Cuba, alla ricerca del rum perduto
Cuba, alla ricerca del rum perduto…
Quest’anno parliamo di Cuba. Chi ha letto altri miei report qui su Tpc già sa qual è il nostro modo di viaggiare e quindi anche questa destinazione, che i più magari vedono come un viaggio “Volo + resort” , la volevamo vivere invece in massima libertà e autonomia.
Come da tradizione premetto che questo racconto non sarà di sicuro una raffica di recensioni di luoghi, ristoranti e alberghi, quanto piuttosto una raccolta di sensazioni e idee provate lungo il viaggio; non voglio sostituirmi ad una guida turistica, lo scopo è proprio quello di scrivere ciò che dentro una guida non c’è.
Molte informazioni, spero utili, ci saranno sicuramente ma l’obiettivo è prima di tutto creare curiosità e far sorgere, se ci riuscirò, la voglia di fare anche voi un viaggio simile, ma a modo vostro, non in fotocopia.
Come dicevo sopra, per noi il viaggio deve essere prima di tutto “libero” , e quindi anche questa volta dall’Italia prenoto solo il minimo indispensabile, cioè volo e prima notte all’Havana; stop. Il resto come viene viene, di giorno in giorno.
Ulteriore burocrazia obbligatoria per recarsi a Cuba: visto turistico ed assicurazione medica apposita la sottoscriviamo online attraverso una agenzia specializzata di Bergamo, non metto il link per pubblicità, ma con pochi click ed una spesa minima ( 75€ a testa in tutto) arriva tutto direttamente a casa in pochi giorni.
Il volo lo prendiamo con AirFrance, che anche confrontandosi con altri amici è una delle compagnie migliori sulla tratta Italia-Cuba; con solo uno scalo a Parigi al prezzo secondo me accettabile di 650€ a testa.
Per evitare la stagione degli uragani, che tendenzialmente va da fine luglio a settembre, decidiamo di partire un po’ prima del solito e quindi il 3 luglio siamo già pronti a Venezia con i bagagli in spalla.
Il nostro programma è quello di passare qualche giorno all’Avana per ambientarci un po’ con clima e abitudini cubane, per poi partire nel nostro itinerario attraverso l’isola, toccando più mete possibili e visitando sia le cittadine, che l’interno più alcuni giorni di riposo in spiaggia sparsi qua e là.
In tutto ci siamo ritagliati 17 giorni di viaggio ma, lo scrivo subito, per avere la minima possibilità di visitare anche solo in maniera sommaria tutta l’isola, sono assolutamente pochi. Alla fine quello che siamo riusciti a fare è stato questo itinerario di massima: L’Avana – Valle di Vinales – Trinidad – Camaguey – Moron – Cayo Coco e Cayo Guillermo – Varadero – L’Avana.
In pratica siamo riusciti a vedere, e neppure troppo approfonditamente, solo la parte centro/nord dell’isola e mancherebbe tutta la parte sud, che dicono comunque bellissima e molto differente rispetto a quella da noi visitata, con le perle di Santiago de Cuba e Baracoa. Se si vogliono vedere anche quelle sono necessari almeno 25 giorni e alla fine comunque sarebbe una visita solo sommaria di tutto quanto; se potete prendetevi un mese.
Quello che sulle mappe non si capisce è che qui ogni spostamento , anche non necessariamente lunghissimo, porta via un sacco di tempo; e l’isola in tutta la sua lunghezza da nord a sud misura oltre 1.200km, come l’Italia, ma con un rete stradale che definire “limitata” è un eufemismo.
Ecco, quello dei trasporti è stato uno dei punti di massima indecisione prima di partire, perché in quasi tutti i nostri precedenti viaggi avevamo amato avere una auto propria con cui muoversi veramente in massima autonomia di tempi e luoghi, ma qui a Cuba molti la sconsigliano: sia come dicevo per la qualità delle strade ma anche per un discorso di costi.
La rete dei trasporti pubblici infatti è sorprendentemente buona ( perlomeno nei trasferimenti tra le mete turistiche) e quindi l’opzione autobus + taxi è tra le più gettonate. Alla fine quindi optiamo anche noi per quest’ultima e a posteriori secondo me è una buona scelta, soprattutto per i nervi.
Non dico fosse impossibile noleggiare un’auto e gestirsi così, ma tra noleggio e assicurazioni è difficile stare sotto i 70€ al giorno, i distributori sono pochi, l’auto in strada la notte è sempre un rischio, ma soprattutto le strade ed il tipo di traffico sono assolutamente particolari e necessitano di grandissima attenzione per evitare disastri, ne parlerò diffusamente più avanti perché è veramente una cosa assurda.
Ancora un ultimo punto e poi partiamo davvero perché mi sto annoiando anche io con tutte ‘ste premesse: i soldi. Tocca partire con una pila di euro in contanti, non ci sono alternative perché le carte sono accettate solo nei resort, dove noi non metteremo mai piede, e i prelievi agli sportelli non sempre funzionano. Mi raccomando, euro e non USD perché su quelli le case di cambio applicano una commissione secca del 10%, ahahha, alla faccia della rappresaglia. Bon basta partiamo davvero adesso!
Ci imbarchiamo alle 6.55 di mattina da Venezia ( vi lascio fare il conto dell’ora in cui siamo dovuti uscire da casa a Pordenone per essere là a quell’ora) e in due ore siamo a Parigi, in teoria per uno scalo veloce di un paio di ore, in pratica come da tradizione negli ultimi anni guardo il tabellone con tutti i voli AirFrance, saranno tipo 100: una sfilza infinita di ONTIME tranne uno, giuro era solo uno, il nostro: Delay.
Guasto alla toilette dell’aereo; robe da non credere, quattro ore di ritardo, ma ve bene così piuttosto che affrontare una transoceanica senza bagno.
Arriviamo all’Avana verso le 9 di sera, per fortuna abbiamo concordato con il nostro alloggio anche il trasferimento dall’aeroporto al centro così dobbiamo solo cercare il tassista con il nostro cartello: “Paolo e Libia – Italia” , scritto esattamente Libia, con la B, una cosa che ci perseguiterà per tutta la vacanza: alla fine ci siamo anche rassegnati, mia moglie a Cuba non si chiama Livia, ma Libia, vabbè.
Coda assurda per cambiare la valuta, perché ovviamente tutti quelli che smontano dall’aereo devono immediatamente dotarsi di moneta locale, e alla fine abbiamo in mano il nostro primo mazzetto di CUC, il pesos cubano convertibile, la moneta dei turisti a Cuba.
Cuba infatti vive ad oggi con una doppia economia: per i locali ci sono tutta una serie di negozi, servizi, trasporti tutti in media di piuttosto malandati, ma estremamente economici, a loro riservati in cui si paga con il Peso Cubano ; ed in parallelo altri negozi, locali, servizi e trasporti invece riservati ai turisti, in cui si paga solo in CUC. Emblematico al riguardo anche il fatto che la pronuncia corretta spagnola del CUC sarebbe : “seusè”, ma anche gli stessi cubani ormai si sono rassegnati a pronunciarlo “cuc”, come fanno più o meno tutti i turisti. I due mercati sono praticamente del tutto distinti: da una parte perché quasi nessun cubano può permettersi di pagare i costi dei servizi per turisti, e dall’altra parte uno straniero che cerchi di pagare con la moneta nazionale è visto molto male: dovreste essere molto credibili per riuscirci.
Io e mia moglie, con il nostro spagnolo zoppicante e l’aspetto da tedeschi/olandesi saremmo credibili come una banconota da 1.000CUC! Ah ecco, al riguardo mi raccomando cercate di non farvi mai rifilare tagli sopra i 20 CUC perché dopo avreste grosse difficoltà a farveli cambiare da qualcuno; già con quelli da 20, che sono la bellezza di 15 euro e rotti, qualche volta ricevevo delle occhiatacce come a dire “guarda questo imperialista con che banconote si presenta!”.
Comunque usciamo rapidamente dall’aeroporto: è una discreta bolgia di taxi e persone, ma non fa caldissimo come ci è capitato altre volte, l’umidità è perfino accettabile. Seguiamo il nostro tassista all’auto ma è una piccola delusione, già speravo di montare subito su uno di quei magnifici taxi americani anni ’50, mentre la nostra è un’auto moderna.
Sfrecciamo affiancandoci agli altri turisti, alcuni su dei catorci di auto che è un miracolo se vanno ancora avanti; la periferia dell’Avana è ovviamente piuttosto degradata, e cominciamo a vedere come funzionano qui le strade. Ci sono centinaia di persone a bordo strada, tutti a caccia di un passaggio, alcuni si sbracciano fino in mezzo alla carreggiata sventolando banconote, gli autobus per i residenti sono traboccanti di persone e in strada si vede circolare di tutto: biciclette, cavalli, carrettini, camion, autobus e una miriade di auto d’epoca convertite in taxi con il loro allegro carico di turisti dentro.
Giungiamo in mezz’ora al nostro alloggio, era consigliato dalla Lonely ed aveva lo stesso identico nome di un posto in cui ci eravamo trovati benissimo nel nostro viaggio in Mexico di qualche anno fa: Hostal Peregrino, così abbiamo prenotato qui. In realtà non è affatto un ostello, non come lo intendiamo noi almeno; qui a Cuba questo tipo di alloggi si chiamano “Casas Particulares”, cioè case private.
In pratica per consentire ai residenti di avere una qualche forma di reddito autonomo, il governo centrale negli ultimi anni ha consentito ai privati la possibilità di affittare parti delle loro case ai turisti, a patto di mantenere un certo standard minimo di servizi e qualità, che viene controllato. In breve la stanza deve essere separata dal resto della casa, avere bagno privato, aria condizionata, frigorifero e la famiglia deve garantire se uno lo desidera anche un servizio di colazione, pranzo e cena. Tale è la differenza di reddito di questi piccoli imprenditori rispetto al resto della popolazione che anche a vista d’occhio le “cases particulares” certificate ( hanno anche un simbolo apposito affisso fuori dalla porta, un specie di ancora azzurra) si riconoscono immediatamente già dalla strada, non foss’altro perché sono le uniche che hanno l’intonaco a posto.
La nostra si trova in un vecchio palazzo storico in una strada parallela al Prado, la passeggiata alberata che divide i quartieri di Avana Vecchia e Centro Avana. Pur essendo in zona centralissima, la nostra via è un po’ inquietante e pare tutto assolutamente diroccato e fatiscente, tutto tranne la nostra casa che invece ha un bell’aspetto ed anche dentro è veramente una meraviglia piena di oggettini e foto d’epoca alle pareti. Elsa, la titolare che ci accoglie è cordiale e superefficiente ma è in assoluto la casa meno “particulare” tra tutte quelle che visiteremo nel viaggio, sembra più un albergo a tutti gli effetti, anche per il numero di posti letto che gestisce. Comunque è una soluzione ottima dal punto di vista logistico, in posizione centralissima e tranquilla, con camere molto curate.
