Da Aqaba a Dahab

Un pò di relax tutto in fai-da-te
Scritto da: kipling
da aqaba a dahab
Partenza il: 18/10/2010
Ritorno il: 24/10/2010
Viaggiatori: 2
Spesa: 500 €
1 Euro = 7.73 Lire Egiziane (LE)

Volo Egypt Air pagato 352 Euro

11/10/2010

Milano 00.55 – Cairo 04.35 Cairo 08.30 – Amman 11.00

24/10/2010

Sharm el Sheikh 08.30 – Cairo 09.30 Cairo 12.15 – Milano 16.15

Hotel:

Sheikh Salem House Doppia sea view 220LE senza colazione http://www.sheikhsalemhouse.com/

Primo Eel Garden Trovato sul posto, doppia sea view 36 Eu compresa colazione Non ha sito web

Link per vedere tutte le foto: http://travel.webshots.com/album/578942611BfLuJE

Come da titolo, siamo arrivati in Egitto dopo aver trascorso una settimana in Giordania.

L’inizio e la fine del viaggio sono contrassegnati da fregature, ma non è solo questo il motivo per cui il mio giudizio su Dahab non è positivo del tutto.

Non si tratta di grossi guai, solo piccolezze, che ti fanno però provare disaffezione, e ti tolgono la voglia di tornare. D’altra parte, perché farlo, con tutti i posti che ci sono nel mondo? Che costi poco e sia vicino non è una buona giustificazione, secondo me. E non basta a far tornare nel mezzo l’ago della bilancia.

Tratto dal diario di viaggio in Giordania:

Altra cosa “strana”, visto l’andazzo di certi paesi confinanti, se chiedi informazioni su un bus e ti dicono che non c’è, è vero. Non mentono nella speranza che tu salga sul loro mezzo e ti possano spillar soldi. Leggete il mio racconto su Dahab e vedrete come cambia la musica non appena si attraversa il golfo di Aqaba.

Scendiamo dal traghetto a Nuweiba. Ho prenotato le prime due notti presso la Sheikh Salem House, una sea view con bagno a 220LE. Nicole, la proprietaria, mi ha spiegato che c’è un bus per Dahab alle 16.30. Vive in Egitto da anni, e non ho dubbi su quanto da lei affermato, tanto più che anche la Lonely Planet ed altri siti web confermano, seppur con un orario leggermente diverso, un mezzo che transita in zona diretto a Sharm El Sheikh. Verso l’uscita dal porto, sulla destra, c’è un piccolo terminal, gli autisti stanno richiamando a gran voce l’attenzione di chi sia intenzionato a partire per il Cairo.

Chiediamo dove passi quello per Dahab, e nessuno lo sa, anzi, ci dicono che a quest’ora non ne passano più. Nel frattempo, si avvicina un taxista con un pulmino, che ha già raggruppato un discreto numero di turisti, 6 per la precisione, noi siamo quelli che gli garantirebbero incasso pieno. Iniziamo una contrattazione di gruppo, da 10 dollari americani si arriva a 40 LE a testa, che è comunque tanto. Su vari siti viene indicato che il prezzo di un taxi completo è sui 210, quindi 320 ancora è un furto. Nel frattempo, mi giro intorno per vedere se riesco a reperire informazioni sul bus, ma nada de nada.

Rassegnati, ci accomodiamo a bordo. Il conducente, un ragazzo sui vent’anni, chiede a ciascuno di noi il nome dell’hotel in cui alloggiamo. Appena lasciato il centro abitato, il veicolo si ferma in un enorme cortile sterrato, circondato da caseggiati bassi malandati, il giovanotto sparisce senza dir nulla. Dopo un po’ se ne arriva un vecchietto, si mette alla guida al suo posto e riparte. Qualcuno dei miei compagni di viaggio dubita ad alta voce se costui possa essere informato delle nostre destinazioni. In effetti, una volta raggiunta Dahab, il nostro autista non ha la minima idea di dove portarci. Anzi, si arrabbia pure perché non siamo in grado di fornirgli indicazioni utili. Per tutti, evidentemente, è la prima volta in questo posto. Alla fine, dopo litigi vari, scendiamo dal minivan e lo paghiamo diciamo a “buon cuore”, poiché non ci ha fornito il servizio concordato, io gli lascio 50LE, 25LE a testa, che era poi il prezzo corretto, ma alcuni non lo pagano proprio. Per un attimo penso che questo non sia giusto. Chiedo ad un passante se conosce la Sheikh Salem House, mi indica un edificio a circa 100 metri più a nord. Il conducente ha seguito la scena, e mi dice che adesso mi ci porta, non aveva capito il nome perché l’ho pronunciato male e ripetutamente mi alita in faccia una k aspirata e gutturale. Come scusa è patetica, mi pento di averlo già pagato e con Lorenzo mi avvio a piedi per il restante tratto.

