Da Cala Gonone a Milano e da Milano a Cala Gonone

...per 11 anni. 06 Settembre 2003 Ero partita per le vacanze con la tristezza per l'opportunità di lavoro svanita e con l'idea che presto avrei dovuto lasciare Milano per ritrasferirmi in Sardegna. Eh si, pensavo che fosse giunto il momento di arrendermi. Ma non sarebbe stata una resa vera e propria. Nei venti giorni trascorsi nell'isola ho...
Scritto da: Tuppa
da cala gonone a milano e da milano a cala gonone
Viaggiatori: da solo
Spesa: 500 €
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…Per 11 anni.

06 Settembre 2003 Ero partita per le vacanze con la tristezza per l’opportunità di lavoro svanita e con l’idea che presto avrei dovuto lasciare Milano per ritrasferirmi in Sardegna. Eh si, pensavo che fosse giunto il momento di arrendermi. Ma non sarebbe stata una resa vera e propria. Nei venti giorni trascorsi nell’isola ho riflettuto molto su quello che aveva da offrirmi. E il risultato è stato che ho riscoperto in me un amore ancora più profondo per i luoghi che mi hanno vista crescere. Ho pensato alla vita che avrei potuto condurre e non m’è spiaciuto vedermi li. Nella località di mare in cui vado sempre, ho parlato con l’omino dell’internet point che mi ha detto che mi affiderebbe volentieri la gestione dei corsi di formazione che tiene ogni anno. E questa sarebbe già una possibilità fantastica. Ho parlato anche con il mio migliore amico, che ha detto che potrebbe aiutarmi a inserirmi come docente di informatica in corsi di formazione in cui lavora anche suo fratello. Insomma, a sentire loro, non mi troverei senza lavoro al mio eventuale rientro sull’isola. Sempre grazie al mio migliore amico di una vita, avrei anche trovato la casetta in cui andrei a vivere. Pagherei solo 270 euri al mese… O al max 310 se piglio l’appartamento più grande. E’ ovvio, se tornassi in Sardegna, non tornerei a vivere con i miei genitori. Questo sarebbe il vero passo indietro. Mi sono vista le sere d’inverno con cene con i miei cugini e amici. Mi sono vista a potermi rivolgere a loro in qualsiasi momento della giornata. Mi sono vista star loro vicino in ogni difficoltà. Insomma, mi son vista circondata di affetti che purtroppo qui a Milano non ho. Qui ho affetti diversi. Ho l’amore, ma mi mancano persone che conoscano pezzetti del mio passato, che abbiano vissuto quei frammenti di me che non ritroverò più. Se un giorno dovesse finire l’amore, penso che lascerò Milano senza tanti rimpianti. Alla fine sono una persona che sa vivere bene dappertutto. E onestamente non sarebbe male provare a vivere dove son nata:) E poi comincio a sentire sempre più forte il mal di Sardegna che prende a tutti i sardi che s’allontanano per troppo tempo dalla propria terra ^_^ Ad ogni modo ho deciso di stare ancora a Milano. Quand’ero al mare ho mandato una mail al direttore del posto dove ho lavorato part-time fino a metà luglio. Gli ho detto che finito lo stage ero di nuovo disponibile a lavorare per loro Il primo settembre mi hanno telefonato e dal 2 sto di nuovo lavorando. Questo vuol dire che per un po’ accantonerò l’idea di tornare a vivere per sempre in Sardegna. 23 Agosto 2004 Sono le 16.00 del pomeriggio, la Sardegna è un’isola meravigliosa, e io ho appena finito di disfare la valigia. Niente di più traumatico dopo due settimane di vacanza. Due settimane nell’isola dei sogni. Sogni realizzati. Sogni terminati stamattina alle 6.30 al trillo della sveglia. Si, al lavoro ragazzi. Qui si ricomincia. Il 7 agosto io e D. Su due voli separati (io da Linate, lui da Malpensa), siamo decollati per le vacanze. La mia iniziava in modo bizzarro. Ero seduta sul seggiolino in sala d’attesa, prima della partenza, e una famigliola accanto a me ha catturato immediatamente la mia attenzione. Era