Cuba on the road
13 novembre
Dopo 13 ore di volo finalmente atterriamo a L’Avana. Dopo le formalità burocratiche e il ritiro bagagli, usciamo per cercare il nostro taxi… che non c’è! Bienvenidos a Cuba! Ne prendiamo un altro e partiamo per la città. Le strade sono poco illuminate, c’è parecchia gente che cammina ai bordi della strada e il traffico di automobili è scarso. Il primo impatto con la città è Plaza de la Revolucion, con il viso illuminato del Che e il monumento a Josè Marti. Poco dopo arriviamo alla nostra casa particular, dove la signora A. ci accoglie, insieme al marito, con calore. Le nostre camere sono ampie e pulite e stanchi morti andiamo a dormire.
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14 novembre
Siamo svegliati dal canto del gallo e sembra di essere in campagna più che al centro di una grande città come L’Avana. Pieni di entusiasmo facciamo una abbondante colazione a base di pane, miele, frutta fresca e succo di frutta (guayamà). Dopo aver scambiato due chiacchiere con il nostro padrone di casa, prendiamo un taxi e ci facciamo portare al Capitolio, in centro città. Abbiamo così cominciato a prendere confidenza con l’atmosfera movimentata e allegra de L’Avana. I primi contatti con la gente, che ti sorride e ti chiede da dove vieni… ma non in maniera fastidiosa, come può succedere altrove. Abbiamo cominciato ad inoltrarci nelle stradine de L’Avana vieja, attraversando calle obispo, una strada molto affollata dove si ritrova una svariata umanità. Veniamo colpiti dalla struggente bellezza della città vecchia, con i suoi palazzi coloniali che hanno conosciuto tempi gloriosi… una città che mette in scena sullo stesso palcoscenico lo splendore della Cuba coloniale e le ferite dell’abbandono e della decadenza post rivoluzionaria. Si alternano sensazioni belle e tristi nello stesso tempo… Prima tappa a Plaza de Armas, poi verso la Cattedrale che affaccia su una splendida piazza, resa ancora più bella dai bagliori del sole che si riflette sui palazzi e sulla gente che la popola… e nell’aria l’immancabile ritmo musicale! Dopo una sosta a plaza de la Cattedral, ci siamo concessi il pranzo al vicino e famoso ristorante La Bodeguita del Medio, annaffiando il pasto con il celebre mojito che qui gustava Hemingway. Riprendiamo il cammino verso Plaza Vieja, un vero gioiello. Ma lungo il percorso apprezziamo gli innumerevoli scorci che la città vecchia offre, spaccati di vita cubana. A Plaza Vieja abbiamo acquistato il basco del Che… non poteva mancare! Il percorso è proseguito verso Plaza San Francisco e il Museo del Ron. La visita al museo è stata interessante e si è conclusa con una lunga sosta al bar del museo, dove abbiamo ascoltato un gruppo di musicisti che ci ha letteralmente incantati… ed alla fine abbiamo anche comprato il Cd! La sensazione predominante è quella di un popolo allegro, nonostante le difficoltà che la vita quotidiana gli riserva. Dall’Havana Club Bar siamo tornati indietro e attraverso calle Obispo siamo arrivati a Parque Central e ci siamo concessi un aperitivo sulla terrazza dell’Hotel Inglaterra dal quale si gode una bella vista sulla città vecchia… e l’aria del tramonto è bellissima! Girando per le vie de L’Avana Vieja ci assale una sensazione strana, passando da angoli curati, con giardini e fontane a strade dove invece regna il degrado e l’abbandono. Ma la gente continua a sorridere, a cantare e ballare nei locali e per strada… e la loro allegria è in qualche modo contagiosa, anche per noi rigidi turisti occidentali! Dopo una sosta ristoratrice a casa, usciamo per la cena, accettando il consiglio di un nostro amico che ci ha suggerito di assaggiare il pollo al ristorante El Aljibe. Su Calle 23 fermiamo una macchina e ci facciamo accompagnare al ristorante, che si trova nel quartiere di Miramar, uno dei più eleganti della città. Mangiamo un ottimo pollo arrosto e i nostri 8 cuc di mancia ci ripagano di numerosi ringraziamenti e sorrisi del cameriere! All’uscita ci aspetta il nostro cicerone a L’Havana che si offre di farci fare un giro e così ci facciamo accompagnare a Plaza de la Revolucion. Ci gustiamo l’atmosfera notturna di questo posto impregnato di storia e di umanità. Il nostro “tassista” è un bel personaggio e così gli chiediamo se l’indomani può venirci a prendere per accompagnarci all’escursione sulla fortezza del Morro.