Grazie al cielo la nostra camera c’è, e quindi ne prendiamo possesso. Beh, per essere fronte mare lo è davvero, anzi, dal nostro piccolo terrazzino con quattro gradini siamo direttamente in spiaggia. L’hotel è silenziosissimo, perché dall’altro lato c’è un cortile interno dove si affacciano le stanze “garden view”.

Siamo nella parte a nord di Dahab denominata Eel Garden, una delle migliori per lo snorkeling.

La spiaggia, inteso come sabbia, è rossastra, e sinceramente non posso definirla bellissima.

Inoltre, la parte di essa che non appartiene a ristoranti o alberghi è lasciata a se stessa, si legge sporca, per fortuna non molte bottiglie di plastica, però cartacce sì, e cocci di vetro pure.

La stanza è grande, c’è addirittura un frigo ed un lavandino per i piatti, un tavolino e due sedie, che altri ospiti hanno sistemato sul balconcino. Lorenzo si lamenta un po’ perché nel bagno, piastrellato di recente, non c’è una cabina doccia e nemmeno una tenda, e quindi l’acqua schizza ovunque.

A me questo non darebbe un gran fastidio, è la norma nelle bettole da 5 dollari che ho frequentato in Asia e Sud America; il più grosso difetto che riscontro è che i materassi sono durissimi ed i cuscini un vero attentato alla cervicale. Potrei sopportare acqua fredda, magari un po’ di sporcizia, spartanità estrema, ma questo no.

E’ quindi fondamentale cercare un’alternativa per il resto della vacanza, ma non sono affatto preoccupata di questo.

Il primo impatto con la città mi trova molto sorpresa dalla folla che ci sommerge non appena svoltiamo la curva a gomito del Lighthouse. Mentre a Eel Garden c’era qualche ristorante, poca gente, e molto silenzio, qui parecchio caos, musica a tutto volume, odore di fogna in molti tratti, negozi su negozi. Molti sono graziosi, soprattutto quelli che vendono lampade, ma sono uno la fotocopia dell’altro, poche categorie merceologiche moltiplicate a decine.

I ristoranti si susseguono uno in fila all’altro, si mangia per terra appoggiati ai cuscini, sotto luci soffuse, e lo trovo un’ottima idea, il fastidio nasce quando si viene continuamente “sollecitati” ad entrare di qua o di là.

Questo è Masbat. Verso sud, si trova Mashraba, di nuovo più tranquilla.

Il mattino dopo riscontriamo nuovamente che le spiagge pubbliche non sono il massimo e quindi dobbiamo per forza fare come fanno tutti, ossia stare nei baretti.

Noi ci fermeremo sovente al Eel Garden Stars restaurant, che è vicino al nostro hotel. Si può oziare sdraiati sui cuscini all’ombra, o trovarsi un angolino al sole. Io mi sono messa per terra perché mi piace così, ma ovunque ci sono anche lettini. Il personale non è insistente, ordini qualche bevanda, qualcosa a pranzo, e puoi stare lì tutto il giorno. Le porzioni sono abbondanti, se non si è troppo affamati una porzione basta per due. Fanno anche degli ottimi thè e tisane calde, un toccasana con la calura. Mi affezionerò al loro “Yogi tea”, ossia limone zenzero menta e miele. Un’altra bevanda calda molto particolare sono i thè beduini, miscugli vari di erbe, la più comune delle quali è la salvia. Sono digestivi e molto dissetanti.