la famiglia Italo. Si! Non credo fosse il mio amico Italo, ma in quel momento ho voluto convincermi che lo fosse. La signora Italo dice: “Italo, tu non mi ascolti mai!” Italo: “Che cosa hai detto?” Eh già. Stavo per partire. Il decollo. E’ sempre un’esperienza che mi fa salire l’adrenalina. Se potessi correrei ogni volta da una parte all’altra dell’aereo urlando “EVVIVAaaaAAAaaAA!” L’atterraggio. Peccato essere arrivata quasi al buio. Ho visto il sole spegnersi nell’acqua appena le ruote del velivolo hanno toccato terra. Spettacolo meraviglioso, ma amo di più arrivare con la luce, e osservare dall’alto la costa frastagliata e il mare limpido che mostra, pavoneggiandosene, i suoi fondali. L’incontro con mamma. Io sono arrivata in anticipo. La chiamo e le dico: “Dove sei?!” Lei: “In aeroporto” Io: “Di già? Anche io!” E le dico che sono vicino al cassonetto della spazzatura. Mi raggiunge e ci sediamo su una panchina. D. Sarebbe arrivato alle 21.00. L’incontro di D. Con mamma e babbo. “Buonasera!” E silenzio per tutto il viaggio da Olbia a Cala Gonone. Terrore durante il viaggio per la guida di mio babbo. Lento e distratto. La lunga coda dietro di noi. Babbo parla di Silvio e lo definisce un pagliaccetto. Era dannatamente buio. Non riuscivo a vedere le mie montagne, le mie colline sicuramente secche, qualche mucca. Niente. E non ho potuto folgorare D. Con le immagini di Cala Gonone dall’alto della galleria. Spettacolo che mi accompagna da una vita. Ceniamo, e durante la cena viene fuori che da piccina ho avuto anche una tartaruga. Non me la ricordavo! Ho chiesto a mia mamma come fosse morta… O_O La sua risposta m’ha riportata ai vecchi tempi del lancio del gatto dal terrazzo: “beh Robé, se non gli dai da mangiare a una tartaruga, quella muore.” Durante la cena ho anche visto mamma lasciar libera una cavalletta apparsa all’improvviso sulla tenda del salotto. Commossa io. Primo bagno a Cala Fuili. Ci ha portati mio cugino G che chiameremo Injuria. E’ un artista. d. Rimane folgorato dal paesaggio. Tinte di verde, azzurro e blu riempiono la vista e colmano il cuore di gioia. Grazie madre Natura. La spiaggia diventa la prima nelle sue classifiche. Certo, mi dico io, immagino dove sei stato, poveretto. La Sardegna è il MIO paradiso in terra, e tu ringrazierai che io te l’abbia mostrato, continuavo a dire tra me e me. Domenica pomeriggio l’incontro con la mia amica Chiara che chiameremo Heidi. E’ un esserino piccolo, buffo, coi capelli corti rossi. Ha le gote rosse e passa tanto tempo tra i monti a stretto contatto con la natura. Anche lei ci porta a Cala Fuili. Li un simil-tacchino-abruzzese cerca di sedurre la sua cuginetta minorenne. E Heidi pronta: “Senti, io te la presento, ma sappi che è minorenne!” Sera. L’incontro con mio cugino Bruno. Una serie di abbracci infiniti e coccole. E’ bello mio cugino. E’ dannatamente bello. E mi adora. La serata trascorre in allegria. I cugini mi prendono in giro, come al solito. Ridono CON me… Non DI me Sapete, in un’era non troppo lontana, facevo tae kwon do in un piccolo paesino della Sardegna che si chiama Ottana. E dunque i miei cuggini con una serie di simil-mosse con braccia, gambe e quel che possono muovere, mettono alla prova i miei riflessi. E io a parare tutta sera. Tutto molto cabarettistico. Ahhhh non ho mai dimenticato gli insegnamenti della sacra scuola di Ottana. Bruno mi prende da parte e mi chiede, sotto abbraccio, come va. Gli dico che va bene. Che sono stanca. Che voglio tornare sull’isola. Forse. Lui mi dice che lui sta cercando ancora il modo di andarsene. E ci riuscirà. Sperando che il cargo di lupini non vada a farsi fottere. d. Prima di addormentarci, mi dice: “Era bello guardarti stasera. Si vede da lontano quanto ami i tuoi cugini. E quanto loro