Cuba 2000…km!
Adoro i viaggi non organizzati, decisi all’ultimo momento, magari partendo da solo o con una persona che non sono solito frequentare nella vita di tutti i giorni, per cui quando quella sera Gianfrancesco ha buttato lì, fuori del cinema Quattro Fontane, un “Cuba alla ventura?” ho udito il richiamo della foresta e – nonostante stessi al momento programmando un “giro” sulla Transiberiana – dopo due giorni il biglietto aereo ed i pernotti strettamente necessari erano già prenotati.
Ognuno di noi, pressato dai propri impegni lavorativi, ha poi provveduto per suo conto a stendere un possibile itinerario, ideato sulla base delle informazioni raccolte qua e là: incredibile a dirsi, alla verifica incrociata i due itinerari sono risultati coincidenti alla perfezione tanto per i luoghi, quanto per i tempi (quando si dice empatia…).
Considerata inoltre la vetustà e/o la scarsa praticità di parte del nostro equipaggiamento, ci siamo recati a fare acquisti a Via Sannio, meta “scontata” per chi a Roma cerca il miglior rapporto prezzo/qualità: rimediati due zaini identici (quanto mi sento scemo quando vado in giro con qualcosa uguale a quella posseduta od indossata dalla persona con la quale esco o, peggio, viaggio..), e due portasoldi a tenuta stagna (almeno di colore diverso tra loro…), eravamo pronti alla partenza. LA PARTENZA 20 APRILE Bagaglio all’Avana, non a Santiago! L’inizio del viaggio è subito a rischio o, almeno, lo è il suo svolgersi a Cuba.
In effetti i biglietti che consegno all’addetta del check-in indicano che la meta finale è Santiago di Cuba ma, da bravo malfidato italiano, dopo i sorrisi di rito all’avvenenza della hostess di terra, pongo la retorica domanda: “Scusi, tutto a posto per Santiago ?”. La risposta, tra il divertito ed il curioso, dimostra la sorpresa per il fatto che noi non si atterri ovviamente a L’Avana e così, mentre tento di placare la fila dietro di noi che già si chiede se stiamo cercando di introdurre ordigni dinamitardi sul volo Air Europe, trascorrono più di venti minuti nel tentativo, poi riuscito, di modificare la destinazione finale dei nostri bagagli.
Sono le 21,14: se tutto va bene, tra 20/25 minuti c’imbarcheremo per il viaggio che i risolini maliziosi e le battute esplicite di non pochi amici hanno lasciato chiaramente intendere come puramente destinato ad accoppiamenti multipli. Vedremo.
E già: vai a far capire alla gente che vuoi fare un viaggio dai risvolti social-cultural-storico-politici! In effetti l’unica meta prefissata (a parte arrivo a Santiago e ritorno dall’Avana) è quella di Plaza de la Revolucion il primo di maggio di quest’anno 2000: oltre a questo particolare appuntamento, che proprio non corrisponde alle attività turistiche dei nostri connazionali in vacanza nella “Isla Grande”, è nostra intenzione visitare la Cuba reale, facendoci un’idea di come la gente vive, lavora, e… Sì, Gianfra, anche di come mangia! Nell’aereo che ci porta a Cuba c’è una grande quantità di post-quarantenni brizzolati, pochi giovani, ed alcune famiglie con bambini, piazzate per la maggior parte – fortunatamente – in business class. Il reparto fumatori ha tenuto alta la sua fama anche durante le ore notturne, malgrado l’evidente disagio di chi non condivide la passione per la sigaretta (tra cui il sottoscritto), che ha però dovuto italicamente sopportare la protervia altrui.
SANTIAGO DE CUBA 21 APRILE Ore 2,55 cubane. Atterreremo con un’ora o più di ritardo, provare o meno a passare almeno 2 o 3 ore in albergo? In alternativa Ale ha trovato possibile base in una località a 20 km da Santiago. Il viaggio è andato bene, anche per merito delle hostess, molto carine e gentili: Boeing 777 dell’Air Europe che vola per conto della Cubana de Aviacion (e pensare che un mio caro amico mi aveva pesantemente dato dell’irresponsabile per aver scelto una linea del terzo mondo per risparmiare pochi spiccioli: in realtà di voli di linea ce ne avevano prospettati due, quelli dell’Iberia e, appunto, quelli della Cubana, ma visto che i primi erano tutti pieni…).