15 novembre
Dopo un breve giro nel quartiere dell’università, saliamo alla Fortaleza del Morro, dall’altro lato della baia de L’Avana. Da lassù si gode un bellissimo panorama della città, con in primo piano il suggestivo Malecon. Il museo non è un granchè, mentre molto interessante è la Comandancia, ovvero il quartier generale del Che nel periodo post rivoluzione e dove sono conservati diversi cimeli appartenuti a Guevara. Dopo una gradevole pausa mangereccia in un bar di Plaza de la Cattedral, allietati dai musicisti che senza sosta fanno da colonna sonora, siamo andati al Museo de la Revolucion. Molto interessante la prima parte della visita, con foto e cimeli che testimoniano il coraggio degli uomini che hanno fatto la rivoluzione con pochi mezzi a disposizione. Meno interessante la seconda parte, troppo propagandistica sugli effetti e i risultati della rivoluzione. Ma tutto questo è parte del regime! Stanchi morti ci siamo diretti verso calle obispo alla ricerca di una cadeca per il cambio dei soldi e per riprendere le forze ci siamo concessi un mojito sulla terrazza dell’hotel Ambos Mundos (quello dove risiedeva Hemingway). Dopo aver gustato bevande e tramonto, siamo tornati verso il Capitolio e da qui in taxi a casa. Cena a casa a base di aragosta, tapioca, avocado (raccolto dal loro albero in giardino) e il solito riso e fagioli. L’Avana è una città struggente, bella e triste, sontuosa e decadente. Un misto di nostalgia perenne per un tempo che non c’è più, felicità a tutti i costi e orgoglio identitario. Ti colpisce il tempo dilatato e gli odori: la benzina acre nell’aria, il profumo delle cucine (il “cierdo” allo spiedo), il profumo antico delle case. Un’overdose di sensi che non scordi più. E a volte fa un po’ male. Ma è un dolore dolce, a cui è bello tornare. Il nostro “tassista per caso” è un signore di una certa età, che ci offre un passaggio con la sua macchina russa dell’86 (dice lui!). In realtà ci scarrozza per la città con un catorcio di quasi trent’anni privo di tutto, tranne che della pura volontà di andare. Anche lui è così: gentile, volenteroso, chiacchierone in un modo molto cubano (del tipo che parla veloce, ti bacia e ti abbraccia e chiede confidenza). Fa un po’ tenerezza nel suo modo di restarci appiccicato e spiegarci le cose ( perfino la revolucion!) di cui è uno dei pochi orgogliosi rimasti.