La mattina successiva usciamo presto senza usufruire del servizio colazione della casa, un errore perché trovare un cavolo di posto in cui fare colazione è una impresa. E’ proprio un altro mondo rispetto al nostro: anche trovandosi nella capitale gli esercizi commerciali sono pochissimi e quelli in cui una persona dotata di un minimo di buon senso entrerebbe ancora meno, un panificio un miraggio, bar? Boh.
Partiamo per un primo giro nella città vecchia: il tempo è fantastico con un cielo limpidissimo e luminoso. La città è unica al mondo, potrei cercare di descriverla a parole ma non è facile: un mix di fasti antichi e fatiscenza moderna che non ho mai visto altrove; gli occhi rimbalzano in continuazione tra la realtà diroccata che vediamo , con gli intonaci scrostati, le colonne crollate e puntelli di legno e dall’altra parte la bellezza degli intarsi, i colori sgargianti dei palazzi, le rivestiture con le maioliche colorate . Ci chiediamo che posto incredibile dovesse essere questa città negli anni d’oro del suo sviluppo ( 1920-1930), quanti soldi dovessero girare in quel periodo e quale potenzialità immensa avesse un posto del genere.
Perlomeno la zona centralissima della citta, Habana Vieja, nel corso degli ultimi anni ha subito un processo di rimodernamento , ancora in corso, che pare ben fatto. Nei palazzi appena finiti di ripristinare alle antiche condizioni hanno anche affisso dei tabelloni con le foto dei lavori, per far vedere lo stato in cui si trovavano prima, veramente molto interessanti.
Come prima cosa visitiamo il museo che dà una spiegazione logica a tutto questo scempio: il museo della revolucion. A parte le battute, il museo si trova in un bel palazzone in centro e sarebbe anche decisamente esauriente con un sacco di cimeli e ricostruzioni precisissime, solo che è tutto in spagnolo così non capiamo nulla, conosciamo la storia locale solo a grandissime linee e quindi fatichiamo ad esaltarci al racconto delle gesta del Che, di Cienfuegos e compagnia bella. Più turistica ma anche abbastanza surreale poi la collezione di reperti militari e spaziali ( parolona!) che si trova nel giardino del museo, una serie di trabiccoli di lamiera guardati a vista dall’esercito, mah.
Ci portiamo dunque nel cuore della città, patrimonio Unesco, e cominciamo ad orientarci. Qui come tutti gli stranieri cominciamo a subire l’assalto dei “cacciatori di turisti”. Lo so che le guide mettono ampiamente in evidenza questo fatto, ma non è possibile essere preparati ad una cosa del genere: sono estenuanti, una trafila continua e imperterrita di gente che vuole rifilarti qualsiasi cosa: passaggio in risciò, taxi, sigari, giro turistico, albergo, ristorante, foto con santone, concerto havana club, corso salsa, rum,…qualsiasi cosa, in continuo, ovunque.
Io non ho ancora capito se esistesse o meno un metodo per evitarli, anche perché in genere mi secca essere scortese, ma alla fine uno lo diventa volente o nolente. Ogni tanto poi, alcuni sono anche simpatici: un tipo mi ha abbordato perché voleva farmi fare un giro a cavallo del centro storico, ci ha inquadrati subito parlando un italiano perfetto e con un accento marcatamente milanese ci ha sparato “ vieni con me che ti faccio fare un giro della madooonna!”, quasi mi aveva convinto.
Visitiamo la piazza della cattedrale, che a mio parere è la più bella della città e lì in uno dei vicoli vicini un laboratorio di arte grafica ( una delle eccellenze di Cuba) e vediamo un sacco di giovani, la maggior parte stranieri, intenti a seguire i corsi di disegno che si tengono nel laboratorio, veramente una bella realtà. La cosa bella di Cuba è che si può entrare da qualsiasi parte: se girando per la città vedete un palazzo che vi piace si può entrare e visitarlo anche se pare una casa privata. E’ probabile magari che sarete avvicinati da una persona che vuole farvi da guida in cambio di una piccola mancia, ma non è obbligatorio, e alla fine uno può avere un sacco di informazioni interessanti.
Quindi entriamo dentro e fuori dai vari palazzi come fosse casa nostra, non ci sono neppure molti turisti, quindi la visita è veramente piacevole, in giro ci sono un sacco di complessi che suonano strumenti e ritmi i più disparati, un gruppetto sui trampoli che balla per strada vestiti con abiti sgargianti, vecchietti che giocano a domino nei giardinetti. In Plaza Vieja saliamo anche sul tetto del palazzo più alto dove si trova una cosa denominata “Camera Obscura”: una specie di periscopio il cui progetto è attribuito a Leonardo Da Vinci , dove con un sistema di specchi è possibile osservare su un piano una prospettiva a 360° dei tetti della città, una cosa veramente carina e ben spiegata. Dall’alto il centro è ancora più impressionante con il suo reticolo di palazzi l’uno addossato all’altro e la vista sul porto con la fortezza appena al di là dello stretto braccio di mare.
A questo punto è ora di pranzo e ci troviamo nel posto giusto in quanto proprio in plaza vieja si trova una birreria bavarese, si esatto bavarese, dove servono birra artigianale mentre ci si riposa sotto gli ombrelloni della piazza. Vediamo che gran parte dei tavoli vicini ordinano una specie di caraffa gigante da 2 litri, con sistema di refrigerazione e rubinetto. “ Ma no dai, 2 litri in due sono troppi!”….poi ovviamente prendiamo quattro birre da mezzo. In più ordino un hamburgher, il primo e ultimo del viaggio, voi non fatelo.
Camminando ancora passiamo davanti ad un negozietto di frutta e verdura, uno di quelli riservati ai cubani, e vorremmo mangiarci uno dei bellissimi ananas che vediamo nelle ceste, così chiediamo se è possibile averne uno già pulito. La tipa ci dice di si ma al prezzo di 1 cuc, come se ci sparasse un prezzo fuori da ogni grazia di Dio, neppure 80 cent di euro. ”ok, va benissimo”. La tipa contentissima si mette a curarci l’ananas in maniera maniacale, ci avrà messo 10 minuti per togliere via meno polpa possibile, se vedesse come pulisco io gli ananas a casa ( con quella vite che ti fa buttare via mezzo frutto) si metterebbe a piangere.
Mentre vaghiamo sempre a piedi nella zona del porto, vediamo spuntare dietro a palazzi i pennoni di una grossa barca a vela, una specie di galeone enorme che credo appartenga alla marina cubana ( una cosa tipo la nostra Amerigo Vespucci), e ci sono un sacco di persone in coda per la visita. E chi siamo noi per non metterci a nostra volta in coda? Una visita parecchio idiota, tutti in fila indiana, un milione di persone che si fanno le foto, i cubani sono personaggi abbastanza strani.
Ah ecco a proposito, inserisco qui il discorso perché devo dirlo prima possibile: le ragazze cubane fanno pena! Io non so dove derivi la nomea internazionale che si sono fatte, ma veramente io di belle non ne ho viste. Forse in realtà le belle le tengono nascoste tutte insieme in luoghi segreti, tipo riserve, ma quelle che ho visto in giro erano inquietanti. Ancora peggio però il fatto che invece i ragazzi sono in media pazzeschi, con fisici assurdi e lineamenti bellissimi. Una fregatura su tutta la linea insomma!
La sera ci mangiamo una frittura di gamberoni e birre in un locale vista mare, un posto molto spartano, ma la vista è grandiosa, poi crolliamo a letto distrutti.
La mattina siamo di buon’ora a passeggiare sul Prado, ci sono un sacco di artisti locali con i loro quadri anche molto interessanti , dietro uno sfondo di palazzi uno più bello e cadente dell’altro. E’ magnifico vedere ogni tanto che magari un pezzo dell’immobile è crollato per l’usura del tempo, un terrazzino si è staccato di netto dalla facciata, e semplicemente ci mettono un pannello di legno a coprire il buco, e via così. Oppure vediamo altri palazzi completamente puntellati dal primo all’ultimo piano con assi di legno posticce: un puntello che sostiene il puntello superiore e via così per 4 o 5 piani, ma come fanno a vivere tranquilli in case del genere?
Mentre siamo lì che passeggiamo tranquillamente veniamo abbordati da una coppia di giovani locali ( marito e moglie), che ci chiedono da dove veniamo, dove stiamo andando ( volevamo andare alla fabbrica dei sigari) , dove alloggiamo ,cosa ne pensiamo di Cuba bla bla bla, anche piacevoli come conversazione, tutti sorridenti. Io sono già lì che cerco di capire dove vogliono andare a parare, cosa vogliono venderci, quando ad un certo punto ci salutano e ci augurano un buon viaggio. “Ma guarda te che simpatici, volevano davvero solo fare due chiacchiere con dei turisti, vedi tu che malfidati siamo a volte “.
Facciamo 100 metri, e ci affianca un tipo mai visto, che ci saluta e ci fa “ vi ho visti stamattina al Peregrino, siete arrivati ieri dall’Italia, vero? Per caso stavate cercando dei sigari?”
Cioè….avete capito? In trenta secondi gli hanno girato tutte le info che gli avevo dato, per rendere l’abbordaggio più credibile e cercare di piazzarmi i suoi sigari: geniali. Anche perché il business dei sigari all’Avana è una cosa che non si può neppure immaginare, soprattutto nella zona dalle parti della piazza del campidoglio è un vero e proprio campo di battaglia. Lì infatti si trova la fabbrica dei sigari cittadina, ovvero si trovava perché ora la hanno chiusa ed è rimasto solo il negozio al dettaglio, ma lì intorno si aggirano decine di persone pronte ad intercettare tutti i turisti cacciandogli una serie di balle per convincerli a prendere i sigari da loro e non dal negozio ufficiale. Nel nostro caso gli ultimi dobbiamo evitarli praticamente di fronte alla porta del negozio, mentre anche lì ad un metro cerca di convincermi che è chiuso: “ma scusa, come dovrei fare a non vedere la gente che esce con i sacchetti?”: instancabili. Il negozio poi è anche bellissimo e valeva la visita anche per noi che non fumiamo: un paio di Cohiba e Montecristo ce li siamo portati casa comunque .
Da lì partiamo in una camminata lunghissima, lunghissima, per vedere il quartiere di Havana Centro, che è decisamente poco turistico, ma è bello mischiarsi anche alla popolazione locale, affaccendata nelle loro compere e impegni quotidiani. Attiriamo anche diversi sguardi curiosi, perché in media tutti gli altri pochi turisti si limitano a girovagare nei taxi o almeno seduti nei risciò, mentre noi come da tradizione ci immergiamo sempre a piedi nelle città che visitiamo. Raggiungiamo anche il quartiere più moderno di Vedado , con tutti i suoi grattacieli che si stagliano in cima al promontorio, passeggiando lungo il Malecòn, la camminata lungomare che sarebbe meglio percorrere dopo il tramonto, visto che non c’è un albero manco a pagarlo ed il sole è feroce.