Ore 3,50: si atterra all’ aeroporto Antonio Maceo di Santiago. Prima di scendere, su tutti noi passeggeri è stato spruzzato un forte disinfettante: “se non lo facciamo”, dice una hostess, “non ci fanno aprire i portelli” (!).
Ora in attesa, sperando che gli zaini arrivino con noi. Mentre i nostri bagagli non arrivano, ad un connazionale che rinnego come tale l’ispezione doganale scopre sugo di pomodoro e spaghetti italici, mentre ad un altro vengono sequestrate delle mele (!): ma perchè se le è portate ? Un italiano con riporto “coast to coast” ed oscena camicia con quadri e quadretti sparsi su fondo azzurrino viene accolto da locale graziosa, al massimo venticinquenne, con baci intensi e dalla probabile di lei madre.
Neanche ci avviciniamo al taxi in attesa fuori dall’aereoporto che un cubano in jeans mi chiede se vogliamo una casa, ed alla mia replica circa il fatto di avere già un albergo mi specifica che per domani lui ha disponibilità, considerato che le ragazze in albergo non possono entrare.
Risveglio (!) ore 8,15… Il povero Gianfrancesco ha cominciato a sperimentare cosa vuol dire viaggiare con un “corto-dormiente” come il sottoscritto, salvo dichiararsi pronto all’azione dopo che abbiamo effettuato una colazione caloricamente esagerata sul panoramico roof garden dell’albergo.
Colazione sul roof del Casa Granda: rilevata un’altissima percentuale di strutto o similare nella roba che ci stiamo mangiando, menzione di onore alle crocchette, di cui Ale prova ad indagare il contenuto senza fortuna. Cielo bigio e vento caldo.
Eseguiamo subito un rapido sopralluogo di Santiago: boh! Le case sono piuttosto fatiscenti, e la gente non sembra passarsela benissimo, salvo forse i tassisti, che vengono pagati in dollari dai turisti.
Santiago mi appare come tanti tetti vecchi e posticci che coprono cose per così dire antiche, non direi che una grande frenesia anima le strade, ci faremo un giro a piedi e poi a prendere la macchina: destinazione Baracoa.
Lasciato l’albergo, con un taxi raggiungiamo l’Hotel Santiago, dove in teoria dovrebbe attenderci una macchina a nolo prenotata a mezzo del padre della segretaria dello studio, il quale vive e lavora all’Avana da 15 anni. Manco a dirlo, dell’auto non c’è traccia (forse le voci sulla particolarità dell’organizzazione cubana non erano del tutto infondate…), e riusciamo ad ottenere una Daewoo Matiz per una cifra non esorbitante: è l’ora di metterci in marcia per la fine di questa parte del mondo, ovvero Baracoa! BARACOA Dopo neanche 10 minuti dall’aver preso la macchina, una Daewoo che almeno per oggi si è rivelata un piccolo mulo, sulla malmessa “autopista” che da Santiago de Cuba, per pochi chilometri, si indirizza verso Guantanamo, notiamo camion fermi su entrambe le carreggiate, rallentiamo ed osserviamo una curiosa figura di poliziotto alto e magro come uno stecco, un incrocio tra Pippo e Ciccio Ingrassia: il suo segnale o meglio la sua mano ed il tono della sua voce è alquanto perentorio così da farci accostare.
Dieci minuti di viaggio e già la prima multa per eccesso di velocità! Curiosi questi blocchi stradali: da 90 all’ora in dieci metri bisogna rallentare fino a 40, con pattuglia appostata subito appresso. Prescindendo dai dieci dollari di multa, so già fin d’ora che dovrò sorbirmi Gianfra recitare il mantra “Ale vai piano, Ale vai piano, Ale vai pano” per tutte le strade dell’isola.