16 novembre
Dopo la colazione siamo andati in taxi a l’Hotel Habana Libre per ritirare l’auto a noleggio. Le pratiche burocratiche sono state lunghe e soprattutto estenuante cercare di capire l’impiegato che ci spiegava, in un veloce spagnolo, tutto ciò che dovevamo sapere! Inizia così la nostra avventura a bordo di una Hyunday Accent bianca che ci accompagnerà per tutto il viaggio! Uscire da L’Avana per prendere l’autopista non è stato facile a causa della totale mancanza di indicazioni stradali, ma dopo aver chiesto un paio di volte la strada, finalmente ci siamo ritrovati sull’Autopista de l’ouest, diretti a Pinar del Rio. Dopo circa 180 km di strada piatta, abbiamo lasciato l’autopista e percorso i circa 30 km per Vinales. La strada è molto bella, percorso di montagna con curve e saliscendi, immersi in una lussureggiante vegetazione. Arrivati alle porte della Valle di Vinales restiamo incantati di fronte alla bellezza di questo luogo che sembra sospeso nel tempo e nello spazio. Arrivati in città abbiamo trovato con fatica la nostra casa particolar, in perfetto stile campagnolo. Galli, galline e maialini scorazzano tutto intorno. La casa è confortevole e dignitosa. Dopo una doccia veloce usciamo alla scoperta della Valle di Vinales. Il paesaggio è spettacolare, con i mogotes che circondano la valle dando vita ad un paesaggio agreste di nostalgica bellezza. Ci dirigiamo verso il mural de la preistoria e veniamo conquistati dalla bellezza del luogo… sembra di essere stati catapultati ai tempi dei dinosauri. Ci concediamo una buonissima cena a Casa di Don Tomas e finiamo la serata con mojito e cuba libre al bar di Vinales. Buenas noche!
Vinales è una perla piccola piccola e inaspettata: c’è un villaggio pieno di case basse e colorate dove alle nove del mattino fa caldo come ad agosto, la piazza di una piccola chiesa coloniale risuona del frastuono di un reggaeton improvvisato da un drappello di ragazzi e tutti sono indaffarati ad andare in giro, comprare gelati, fare la spesa nei piccoli negozi di stato (c’è pure un “carnicero” che ostenta quarti di un bue magro magro che non ha mai conosciuto un frigorifero!). Bellissimo e irresistibile come un videoclip! La valle di Vinales è Jurassic Park senza Hollywood. C’è un enorme murales che racconta l’evoluzione dell’uomo, è vero (un progetto “promozionale” di Fidel) ma tutto intorno si respira l’aria fiera e imponente della preistoria. Dicono che i mogotes che circondano questo posto incantato sono nati dallo starnuto di un dinosauro e sembra proprio vero!
17 novembre
Lasciata Vinales riprendiamo l’autopista diretti a L’Avana. A circa metà percorso carichiamo una giovane donna che faceva l’autostop. Abbiamo chiacchierato un po’ anche se lei non era molto loquace. Arrivati a L’Avana e scaricata la passeggera, sono iniziate le peripezie per arrivare sull’autopista nacional. La totale mancanza di indicazioni rende l’impresa ardua, ma “pregundando pregundando”… arriviamo all’autopista… ma è trascorsa un’ora nel frattempo, percorrendo strade improbabili e attraversando il caotico borgo di Cotorro. Finalmente l’autopista ci riconcilia con la “civiltà” e ci dirigiamo verso Cienfuegos. Il viaggio è lungo, nel frattempo inizia a piovere e così per movimentare l’atmosfera prendiamo a bordo un’altra autostoppista, molto chiacchierona, ci dice che fa l’insegnante di scherma e ci racconta Cuba dal punto di vista dei giovani. Presi dai racconti della nostra compagna di viaggio, non ci accorgiamo nemmeno di essere arrivati a Cienfuegos e puntiamo diritti sulla casa particular. Il nostro ospite è un personaggio davvero singolare che sponsorizza la sua casa come fossimo in uno spot pubblicitario! Abbiamo bisogno di riposo e quindi decidiamo di cenare in casa ed uscire più tardi per una passeggiata by night… ma la pioggia ci costringe a casa, dove perfezioniamo il nostro itinerario con mappe alla mano! Piove! La luce è andata via! Sono appena le 9 di sera e tutto il mondo intorno è fermo. Una radio suona una musica triste. Anche questa è Cuba.