Arrivati là, visitiamo un paio di mercatini, ma non c’è molto di più, così per riportarci verso il centro storico approfittiamo di un passaggio veloce e saliamo su uno dei “Cocotaxi”, quei minitaxi da due persone a forma di ovetto giallo in cui ci si siede dietro al guidatore. La nostra è UNA guidatrice: veste delle specie di manicotti di lana per coprirsi dal sole perché altrimenti a fine giornata sarebbe ustionata anche lei, nonostante la pelle scura, rimaniamo anche a piedi perché finisce la miscela, per fortuna aveva una tanica di riserva nel bagagliaio. Una volata sparati indietro lungo il malecòn e siamo di nuovo nella zona dove inizia il tunnell sotto il canale.
Ora fa un caldo notevolissimo e quindi mi pare sia giunta l’ora di un tradizionale mojito, che ci prendiamo in un baretto lungo il Prado, mentre una orchestrina suona musiche tradizionali. Ora vi distruggo un mito: il mojito, è il tipico cocktail cubano vero? Se non lo sanno fare qui, allora dove? Ecco…il mojito, a Cuba, non lo fanno con il ghiaccio tritato, ma con i cubetti interi! Brutto colpo vero? E se vi viene il dubbio che lo facessero così solo in quel baretto, non è così, lo fanno allo stesso modo in tutta Cuba, il mojito con il ghiaccio tritato sarà una invenzione europea, o americana, ma di certo non cubana. Comunque è buonissimo, anche se li fanno piccoli, poco più di uno shot.
La sera ci godiamo la magnifica serata con una camminata sul malecòn al tramonto, unendoci alla moltitudine di cubani che semplicemente prendono il fresco seduti sul muretto vista mare, alcuni fanno il bagno tuffandosi dal molo, altri pescano, tutto molto rilassato e pacifico. La cosa strabiliante di Cuba è il traffico nelle strade, è quasi inesistente: in una qualsiasi città di mare del mondo a quest’ora il lungomare sarebbe una colonna ininterrotta di auto, qui passerà un veicolo ogni minuto, probabilmente una Desoto o una Plymouth cabrio del ’56, incredibile. Per cena ci trattiamo bene ed andiamo in un ristorante sempre lì sul malecòn, il “Castropol”; scrivo il nome perché è certamente il posto migliore in cui abbiamo mangiato all’Avana, aragosta e gamberoni buonissimi spendendo un pelo di più della media cubana, ma con un servizio ed una vista eccellenti ( tutto bello tranne le terribili luci al neon che illuminano la terrazza! Ma come si fa?!) . Facciamo anche conoscenza con i vicini di tavolo, un italiano che frequenta Cuba da almeno 20 anni ma che non ha praticamente mai visto nulla al di fuori dell’Avana; in compenso conosce tutti i locali e bar della città, ed è al terzo matrimonio, una italiana e due cubane: recidivo.
La mattina dopo ci prendiamo una giornata di relax perché ieri abbiamo camminato veramente troppo, quindi oggi usciamo da casa direttamente in infradito, costume e asciugamano e ci portiamo in zona Parque Central, da dove parte il bus turistico per le spiagge. In mezz’ora ci porta in Playa del Este senza fermate intermedie ed è veramente comodo ed economico. Oggi è domenica e quindi ci uniamo a tutti i locali i quali, un po’ alla moda dei loro vicini messicani, piombano in spiaggia con frighi pieni di roba da mangiare, tende e gazebo enormi, e si accampano manco dovessero fermarsi lì una settimana.
Noi nel prendere sdraio e ombrellone creiamo un caso politico perché faccio tutto da solo senza il bagnino, ma dato che il nostro ombrellone aveva solo una sdraio, l’altra la “rubo” dall’ombrellone vicino, che era identico. Dopo un minuto vedo animarsi una discussione tra due bagnini, perché ovviamente l’ombrellone era di uno, e la sdraio extra dell’altro, ahah. Alla fine ho dovuto restituire la sdraio ed il “mio” bagnino me ne ha portata un’altra. Questo suo zelo però si dimostra utile poco dopo, quando vogliamo andare a bere una cosa nel baretto dietro la spiaggia: ci portiamo infatti dietro tutti i beni di valore, ma l’asciugamano lo lasciamo lì per tenere il posto. Non facciamo tempo a fare pochi passi, che subito ci raggiunge chiedendo dove andavamo. “ A bere una cosa”. “E lasciate gli asciugamani là?? Guardate che non li trovate più di sicuro! Le sdraio ve le tengo io!” per fortuna vah, altrimenti dovevamo fare tutta la vacanza senza, qui asciugamani in vendita non ne ho visti da nessuna parte!
I locali comunque sono assurdi quando vanno in spiaggia, dato il caldo notevole e la temperatura gradevolissima dell’acqua la maggior parte delle persone, noi compresi, passano praticamente tutta la giornata a mollo, immersi nell’acqua cristallina fino al collo. L’unica differenza tra noi è loro è la appendice immancabile di gran parte dei bagnanti Cubani: il bicchiere di rum. Là infatti il rum ( loro dicono “Ron” ) costa talmente poco ed è talmente diffuso che quasi tutti arrivano in spiaggia con una o più bottiglie e lo sorseggiano puro o mixato con la coca cola ovunque: sulla spiaggia, in acqua, sotto il sole, robe da infarto.
Nel pomeriggio, completamente ustionati dal sole riprendiamo il bus per il centro e torniamo a casa per rinfrescarci. Incredibilmente, dopo tutta la giornata di sole, al tramonto si scatena un bell’acquazzone tropicale che prosegue fino quasi alle 8 di sera. Quando usciamo la città è completamente lavata e mezza alluvionata, andiamo a cena in un ristornante spagnolo proprio di fronte al campidoglio dove troviamo una coda assurda di persone. “qui si mangerà di sicuro benissimo! Guarda quanta gente!” Dopo un’ora di coda entriamo ed il posto è anche carino, superkitch ma caratteristico. E invece ovviamente mangiamo di schifo, porzioni spaventosamente abbondanti ma qualità davvero bassa.
Uscendo dal locale molto contrariati anche il tipo che gestisce la coda all’ingesso ci chiede come ci siamo trovati. “Eh insomma non benissimo”…. “eh lo so, dovevate andare a mangiare..” e ci indica un altro posto dall’altra parte della piazza. Ahhaha, spettacolo.
Per chiudere in bellezza la serata siamo sempre lì nella piazza e finalmente vedo in lontananza un bel gruppetto di bellissime ragazze di spalle con dei vestiti attillatissimi e appariscenti. “Finalmente, ecco dove erano tutte le vere Cubane!” Poi ci avviciniamo un poco, passiamo loro affianco, si girano: avevano la barba! Tutto un gruppo di travestiti! Passando vicino mi sono beccato mille sguardi inequivocabili e uno fa a Livia: “ ehi, me piace tuo marito, me lo presti per un’ora?”. Ahahahah. Giuro.
Ancora ridendo ci presentiamo di fronte al bar più famoso dell’Avana, il “Floridita”, una bella palazzina art nouveau dei primi del ‘900, famosa per le bevute di Hemingway e per aver inventato il cocktail Daiquiri ( rum bianco, succo di lime e sciroppo di canna) . Dentro c’è una atmosfera molto retrò , con una orchestrina tutta femminile in abito rosso lungo che canta su un piedistallo. I barman a loro volta hanno tutti uno smoking rosso con farfallino, impeccabili, sul bancone una fila di almeno 30 bicchieri da Martini in fase di riempimento con Daiquiri. Ci sediamo ad un tavolino, arriva il cameriere, e Livia gli fa “ fate anche la Pina Colada?” . Dovreste aver visto la faccia che ha fatto, giuro non ci ha neppure risposto ed è andato via scuotendo la testa, ahahah. Dopo qualche minuto ripassa dalle nostre parti “ Due Daiquiri”, “Grazie signori, ve li porto immediatamente”. Erano anche buonissimi , da bersene 10, anche se per battere il record di Hemingway bisognerebbe arrivare a 16 doppi, in una sera sola. Lo santifichiamo facendoci una foto con la statua di bronzo dello scrittore che si trova, correttamente, appoggiata la bancone in fondo.
Il giorno successivo è quello programmato per lasciare la capitale e partire nel tour. Sono un po’ in difficoltà con la logistica perché la stazione dei bus è lontana dal centro, i biglietti si prendono solo là e andrebbero prenotati prima, dovrei anche chiamare per fissare la casa particular successiva ma non credo di riuscire a gestire una telefonata in spagnolo, ci serve anche un taxi per arrivare ai bus con i bagagli.
La frase che cinicamente ci verrà in aiuto qui, come in molte altre occasioni nel viaggio è dunque questa: “A Cuba, basta pagare”. Per qualsiasi cosa ti serva, ci sarà sempre qualcuno pronto a prendersi un paio di CUC per fare le cose al posto tuo: così chiediamo alla proprietaria della nostra casa e semplicemente fa tutto lei: ci prenota il bus, ci fissa la casa successiva, ci chiama il taxi, ci fornisce infine un foglietto in cui ci sono i contatti di una casa particular di amici suoi praticamente in ogni meta turistica dell’isola, comodissimo.
La mattina dopo quindi, ultimo giretto veloce per la città vecchia e poi via in taxi, finalmente anche per noi una vecchia chevrolet degli anni 50 piuttosto scalcagnata, che ci porta alla stazione Viazul ( gli autobus per i turisti) , destinazione Valle di Vinales. Sono quasi 5 ore di strada, in gran parte su autostrada ma anche qui sulla via si trova di tutto, soprattutto è impressionante il numero di persone a piedi che si accalcano in cerca di passaggi: ogni volta che il bus passa sotto un cavalcavia deve rallentare fino a 50 km all’ora perché assiepati all’ombra ci sono gruppi da venti trenta persone in attesa di non si sa cosa ed il rischio di investire qualcuno non è basso.
A metà strada ci fermiamo in un “autogril”: baracche di canne appoggiate sull’erba e maialini selvatici che pascolano liberamente, quindi ci dirigiamo verso le montagne dell’entroterra. Arrivati a Pinar del Rio l’autostrada finisce e si imbocca una strada secondaria semplicemente assurda. La corriera turistica occupa praticamente tutta la carreggiata della strada, che invece è invasa da carretti, cavalli, pedoni, biciclette, di tutto, mentre le curve si susseguono tra salite e discese vertiginose attraverso la foresta. Per fare gli ultimi 30 km che ci separano da Vinales ci mettiamo credo un’ora, e come se non bastasse comincia a piovere in maniera devastante, siamo immersi nelle nuvole e la strada è un torrente.
