra posada). Alle 13.30 si riparte. Pranzo self service nella enorme piazza di Paraguanà; il clima è piacevolissimo e la gente e tutta in giro a divertirsi; ci godiamo anche una partita di calcio in spiaggia a ritmo di bossa nova. Decidiamo di spostarci nella città coloniale di Parati (4 ore di bus a sud di Rio). Rientriamo quindi a Curitiba dove dovendo cambiare bus per San Paolo\Taubatè ci concediamo un giretto in centro con pizza e birra. Il viaggio non è dei migliori. Dopo quasi 10 ore di viaggio arriviamo a Taubatè. Purtroppo sia la tensione provocatami dalla periferia di S. Paolo in notturna, sia per il fatto che Taubatè non era la destinazione finale del bus, passo diverse ore insonni a verificare la situazione e la nostra posizione.

Lunedì 4 Di notte abbiamo attraversato la periferia di S. Paolo…ero in forte apprensione (l’autista non si è mai fermato nemmeno ai semafori rossi. E come viaggiare in aereo; se si rompe il motore sono guai) A Taubatè troviamo subito la coincidenza per Parati. Panorama stupendo ma sono altri 170 km. Da Ubatuba a Parati viaggiamo lungo spiagge da sogno con onde immense. Parati e a dir poco favolosa. Ci fermiamo al hotel Coxixo (83 r la doppia a notte ma li vale tutti) una posada coloniale stupenda. Sono molto stanco e ciò si riscontra anche dalla scarsità di appunti presi nella mia moleskine. Adesso si riposa qualche giorno Martedì 5 Ci si sveglia tardi; dopo tanti km oggi relax. Nella tarda mattinata partiamo per fare un giro nella baia in barca; ci imbarchiamo sulla piccola ma accogliente “Ventura” gestita da due ragazzi locali molto simpatici, aiutati in cucina dalla mamma. Mare e spiagge meravigliose. Anche il pranzo è molto buone e abbondante. Sulla spiaggia conosciamo Sonia una ragazza parigina di origine Tunisina in vacanza. In serata conosciamo invece Enzo un medico patriota austriaco drogato di Brasile. Poi eccesso di Caipirigna con Cristina che dà i numeri senza precedenti. In poche parole monopolizziamo un locale trasformandolo in una bolgia infernale di musica e allegria. Io divento parte integrante dell’orchestra battendo una specie di tamburello sul sedere di una tedesca indiavolata.

Mercoledì 6 Oggi, con gran calma, decidiamo di visitare altre zone limitrofe ma questa volta via terra. Prendiamo il bus per Trinidade. Anche questa zona è bellissima e nonostante sia raggiungibile da terra c’è una tranquillità incredibile. Tra Sandro e Sonia intanto nasce un grande amore. Cena pessima, ma ce la siamo cercata (la peggiore pastasciutta mai assaggiata nella mia vita… bah) Giovedì 7 Sandro è completamente innamorato; primo vantaggio abbiamo una seconda casa a Parigi (quella di Sonia). Oggi visitiamo a piedi la vicina spiaggia dietro il “morro do forte”. L’ acqua del mare non è profonda e pertanto troppo calda. Ma la musica la caipirigna e la mitica vongolata serale presso il baretto in riva la mare dove siamo accampati rende la giornata piacevolissima. La serata trascorre tranquillamente tra le vie del centro storico di Parati.

Venerdì 8 Decidiamo di fare un’altro giro in barca e dopo alcune trattative al molo risaliamo sul Ventura di Valmer (ci siamo solo noi). Mangiata di ricci e carusi da noi stessi pescati in apnea oltre al mitico pasto preparato dalla mamma di Valmer. In serata Sandro e Franco decidono di partire per andare a trovare un amica a Belo Horizonte. Io e Cri passiamo la serata al Cafè Parati dove si tiene un concerto dal vivo di musica popolare brasiliana. Da pelle d’oca….

Il venerdì Parati non è più la stessa e si anima in modo molto particolare. C’è tantissima gente in giro ed è evidente che si tratta di benestanti provenienti da Rio e da S. Paolo.

Sabato 9 Giornata molto movimentata è arrivata davvero molta gente. Io e Cri decidiamo di andare via terra alla vicina spiaggia di Mirim. Il viaggio, nonostante consista in pochi km di autobus ci porta indietro nel tempo di centinaia d’anni. Qui infatti vivono delle popolazioni indio in condizioni primordiali e non nascondo di aver provato un po’ di inquietudine nell’incrociare gli sguardi di queste persone. Giornata oziosa in riva al mare. In serata finalmente dopo tanti tentativi troviamo un ottimo locale (la Galeria do Engegno) dove finalmente ci godiamo un’ottima e abbondante cena di carne e di pesce.