18 novembre
Cienfuegos ci nega il sole… eppure la chiamano la perla del sud! Usciamo alla scoperta della città con i suoi palazzi in stile coloniale e neoclassici. Il centro è restaurato e sembra vestito a festa per accogliere il turista, ma basta percorrere la avenida 54, arteria commerciale, per immergersi in una atmosfera poco turistica. Guardiamo attoniti le vetrine dei negozi che richiamano alla memoria l’Italia del dopoguerra o la Mosca sovietica. Ci imbattiamo in una mendicante seduta sul marciapiede ed è la prima volta che vediamo la vera povertà a Cuba. Ma è l’incontro con M. che segna la nostra giornata: è una donna di 36 anni che ne dimostra almeno il doppio, parla un italiano ricco di modi di dire frutto degli insegnamenti di parenti che vivono in Italia. L’ostentazione dignitosa della sua povertà è uno schiaffo alla nostra condizione di turisti, che qui diventiamo facoltosi. Non chiede soldi, ma saponi e bagnoschiuma per sé e per i suoi figli. Non ne abbiamo da darle e la lasciamo con una sensazione di disagio. Ma intanto il sole ha fatto capolino fra le nuvole e così decidiamo di andare in spiaggia. Playa Rancho Luna, a circa 20 km dalla città, è una spiaggia deserta, a cui di certo non siamo abituati. Il nostro primo tuffo nel mar dei Carabi… gustiamo un mojito sulla spiaggia e ci godiamo qualche raggio di sole. All’arrivo dei mosquitos leviamo le tende e torniamo in città. Alla casa particolar troviamo un amico del nostro ospite: fa il giornalista alla radio e ci racconta la situazione generale dei cubani, del suo stipendio di 30 dollari al mese e della mancanza di libertà di espressione, costretti dal regime ad una vita difficile. Testimonianze che lasciano l’amaro in bocca e che stridono con la passione per la rivoluzione e per le idee che la generarono. Questa è Cuba, un paese ricco di contraddizioni, ma con un popolo straordinario nella sua dignità. Dopo cena passeggiata lungo le deserte strade di Cienfuegos… presi dallo sconforto ce ne andiamo a dormire! Cienfuegos si chiama “cento fuochi” perché fa un caldo terribile, la cappa di umidità non ci lascia un momento. La sera la città è vuota e triste, “è l’inverno cubano” dice il nostro padrone di casa. Per fortuna c’è lui a riscaldarci di chiacchiere e aneddoti di vita locale. Si cena al ritmo del notiziario nazionale, c’è Fidel che arringa dei giovani studenti. E’ strano vedere questa televisione che ignora l’occidente e racconta con orgoglio vicino alla propaganda il solo Sud America.
19 novembre
Partiamo alla volta di Trinidad e lungo la strada prendiamo a bordo un ragazzo di colore che fa il pescatore ed era a Cienfuegos per pagare le tasse. Dopo pochi kilometri buchiamo una ruota. La strada per Trinidad attraversa una zona molto paesaggistica, con una ricca vegetazione. Avvicinandoci a Trinidad la strada scende verso il mare e corre lungo la costa. Ci godiamo il panorama mozzafiato. Arrivati a Trinidad il nostro autostoppista ci porta da un gommista che per “soli” 50 cuc ci ripara la gomma e cerca di ingannarci per portarci in un’altra casa particular, ma resistiamo ed arriviamo alla nostra vera destinazione! La casa è un po’ malridotta, ha di sicuro conosciuto tempi migliori, ma è una vera casa particular. Lasciamo i bagagli e andiamo di corsa a Playa Ancon per approfittare del magnifico sole. La spiaggia è meravigliosa, sabbia bianca e mare cristallino, ripari di paglia per non scottarsi e pochissima gente in giro. Passiamo tutto il pomeriggio sulla spiaggia e al rientro a Trinidad facciamo una breve passeggiata al Parque Central prima della cena. Dopo cena giro per il centro storico che di sera si anima di suoni e balli caraibici. A fatica conquistiamo un tavolo alla Casa della Trova dove sorseggiando un mojito ammiriamo, invidiosi, i ballerini di salsa.