tengano a te!” Sapevo queste cose. E’ magia quando io e i miei cugini stiamo insieme. La spiaggia di Palmasera. Ricordo ancora i vecchi tempi di quando non era una spiaggia artificiale. C’erano le conchiglie una volta. D. Apprezza ma non troppo. Lo capisco. Ma anche li i pesciolini ci baciano i piedi. Nel pomeriggio Injuria ci ha portati alla spiaggia di Cartoe. d. Apprezza anche questa, ma Cala Fuili resta in testa. Gli dico: “Vedrai quando ti mostrerò Cala Mariolu… Li si che ti renderai conto di non aver mai visto il meglio, fino ad allora.” Amo la mia costa. E mi rendo conto che è strano trovarmi li con D. Non avrei mai detto che l’avrei portato nei MIEI posti. Un po’ ero gelosa di quel che i suoi occhi continuavano a fotografare (e non si trattava solo di culi e tette!). Rubava pezzetti del mio mondo con lo sguardo. Era come se mi scavasse dentro. Si capisce? deh? A pesca con babbo. Siamo usciti con Valentina, l’amante di babbo, ossia la barca che lo coccola tra le onde ogni volta che va a pesca. Babbo è anche caduto. Mi fa sempre preoccupare, da quand’ero piccola. Anche D. S’è preoccupato. Ho visto D. Ammirare mio babbo nell’arte della pesca al totano. Ho sentito mio babbo dire: “Cosa ti agiti ancora? Oramai sei fritto!” – al totano appena pescato. Ho visto ombre di pesci passare sotto la luce del faretto della barca. Ho visto le stelle cadere nel silenzio in mezzo al mare. Cibo. Abbiamo mangiato tanto pesce. Tanti totani. Totani con piselli. Totani fritti. Totani al sugo. Pasta al sugo di totani. Insalata di totani. Totani con patate. E pesci topo. Noti come surici. Tanti! E la spigola e i saraghi. Tutti pescati da babbo. Cala Mariolu. Il paradiso nel paradiso. Peccato che gli omini dei barconi non han fatto la gita costa-costa come accadeva un tempo. Peccato il capitano non abbia narrato nessuna delle storie che nell’infanzia ho sentito più volte da altri capitani. Neanche un accenno alla scala di ferro e alla grotta del fico. Peccato che il cinghialetto di pietra non esiste più lungo la costa. Peccato per quel chioschetto nato dal nulla che occupa parte della spiaggia. Lo scorso anno non c’era. E non c’era neanche quella maledetta passerella di legno sullo scoglio dove attraccano le barche. Maledetta civiltà. d. Rimane abbagliato dalla luce che proviene dall’acqua. Così chiara che ci si può specchiare. Foto. Pochi rullini. E’ stato fotografato anche il Tuppa-sederino. Maledetto il giorno in cui diedi la macchina fotografica in mano a D. Gita in barca con l’amico di babbo. Quest’omino piuttosto cordiale ci ha portati a visitare tutta la costa da vicino. Siamo entrati in una grotta col motoschifo. Meraviglia. Peccato per l’arrivo di un altro motoschifo colmo di turisti. La grotta poteva ospitarne uno solo. E questi ci si sono infilati comunque con prepotenza, appoggiandosi anche violentemente a stalattiti e stalagmiti. Ho desiderato un kalashnikov (se non si scrive così ha poca importanza… Ho reso l’idea). Dopo una serie di bagni fatti al largo di Cala Sisine, Cala Luna, Oddoene e le Grotte del Bue Marino, siamo rientrati in porto arricchiti più che mai. Felici. Si, è questa la felicità. Cinema all’aperto. Diverse sere abbiamo approfittato del cinema del luogo. The secret window. Alla fine arriva Polly. Scary Movie 3. (una cagata pazzesca… Come disse Fantozzi parlando della Corazzata potiomky). Troy. (eeeeeeeeettoreeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee… Eeeeeeeeeettoreeeee! .. Credo che Paride fosse un idiota. E che lo fosse anche Priamo… E che Elena.. Hem la smetto?) L’incontro con mio cugino Fabio che chiameremo Stallone. Non perché somigli a Silvester, ma perché è un gran gnocco. Come Injuria e Bruno, anche Stallone mi chiede come sto, in tutto segreto, per non far