Beh! Dieci dollari di multa per eccesso di velocità senza neanche aver capito il come e il perchè (saremmo andati a 80 km all’ora e in autostrada!) e ci lascia andare. L’inizio del viaggio non è dei più promettenti, ed in effetti sbaglieremo più volte strada, imboccheremo un paio di sensi unici subito richiamati dalla popolazione locale, chiederemo decine di volte conferma della strada e rinunceremo nella nostra superiorità occidentale e nella voglia di arrivare, a cercare di capire il contenuto di alcuni coni richiusi che ci vengono ripetutamente offerti dai cigli della strada insieme a banane e frutta varia.
Il viaggio è stato a dir poco faticoso, con strade pessime anche se non come dicono le guide, inondate da biciclette, camion con tubi di scappamento semplicemente intossicanti e bambine, bambini e ragazze in divisa come appena uscite da scuola, solo che lo erano alle 10,00 a Santiago e lo sono per tutta la strada durante la mattinata. Ma che orario fa la scuola cubana? Con continuità, ai lati della strada, cartelli inneggiano alla rivoluzione, al popolo unito, alla unità della nazione in un trionfo di nazionalismo che mi appare discretamente ironico nella grande povertà di capanne, di mezzi e di gente che incontriamo nei quasi 200 km., di cui moltissimi in una specie di foresta una volta che abbiamo lasciato il lungo oceano.
Dopo infinite richieste ai passanti, svariate inversioni a U, sensi vietati e simili amenità raggiungiamo i sobborghi di Guantanamo, che ci sembrano gli slums di qualche degradata città sudamericana: peccato che ad un certo punto ci siamo resi conto di non essere più nella periferia ma proprio nel centro della città, senza che per questo il panorama fosse minimamente cambiato! Per arrivare a Baracoa ci sorbiamo altri 100 km di strada che alla fine sbocca sull’Oceano Atlantico (o sul Mar dei Caraibi, a seconda di come la si pensa): lo spettacolo è decisamente notevole, con una costa deserta battuta dai marosi. Gli ultimi 50 km sono una serie di terrificanti tornanti che scalano – a strapiombo – una sierra coperta da quella che sembra una foresta pluviale, dalla quale sbucano venditori di banane, ananas, zucche e cartocci dal non meglio identificato contenuto.
Baracoa sembra una vera e propria baraccopoli: sarà pure l’insediamento più antico dell’isola, ma è ridotta da far pietà. Alloggiamo all’Hotel Castillo, costruito su uno dei tre forti della città: per una volta mi lascio tentare da patio e piscina, la guida di oggi mi ha letteralmente steso! Ore 16,38: la vera vacanza è cominciata da circa 15 minuti, e dall’alto della terrazza con piscina dell’Hotel Castillo di Baracoa si inizia, insieme ad alcuni latticinici turisti tedeschi, ad apprezzare la brezza pomeridiana del luogo.
Ora, dalla terrazza, si gode della vista di una piccola baia, i tetti delle case, come le strade appena percorse per salire fin qui, ci dicono che la più antica città di Cuba è poco più di un piccolo villaggio con edifici bassi e cadenti in cui magari è possibile vedere un signore dipingere con cura la palizzata del proprio piccolo portico, quasi iconografica manifestazione dell’orgoglio cubano di cui si legge nelle nostre guide e nei cartelli che ci hanno accompagnato fin qui.
Una curiosa montagna dalla cima quadrata circondata di nuvole ci scruta minacciosa; ci auguriamo che il tempo migliori o, quantomeno, non peggiori.
Spero che l’assenza del pranzo sia ripagata da una cena adeguata.