20 novembre
Mattinata alla scoperta del centro storico di Trinidad. Alla luce del sole la città risplende delle sue innumerevoli case coloniali dai colori pastello, le strade brulicano di gente e ad ogni angolo ci sono musicisti che suonano le melodie cubane. Ci perdiamo nei vicoli disseminati di bancarelle dove acquistiamo souvenir dell’artigianato locale. Arriviamo al famoso locale La Canchanchera, per una sosta a base di cocktail e musica. Dopo una siesta pomeridiana torniamo alla Casa della Musica per un aperitivo. Un ron dopo l’altro e l’atmosfera si scioglie! A letto presto… domani la sveglia è alle 6.30!
21 novembre
Verso Holguin… ci aspettano oltre 450 kilometri di una strada lunga lunga lunga, lungo la quale inanelliamo campagne, ranches, temporali e carretti Il viaggio è scandito da continui temporali, ma tra uno scroscio e l’altro di pioggia ci gustiamo il paesaggio: la vegetazione è varia e lussureggiante, palme reali che si alternano a distese di campi di canna da zucchero. Lungo la carrettera central il traffico è per lo più quello di carretti trainati da cavalli, immagini, per noi, di altri tempi… ci sentiamo quasi dentro un film degli anni ’50. Attraversiamo le province di Sancti Spiritus, Ciego de Avila, Camaguey, Las Tunas per giungere infine ad Holguin. La visita del centro storico di Holguin è molto veloce, tre plazas contigue sono tutto ciò che questa cittadina regala a chi la visita. Ci imbattiamo in un italiano che ci mette in guardia dal percorrere la strada che passando per Moa giunge a Barracoa… e in noi cresce il senso di sfida… decidiamo che sarà quella la strada che percorreremo l’indomani! L’atmosfera che si respira ad Holguin è diversa da quella che abbiamo trovato finora. Sembra quasi di essere in Europa, soprattutto per gli atteggiamenti e l’abbigliamento dei più giovani. Nota folkloristica: sfilata di una quindicenne che festeggia il suo ingresso in società e scorazza per le vie del centro città con la famiglia a bordo di una tipica Chevrolet anni ’50! La città è piccola, ordinata e pulita. Quasi poco cubana. I ragazzi sono belli e di pelle chiara. Un vecchio di colore ubriaco e forse un po’ matto, ci assedia per qualche spicciolo o forse una birra. Vedere scene così nel paese della rivoluzione fa ancora più male Cena a base di maiale al barbecue (cierdo asado) che spazzoliamo voracemente! Dal patio della nostra habitation ascoltiamo musica e risate di giovani… una festa della domenica sera, a suggellare il carattere festoso di questo popolo e di questa terra!