Il vero tesoro di Dahab dovrebbe essere il mare. In effetti, lo è, ma solo quando non c’è vento. Noi veniamo graziati i primi due giorni. Fa un caldo boia, con la bonaccia, ma in acqua è splendido, già a poca profondità si incontrano coralli e pesci.

Se ci spinge verso l’estremità del reef, dove inizia lo strapiombo, è davvero fantastico.

Eel Garden ha il tratto di mare più bello di Dahab, l’acqua è limpida e turchese.

Purtroppo, quando invece soffia il vento è pericoloso fare snorkeling, i locali lo sconsigliano, ho assistito di persona a tentativi di salvataggio verso alcuni sub che non erano più capaci di tornare a riva perché la corrente li respingeva.

In generale, credo quindi che sia più che altro una destinazione adatta a sub o wind/kite surfers.

Raggiungendola a piedi, visitiamo anche la zona della laguna, a sud, quella dove si trovano gli alberghi di lusso, tipo l’Hilton. Qui la spiaggia è composta da sabbia soffice, sottile e pulita e l’acqua è limpida e calma, adatta per lunghe nuotate, ma sul fondo non c’è nulla.

Il primo lido che si incontra è quello dell’Accor Coralia, daremmo troppo nell’occhio se ci sdraiassimo per terra sui nostri sarong, per cui chiediamo il permesso ad un addetto di sistemarci sui loro lettini, ovviamente pagando il dovuto, ma lui ci lascia accomodare senza pretendere soldi in cambio, ed è strano, visto che alcune spiagge a Dahab centro vogliono 20 LE solo per questo. Consumiamo un pasto in uno dei ristoranti a bordo piscina poi ritorniamo in spiaggia e ci godiamo un bel tramonto, cosa che da noi non è possibile, visto che la costa è rivolta ad est.

A Mashraba i bar in genere sono meno affollati, ma qui il mare è poco sfruttabile, soprattutto la mattina, per via della bassa marea.

Prima della laguna, c’è un lungo e bellissimo spiaggione deserto davanti all’ultimo tratto terminale di reef. Credo sia il posto più bello che ho visto. Purtroppo è un po’ sporco, evidentemente ci vengono a passeggiare con i cavalli ed i cammelli. L’acqua è incantevole, e sotto c’è un sacco di roba, però purtroppo in caso di vento anche qui la corrente è forte.

Pur di sfuggire al vento, un giorno ci adattiamo ad un affollatissimo bar di Masbat.

Parlando in generale, ho trovato i prezzi nei ristoranti piuttosto cari, rispetto anche ad altre località molto turistiche della valle del Nilo visitata l’anno scorso, tipo Luxor. In genere si mangia bene. I prezzi del pesce fresco si calcolano a peso, i filetti a costo fisso a me sembrano essere surgelati, in ogni caso una portata è sulle 55-65 LE, e comprende anche delle verdure.

Non abbiamo fatto escursioni, da un lato eravamo troppo stanchi.

Poichè i primi due giorni il mare era piatto come una tavola, siamo stati volentieri in spiaggia a Eel Garden, come già detto. Quando si è alzato il vento, dall’altro lato non eravamo molto motivati ad esplorare la regione interna, poichè la morfologia del paesaggio circostante non si discosta molto dalla Giordania dove eravamo la settimana precedente, quindi non credo che avremmo visto qualcosa di nuovo.

Inoltre, mi sono presa, non so come, uno squaraus memorabile. L’Imodium ha fatto effetto, ma non mi ha evitato i dolori di pancia, quindi non mi sentivo neppure troppo baldanzosa per affrontare, che so, la salita al Monte Sinai.

Desidero tuttavia precisare che laddove il mio giudizio non suoni molto positivo, questo si riferisce alla sola città e non ai dintorni, che non ho visitato, e che comunque credo siano stupendi. Forse mi aspettavo un borgo tipico come El Quseir con l’aggiunta di qualche pensioncina graziosa ed economica. A me il centro città è sembrato troppo cementificato, ovunque cantieri ma molti sono scheletri di costruzioni non terminati e apparentemente abbandonati a se stessi. L’odore di fogna stesso denota che la rete di smaltimento non è adeguata alla densità e forse soprattutto alle necessità degli occidentali, molta gente in genere non rispetta i cartelli che pregano di buttare la carta igienica nel cestino e non nel water.