La vista dalla terrazza della piscina è incantevole: Oceano da una parte, foresta pluviale dall’altra e baia sotto. Il caldo umido che ci aveva accolto all’aeroporto e che ci ha seguito instancabile durante il viaggio ha per ora lasciato il posto ad una fresca brezza pomeridiana, per cui si prevede una pesante notte di tranquillissimo sonno. In cerca di un ristorante per la sera, chiedo ad un gruppo di francesi di indirizzarmi: un ciccione con sigaro, con aria di chi la sa lunga, ci consiglia un posto dove avremmo potuto mangiare tartaruga; quando gli faccio notare che di tartarughe ce ne sono pochine in mare e che sembra brutto mangiarle mi guarda strano: quando poi tenta di darci una dritta per la notte e gli dico che la notte io dormo mi guarda ancora più strano… Puttaniere da quattro soldi! Mangiamo in un ristorante dentro un forte sulla baia: non male, ma mi chiedo che possibilità di sopravvivenza abbia qui un vegetariano… Dopo una riposo letargico che mi ha fatto perdere un incredibile tramonto rosso fuoco (parola di Ale) che spero di godermi oggi, abbiamo verificato con un imponente turista francese che, anche a Baracoa, una delle motivazioni forti del viaggio per l’occidentale è e pare restare la possibilità di incontri sessuali facilitati dal dollaro.
Si cena alla Punta, in un ex fortezza spagnola, dove con cubana lentezza siamo serviti di ottimo maiale ahumado e riso con pollo. Un tresette sulla veranda e poi a nanna.
Ho deciso di scrivere sia ai redattori della Lonely Planet che della Guida De Agostini: come si può definire una deliziosa cittadina quella baraccopoli che è Baracoa è un mistero che sconfina nella malafede.
È comunque vero che in tutta la povertà che ho visto durante questi neanche due giorni ho anche notato una grande dignità, una sorta di orgoglio che fa sì che anche quando qulcuno si avvicina a noi per offrirci qualcosa lo fa in maniera non questuante ed insistente.
I bambini di Cuba: dovunque a decine sempre decentemente vestiti, indicano che qui non dovrebbe proprio esserci un problema di denatalità.
Le ragazze: ne ho viste oggi un paio dal grande e bel sorriso forse alquanto piccole, 16/17 anni, ma in massima parte la popolazione femminile che ci è capitato d’incontrare è tutt’altro che piacente.
22 APRILE Dormito poco e male tra caldo e galli che cantano in tutta Baracoa, ma la veglia mi consente una spettacolare alba alle 6,30, con il sole che emerge rosso dall’oceano: si impone un momento di meditazione… Oggi andiamo alla spiaggia di Maguana, vicino a quella che oramai chiamiamo “Baraccoa”, data la qualità delle sue abitazioni; passando accanto alle ultime case dell’abitato ci sorge un dubbio: quale sarà l’esatta definizione della periferia di una baraccopoli? Raccogliamo i primi due autostoppisti del nostro viaggio, molto silenziosi ma che ci hanno aiutato a trovare il posto. La strada è assurdamente sterrata, e l’idea di doverne percorrere svariate decine di chilometri per arrivare domani ad Holguin ci tiene in apprensione.
Ore10,28: ho appena “sfanculato” Alessandro che su una spiaggia dimenticata da dio, Playa Maguana, mi ha appena detto che, per rilassarsi, deve ricreare attorno a sè l’atmosfera di Ostia! Solo per essemi preparato il “cuscino” di sabbia sotto l’asciugamano… In pieno stile proletario-ostiense! Bella spiaggia, dove abbiamo incontrato i primi italiani da quando siamo partiti da Santiago, una coppietta silenziosa che fortunatamente non si è fatta notare più di tanto.
Quello che invece abbiamo notato sono state varie scene che ci ganno confermato buona parte di ciò che si diceva di Cuba in patria: vecchi uomini bianchi con giovani donne nere, giovani donne bianche con giovani ragazzi neri, e persino noi siamo stati “molestati” da due krapfen nere di circa 13 anni (“Ma ce l’avete ‘na casa? E annatevene a casa!”).