Domenica 10 Finisce qui la nostra sosta riposante. Oggi si parte per la “ciudade maravigliosa” Rio de Janeiro. Alle 10.30 lasciamo Parati su di un megabus praticamente vuoto. Il panorama che si gode dalla strada è stupendo e quasi tutto con vista mare. Dopo 140 km di periferia un pochino inquietante arriviamo nel centro di Rio. Dalla Rodoviaria prendiamo un Taxi che ci conduce per una somma ragionevolissima al nostro albergo, il Sol Ipanema. La scelta di fermarsi in un albergo di categoria elevata è dettata dalla precauzione di verificare sia la sicurezza di Rio che la effettiva pericolosità delle zanzare portatrici del Dengue che in questo periodo ci è stato riportato essere molto diffuso. Ma Rio è in festa con milioni di persone in spiaggia che se ne fregano di tutto. In pochi minuti dimentichiamo Dengue e rapinatori e ci confondiamo con la folla. Passeggiatona sul lungomare di ipanema e copacabana poi da Garota de Ipanema a cena (dove Vinicius de Moraes scrisse l’omonima famosa canzone). La notte ci godiamo la stupenda vista fronte mare della nostra camera d’albergo.

Lunedì 11 Oggi arrivano anche gli altri due, rientranti da Belo Horizonte e Ouro Preto. La giornata sarà faticosa perché dedicata alla visita delle maggiori attrazioni della città. Centro (caotico), Chiese (coloniali), Rua de Carioca (la più antica via di Rio), Santa Teresa con il Bonde (ex quartiere ricco di Rio oggi ridotto quasi a Favela) e l’immancabile salita al morro chiamato Pao de Acucar. In quest’ultimo posto rimaniamo parecchio tempo un po’ perché siamo stanchissimi ma anche perché così facendo ci godiamo il meraviglioso tramonto su Rio. Cena ancora da Garota perché tutto sommato, anche se i camerieri non sono il massimo della simpatia, si mangia bene, si spende il giusto ed è a due passi dall’albergo.

Martedì 12 Io e Cri per prima cosa decidiamo di cambiare albergo per risparmiare qualcosa; d’altronde la vista è strepitosa ma in albergo ci stiamo solo per dormire; ci spostiamo così nel vicino albergo dove soggiornano Sandro e Franco; il servizio è lo stesso manca la vista mare ma costa la metà. Oggi tanto sole, spiaggia e mare (le divertentissime onde oceaniche mi tengono in acqua quasi 2 ore). Pomeriggio al Corcovado, morro di oltre 700 mt dal quale si gode indubbiamente della migliore vista panoramica del mondo. Anche la salita con il trenino e molto divertente. Dal Corcovado ci dirigiamo poi a Copacabana; per fare questo tragitto ci imbattiamo nel primo e unico tassista “bastardo dentro” che le tenta tutte (ed un po’ ci riesce) per fregarci. Aperitivo in spiaggia a base di churro e caipirigna poi a cena al Sindacato do Chopp di Copacabana dove ci sbafiamo un’ottimo churrasco.

Mercoledì 13 Oggi giornata dedicata al fisico, come fanno tutti i carioca. Ginnastica all’alba ad ipanema con altre mille persone e bagno tonificante; quindi, dopo la solita abbondantissima colazione, shopping selvaggio. Pomeriggio di nuovo in spiaggia ad oziare. Ceniamo per l’ennesima volta da Garota dove conosciamo altre due ragazze francesi. Questa sera però mi rendo conto che le settimane successive alla fine del carnevale sono una specie di “ramadan” per gli abitanti di Rio. Molti locali notturni indicati dalle guide come “da non perdere” sono aperti solo il fine settimana e a parte la gente in spiaggia che fa ginnastica anche di notte, tutti gli altri se ne vanno a letto presto.

Giovedì 14 Ultimo giorno del nostro lungo viaggio. Niente è andato storto tra i 6000 km che separano Ushuaia da Rio e pertanto ci dispiace non poco dover rientrare a casa. Qualcuno ha anche suggerito di spostare il volo di rientro di qualche giorno ma le finanze non ce lo permettono. Per non pensarci passiamo tutto il giorno in spiaggia a dormire e a fare bagni. Poi in serata, saliamo sul bus che, attraversando nella notte zone veramente off-limits di Rio (la zona nord) ci condurrà all’aereoporto internazionale. Voglio ricordare che prendere i grossi autobus per l’aereoporto sul lungomare di Ipanema la sera non è cosa molto facile considerato che per fermarli (transitano a 130 km all’ora), bisogna buttarsi letteralmente in mezzo alla strada, sbracciare come forsennati e sperare che sia quello con la destinazione desiderata. A parte questa piccola parentesi di ansia, imbarco e volo regolari con sosta brevissima a Parigi. Venerdì 15 marzo 2002 Alle 18 siamo di nuovo nella nebbia e nel freddo del Marco Polo di Venezia



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