Arriviamo nel paesino senza aver praticamente visto cosa ci sia intorno, in una atmosfera post diluvio universale. I padroni della nostra casa particular ci vengono a prendere alla fermata ( Paolo e LiBia ovviamente) e sono veramente carinissimi. Ci spiegano che ha piovuto veramente tantissimo, anche per i loro standard abituali, ed infatti tutta la parte bassa del paese è letteralmente allagata, compreso il giardino della nostra casa particular che ha un metro buono di acqua. Non appena però smette di piovere ci lanciamo per un giretto esplorativo e vediamo in quale posto magnifico siamo arrivati.
Qui praticamente ogni casa del paese è una casa particular, ce ne saranno 200, tutte villette molto carine e colorate con il loro giardinetto recintato. Ci troviamo al centro di una valle verdissima e rigogliosa, tra campi coltivati e foreste di piante tropicali. Tutto intorno a noi delle colline altissime di roccia ricoperte di piante, denominati “mogotes” , veramente uniche al mondo. Un ecosistema così particolare che ha fatto si che venisse dichiarato patrimonio Unesco già nel 1999.
Come capita spesso dopo un forte temporale, il tramonto che ci si presenta è sfavillante con colori che vanno dal rosa acceso al viola, in contrasto con il verde delle piante e i profili delle colline tutto attorno. Mentre camminiamo tra i sentieri appena fuori dal centro cittadino su una terra rosso mattone incrociamo contadini ed allevatori a cavallo che rientrano dopo la giornata di lavoro. Un tipo completamente bardato da cowboy ci abborda per proporci un giro a cavallo per la mattina successiva, e ci spara un prezzo talmente basso che non possiamo rifiutare, anche se nessuno dei due è mai andato a cavallo: 10 CUC ( neppure 8EUR) a testa per un giro a cavallo di 4 ore, solo noi due e la guida; da noi neppure un giro di 10 minuti sui cavallini delle giostre per quel prezzo.
La sera cena nel nostro patio fuori casa, preparato dalla nonna : sicuramente la miglior cuoca trovata in tutto il viaggio. Apro qui una piccola parentesi sul cibo: a Cuba non si mangia particolarmente bene. Pochi condimenti, poca fantasia, ma soprattutto pochissima varietà: ovunque andrete a mangiare troverete sempre e solo le stesse cose: “ tenemos: cerdo ( maiale) , pollo, camarones ( gamberi), langosta ( ovviamente aragosta), pescado ( termine generico per definire il pesce, cioè vuol dire che ordinerete “pescado” e poi scoprirete che pesce vi arriva” ). Ovunque le stesse 5 cose, e basta, e fatte ovunque nello stesso modo. Dopo un po’ uno non ne può più, anche mangiando aragosta tutti i giorni. La frutta invece è strepitosa, mango e ananas su tutti sono incredibili, mai mangiato frutti più buoni da nessuna parte.
Come dicevo, l’aragosta mangiata a Vinales faceva eccezione, non avrebbe sfigurato nel menù di un ristorante italiano, ed anche ben servita. Dopo cena serata danzante presso , boh, credo fosse il centro ricreativo del paese, anche un bel posto, c’era tutto il paese; abbiamo pure pagato un biglietto di ingresso ( il solito 1 CUC ahah) con tutti i ballerini di salsa scatenati, una bella atmosfera.
La mattina siamo pronti e pimpanti per il nostro giro a cavallo, per fortuna i cavalli non sono altissimi, perché mi sento piuttosto instabile là sopra. Dopo le piogge del giorno precedente poi c’è una quantità di fango che vi lascio solo immaginare. Il giro secondo me non è neppure proprio “ elementare” con guadi di torrenti, salite e discese abbastanza ripide, canyon esposti; speriamo bene. Il panorama però è impagabile, in una valle completamente naturale, neppure una strada la attraversa ( neppure strada bianca!), solo sentieri per i cavalli. Passiamo tra le coltivazioni lavorate tutte rigorosamente a mano, non ci sono neppure trattori: vediamo le pariglie di buoi con lunghe corna che trascinano aratri di legno spinti da ragazzi a torso nudo e scalzi nel fango.
Non vorrei sembrare prosaico, ma se in alcune zone di Cuba sembra di essere fermi agli anni 50, qui sembra di ritornare al medioevo. In mezzo ai campi di tabacco, da questa zona infatti vengono le foglie che poi comporranno i sigari delle qualità più pregiate di tutta Cuba, ci fermiamo presso una capanna di essiccazione in cui un campesino ci spiega e ci fa vedere tutta la lavorazione del tabacco dalla foglia grezza fino al “puro” ( il sigaro appunto), mentre ci sorseggiamo un cocco che ci ha aperto lì al momento ed addizionato con Rum, ananas spremuto sul posto e ,miele selvatico: buonissimo. Rinfrancati dalla pausa proseguiamo fino ad una grotta naturale che si trova ai piedi di uno dei mogotes, dove ci infiliamo per una camminata completamente al buio di mezzo chilometro, con solo le torce della guida, fino ad una piscina naturale lunga almeno 50 metri ( praticamente olimpionica!) alimentata da una sorgente nascosta. Purtroppo a causa delle piogge eccezionali del giorno prima l’acqua che dovrebbe essere “cristallina”, è invece torbida, quindi nessuno ha il coraggio di buttarsi, peccato perché sarebbe stato una figata.
Da lì ritorniamo a ritroso verso la città, un po’ più velocemente che all’andata, con i cavalli spinti in un mezzo galoppo dagli incitamenti della nostra guida ( aaaajo mi pare), e ce la ridiamo quando arrivati ad un incrocio chiedo da che parte devo andare, visto che ero in testa alla fila: “ Automatico” mi risponde la guida, ed in effetti il cavallo da solo prende la strada giusta, ahah.
Dopo quattro ore il nostro fondoschiena è parecchio provato, ma abbiamo in programma di vedere altre cose, anche perché abbiamo preventivato qui solo due notti e quindi domani dobbiamo ripartire, così smontiamo da cavallo ed inforchiamo le biciclette prese a noleggio per visitare il resto della valle. Ci facciamo anche una discreta salita sotto un sole torrido fino al belvedere di Los Jazmines ( dove volendo ci sarebbe anche una bella piscina) e beviamo una birra ammirando quella che probabilmente è la vista più famosa della valle. La visione che si può godere da qui trasmette un senso di pace e tranquillità incredibile, solo campi coltivati, niente strade, niente auto, un’oasi fuori dal mondo.
Da lì, giù sparati in discesa e andiamo anche a vedere il “murales della preistoria”, dove hanno pitturato tutta una parete della montagna con disegni colorati, una costa un po’ idiota, si pagherebbe anche un biglietto di ingresso, ma tanto i vede benissimo anche da fuori. Nel frattempo sembra che si stia preparando anche un bel temporalone pomeridiano, tipo quello di ieri, così velocemente ci riportiamo verso casa, che non si sa mai. Mentre Livia si riposa un po’ io prendo l’occasione per andare in perlustrazione delle pareti di roccia che si trovano esattamente qualche centinaio di metri dietro il paese. Questa valle infatti è l’unico posto di Cuba in cui si possa praticare l’arrampicata sportiva e dicono abbia potenzialità enormi da questo punto di vista. Ci avevamo già provato la sera prima ad arrivare alle pareti, ma ci eravamo dovuti scontrare con una zona allagata da almeno mezzo metro d’acqua. Oggi con la bicicletta riesco a passare e rapidamente sono nel prato appena a ridosso dei mogotes, già in vista della roccia. Mentre sono lì che guardo, arriva il proprietario del campo che tutto fiero mi chiede se sono lì per l’arrampicata, mi fa vedere la guida della zona dove ci sono anche foto sue e cerca ovviamente di vendermi un po’ di roba coltivata dal lui ( caffè, sigari, succhi vari), o almeno noleggiarmi l’attrezzatura per l’arrampicata ma fa un caldo bestia e solo pochissimi fuori di testa arrampicherebbero con questo caldo, qui bisogna venire a natale per avere il clima giusto, però il posto merita assolutamente ed effettivamente ha potenzialità enormi.
Nel frattempo il tempo è anche migliorato e non è caduta neppure una goccia quindi riprendiamo le bici e ci dirigiamo verso la parte nord del parco, oltre un piccolo passo ( piccolo in auto, noi sputiamo sangue con le biciclette) si apre una vallata ancora più selvaggia con pareti di roccia a sinistra e destra e alberi enormi a bordo strada . Pedalando pedalando arriviamo fino all’ingresso della “Cueva del Indio” , la grotta dell’indiano. Ancora una volta testiamo la bontà del motto che dicevo prima: “basta pagare”; perché in realtà l’orario di chiusura è passato da almeno due ore! “ Scusate, è chiuso vero?” “Eh si, stavamo appunto andando a casa, potete tornare domani”. “Solo che noi domani partiamo, non importa dai ”, “Beh, se è così vi richiamo il custode” che palesemente infastidito è tornato indietro ad aprirci la grotta e accompagnarci nella visita, visto che si svolge una parte a piedi ed una parte con dei battelli elettrici lungo un fiume sotterraneo. A posteriori sarebbe stata una vera disdetta perdersela, perché è certamente un posto unico, ancora di più se si è gli unici visitatori, nel silenzio spettrale del sottosuolo!
La sera siamo visibilmente distrutti dopo 4 ore di cavalcata, almeno 40 km di bicicletta tra saliscendi continui e camminate varie, quindi siamo lì che ci godiamo la nostra bella panchina in piazza del paese guardando i bambini locali correre e giocare fino a che immancabile non arriva il solito che vuole fare conversazione. Si avvicina infatti un vecchietto piuttosto mal messo, che ci spara le solite domande di rito, di dove siete, dove andate bla bla, mentre noi aspettiamo di sentire dove vuole andare a parare. Ad un certo punto vedo che interrompe la conversazione, comincia a frugarsi in tasca tirando fuori foglietti vari, e guardandosi intorno come chi abbia perso qualcosa; e ovviamente io gli chiedo “ Ha perso qualcosa?” …e lui: “ no no, niente, è che avevo qui in tasca una monetina…. la tenevo per una medicina…ora l’ho persa…” giuro ha detto proprio “ por un medicamiento” ahahah….hanno una fantasia.
E’ la nostra ultima sera qui, e siamo un po’ tristi perché è un posto in cui siamo stati davvero benissimo, da tutti i punti di vista una tappa imperdibile: il panorama, l’accoglienza, i localini del centro cittadino, la casa particular, tutto è veramente bellissimo e meriterebbe di fermarsi più giorni, ma il viaggio chiama.
Per il giorno successivo ci aspetta un trasferimento micidiale, oltre 500 km di strada fino a Trinidad, con il bus sarebbero quasi 8 ore di viaggio, decisamente un massacro, quindi dietro consiglio dell’ufficio turistico proviamo l’alternativa del “Cubataxi”. In pratica l’agenzia cerca di combinare viaggiatori con le stesse destinazioni per riempire un taxi privato e dividere i costi. So che da noi è impensabile prendere un taxi per fare distanze simili, ma lì con meno di 30EUR a testa hanno promesso di portarci a Trinidad in meno di 6 ore, quindi ci pare una alternativa preferibile.