intendere a D. Che dubitasse che stessi bene. Mi coccola e mi prende in giro anche lui. Che gioia. Grazie sacra scuola di Ottana. Quanto ridere. UATAAAAAAAAAAAAAAAA’! Il vento di Osalla. Una giornata intera di mare, foto, vento e sabbia. Mai stata così impanata. Avevo sabbia in ogni buco. Si, ogni. Certo che quando da me soffia il vento, non è mai una brezzolina. E’ vento. Vero. Il MIO vento. Quand’ero piccola il MIO vento mi ha scaraventata su un albero, e quasi giù dal terrazzo. Mi vuole bene D. E il calcetto da spiaggia. Il vento di Osalla non ha impedito una mini partitella di calcetto tra i maschietti. Peccato giocassero in una zona piena di spine di cardi. Quanti piedi danneggiati. Il catrame. Palmasera dopo la mareggiata ha ricevuto in dono una mini-dose di catrame… Che indovinate un po’… S’è aggrappato al mio tallone sinistro e non l’ha mollato più. Grazie olio extravergine d’oliva che mi hai aiutata nel momento più NERO. Cicche di sigaretta in spiaggia. Infilatevele tutte dove verrete colpiti da emorroidi. Discussioni. Quattro. Mamma e i soliti rimpianti. “Non ti sei laureata. Non vivi qui. Continui a cambiare lavoro. Stai perdendo tempo.” E compagnia bella. Babbo e l’apparecchio acustico. Ho rinunciato a farmi ascoltare da lui. Incontri mancati. Niente Smilla, niente Pina, niente vivi, niente Mauro, niente. Mauro non ha risposto al mio sms. Mi chiedo se l’sms sia arrivato. Il ripetitore Wind di Cala Gonone ha preso fuoco. Bho. Un po’ tutti lamentavano problemi con i cellulari. Ricordi sparsi. Probabilmente D. Preferirà raccontare agli amici del non-incontro con la Cucinotta all’edicola del paese. E di quanta gnocca c’era in giro. L’edicolante sussurra frasi del tipo: “Però, è molto cordiale. E’ molto più bella dal vivo che in TV.” D.: “Chi?” L’edicolante: “La Cucinotta… Era di fianco a te pochi minuti fa”. E’ molto più facile dire di essersi emozionati per non aver visto un paio di enormi tette, piuttosto che dire di aver perso il fiato davanti a certi paesaggi. La discoteca del paese. L’unica. Piena di ragazzine con gli ormoni scatenati. Stupende e spaventose. Mi sono trovata a dire frasi del tipo: “Io a quattordici anni non ero così…”… Ai miei tempi… Mi sono sentita vecchia. Ultimo bagno a Cala Fuili. Domenica mattina ho salutato il mare. Che dolore. Ho salutato anche i miei cugini. Lacerazione. Ultima doccia gelata in giardino. E abbronzatissimi, si parte. Solito terrore in macchina con babbo da Cala Gonone verso Olbia. Solita lunga coda dietro di noi. Solite sue imprecazioni contro gli altri automobilisti. Perché se gli altri van lenti, lui improvvisamente viene preso da crisi da sorpasso. Ho rifatto gli addominali contraendoli a ogni sorpasso e a ogni curva quasi dritta. Check in. Acquisto di dolcetti sardi in aeroporto. Ultimi sms a chi non ho potuto incontrare. L’aeromobile si muove… E all’improvviso le lacrime iniziano a scendere, calde e interminabili. d. Non se ne accorge. E’ intento a guardare i piccoli aeroplanini parcheggiati in aeroporto: “Guarda che figata!” E io gli prendo un dito e glielo faccio immergere in una lacrima bella grossa che si sta suicidando giù per il mio viso. Li capisce che sono in preda a una crisi di pianto. Mi stringe, mi coccola, mi da i baci. E io tiro su col naso, finisco un paio di pacchetti di fazzoletti e dopo aver passato i primi minuti di volo a guardare il MIO mare allontanarsi, mi rendo conto che è finita. Questa vacanza è finita. E per me è un trauma. 