CUBA IN AUTO in 10 giorni
Percorso : Habana, Santa Clara, Cayo Santa Maria, Remedios, Trinidad, Varadero, Habana. Il viaggio non è solo vacanza, ma è un’esperienza che ti arrichisce, ti segna e ti insegna, ti aiuta a capire e soprattutto a conoscere.
I cataloghi di viaggi, le riviste, i documentari ti tolgono la sorpresa della scoperta e spesso causano delusioni quando non vedi i paesaggi da cartolina, ma è il contatto con la gente ed i luoghi che fa la differenza e che non riesci a vedere in nessuna immagine televisiva. Solo i tuoi occhi e il tuo cuore sono la tua unica “macchina fotografica”.
Il viaggio è Cuba, pensato forse non troppo ma ispirato dalla curiosità dei racconti di chi ci è stato, spesso conditi con storie di amori e di sesso facile. Il catalogo ti rimandava immagini di azzurro e di bianco ed odori di abbronzanti e di mare, cose di fronte alle quali invece i miei occhi sono stati ciechi.
Prima destinazione : La Habana, prima sensazione : un caldo umido ed avvolgente quasi soffocante.
Primo odore: gasolio e fumo, primo rumore : motori di camion.
Prima “delusione”: periferie estremamente digradate ed una sacco di gente a piedi lungo le strade che chiedevano disperatamente un passaggio.
Il taxista non parla l’italiano e tantomeno l’inglese, ma si fa capire abbastanza quando gli comunichiamo la destinazione, un hotel in Habana Vieja prenotato alcuni giorni prima con internet.
Le strade sono affollate di pedoni che si spostano pigramente ed i 25 km che ci separano dall’ aereoporto sembrano essere durati un’eternità.
L’Hotel è in un vecchio palazzo in stile coloniale con grandi camere ed un lussureggiante giardino interno.
Dopo aver preso posto senza troppi cerimoniali iniziamo il primo pomeriggio di visita.
Il sole insiste sulle nostre pelli non ancora abituate al sole ed i primi passanti cominciano ad avvicinarsi offrendosi per informazioni, offerte di alloggio e di cibo, naturalmente non senza interesse. Scopriremo che questa sarà una costante della nostra permanenza li’, una sorta di tassa che il turista deve pagare. Habana può piacere o non piacere per niente, dipende da te cosa riesci a cogliere. I palazzi e le vie sono testimoni di tempi gloriosi e li cogli da architetture grandiose e vie larghe. Specialmente il Paseo de Marti’ o semplicemente Prado ha ancora quell’aria “gloriosa” di inizio secolo che ti fa pensare a signore a passeggio con l’ombrellino e belle carrozze ai lati dei viali. Quando apri gli occhi però vedi palazzi ormai fatiscenti ma resi meno opprimenti da colori sgargianti. E’ proprio questa l’anima della città e della sua gente, questa disperazione sdrammatizzata dall’allegria e dalla gioia di vivere. Anche la musica suonata da cento portoni e da finestre aperte che invade le strade, o il canticchiare anche sommesso di chi passa per o chi lavora nei bar, ti fa capire tutto questo.
La prima immagine: nello spazio di Plaza Vieja, bambini che giocano con un bastone ed una palla. Ridono, corrono sudati e felici senza controlli di genitori apprensivi. Ed ancora gente, di ogni colore seduta su gradini e su porte o che dorme o che ride senza dare l’impressione di avere qualcosa da fare.
Tu italiano? Roma, Milano, vuoi un posto per dormire? Vuoi un posto per mangiare? Questa è Plaza della Catedral e se mi segui ti faccio vedere… Questa è la colonna sonora che accompagnerà tutta la nostra permanenza nella città, ci fai l’abitudine ed alla fine è anche una scusa per chiacchierare con qualcuno che chiede e che vuole spere a sua volta.
Sono trascorsi un paio di giorni ed un paio di splendide serate seduti ai tavoli all’aperto dei bar ospitati dalle piazze e coperti solo da limpidi cieli stellati degni della migliore serata estiva, che abbiamo già voglia di metterci in viaggio per scoprire altri lati dell’isola.
Partiamo la mattina, dopo aver noleggiato una Pegeut 206 con aria condizionata e molte ammaccature, con destinazione Santa Clara e Cayo Santa Maria forse spinti dal desiderio di vedere anche solo di passaggio le spiagge bianche dei cataloghi turistici.
L’impatto con le “vie di comunicazione” terrestri è un po’ traumatico.
Le indicazioni sono pressoché inesistenti, i semafori sono dalla parte opposta agli incroci e praticamente nascosti, le strade rotte, i passaggi a livello anche in piena autostrada, senza sbarre e senza segnali premonitori.