La mattina quindi ci passa a prendere l’auto, facciamo la conoscenza di due ragazzine tedesche con cui divideremo il viaggio, e partiamo nella trasferta. Il primo pezzo di strada fino all’Avana fila tutto liscio, l’autista è un tipo di mezza età supertranquillo che non dice una parola, e si va che è un piacere. All’Avana facciamo sosta ad un benzinaio e ci avvisano che dobbiamo cambiare auto perché il nostro autista torna a Vinales e proseguiremo con un altro, nessun problema, anzi l’auto è anche più bella della nostra. Purtroppo però ci tocca come guidatore un personaggio che diventerà il nostro incubo per le successive 5 ore: in primo luogo al posto che dirigersi direttamente vero Trinidad evitando il centro della città, ci chiede se poteva fermarsi un attimo in un posto un po’ più avanti, in pieno centro dell’Avana! Abbandonandoci per mezz’ora in un parcheggio mentre andava a fare chi sa cosa, persa un’ora già così. Poi ripartiamo, e dopo 10 minuti si ferma di nuovo per comprare un cd di musica da un bagarino ( musica pessima oltretutto, c’era anche una versione in spagnolo di un pezzo di Nek), dopo altri 10 minuti si ferma ancora per prendere un caffe e le cicche, dopo mezz’ora l’apoteosi: ci fermiamo a fare benzina, ma non ad un distributore, imbocchiamo un vialetto sterrato e dietro la casa di un suo amico c’è una cisterna di cemento con una canna di gomma . Non spegne neppure l’auto, l’amico infila la gomma nel serbatoio e facciamo benzina così; nel frattempo lui FUMA! Appoggiato alla macchina ad un metro dalla cisterna e lui fuma, noi ovviamente tutti dentro la macchina.
Ma non ripartiamo ancora, perché prima vuole mangiare un bocadito ( paninetti locali) e bere un altro caffè. Nel frattempo tra noi e le tedesche si svolge un conciliabolo, perché anche loro hanno capito che se continua così arriviamo a Trinidad a notte fonda. Così quando rientra gli chiedo gentilmente, ma deciso, di non fermarsi più da nessuna parte, ora si va dritti a Trinidad, “ok?” E il tipo si arrabbia pure, e mi fa tutto un discorso sul fatto che ogni tot bisogna fermarsi, per la sicurezza bla bla; e infatti poi capisco il perché del discorso: è in piedi praticamente dalle 4 di questa mattina e aveva già fatto lo stesso tragitto all’andata, quindi non riesce neppure a tenere gli occhi aperti!
Passiamo delle ore veramente rilassanti , soprattutto io che sono seduto davanti e vedo che non riesce neppure a tenere la macchina dritta, cambiando corsia in continuazione, passando dai 120 all’ora per poi scendere a 50, mettendo la testa fuori dal finestrino, una bellezza proprio. Mi offro di guidare io e mi sento rispondere “ no no, tranquillo, tutto bene, chiudo solo un attimo gli occhi e sono a posto” , nel senso che li chiudeva MENTRE guidava! Ah beh, tranquillo proprio! Mi tocca cercare di tenerlo sveglio parlandogli di qualsiasi cosa mi venga in mente, così mi racconta tutta la sua vita, e ovviamente ci fermiamo in un altro paese più avanti perché deve consegnare un pacco di latte in polvere per suo figlio. “ Ma scusa, tu non abiti a Trinidad?…e il figlio a Cienfuegos? “ . “E’ una storia lunga” ahah.
Alla fine arriviamo non si sa come a Trinidad, tipo in 7 ore e mezza, e lui finalmente pare risvegliarsi; credo bene perché doveva prepararci il gran finale! Gli consegno il foglietto con l’indirizzo della casa e vedo che lo guarda interrogativo, come non sapesse dove si trova. Strano, i paesi qui sono 4 vie in croce e lui è nato qui, dovrebbero conoscersi tutti.
Vedo che rallenta, accosta un attimo e chiede indicazioni ad un tipo in bicicletta, che “gentilmente” ci offre di farci strada lui “ seguitemi, io vado avanti in bicicletta”. Lo seguiamo e miracolosamente incrociamo per strada proprio il proprietario della nostra casa, ma guarda te che caso, un tipo con una faccia che te la raccomando. La cosa mi puzza da chilometri così quando si avvicina semplicemente gli chiedo “ Se ci stavi aspettando allora basta che mi dici come ci chiamiamo” . “ehmm, non saprei, avete parlato con mia moglie”. “Va bene, chiama tua moglie e fatti dire il nome”.
Vista la mal parata, anche perché già stavo cominciando ad incazzarmi, lui indica una direzione e sparisce alla velocità della luce farfugliando qualcosa.
A quel punto tengo gli occhi ben aperti e quando vedo la strada giusta la indico al nostro simpaticissimo autista, che prova a smarcarsi dicendo “ quello secondo me era un truffatore”. Ma dai?. Davvero?!!…..evito di aggiungere che era amico suo e lui complice, visto che eravamo ancora nella sua auto e non si sa mai, così finalmente arriviamo alla nostra casa e ovviamente conosceva perfettamente la proprietaria, baci e abbracci proprio , ahahahah, razza di idiota.
La casetta in cui arriviamo è veramente centralissima, e raccontando tutta la storia ai nostri proprietari ci confermano che esperienze di questo tipo sono comunissime, quindi occhi aperti a Trinidad che ci provano.
Dopo questa esperienza i Cubataxi li abbiamo accantonati, peccato però perché sarebbe stata una buona alternativa ai bus.
La prima sera a Trinidad ci facciamo giusto un giretto rapido rapido per il centro; siamo molto provati dal viaggio e quindi ci limitiamo ad un aperitivo in uno dei baretti della piazza principale. In questo caso scrivo il nome del posto perché il gestore si è dimostrato veramente simpatico ma soprattutto ci ha preparato alcuni dei migliori cocktail di tutto il viaggo. Il bar si trova in Plaza Mayor, è nel retro di un negozietto di souvenir con tavolini e sedie in stile liberty in ghisa, e mi pare si chiami “Mojito”.
Mentre siamo lì che sorseggiamo il nostro drink scambiamo poi due chiacchiere con due turiste francesi anche loro sedute nel locale: di dove siete, che giro avete fatto qui a Cuba, dove andate bla bla. Noi siamo Italiani, ah davvero, di che zona? Nel nordest, diciamo vicino a Venezia. Ma dai, io sono nata in Francia ma mia madre è originaria della stessa zona. Ah si? Ma esattamente di dove? Sacile! Ahhahaha, saranno 10 km da casa nostra!
Per la mattina successiva decidiamo che è giunto il momento per una giornata di relax in spiaggia, e quindi prendiamo dal centro cittadino un comodissimo autobus turistico che in una ventina di minuti ci porta direttamente alla spiaggia più vicina: Playa Ancon. Il posto non è male ma sinceramente neppure una cosa così straordinaria. La spiaggia è anche molto bella, con sabbia bianca, palme e tutto il resto ma l’acqua non è proprio cristallina perché il tipo di sabbia rimane a lungo in sospensione dando un effetto tipo opalescente, che è anche particolare ma non è di certo quello che ci si aspetta da una spiaggia caraibica.
Inoltre appena dietro la spiaggia hanno costruito un mega albergo veramente orrendo: un cubo di cemento ormai mezzo scrostato dal passare del tempo che starebbe male nei sobborghi di berlino est, figuriamoci qui.
Rientrati in città sempre con il bus, un veloce salto a casa per una doccia e siamo subito fuori in giro per goderci il tramonto. Entriamo in uno dei palazzi più belli del centro storico, il Museo Romantico. Con tutti gli arredi originali dell’epoca è un palazzo coloniale conservato perfettamente . La guida che ci avvicina è una signora di mezza età che in un quarto d’ora cerca di spiegarci la storia di 500 anni della città, con nomi e date, un bombardamento in spagnolo ( che ricordo noi capiamo solo sommariamente), però è simpatica e credo di lasciarle una mancia forse anche troppo generosa. La parte più bella del palazzo è la torre che si innalza sopra i tetti, con la sua scaletta angusta di legno per salire sulla terrazza superiore. Il panorama che si può godere dalla cima è meraviglioso, con la vista che spazia sopra i tetti della città, chiusa tra le verdi colline alle spalle e giù fino al mare. Ce lo godiamo poco perché dopo tipo un minuto che siamo lì vediamo rapidissima arrivare una nuvola carica di pioggia e siamo investiti da un acquazzone fittissimo.
Che credo non duri più di 4 minuti netti però! Quindi secondo le indicazioni della lonely planet partiamo per il “Tour fotografico al tramonto” nel quartiere di Tres Cruces. La serata è anche perfetta, con un cielo plumbeo e carico di pioggia all’orizzonte , il temporale appena passato, e sopra di noi l’azzurro perfetto e lavato del cielo al tramonto con il sole che spunta sotto le nuvole. Il quartiere è magnifico e selvaggio nella sua autenticità, con le persone poverissime che girano a piedi nudi sui ciotoli sconnessi delle strade, carcasse di vecchie auto abbandonate e persone a cavallo. Noi ci aggiriamo come degli assoluti estranei, shorts e guida turistica in mano la Livia, io uno scatto fotografico dietro l’altro a immortalare ora un gruppetto di persone, ora una infilata di casette multicolore, come i peggiori proprio.
Incrociamo un tipo a cavallo con un maiale vivo che si dimena in braccio e dato che io lo fisso un po’ attonito cerca di vendermi così al volo il maiale per 5 CUC. Ci immergiamo in questo spaccato sensazionale della vita cubana più autentica, con la gente seduta appena fuori dalle case a prendere il fresco della sera, oppure a giocare a baseball ( che è lo sport nazionale a Cuba) con un manico di scopa e un tappo di plastica come palla.
Rientrati a casa scopro che oggi è il giorno della semifinale dei campionati del mondo di calcio, ed il nostro padrone di casa è già bello pronto in poltrona, con la maglietta dell’Olanda pure! Così mi pare il minimo godermi anche io la partita insieme a lui, discorrendo amabilmente di vari argomenti , perché i cubani sono molto piacevoli e amano moltissimo chiacchierare di ogni cosa. Gli chiedo, tra le altre, se è normale per un cubano tifare olanda, e mi conferma che in realtà la maggior parte dei suoi amici tifano invece Argentina, così ovviamente quando alla fine quest’ultima vince ai rigori arrivano a casa sua a sfotterlo, ahahah.
La sera dopo cena usciamo a sentire un po’ di buona musica, perché qui a Trinidad ci sono un sacco di locali di ogni genere in cui assistere a concerti e balli di ogni tipo, primo fra tutti “La Casa della Musica”: un locale all’aperto proprio affianco alla chiesa principale in cui ci si siede sui gradini di una grande scalinata per ascoltare concerti mentre i camerieri sfrecciano avanti e indietro a servire cocktail e birre, un posto molto rilassato in cui, se uno è in grado, può anche scatenarsi e ballare.