1 Marzo 2005 Ho trent’anni. Ho due lavori, ho una casa grande quanto il vostro bagno, un fidanzato, degli amici. Non ho il mare. Non ho l’aria pulita. Non ho un cane. Non ho spazio per un cane. M’è rimasta la purezza. E il mare dentro. E una certa ingenuità e sensibilità che hanno solo i bambini. E la loro crudeltà nel giudicare le cose che non vanno bene. Si, qui la gente si muove. Si muove troppo. Corrono dappertutto. Ma dove cazzo vanno tutti sempre di corsa? Chi è convinto che la piena realizzazione di sé stessi si ha nel lavoro che si fa, per me è un idiota. Sono stata idiota. Ma sono rinsavita. Va bene lavorare, ma lavorare e basta uccide il mare dentro. E io non voglio morire qui. E’ giunto forse il momento di tornare dove c’è una campagnetta per giocare ai vietcong, un mare per andare a pescare, delle barche da guidare, delle coste da esplorare? Ma che ne so. Mi sono anche rincitrullita. Eppure di battaglie ne ho vinte. Ziu Nanneddu è ancora vivo. Ho vent’anni. “A settembre vado a vivere a Milano” Babbo: “Tu non vai da nessuna parte.” Io: “Non ti sto chiedendo il permesso, te lo sto dicendo”. Mi sono innamorata. Non posso farci niente. E così lascerò tutto e tutti. Il mare, le strade, l’aria pulita, i miei amici, Michele, i miei cugini, Cala Gonone e le cose che non cambiano. C’è una vita altrove, diversa da questa. E io voglio viverla. Voglio vedere la gente che si muove. Finora ho visto solo gente che sta ferma. E io ho gambe che vogliono correre. Voglio andare al cinema ogni settimana e vedere film diversi da quelli scelti da Padre Mario. Ma perché diamine a Nuoro la gestione del cinema è affidata all’oratorio? Voglio camminare tra gente che non ho mai visto. Qui è sempre la stessa minestra. Sempre le stesse facce, che anche se le vedi tutti i giorni, non ti salutano. Perché non vi hanno mai presentati. Voglio tornare a casa la sera e non trovare mamma ingrigita perché ho fatto tardi. Voglio scoprire un mondo che qui non c’è. Ho una paura fottuta. A Milano ci sarà solo una persona su cui potrò contare. E io non voglio appoggiarmi a nessuno. Ho paura di aver bisogno di altri per sopravvivere. Io camminerò con le mie gambe, e andrò sempre avanti. Babbo, non mi mancherai. Non mi mancherà niente. Mi porterò il mare dentro. E potrò tornare ogni volta che vorrò. Ho dieci anni. C’è il mio vicino che è sicuramente nato qui. Si chiama Ziu Nanneddu. Zia Luisa lo chiama Nanné. E allora secondo me si chiama così. Ziu Nanneddu ha il mare dentro. E fuori. Lo guardo sempre saltare da un gommone all’altro. A volte penso che può farlo anche a occhi chiusi. Io anche se non sono nata qui, vorrei esserci nata. Perché se uno vuole nascere da qualche parte, secondo me vuole nascere in un posto come questo. C’è tutto. C’è la campagnetta dove puoi giocare ai vietcong. C’è lo stagno dove prendi i girini. I girini puoi decidere di farne quello che vuoi. Io li lancio con la fionda alle altre bambine. Si, perché so che hanno paura loro. Io no. Io non ho paura di niente. Io le altre bambine potrei anche picchiarle tutte. Quando ho strappato i capelli a Tore, mi hanno fatta principessa della banda delle femmine. Tore è un bambino stupido. Mi prende in giro perché gioco sempre con i maschi. Io gliel’ho detto a Tore che è stupido. Perché è vero che io gioco con i maschi, ma lui gioca con le femmine. Io per esempio sono una femmina. Ziu Nanneddu l’ha saputo che ho picchiato Tore. E mi ha guardata con i suoi occhi trasparenti, quelli che hanno i vecchi, e ha riso come fanno i vecchi, che ti fanno capire che non si fa, ma che li fai ridere. C’è il mare qui. Ahhh il mare. Se si può dire, credo che se devo morire, voglio morire in mare. Nel mio mare. Io dico che è mio. Poi Ziu Nanneddu dice che è suo. E babbo dice che è suo. Ma in realtà è mio. Quando vado a S’abba druche (Acqua dolce), e c’è il mare mosso, io ascolto il mio mare arrabbiato. E mi viene la faccia da scema per quanto è bello quando sbatte sugli scogli. Babbo me lo dice sempre di non fare arrabbiare il mare. Perché poi sono cavoli miei. E io mi chiedo come