22 novembre
E’ arrivato il grande giorno, quello della tappa più temeraria che ci porterà da Holguin a Barracoa, passando per Moa. I km non sono tanti (circa 250), ma tutti coloro ai quali abbiamo detto che avremmo percorso la carrettera norte per arrivare a Barracoa ci hanno guardati come dei pazzi “La carrettera esta muy mala” … ma noi andiamo! Partenza poco dopo le 9 del mattino direzione Mayari (quella della canzone Chan Chan di Compay Segundo). Il paesaggio è bellissimo, la vegetazione ricca e lussureggiante, numerosi villaggi si snodano lungo la strada. Dopo un pueblo di nome Sagua inizia una strada sconnessa che ci porta fino a Moa. Moa è una città industriale, dominata dalle ciminiere delle fabbriche di nichel e il colore dominante è il rosso, quello appunto del minerale che qui si estrae e lavora. Attraversiamo un paesaggio davvero apocalittico, con tutta la vegetazione bruciata dai fumi e dalle esalazioni. Vorremmo accelerare per lasciare al più presto questo posto, ma la strada non lo permette. Abbiamo infatti iniziato il tratto di strada più disconnesso dell’intero paese, una strada che praticamente non esiste! Si procede a passo d’uomo, evitando buche grandi come voragini e solchi di fango pietrificato che diventano gradini. Ci fa strada un taxi che porta una turista tedesca a Barracoa. La strada attraversa la foresta pluviale e di tanto in tanto vediamo capanne di legno con il tetto di paglia che sembrano il set di un film di Indiana Jones. Ma questo non è un film, è la Cuba più povera, quella più vicina agli antenati indios taino. E che trova il suo culmine a Barracoa. Arrivati in città veniamo colpiti dal dissesto delle strade allagate e ricoperte di fango. Ci spiegano che qualche giorno fa c’è stata una alluvione e il sistema fognario è andato in tilt. Dopo una doverosa siesta usciamo per una passeggiata esplorativa. Il malecon che fronteggia l’oceano è inquietante, popolato solo dalle onde che prepotenti vi si infrangono sopra. Il centro della città è una piccola piazza su cui si affaccia una cattedrale che di sicuro ha conosciuto tempi migliori. Alla casa del cioccolato troviamo la delusione di occidentali di fronte ad un locale povero e spoglio. Qui tutto trasuda povertà, anche il mojito che sorseggiamo in un bar in attesa che smetta di piovere. Per fortuna che l’aragosta alla cubana che mangiamo nella casa particular riesce a farci tornare il buon umore! Qui tutto è estremo, il rosso sangue della terra che esce dalle buche profondissime, il torbido grigio dell’acqua che si insinua ovunque tra le strade, i marciapiedi e le nostre scarpe, i colori vivaci fino alla violenza degli edifici del piccolo centro storico. Blu, rosso, giallo e molta pioggia, la stessa che nutre la foresta pluviale tutto intorno. Molte case sono di legno, come quella che si vede dal balcone della nostra casa particular e lasciano intravedere il nulla di una vita ancora meno che contadina (un letto, una sedia, nessun suppellettile). La gente però è discreta e gentile. Autisti e motociclisti frenano con dolcezza sulle pozzanghere per evitare di schizzare noi, spaesati pedoni occidentali. Dopo l’overdose di verde e capanne indie incontrate lungo la tormentata strada che ci ha condotto fin qua, la città ci fagocita e ci sconvolge con la sua sfacciata povertà da terzo mondo. A fatica ce ne facciamo una ragione, mentre la pioggia finalmente smette di scendere.
23 novembre
Al risveglio Barracoa ci saluta con il sole, anche se all’orizzonte si intravede qualche nuvola. Il nostro umore è migliore di ieri, ma presto ci rendiamo conto che il nostro “andare in spiaggia” qui non ha senso! L’oceano ruggisce e spaventa. Ci affidiamo a due ragazzi locali che a bordo dei loro ciclotaxi ci accompagnano al Rio Miel. Pioggia e rivoli di sudore. La schiena di quello che ci porta si bagna di entrambe mentre arranca in salita. Ci colpisce la sua voglia di fare comunque conversazione. E la maglietta lisa fino a lasciar intravedere piccoli buchi di povertà. In un altro paese non saremmo mai scesi con due sconosciuti del luogo sotto un ponte pieno di fango in riva a un fiume grande e minaccioso, circondato da sterpi e baracche con galline e maiali. Eppure a Cuba fai anche questo: semplicemente, ti