Oltre che per il mare e il centro cittadino molto vivo e animato, Trinidad è anche famosa perchè nelle colline che si trovano appena a nord è possibile fare dei trekking molto interessanti più o meno lunghi nella jungla locale. Così la mattina dopo andiamo in una agenzia turistica specializzata e optiamo per la visita alla cascata del Caburnì, una delle uscite più gettonate.
Il primo tratto del viaggio viene effettuato con dei camion di costruzione russa enormi, cui hanno tolto il cassone posteriore per mettere delle panche ed un telone per il sole. Sono degli scassoni enormi, che fanno un fumo nero densissimo, con ruote gigantesche e colorati con vernici mimetiche giallo/verdi: una meraviglia. La guida che ci accompagnerà lo presenta come: “la limousine russa” e ci dice che stiamo per avvalerci della migliore delle combinazioni possibili, perché il camion è russo, il motore è cinese e l’autista è cubano! Ahahah.
Anche il nostro gruppo è assolutamente multietnico: ci siamo noi due Italiani, una coppia di spagnoli, due ragazze olandesi e una signora belga di 50 anni esatti che proprio per questa ricorrenza ha lasciato a casa marito e figli ed è da un mese che gira per Cuba da sola…hmmm.
La strada attraverso le colline si inerpica ripida e sinuosa, con i camion che sbuffano salendo lentamente; speriamo bene non ci sono neppure i guardrail! Arriviamo prima ad un belvedere da cui ammirare tutta la pianura da Trinidad fino al mare e poi proseguiamo per l’altopiano da cui partiremo per la camminata. Il posto è anche molto bello, con piante di eucalipto a fusto altissimo ed una vegetazione molto differente rispetto a quella della costa. Anche il clima è diverso, molto meno umido e si sta veramente bene: infatti proprio qui a Topes De Collantes il primo insediamento si deve al dittatore Batista che aveva al tempo fatto costruire una casa sanatorio per la moglie in modo che venisse qui a curarsi ( i più maliziosi potrebbero pensare per levarsela dai piedi per diversi mesi all’anno!…ma almeno era un bel posto.
Parcheggiata la limousine nel bosco, prima di iniziare il trekking vero e proprio visitiamo una piantagione di caffe, in cui ci spiegano tutte le diverse specie di piante e come vengano coltivate, per poi passare alla lavorazione e torrefazione vera e propria, tutto molto interessante; poi ovviamente assaggiamo anche un caffè proveniente proprio da lì….e fa schifissimo! Fortissimo e bruciatissimo! Ahah.
Vabbè, almeno ci avrà dato un po’ di sprint per la camminata. “Quanto ci vuole per arrivare alla cascata?” “2 ore cubane”. Cosa vuol dire “ore cubane”? Vuol dire che ci potrebbero volere 3 ore di orologio, oppure 1, non si sa. La guida ci dice in continuazione cose di questo tipo: se aggiunge la parola “cubane” a qualsiasi frase, serve per conferirle un alone di incertezza, come a dire “più o meno”. Quanti chilometri sono da qui a Trinidad? “30 km cubani” , cioè tra 15 e 50. Ahaha.
All’andata il sentiero è tutto in discesa, giù giù fino in fondo alla valle in cui scorre il fiume, quindi già abbiamo capito che il ritorno sarà un mezzo calvario. Per fortuna il cammino è bellissimo e non troppo ripido, si snoda nella foresta tra zone fitte di alberi e pareti rocciose lavorate dall’acqua. La guida è anche molto brava ad indicarci le diverse specie di piante, fiori e la moltitudine di uccelli che riempiono l’aria con i loro versi, primo fra tutti il “Tocororo”, che è l’uccello simbolo di Cuba con i suoi colori che ricordano effettivamente quelli della bandiera nazionale, chiamato così per il suo verso decisamente inconfondibile. (To-co-ro-ro appunto).
Alla fine si arriva alla cascata che è sicuramente molto bella, ma ancora una volta l’acqua è molto diversa da quella delle foto che ho visto : in questa stagione non è per nulla verde e cristallina come dovrebbe, ma decisamente marrone e torbida. Stavolta però tutti se ne fregano perché ora fa veramente caldo e dentro ci si rinfresca per bene, quindi anche se limacciosa andiamo tutti a mollo, chi in costume e chi in mutande.
La risalita si rivela effettivamente più faticosa della discesa, ma tutto sommato accettabile: un mezzo calvario giusto per una delle olandesi che si era presentata alla camminata con le allstar, non una scelta azzeccatissima con il fango rosso che incontriamo.
Rientrando verso la città, tanto per cambiare si profilano all’orizzonte dei nuvoloni neri che ci investono per fortuna quando non mancano che pochi chilometri a Trinidad; la guida ha poco da provare a chiudere il camion con i tendoni, la pioggia scende in orizzontale!in 5 minuti siamo tutti completamente bombi, non resta altro da fare che prenderla in faccia, anche divertente.
Tutte le strade del centro sono un vero e proprio fiume, con mezzo metro d’acqua che corre veloce giù dalla collina, una cosa impressionante. Ma ancora più impressionante è la velocità con cui tutto si pulisce e torna asciutto non appena la pioggia smette di cadere, così anche per quest’ultima ser a Trinidad ci godiamo un tramonto fantastico e un giro tra i vari locali.
La mattina facciamo ancora una volta i bagagli, ma la trasferta questa volta è relativamente breve, perché in sole 4 ore arriviamo a Camaguey, altra cittadina patrimonio Unesco con il suo reticolo di stradine nessuna uguale all’altra. Se vi faccio vedere le foto probabilmente vi fareste una impressione molto favorevole di questa città, perché effettivamente alcuni scorci sono veramente molto belli e ben curati; e quelli ovviamente ho fotografato.
Purtroppo però tutto il resto della città è un mezzo disastro. Ci sono è vero alcune piazze magnifiche, abbiamo visitato un paio di gallerie d’arte probabilmente le più belle di tutto il viaggio, ma il resto del paese è un tale degrado, tra case fatiscenti, strade piene di immondizie e vialoni di negozi uno più brutto e insulso dell’altro che sinceramente non vedevamo l’ora di andare via, soprattutto arrivando da Trinidad che invece è una perla.
Ci fermiamo a bere un “refresco” in uno dei baretti del centro, situato in un giardinetto piuttosto carino, e vedo che ancora una volta siamo gli unici stranieri di tutto il locale, mille sguardi indagatori. Proprio nel tavolino affianco al nostro c’è un gruppo di ragazzi e ragazze ventenni vestiti in maniera piuttosto appariscente. Una delle ragazze sfodera un paio di occhiali Rayban praticamente identici ai miei, solo che i suoi sono palesemente dei falsi, con tutta la vernice a specchio delle lenti che si scrosta. Vedo che si scatena un bisbiglio nel loro tavolo, e alla fine proprio la ragazza mi domanda “ quelli sono ORIGINALI vero?”. Ehmm, si, lo sono. “ Ma quanto li hai pagati?” Rimango anche basso con il prezzo e gli dico 130CUC. Si scatena un misto di stupore e umorismo per quanto quel prezzo sia assolutamente fuori da ogni grazia di Dio per un cubano, che in media guadagna 20CUC al mese. Mi chiede di provarli e acconsento un po’ timoroso, chissà se sarei più il più veloce in un inseguimento, almeno ho le scarpe da ginnastica. Vedo che li prende in mano con un rispetto quasi religioso, e li inforca con un sorriso. Me li restituisce subito porgendomeli come una reliquia e chiude il discorso dicendo: “ i miei li ho pagati 3 CUC”.
Visitata rapidamente Camaguey, rientriamo in camera per cambiarci, ma anche la casa in cui alloggiamo è probabilmente la più sfigata del viaggio, tant’è che è l’unica in cui decidiamo di non cenare neppure.
Andiamo allora in quello che è definito il miglior ristorante della città, ed è sicuramente in un luogo meraviglioso, con i tavolini all’aperto nella piazza più bella. Hanno una formula un po’ strana: uno paga solo la portata principale mentre per antipasti, primi, contorni, dolce, gelato la guida dice “ potete prendere quello che volete dal ricco buffet”. Ok Livia, vai a vedere il buffet, io ti aspetto qui e poi vado io. La vedo tornare dopo due minuti, senza niente sul piatto. “Non mi piaceva niente”. Ok, mi incazzo anche un pochino perché penso ma guarda questa schizzinosa, vuoi che non ci sia davvero niente di buono.? Entro io e giuro, c’erano montagne di roba da mangiare, ma aveva tutto un aspetto così brutto e poco invitante che alla fine sono uscito con un piattino di insalata verde e stop.( …e ovviamente occhiatacce della moglie come a dire “visto, visto??”). Per fortuna almeno il piatto principale era buono: tanto per cambiare, aragosta. Alla fine ero talmente stufo di aragosta alla griglia, che lì l’ho presa in umido: cioè con pomodoro e spezie varie, che secondo me è una cosa abbastanza senza senso perché così sa di tutto tranne che di aragosta, uno spreco proprio, però buona dai.
La cena alla fine così così, in compenso mentre siamo lì che ci mangiamo il gelato a fine pasto ( sempre proveniente dal buffet, quindi abbastanza pessimo pure quello ahah), vediamo arrivare prima due ragazze tiratissime con tacchi a spillo sui ciottoli, poi altre 3, poi altri giovani, poi altri ancora: in un’ora la piazzetta che prima era deserta viene invasa di ragazzi e ragazze una più bella dell’altra. “Va bene che è sabato sera, ma cosa ci fanno tutti qui ?” Ad un certo punto si apre uno dei portoni della piazza tutti si accalcano per entrare, una specie di discoteca nella corte con selezione all’ingresso, gente rimbalzata dai buttafuori, una seratona: volevo anche entrare ma eravamo palesemente fuori target di età.
Comunque di tutto il viaggio, quelle sono le uniche ragazze veramente notevoli che abbiamo visto, solo che erano tutte giovanissime! Mi sono fatto l’idea che probabilmente una volta che raggiungono una certa età o diventano le chiattone che si vedono in giro, oppure emigrano da qualche altra parte.
Camaguey è il punto più a sud nell’isola che siamo riusciti a toccare. Da qui oltretutto finisce anche l’autostrada e quindi spingersi più a sud diventerebbe ancora più lento e problematico per i trasporti. E’ comunque un vero peccato perché tutti ci dicono che Santiago e Baracoa sono due mete che varrebbero il viaggio, ma spingerci fino a là ci costringerebbe a eliminare la parte più “spiaggia e relax” del viaggio, e invece cominciamo ad essere decisamente stanchi e bisognosi si posare le membra nella sabbia calda.