In compenso i mezzi “meccanici” in circolazione sono veramente pochi in favore di carri trainati da animali ed i controlli della polizia veramente capillari ed assillanti (nell’isola il rapporto cittadino/poliziotto pro capite è il piu’ alto del mondo). In un primo momento siamo rimasti colpiti da quanta gente circolasse a piedi e chiedesse passaggi e quanti affollassero addirittura i trasbordanti cassoni dei camion, poi abbiamo capito che chi ha la fortuna di viaggiare con un qualsiasi mezzo a motore, ha l’obbligo di dare passaggi a chi lo chiede, è una normale consuetudine. Noi non siamo abituati a caricare gente e soprattutto in un paese dove ti chiedono tutto e con insistenza nutriamo una certa diffidenza. Ma ben presto siamo costretti a cambiare idea . Infatti non tardiamo a sbagliare piu’ volte strada, vuoi per le indicazioni che lasciano molto spazio alla libera interpretazione, vuoi per le cartine che non riproducono senz’altro fedelmente la geografia del territorio. Cosi’ carichiamo un militare in divisa che sta tornando a casa dalla famiglia dopo un periodo di servizio trascorso ad Habana, poi è la volta di una donna dal viso rubicondo e sorridente con figlioletto appresso diretta in un paese vicino, poi un’anziano dal viso scuro e segnato profondamente dal tempo che ha vissuto tanti anni a Santa Clara . La nostra diffidenza sparisce a poco a poco cercando un dialogo in una lingua inventata a metà tra l’italiano, il dialetto bolognese e una specie di spagnolo, l’inglese meglio scordarselo (per chi lo sa).
L’arrivo a Santa Clara è un po’ deludente, la cittadina non è poi un granchè, unica attrattiva il famoso monumento dedicato al Che, poi un fragoroso temporale ci sorprende riversandoci addosso tonnellate e tonnellate d’acqua e gonfiando le strade di fiumi fangosi che ci fanno sbandare paurosamente. Finalmente arriviamo a Cayo Santa Maria e con nostra sorpresa scopriamo che quasi tutti i cayo sono zone vietate ai cubani, ma solo spiagge riservate ai turisti. Infatti la maggior parte delle sistemazioni offerte sono resort e villaggi.
Non trovando quindi da dormire decidiamo di evitare le spiagge per turisti e, seguendo il consiglio della nostra preziosa guida del National Geographic, ci fermiamo ormai stanchi nella cittadina di Remedios.
Remedios è uno dei piu’ antichi insediamenti dell’isola in quanto vicina ad una delle prime zone di sbarco degli esplolaratori sull’Atlantico. La città non è stata toccata dalla modernità e percorrendo le sue poche vie, si ha l’impressione di essere proiettati indietro di almeno 50 anni come abitudini di vita e molto prima per tutti gli edifici in stile coloniale. Rimango incantato davanti un negozio di barbiere ancora in stile anni ’50 dove diversi clienti si sottopongono alle cure ancora sulle vecchie sedie che farebbero follie ad uno dei nostri mercatini dell’antiquariato ed ancora facendo la barba con il classico rasoio lisciato nell’apposito nastro in gomma (un po’ come nei film western).
Praticamente inesistenti i turisti per strada a parte qualche piccola rappresentanza nell’unico hotel della città, lo storico Hotel Mascotte, modesto ma molto accogliente, dove ci ritiriamo dopo una passeggiata serale per le vie praticamente deserte.
Il mattino è brulicante di vita, carri e calessi trainati da cavalli, bimbi che si recano a scuola perfettamente in fila abbigliati con la classica divisa pantaloncini rossi e camicia bianca con fazzolettino al collo ed i negozi che si accingono ad aprire i battenti.
La destinazione è Trinidad, al sud dell’isola. Dopo aver studiato la carta sperando di aver individuato la strada piu’ breve, partiamo cercando di decifrare le quasi assenti indicazioni stradali.
Come al solito, volendo accorciare il tragitto ed affrontando strade un po’ secondarie, ci troviamo alle prese con percorsi piuttosto difficoltosi con strade a volte senza asfalto e passando per paesi che invece di case hanno solo baracche in legno. Coltivazioni di tabacco, banane, canna di da zucchero e palmeti, sono il paesaggio delle strade che attraversiamo durante la giornata. Sulle strade che attraversano i pochi villaggi, troviamo piccoli gruppetti di curiosi che vedono passare forse un paio d’auto del genere in un giorno e che in piu’ occasioni si sbracciano alzandosi dai muretti con una specie di “ola” da stadio per indicarci la strada immaginando l’unica destinazione possibile da quel punto dell’isola. E’ piu’ faticoso del previsto e concludiamo che da ora in poi è meglio percorrere le strade principali o quella specie di autostrade anche a costo di allungare il percorso di 50 km.
Eccola Trinidad, adagiata in un afoso pomeriggio, con le sue case colorate e stradine strette e ciottolate. Non cè molta gente in giro a quell’ora ma come al solito veniamo agganciati dai soliti procacciatori di qualsiasi cosa. Questa volta è una donna, apparentemente simpatica. Decidiamo di non resistergli e cediamo alle sue insistenze per vedere una stanza in affitto.