fidi! Scattiamo qualche foto e risaliamo sulla strada. Intanto è arrivata la pioggia che si alterna al sole… clima tropicale! In macchina ci dirigiamo verso la Boca di Yumurì, a 30 km ad est di Barracoa. La strada attraversa la foresta pluviale… e piove! Sosta per un paio di foto alla Baia de Mata (sulla spiaggia passeggiano le galline) e di nuovo in macchina verso Yumurì. Qui veniamo avvicinati da un indio che ci propone la gita in barca sul fiume. All’inizio siamo un po’ reticenti, ma poi ci convinciamo e saliamo sulla piccola barca a remi, con gli altri indios che ci seguono… a nuoto! Arriviamo sull’isolotto in mezzo al fiume e si materializzano intorno a noi altri indios ancora che ci accompagnano nella passeggiata all’interno della giungla. Siamo spaesati e conquistati nello stesso tempo dalla bellezza del luogo e dalla simpatia dei nostri accompagnatori, che ci raccontano la loro difficile vita di contadini, raccoglitori di caffè, ma sempre con il sorriso sulle labbra. Ci chiedono vestiti e ci diamo appuntamento a Barracoa per le 20. Intanto torniamo in città, colmi di un’altra esperienza singolare. Alle 20 in punto i nostri amici indios sono sotto la nostra casa particular. Sono partiti da Yumurì due ore prima, con mezzi di fortuna. Ci scambiamo i doni reciproci. Loro hanno portato una bustina di caffè e i loro indirizzi, noi diamo loro alcuni capi di abbigliamento. Il conforto della civiltà. Ci chiedono quello e pesos convertibles da poter spendere al mercato locale. Glieli diamo ed è strano, come se ci avessero costretti col sorriso al nostro ruolo di “ricchi” occidentali, di privilegiati che non siamo (non del tutto almeno) di viaggiatori pieni di buona volontà e con l’inevitabile senso di colpa di vivere nel primo mondo.E’ un momento molto emozionante, la sensazione di aver trovato degli amici nel posto più sperduto di Cuba. Uno di loro scrive su un logoro quaderno il nostro indirizzo, promettendoci una cartolina per il nostro compleanno. Ci salutiamo con un po’ di tristezza nel cuore pensando a questi amici che a fatica torneranno nelle loro capanne immerse nella foresta pluviale. La nostra serata finisce davanti ad un mojito in un piccolo ma carino bar del centro. Alle 4 del mattino ci sveglia il temporale…qui la pioggia è la regina del territorio e tutto ha un sapore quasi drammatico da fine del mondo!
24 novembre
La pioggia accompagna il nostro saluto a Barracoa. Ci dirigiamo verso Santiago, affrontando il viadotto della Farola, una strada di montagna tutta curve, tornanti e saliscendi che si snoda lungo la Sierra del Plurial. Finalmente, arrivati sulla costa sud torna il sole. Ci fermiamo a scattare qualche foto per immortalare i densi colori del mare e della vegetazione intorno. Attraversiamo Guantanamo, città militarizzata… i cubani devono difendersi dalla base navale Usa! Arriviamo a Santiago e subito percepiamo una atmosfera da posto del sud… Santiago è gemellata con Napoli e mai gemellaggio fu più azzeccato! La città è un intrigo di vicoli, pieni di macchine e persone che brulicano come formiche. Quando arriviamo alla casa particolar siamo attoniti… letteralmente finiti in un basso napoletano! La casa ci mette disagio e pure la padrona di casa, ma non possiamo fare altro che accettare perché siamo stanchi morti e ci anima solo il pensiero che domani lasciamo Santiago. Nel pomeriggio facciamo un giro nel centro storico. Sarà il nostro umore, la stanchezza e la delusione per la casa, ma Santiago non ci lascia alcuna sensazione positiva… non vediamo l’ora di lasciarla! Siamo di malumore, consumiamo un mojito che non sa di molto alla Casa Granda, hotel centralissimo che affaccia sul Parque Central, uno dei molti in città. Ci avviamo alla casa particolar con un codazzo di questuanti che non ci fa simpatia (tutti troppo “professionali” per scuotere le nostre coscienze occidentali). Le nostre stanze sono squallide, la nostra ospite scostante e incapace di qualsiasi contatto. Una sola notte per fortuna, Santiago non ci avrà mai più! Antipasto della cena è la performance di una bambina che abita nella nostra casa, insieme ad un numero imprecisato di altri abitanti, che ci declama la lezione di storia cubana sulla rivoluzione, fra una capriola e una ruota!