I beduini, la popolazione locale, messi ai margini e costretti alle briciole, ossia cercare di vendere in spiaggia qualche loro prodotto tipico.

Gli unici egiziani che ho incontrato erano dediti ad attività turistiche, interessati ai soldi. Non che io pretenda di essere giudicata e trattata da uno sconosciuto in forza delle mie qualità interiori, ma qui tutto avviene in modo davvero sfacciato ed irritante. Capisco che debbano fare affari, va bene anche che lo stesso servizio debba essere pagato ad un prezzo sproporzionalmente più alto perché sono un turista, ma a tutto c’è un limite. Non era assolutamente così in Giordania, ma non si arriva a questi livelli neppure in India, tanto per citare un posto che è famoso per l’insistenza dei venditori, e tantomeno in Marocco, per fare un confronto con un altro paese del Nord Africa dove sono stata.

Dahab paradiso hippy? Boh, sento che a me è mancato proprio il senso di libertà.

Se Dahab è la Ko Samui d’Egitto, come recitano vari slogan, beh allora aspetto di avere più soldi e vado a Ko Samui, anzi a Ko Phangan o Ko Tao. Certo, il mare non è così, a pochi metri da riva, ma tanto a che serve, se poi per via del vento non puoi fruirne? Non è che abbia scelto di andarci per starmene in piscina o nella laguna, come tanti fanno. A riequilibrare il paragone, le spiagge di Dahab non reggono il confronto.

Non tiro in ballo Sharm, anche se magari fosse meglio, perché non ne so nulla.

Una nota positiva, l’hotel che abbiamo trovato dopo il check out da Sheikh Salem House. Anche quest’ultimo comunque non era male, si respirava almeno un po’ d’atmosfera genuinamente beduina.

Si trova poco dopo di questo, in direzione sud, dopo il Dive Urge ed una spiaggia libera.

Non ha insegne, ma è attaccato al Eel Garden Star Restaurant.

Dovrebbe essere di proprietà di un italiano, ma al momento questo è assente, e ad accoglierci ci sono dei giovani ungheresi. La stanza, molto carina, costa 36 Euro compresa la colazione, che si consuma nel loro piccolo bar sulla spiaggia. Dal balconcino in legno si gode di una vista stupenda.

L’avevo già adocchiato su internet, seppure con un nome diverso (mistero), il proprietario mi aveva quotato 45 Euro. Questa è la dimostrazione che non si risparmia prenotando su internet, parlando di hotel a basso prezzo.

Segnalo che anche l’Eel Garden Stars restaurant ha delle stanze, affacciate sulla passeggiata, costruite in legno, hanno ventilatori e niente aria condizionata, ma sembrano graziose, vanno dalle 90LE sino a mi pare 150LE, quindi sono molto economiche.

Il 24 ottobre mattina, un taxi, per la modica cifra di 170 LE ci porta all’aeroporto di Sharm El Sheikh, dove proviamo per l’ennesima volta la sensazione di essere delle vacche da mungere. Nonostante l’ufficio visti di Milano ci avesse informato che il Sinai Pass era sufficiente per uscire dal paese, anche se eravamo in transito al Cairo (rimanendo nella zona franca nello stesso terminal, e senza uscire dall’aeroporto), siamo costretti a sganciare 30 dollari americani per due visti assolutamente inutili che immagino abbiano ingrassato il portafoglio dell’ufficiale Egypt Air che minacciava tronfio di non farci partire.

Carta straccia l’email del Consolato che mi ero portata appresso.

Mai fatto un visto per un transito in vita mia.

Il ragazzetto che ci accompagna di corsa attraverso tutto l’aeroporto dal check in all’ufficio visti pretende addirittura un bakshish, Mi fa un cenno discreto con la mano, sfregando le dita, ma faccio finta di non capire.

Un tizio italiano simpatico, proprietario di un ristorante a Naama Bay, incontrato in coda all’imbarco per Milano si ferma a parlare un attimo, ci chiede con aria sorridente “allora, quando sarà la prossima volta qui?”

La risposta mi parte spontanea dal profondo del cuore, potrei trattenerla, fingere, ma a che pro?

“Mai più”.

Mi sa che ci è rimasto male.



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