Ci infiliamo in un cortile passando attraverso almeno altri due appartamenti e finalmente ci viene presentata la stanza con due letti, apparentemente accogliente, cè anche il bagno, ma non ci facciamo troppo caso, siamo talmente stanche ed accaldati che accettiamo visto anche il prezzo della camera (25 dollari al giorno). Ci accorgeremo poi che il bagno lascia molto a desiderare, la doccia è riscaldata direttamente sul tubo da una restenza a fili scoperti, roba non senz’altro da marchio IMQ, e gli asciugamani sono delle salviette microscopiche e consumate. Ma c’è anche una specie di condizionatore che naturalmente non proviamo e che poi scopriremo fare un rumore assordante, praticamente inutilizzabile. Siamo anche affamati e cediamo alle indicazioni della nostra procacciatrice d’affari che ci porta in casa da una signora (una delle tante Palladar non ufficiali). Li’ finalmente la prima vera soddisfazione culinaria della vacanza, una grossa aragosta tenerissima e dolcissima come mai piu’ mangerò, specialmente per il prezzo (25 dollari in due) per una cosa che in Italia ci sarebbe servito un finanziamento a tasso agevolato! Dopo un po’ di ristoro, eccoci nuovamente in movimento per raggiungere il mare vicino.
E qui ci attende una spiaggia meravigliosa ed un bagno in un’acqua caldissima.
Sulla spiaggia di Trinidad conosciamo anche un’italiano (strano personaggio) che, lasciando a casa moglie e figlio, tutti gli anni trascorre un mese li’ vivendo di pesce pescato e venduto ai ristoranti e palladar. Insieme ad un ragazzo cubano, si allontanano in mare a nuoto con una boa per poi tornare diverse ore dopo. Al loro ritorno, la polizia, come al solito onnipresente, ferma i due e porta via il ragazzo cubano. L’italiano ci spiega che i cubani non possono frequentare le spiagge sulle quali vanno i turisti e tanto meno pescare. Ci chiediamo cosa gli faranno e soprattutto cosa avrà mai fatto di male il ragazzo.
Il tutto però non turba la nostra giornata di mare ed il meraviglioso tramonto che ci aspetta. Anche Trinidad, dove trascorriamo due giorni, di sera è molto carina ed animata da turisti e da giovani. Le coloratissime case in stile coloniale aprono le grandi finestre con le caratteristiche grate di legno, direttamente sulla strada e lasciano vedere l’interno ancora arredato con meravigliosi mobili ed arredi d’epoca. Anche la paladar Estela, dove mangiamo l’ultima sera è veramente accogliente. Un’abitazione privata ancora con vecchi mobili sul retro della quale si apre un grazioso cortiletto ingombro di tavoli dove ci accoglie una cucina semplice e tradizionale. E’ giunto il momento di far nuovamente rotta in direzione di La Habana. Facciamo una tappa a Varadero, notissimo centro balneare ma, a parte il colore meraviglioso del mare, rimaniamo un po’ delusi. E’ infatti diverso dalla vera Cuba. Un paradiso per turisti con grandi alberghi e villaggi turistici che offrono tutti i confort. La bella spiaggia ha le grandi palme alle spalle, ma al di sopra delle quali spuntano i palazzi e gli alberghi.
Per le strade tedeschi, francesi ed italiani, un po’ come essere a Rimini senza i chioschi delle piadine.
E’ ora di tornare a La Habana.
La città ci aspetta cosi’ come la ricordavamo all’arrivo e decidiamo di passare li’ l’ultimo giorno dormendo al quartiere Vedado, ben diverso dalla città vecchia dell’inizio del viaggio.
Il quartiere è animatissimo con locali di ogni tipo, e l’imponente Hotel Habana Libre domina gli edifici circostanti. Prima del ’59 era il famoso Hilton, che fu poi sequestrato da Castro durante la rivoluzione dove stabili’ il suo quartier generale. Per strada cè un gran via vai ed i taxista che cercano di catturati con ogni scusa, con le loro ridicole macchine provenienti dalla ex Russia comunista. Senza troppo clamore si avvicinano e ti chiedono se vuoi una chica o un chico naturalmente no puta e rigorosamente vergine.
Ancora per le strade, ancora in mezzo alla gente, ancora lungo il Malecòn dove si riversano i cubani alla fine della giornata non troppo lavorativa, ancora per le vie della città vecchia tra corse di bambini che scorrazzano per le strade.
Le case fatiscenti, le scarse risorse economiche, la mancanza di tutto non scoraggia l’orgoglio cubano e soprattutto la voglia di sorridere sempre e di sfidare le regole di un’assurda dittatura.
Lasciamo malvolentieri la città diretti verso l’ aereoporto, forse quasi con una mezza promessa di ritorno. Un ritorno che forse non sarà piu’ nella Cuba che ricordiamo ma in una Cuba di domani che dovrà per forza essere diversa. Ma nella Cuba di oggi Fidèl ci ricorda con grossi cartelli al bordi delle strade “VAMOS BIEN” come a voler rassicurare i Cubani che quella deve essere la realtà.
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