25 novembre
Sveglia presto per fuggire da Santiago. La città, ma soprattutto la casa, ci hanno lasciato addosso un profondo senso di disagio e quindi scappiamo diretti a Camaguey. Il viaggio è lungo e la prima parte della strada è piena di buche… tanto per cambiare! Ci concediamo una sosta ristoratrice a Las Tunas, dove ci sembra di essere tornati alla civiltà, dopo la barbarie di Santiago. E mentre mangiamo un gelato al bar, un signore ci lava la macchina… con un po’ d’acqua e uno straccio rimuove il fango di Barracoa e la polvere delle strade fin qui percorse! Ancora un centinaio di km ed eccoci a Camaguey. La nostra casa è una vera reggia, molto elegante e pulita, con un giardino molto bello ed un bagno “occidentale”! Camaguey ci riconcilia col mondo, con la sua luce calda e dorata e un piacevole venticello che viene da chissà dove. Ci inoltriamo nel reticolo di vicoli che la leggenda vuole creati per difesa dalle scorrerie dei pirati e ci lasciamo cullare dai bei colori coloniali delle case restaurate e delle strade per una volta ben mantenute. La città è bella e a misura di turista: qualche lavoro in corso sì, ma tutto è spiegato e pulito. Fendiamo la folla di ciclotaxi che ci assalgono per offrirci corse (ehi Italia, Italia!) e ci godiamo l’aperitivo cubano nella deliziosa plaza de San Juan de Dios. Fa buio presto, camminiamo con attenzione fra le macchine e le molte biciclette senza luce che vanno disinvolte per la strada.
26 novembre
Lasciamo Camaguey diretti a Santa Clara, ultima tappa del nostro viaggio. Uscire dalla città è reso difficoltoso dal solito brulicante traffico di carretti, biciclette, autobus, camion e gente in cammino. Prendiamo a bordo una ragazza che ci dice essere studentessa di psicologia; non è di conversazione e procediamo sulla strada, macinando kilometri di carrettera. Finalmente arriva l’autopista, che nel primo tratto non presenta una viabilità migliore! Arriviamo a Santa Clara e per un cuc ci avvaliamo di una guida in bicicletta che ci porta fino alla casa particular. Dopo una necessaria pennichella, prendiamo il ciclotaxi diretti al mausoleo del Che. A plaza de la revolucion il monumento del Che ci prende profondamente. Una spianata di cemento, una statua in bronzo e dei lastroni di marmo che raffigurano le imprese del Comandante sono in effetti poca cosa per riuscire a rendere la placida solennità del luogo e la devozione che permea ogni centimetro di asfalto. Il Che scrive a Fidel nell’atto di lasciare Cuba (il testo è scritto su una lastra di marmo a destra della sua statua) che si sente un figlio adottivo di Cuba. E così è ancora adesso. Una signora porta i fiori al memoriale dove i resti dell’uomo riposano insieme ai compagni caduti con lui in Bolivia. “Toglietevi il cappello” ci intima l’addetta a guardia della cripta. Quell’aria magica, epica e triste ci invade. Hasta sempre Comandante! E’ una bella sensazione con cui tornare alla nostra realtà povera di ideali. Il tren blindado invece sembra un sito di parco Disney, ma è un’altra testimonianza della presenza del Che in questa città.
27 novembre
Lasciamo Santa Clara senza rimpianti. Oggi è il nostro ultimo giorno a Cuba. Dietro di noi i kilometri di autopista percorsi e davanti quelli che restano per arrivare a L’Avana. Prima di andare all’aeroporto ci concediamo una promenade sul malecon e poi via, per calle 23, paseo e plaza de la revolucion. Percorrendo le strade de L’Avana ci sentiamo a casa! Ed eccoci all’aeroporto, dove inganniamo il tempo con la solita cerveza e gli ultimi sprazzi di shopping! Hasta pronto Cuba!