Quindi a malincuore abbandoniamo i propositi di vedere la parte sud dell’isola e da qui ritorniamo verso nord.
Il nostro programma prevede infatti ora di andare a visitare alcuni dei “Cayos” che si trovano nella costa nord dell’isola . Un cayo altro non è che una piccola isola formata dalla sedimentazione di un sottile strato di sabbia e terra sopra alla barriera corallina su cui poi cresce una vegetazioni più o meno alta: in pratica degli atolli completamente piatti situati a distanze relativamente vicine alla costa. Qui a Cuba ce ne sono diversi, anche di dimensioni notevoli, tanto da ospitare anche dei resort di lusso e la cosa assolutamente particolare è che alcuni sono anche collegati direttamente alla terraferma da dei ponti lunghissimi (anche di 50 km!) costruiti gettando camion su camion di terra nella laguna mai troppo profonda per creare dei tarrapieni su cui poi corre la strada.
Noi vorremmo visitare Cayo Coco e Cayo Guillermo, che sono appunto raggiungibili con uno di questi “teraplen” e che dicono avere delle spiagge meravigliose. Purtroppo, ma anche per fortuna da un altro punto di vista, lo sviluppo edilizio di questi Cayos è molto basso, quindi ci sono pochissimi alloggi nelle isole e soltanto di livello piuttosto elevato.
Soprattutto non esistono casas particulares e non mi va proprio l’idea di andare a chiudermi in un resosrt all inclusive, così valutiamo come alternativa di sistemarci nella cittadina sulla costa , di nome Moron, che si trova giusto dove inizia poi il ponte che conduce ai Cayos. Da lì supponiamo che non sarà un grosso problema trovare un trasporto in giornata per recarci alle spiagge.
Rimane solo il problema di andare da Camaguey a questo Moron, perché ora cominciamo a muoverci in una zona servita non molto bene dai bus turistici. Bisognerebbe cioè prendere la linea per l’Avana e smontare quasi subito a Ciego de Avila, e poi da lì fare gli ultimi 40 km in qualche maniera: taxi o bus locale se c’è. Vediamo però che ci sarebbe una comodissima linea della ferrovia che andrebbe direttamente a Moron, così proviamo a chiedere alla nostra padrona di casa se è una opzione secondo le percorribile.
La sua risposta è lapidaria: “NO”. Non aggiunge praticamente neppure una parola, come se non fosse neppure necessario spiegare perché. Allora dato che siamo delle teste dure, decidiamo lo stesso di andare a vedere alla stazione ferroviaria se qualcuno può darci delle dritte. Ecco, voi arrivate semplicemente a vedere la stazione e capirete immediatamente perché il treno non è una buona idea: io credo che potrebbe crollare completamente da un secondo all’altro; ed è anche un peccato perché sarebbe un edificio bellissimo dei primissimi anni del ‘900, però tutto completamente transennato. Alla fine troviamo anche qualcuno che ci spiega come funzionano lì le ferrovie: è vero, potrebbe essere che il treno parta, non si sa a che ora comunque, però se per sfortuna poi si guasta per strada ( cosa evidentemente non troppo rara) è facile che state tutta la giornata lì in mezzo ai campi ad aspettare che lo riparino; ed in ogni caso anche se per puro caso il viaggio dovesse andare liscio ci impiega comunque il doppio del bus. Però praticamente è gratis, perché il biglietto costa una cosa ridicola.
Vabbè, vada per l’abbinata bus + taxi allora, tanto la signora ci prenota tutto, anche già il tassista a Ciego de Avila. La mattina però arriviamo alla stazione dei bus di Camaguey e parlando con altri turisti che sono lì, ci dicono che potrebbe essere che il bus per Ciego sia già pieno. Azz, questa non ci voleva. Ma mentre siamo lì che valutiamo il da farsi vedo in partenza uno dei famosi bus locali, quelli che in teoria i turisti non possono prendere, che va proprio a Ciego, così ci provo lo stesso. “ Scusi, ma noi dovremmo andare a Ciego, possiamo salire anche in questo?” Eh no, questo sarebbe per i locali “ E se pago lo stesso prezzo del bus turistico?” . Mi dia i bagagli e salga pure, partiamo subito. Ahahah. Probabilmente avremo pagato 10 volte tanto quello pagato da tutti gli altri del bus, ma chissene, anzi così siamo anche partiti un’ora prima.
Però arrivati anche un’ora prima! E quindi a Ciego il nostro tassista ovviamente ancora non si vede, e non appena tutti gli altri autisti vedono un turista anche solo vagamente in cerca di un trasporto, questo viene assalito senza pietà per offrire un passaggio. Io cerco di resistere per un po’ , perché mi secca aver fatto venire un taxi da Moron per poi prenderne un altro a caso, ma dopo 10 minuti sono stremato da un tipo che mi assilla che “Ti porto io allo stesso prezzo, ti porto io allo stesso prezzo” e così lo accontento e partiamo con lui.
Questi 40 km di viaggio fanno il paio con quelli fatti col cubataxi.
Seguo questo personaggio con gilet di pelle e torso nudo all’auto; voi non potete immaginarla. Livia appena la vede mi domanda preoccupata “Ma è QUESTA l’auto?” E’ una Lada 1300, che non vuol dire niente, è una auto diffusissima a Cuba, ce ne sono a migliaia, ma così mal messa non credo molte. Apre il portabagagli e per tenerlo aperto ha un tronco di legno che usa come puntello; poi ovviamente neppure si chiude, e quindi lo fissa con degli elastici. Mi apre la portiera del passeggero, e internamente è nuda, non c’è nulla dentro, solo la lamiera, manco la maniglia per aprire la porta, una volta che me la chiude sono murato dentro, tra i piedi la lamiera ruggine e si vede l’asfalto dai buchi. Ma la cosa più incredibile è come guidava l’auto. Il volante aveva un “gioco” sullo sterzo che, non scherzo, sarà stato di 20 gradi per parte. Per fortuna questi 40 km sono quasi tutti dritti, ma in quelle rarissime curve era una scena tipo giostra per bambini, cominciava a girare il volante e l’auto continuava dritta fino a che non faceva praticamente mezzo giro e allora agganciava lo sterzo. In rettilineo per tenerla dritta era un continuo girare il volante da una parte e dell’altra dando dei leggeri colpetti, una volta a destra e uno a sinistra, per raddrizzare la marcia. Però in compenso aveva l’autoradio con lettore USB e lucine colorate più un sacco di bandierine sul cruscotto, ahahahha.
In qualche maniera arriviamo a Moron e ci sistemiamo nella nostra nuova casa, che ancora una volta è l’unica palazzina della via in cui mi sentirei sicuro ad entrare: tutte le case vicine sono diroccate, scrostate e fatiscenti. In quella esattamente affianco alla nostra , da una finestra si sporgono due tipi che hanno appena macellato un maiale enorme e lo vendono così a tranci ai passanti, ovviamente mi offrono la testa, che fa bella mostra appoggiata sul davanzale. “ Si si, faccio un giro in paese e poi torno a prenderla”.
Moron sarebbe anche una cittadina carina, ovvero “lo era”, con tutte le case con portici e colonnati color pastello. Ci sono anche alcuni edifici storici che hanno ristrutturato veramente belli, compresa la stazione della ferrovia dove saremmo dovuti arrivare, ma pare tutto anche qui sull’orlo di crollare da un momento all’altro, quasi tutti i negozi chiusi, locali e ristoranti desolati, una mezza città fantasma insomma. Seguendo la lonely entriamo a bere un cocktail in quello che viene definito il locale migliore della città. Già era piuttosto brutto il posto, ma avreste dovuto vedere che mojiti ci hanno presentato: erano una cosa comica, mi spiace solo non avergli fatto una foto: al posto delle foglioline di jerba buena ( la menta la mettiamo solo noi, nel mojito andrebbe la jerba buena!) ci ha buttato dentro una specie di arbusto secco con due foglie parimenti secche. Praticamente un mojito giallo. Quando glielo abbiamo fatto notare ha pure cercato di convincerci che così era più buono, perché è il tronco che da il sapore! Ovviamente unici due avventori del locale e cocktail tra i più cari di tutto il viaggio, ahahah.
Per raggiungere le spiagge ci rendiamo conto che la strada è parecchio lunga, tipo 90 km alla fine, e non ci sono mezzi pubblici affidabili, quindi dietro consiglio del padrone di casa valutiamo l’opzione di prendere un taxi privato per due giorni. Lo so, pensare una cosa del genere dalle nostre parti è follia pura, non oso neppure immaginare quanto potrebbe costare, ma là è assolutamente alla portata di tutte le tasche. Il tassista arriva a casa nostra la sera precedente e ci sediamo in soggiorno per trattare, una scena abbastanza comica come se stessimo a discutere di una fusione aziendale, invece siamo lì a trattare per 10 euro in più o in meno. Alla fine troviamo un accordo per 90€ in tutto, due giorni di taxi per andare ovunque vogliamo , più il trasferimento a Ciego de Avila alle 3 di notte (dirò dopo) il giorno in cui partiamo: mi pare veramente un prezzo onesto!
La mattina dopo siamo gasatissimi perché ci spingeremo fino a Cayo Guillermo, dove si trova quella che viene definita come la più bella spiaggia di Cuba e forse di tutti i Caraibi: Playa Pilar. Per raggiungere Guillermo attraversiamo, come ho detto, uno di quei ponti lunghissimi in mezzo al mare; è un po’ come il ponte della Serenissima, quello che collega Venezia alla terraferma, ma qui l’impressione di essere su una strada proprio in mezzo al mare è molto più viva perché intorno non c’è nulla, ed il mare non è profondissimo ma neppure basso come in laguna, quindi ha un bel blu intenso.
“Scusa, ma dove hanno preso tutta la terra per fare questo ponte?” chiedo al nostro tassista. Ecco, vedi laggiù quelle colline proprio sulla costa? Prima ce n’era una in più…
Mentre procediamo sempre più in mezzo al mare, si vede all’orizzonte il profilo del Cayo con la strada che a questo punto si incunea tra un isolotto e l’altro tra lagune di mangrovie abitate da fenicotteri , fino a che arriviamo sulla terraferma. Ancora qualche chilometro e incontriamo un ponte con un panorama incredibile: di fronte a noi un porticciolo con pochissime barche di pescatori sospese su un mare cristallino e gabbiani ovunque portati dal vento, affacciato dalla balaustra del ponte una statua di Hemingway in bronzo intento a pescare, perché storicamente questo posto è stato scoperto e frequentato per la prima volta proprio dallo scrittore: siamo arrivati a Cayo Guillermo.