si fa a far arrabbiare il mare. E allora cerco di non lanciare più i girini sulle bambine. Quando sono triste, vado a Palmasera, e cammino a piedi nudi sulla riva, fino a S’Abba Meica. E sto zitta. Parlo con la testa. E le dico che sono fortunata a vedere il mare ogni giorno. Che ho tutto quello che una bambina può desiderare. A Pasqua l’acqua è fredda. E i piedi diventano rossi. Mi siedo, e aspetto che il tempo passi. E guardo lontano, senza guardare niente in realtà. Babbo mi dice sempre di restare con i piedi per terra. La verità è che sono sempre altrove quando guardo al di là del mare. Dicono che ho gli occhi che penetrano, che sembrano vedere oltre. Io ho gli occhi di babbo. Grandi e scuri. Babbo lo conosce bene il mare di Cala Gonone. Quando c’è maestrale, ti dice che c’è maestrale. Quando arriva ponente, ti dice che arriva ponente. Chissà come fa a saperlo quando arriva ponente. I pescatori queste cose le sanno, mi dice sempre. L’ha imparato dai ponzesi lui, a conoscere il mare. Ziu Pedduzzu è sempre sul terrazzo con i binocoli. Lui il mare lo guarda dalla mattina alla sera. E quando non lo guarda dal terrazzo, lo guarda dalla barca. Quando andiamo a pescare con ziu Pedduzzu, babbo mi dice sempre di stare attenta a come si guida il peschereccio. Perché quando buttano le reti, devo guidarlo io. Se buttiamo le reti davanti alle Grottacce, vuol dire che dopo andiamo a Cartoe a fare il bagno. O a Osalla a prendere i vermi. Se le buttiamo davanti alle Grotte del Bue Marino, allora dopo si va a Cala Luna. D’inverno Cala Luna è più bella. E’ deserta, e se porti il pallone, non dai fastidio a nessuno. Quando usciamo dal porto con la Silvia, che è il peschereccio di zio Nino, il figlio di ziu Pedduzzu, c’è ziu Nanneddu in stato d’allerta. Come se sta sempre per succedere qualcosa. Ma a Cala Gonone non succede mai niente. Ziu Nanneddu se c’è maestrale ha molto lavoro. Deve legare tutti i gommoni meglio del solito, perché se no poi sono cavoli suoi. Sennò chi glielo dice ai padroni dei gommoni che il maestrale se li è portati via? Se lo guardi, ziu Nanneddu, pensi che non muore mai. Perché non può morire lui. Da grande voglio lavorare anche io ai gommoni, perché anche io ho il mare dentro. E fuori. Domenica 28 agosto 2005 In viaggio da Cala Gonone a Olbia. Guardo la riga bianca che insegue la macchina. Pace. Rientro sull’isola. Avrò un lavoro con incarico dirigenziale. Guadagnerò più di quanto guadagno con due lavori a Milano. Tornerò tra la mia gente. Riprenderò a respirare. L’aria sarà vera. Avrò dei bambini che giocheranno con le caprette. Vedranno il mare ogni volta che vorranno. E un giorno probabilmente vorranno provare un’altra vita altrove anche loro. Ma sentiranno il mare dentro. Quello che ti chiama e ti rivuole con sé. Comprerò una barca e una casa entro tre anni. Tornerò a essere una sarda doc. La mia casa sarà la vostra casa. Siete tutti invitati. Ci sarà posto anche per i vostri animali. Dopo 10 anni a Milano, ho l’opportunità di tornare da dove sono fuggita, con un bagaglio d’esperienza da far invidia anche ai signori che m’han fatto il colloquio, e con un incarico da dirigente. Io dirigente. Io. Vogliono me, perché come me non ce n’è altra. Lunedi 29 Agosto 2005, ore 7.30. Milano è sveglia e si mette in moto. Odore di formaggia sulla 95. Non posso accettare il lavoro sull’isola. Ci ho riflettuto a lungo. Così è deciso. Si, certo, sono abbronzatissima, mi sono divertita, ho riposato, la Sardegna è un’isola, il mare è verde come lo vedi nelle cartoline, e gli amici isolani valgono più di tutti gli altri. 