Queste isole sono un po’ strane, perché essendo assolutamente piatte e ricoperte di vegetazione fittissima, fino a che non si arriva proprio in spiaggia il mare non si vede, e per fortuna non si vedono neppure i resort! Dato poi che la stragrande maggioranza dei turisti dei Cayos stanno proprio chiusi nei loro alberghi all inclusive, quando arriviamo a Playa Pilar siamo praticamente da soli, ci saranno in tutto 10 persone, una meraviglia. La spiaggia è bellissima, con colori incredibili e un’acqua veramente cristallina. La cosa straordinaria però non è neppure l’acqua, ma proprio la qualità della sabbia che oltre ad essere bianchissima ha una consistenza assolutamente impalpabile, come talco finissimo, non ho mai sentito una sabbia simile in nessuno dei precedenti viaggi. Mano a mano poi che la marea comincia a calare, la spiaggia si allarga sempre più, portando alla luce un arco di sabbia come una virgola che entra per decine di metri nel mare, rendendo se possibile il panorama ancora più bello. Quindi mi raccomando se dovete andarci aspettate la marea perché vale la pena. Passiamo tutta la giornata lì tranquilli, la maggior parte del tempo a mollo nell’acqua caldissima, e pranziamo nel paladar tra le dune appena dietro la spiaggia: che consiglio vivamente per la qualità eccellente del cibo che propone, anche se leggermente più caro della media degli altri paladar da spiaggia. Quando rientriamo il nostro tassista è lì al parcheggio che ci aspetta paziente e ripartiamo immediatamente per Moron: più comodo di così si muore.
Il giorno dopo ripetiamo praticamente lo stesso programma, fermandoci questa volta a Cayo Coco presso la spiaggia di Playa Flamenco, che è carina ma non allo stesso livello di quella di ieri. Inoltre siamo anche piuttosto infastiditi dal fatto che tutta la parte migliore della spiaggia è occupata dagli ombrelloni di un resort, dove non ci permettono di noleggiare ombrellone e lettini neppure pagando un biglietto giornaliero. Neppure il posto dove pranziamo, pur carino, è allo stesso livello di quello di ieri; ci divertiamo però a vedere tutto un gruppo di Cubani locali molto ruspanti che si accampano poco lontano da noi e passano tutto il giorno a mangiare e bere e ballare scatenati.
La sera rientrati a casa passiamo l’ultima cena insieme ai padroni di casa come al solito a parlare di argomenti vari, ci raccontano un sacco di aneddoti anche personali della loro vita, e hanno un atteggiamento veramente aperto nei confronti dei turisti. Parliamo una lingua mista di italiano, spagnolo e inglese in un guazzabuglio di parole dove però assurdamente ci capiamo alla perfezione. Tra le altre cose ci stupiscono molto quando il padrone di casa esordisce dicendo una frase tipo “ qui a cuba abbiamo un grosso problema….il problema sono quelli con la pelle…” e qui interrompe la frase e mima un dito che corre sul braccio…” che non hanno voglia di lavorare”; come a dire che il problema sono quelli di colore! Ma qualcuno glielo ha detto che lui è mulatto?ahah! Razzisti anche tra loro, robe da matti. Però in effetti lui era uno che si era fatto un mazzo incredibile per ritagliarsi un certo benessere nella società, lasciando l’insegnamento e costruendo praticamente da zero 4 appartamenti da affittare e che per sfruttarli il più possibile la notte dormiva su un materasso in soggiorno, alla faccia del comunismo!
La notte quado partiamo lo troviamo appunto in soggiorno a dormire per terra, perché per tornare verso Varadero, che si trova molto più a nord vicino all’Avana, intercettiamo un bus notturno proveniente da Santiago e diretto appunto alla capitale e quindi dobbiamo trovarci a Ciego de Avila alle 3 di notte!
Una soluzione tutt’altro che comoda, ma in questo modo quando arriviamo a Varadero è mattina presto, così in pratica abbiamo guadagnato tutta una giornata piena. A Varadero naturalmente ci aspettiamo una accoglienza ed una atmosfera del tutto diversa da quella del resto della vacanza, perché qui a detta di tutti “non è Cuba” ma una specie di isola felice per turisti, con tutto quello che ne consegue.
La casa particular in cui arriviamo è in effetti anche molto più curata della media, quasi vista mare e qui a Varadero facciamo proprio vita da spiaggia, perché in effetti non c’è molto altro da fare. La spiaggia poi è bellissima, enorme sia come lunghezza che ampiezza e anche comodissima perché proprio in fondo ci sono degli alberi ombrosissimi sotto cui ripararsi nelle ore più calde o per mangiare, e l’acqua è azzurra e brillante sotto il sole.
Qui ci sono anche moltissimi turisti sia locali che stranieri, ma la spiaggia è talmente estesa che non c’è mai ressa e ognuno ha chilometri di spazio a disposizione sia sulla sabbia che in mare. Uno degli ultimi giorni facciamo conoscenza anche con un gruppetto di giovani cubani , arrivati lì in bus per una giornata di vacanza e ci raccontano di quanto male vivano la situazione del loro paese, senza possibilità di vedere il mondo come vorrebbero, costretti ad arrabattarsi tra mille lavoretti per strappare quel poco di benessere che un lavoro statale non gli consentirebbe; una situazione che soprattutto per i giovani è davvero triste.
Anche una volta rientrati in Italia hanno continuato a scrivermi mail su mail per avere un aggancio qui in europa, dove potrebbero venire solo con uno “sponsor” che garantisca e paghi per loro, ma come dovrei fare?
Arriviamo così all’ultimo giorno di vacanza , ma era troppo facile chiudere il viaggio senza un ultimo momento di terrore e quindi al posto di prendere il bus di linea per l’aeroporto, che partiva prestissimo la mattina, per sfruttare il tempo fino all’ultimo momento ci accordiamo con una agenzia di viaggio locale per un trasporto semiprivato diretto all’Avana. “ Ma siamo sicuri che poi passate?” ma certo ga-ran-ti-to, fatevi trovare in strada alle 13 e vi passiamo a prendere.
E ovviamente alle 13.30 ancora non si vede nessuno, c’è un caldo infernale senza manco un albero e il tempo scorre. E’ vero che da Varadero all’Avana sono solo due ore di auto, ma quando i tassisti che fermiamo si rendono conto della nostra urgenza ci sparano tutti dei prezzi assurdi. Per fortuna ad un certo punto ne incrociamo uno che era costretto ad andare all’aeroporto a recuperare una persona e quindi cercava proprio due clienti anche solo per coprire le spese, così ci chiede un prezzo onestissimo, ma che ansia!
Il viaggio di ritorno tutto liscio e tranquillissimo, unica fregatura quando arriviamo allo scalo a Parigi e mi accorgo che in zaino ho una bottiglia di Rum che ho comprato al duty free all’Avana. “ E questo come facciamo?” domando al doganiere. “ Tranquilli, se avete lo scontrino non ci sono problemi” Ma certo, figuriamoci se non ce l’ho. Controllo. Quella fessa del duty free non mi aveva fatto lo scontrino!! Accidenti a lei, ho dovuto cestinare una bottiglia intera di Rum invecchiato 10 anni! Senza manco assaggiarla!
Ho detto al doganiere “ La lascio a lei, la beva alla mia salute”. E lui: “ grazie ma ho la casa piena”. Dannato.
Cosa mi rimane di questo viaggio? Se devo essere sincero mi rimane moltissimo, è stata veramente una esperienza molto intensa, sia fisicamente che mentalmente.
Fisicamente se si vuole fare una cosa simile alla nostra è tutto piuttosto impegnativo: è vero che una volta entrati nel “sistema” delle prenotazioni, dei trasferimenti e ricordando la massima secondo la quale “Basta pagare” non è difficile organizzarsi nei diversi spostamenti; ma in ogni caso le tappe sono abbastanza serrate e i viaggi in bus, che pure sono comodi, sono sempre stancanti.
Il premio però è vedere un ambiente che più variegato non potrebbe essere: personalmente le zone dell’interno che abbiamo visitato, Vinales su tutte, le ho trovate straordinarie e inaspettate. Ed allo stesso modo le città hanno una vena decadente che se da una parte lascia sconcertati, dall’altra ha un fascino che non credo si possa trovare in nessun’altra parte al mondo.
Le persone infine sono l’esperienza ancora una volta più toccante e diversificata: c’è di tutto. Si va dalla miriade di scocciatori e imbonitori da strada, ai limiti del truffaldino ( ma per fortuna MAI del violento) che costretti dalla povertà si inventano di tutto per spillare qualche CUC al turista, passando per i giovani e semplicissimi lavoratori delle valli che con il candore di un bambino ti chiedono se è possibile da Cuba arrivare in Italia in automobile. Arrivando infine a tutta quella serie di persone più colte, che ora grazie ai rapporti con i turisti hanno possibilità di emanciparsi ed elevarsi un pochino nella condizione sociale; come il nostro tassista che prima faceva il maestro di scuola, o la moglie del proprietario di casa particular che ha lasciato il lavoro come ingegnere statale perché con quello non riusciva neppure a sbarcare il lunario e doveva arrotondare vendendo frutta e verdura per strada, oppure i giovani che vedono i turisti stranieri loro coetanei e ovviamente non possono non invidiare la loro autonomia e disponibilità economica.
Questi ultimi saranno la spinta fortissima di rinnovamento che già si è innescata e probabilmente subirà una accelerazione vertiginosa non appena schiatta “il vecchio”, quindi sono contento di aver visto Cuba prima che questo accada, perché poi non sarà più lo stesso stato, così come mi dicono è già molto diverso rispetto soltanto a 3 anni fa.
Rimane nel cuore il ricordo delle serate passate a parlare con i proprietari delle case particulares , ognuno ovviamente diverso tra loro, ma tutti animati da un entusiasmo e da una generosità nell’aprire la loro casa, nel fare di tutto per lasciare il miglior ricordo possibile della permanenza presso di loro, offrendo spesso cibi e servizi che per loro sono inimmaginabili.
La miglior cartina a tornasole della soddisfazione del viaggio è anche il fatto che, pur avendo passato 17 intensi giorni nell’isola, rimane il rammarico di non essere riusciti a vedere la parte del paese che ci manca; con l’idea che valga assolutamente la pena tornare un’altra volta prima o poi a completare la visita, possibilmente quando sarà facile muoversi anche autonomamente in automobile.
Come al solito per tutti i miei racconti di viaggio spero di essere stato in primo luogo divertente, poi magari anche utile a chi volesse fare lo stesso viaggio. Da questo punto di vista se servono maggiori info sulla parte logistica, chiedetemi pure l’amicizia su Facebook ( nome in firma ) , dove ci sono anche tutte le foto del viaggio.
Non so assolutamente come chiudere il racconto, cercavo una citazione magari di Hemingway per darmi un tono, ma non ne ho trovate di significative quindi vi lascio con una lista di ingredienti che non credo serva scrivere a cosa servono:
- ron blanco
- jugo de lima
- 1 ramito de jerbabuena
- 1 cucharita de azucar blanco
- agua gaseada
- 3-4 cubitos de hielo
… Hemingway sarebbe stato comunque fiero di questa citazione, spero anche voi.
Alla salute!
(Paolo Mariuz)