05 Febbraio 2006 C’è un posto che conosco, che se chiedi a una persona quali siano i suoi sogni, quella mastica pensieri, comprime parole, toglie un po’ di vocali, raddoppia le consonanti e la sua risposta ti colpisce con l’intensità e la ferocia di un pugno sullo stomaco. I sardi non pronunciano parole, le scagliano come sassi. Sono stata azzurra di lancio dei sassi. Quel posto è bello anche d’inverno. Si, d’inverno. Quando ci sono solo quattro gatti. Quattro. E rischi anche di non incontrarli. Scendi al porto, passi per i cessi, ti fermi davanti al Bue Marino e guardi. Guardi il mare, i ricordi emergono dalle acque, ti parlano, ti danno la scossa, e creano il nodo in gola fatto di tempi che non torneranno più. E te lo chiedi: “quando un ricordo ti da la scossa, i capelli resteranno così per sempre?” Poi a un certo punto ti svegli. Riprendi a camminare, e sai che uno dei quattro gatti guarda te, e si chiede “da quanto tempo stai guardando il mare?”, e te lo chiedi anche tu: “quanto a lungo è possibile stare fermi a guardare il mare?”. Cammini, e arrivi al molo dei pescherecci. Non c’è nessuno. Ziu Pedduzzu non c’è più. Ziu Nanneddu oramai scende sempre meno al porto. Se l’è vista brutta l’anno scorso. E te lo chiedi: “quando uno se la vede brutta, non si fa più vedere in giro?” E cammini ancora. Non sei stanca. Passi davanti al Gabbiano (hotel Ristorante), e ti racconta di pomeriggi di videogame, in compagnia di SuperMario o Bubble Bubble e di quando i ragazzini potevano entrarci ancora senza subire lo sguardo snob dei padroni. Ti siedi davanti l’Angela I (è una barca). Ti ricorda che d’estate a quella stessa ora, i gradini sono impraticabili. Pieni di gente che s’accalca per il prossimo viaggio nel Golfo. Tutta gente che non dimenticherà mai d’esser stata li. E te lo chiedi: “quando uno è stato li davanti, è passato per la calca?”,”Quanto a lungo è possibile stare fermi in mezzo alla calca?” Ce l’hai anche tu quella stessa voglia. Quella di salire sul traghetto e andare. E vuoi impugnare di nuovo quel timone. Cammini di nuovo. Il molo di sinistra ti racconta di quelle estati quando al porto ci facevate i bagni. Di tre estati intere trascorse al molo. Di tuffi che ancora non sai fare. Di baci mai dati. Di storie che non volevi far nascere, e di quelle che le tue amiche avevano un giorno si e l’altro pure. Di amori finiti dietro quel molo, perché lui era immaturo, stronzo, puttano, e tu una vecchia saggia già a 18 anni. E te lo chiedi: “Quando uno è puttano, perché si stupisce se una lo lascia dietro il molo?” Dietro il molo c’è spesso vento. E le albe laddietro sono state sempre fredde. Mai una volta che avessi con te una coperta. E te lo chiedi: “Quando uno ha la coperta, non viene punto dalle api alle 6 del mattino?” “E allora perché se Andrea aveva la coperta, è stato punto su una chiappa da un’ape alle 6 del mattino?” Cammini. Arrivi all’Acqua Dolce. L’aria è umida di mare che tenta di morire sugli scogli. Non sei stanca. E te lo chiedi: “Forse non sei stanca perchè lì, se fai una passeggiata, potresti non fermarti mai?”. Eppure la Sardegna non è paradiso. I sardi resistono, come scogli. Il mare li lavora, li rende ruvidi e interessanti. Ti fermeresti a guardare loro con i loro occhi scuri e caldi ma anche carichi di disperazione. E di sogni, senza i quali è difficile arrivare a sera. 25 Marzo 2006 Ho letto Tsugumi, di Banana Yoshimoto. Ho divorato questo libro come se masticassi parole che raccontavano di me. Io, un po’ Maria, un po’ Tsugumi, ho viaggiato in un passato di estati trascorse in un altro mondo, dove la gente ha il mare dentro. Un viaggio durato tre sere. A Cala Gonone, dove il tempo si ferma, le stelle stanno a guardare, l’odore del mare è diverso da quello degli altri mari, dove l’insofferenza per cose che sembrano non accadere diventa un ricordo struggente e dove le strade posso percorrerle a occhi chiusi.



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