In spiaggia ho subito il mio primo adescamento da parte di una coppia di cubane di certo inferiori ai 18 anni una delle quali così palesemente protetta da una natura matrigna da rendere quasi incredibile il suo accompagnarsi ad una amica appena meritevole di un qualche sguardo in virtù di una espressione inequivocabilmente maliziosa e porcellina che, dopo vari giri di avvicinamento, si è seduta ad un metro da noi rivolgendomi più volte la parola e chiamandomi “nino”. Il mio fastidio è stato palesemente manifestato.
Il cielo è un continuo succedersi di nuvole e di aperture che fanno indiscutibilmente percepire la forza dei raggi del sole.
Sgrullone di pioggia verso le 15,30, che ci ha fatto propendere per tornare in albergo visto che, tanto, fino ad allora il sole “aveva dato”.
Intorno alle 16,30 è come piovuta la notte intorno a me e anche Ale non sembra propriamente nelle condizioni tipiche da inizio della serata.
In questo momento, mentre sorseggio una fantastica Pinacolada, una francese affatto male si sta esprimendo ginnicamente nella piscina dell’albergo distraendo la mia attenzione da queste note.
Ore 19.33: aiuto! Non pare che sia riuscito a prendere completamente in giro il mio sistema bioritmico che dà ampi segni di ritenere che si tratti dell’una passata di notte.
Questa sera fiesta popular: pare che il sabato la gente locale sia solita mangiare, ballare e comunque divertirsi in mezzo alla strada principale, che viene chiusa al traffico.
Mangiamo due panini con la porchetta presi da una bancarella e poi ci sediamo a mangiare dove abbiamo visto sedersi dei locali, ovvero ad un tavolo in mezzo alla strada; non avendo acqua minerale i ristoratori, abbiamo bevuto quella fresca che ci hanno portato, sperando bene (male che vada, la scorta di enterogermina è massicciamente fornita!).
La serata è proseguita in un bar dove suonava un gruppetto che proponeva pezzi da “Buena Vista Social Club”: siamo stati rimorchiati da Arianne e Yarissa, due jineteras di Guantanamo, con le quali abbiamo ballato per strada. L’alcool scorreva a fiumi e la gente sembrava gradire la musica dance made in Italy proposta da uno scalcinato quanto verbosamente prolisso DJ.
Stasera ci siamo promessi di partecipare alla “movida” Barac(c)oese ma mi sento di essere alquanto perplesso al riguardo.
Perplesso un corno! Ore 1,00 di notte, contorto da spasmi intestinali attendo l’uscita dalla mia meta agognata dell’Avv. Al quale, in un momento di eccessiva generosità, la ho frettolosamente ceduta. Ci siamo appena lasciate alle spalle le prime (?) due jineteras del nostro viaggio, Arianne e Jariza. La prima in particolare, un metro e 80 inguainata in nero, mi aveva lanciato un sorrisino mentre, cedendo alla pretesa di Alessandro di aver individuato in tre tavoli nel mezzo della strada di Baracoa il sabato di festa un tipico locale frequentato da cubani, mi apprestavo a consumare un economico anche se alquanto alternativo pasto a base di similporchetta, yucca e riso freddo.
Erano passate un paio di volte le jineteras dopodichè, terminata la cena indigena, ci eravamo fatti un paio di vasche in una strada sempre più animata di musica, di venditori di cibarie e liquori ma scarsissima di illuminazione, per poi approdare al Rumbos, locale locale dove un gruppo di sette elementi si agitava con lena su ritmi da me già sentiti in Buena Vista Social Club ed altro.
Per farla breve: sedute vicino al nostro tavolo, gioco di sguardi neanche particolarmente insistito da parte nostra, una di loro si avvicina e ci chiede se possono sedersi con noi lei e la sorella. Sono di Guantanamo. Arianne è la più amichevole visto che parla l’italiano, memoria di un suo ragazzo di Torino. Ale tenta di precisare la sua contrarietà alle storie a pagamento, e la risposta è abbastanza spiazzante: questa è una terra “caliente”, se lei lavora un mese guadagna 5 dollari con i quali non si può vivere, visto che sta con la madre pure separata, e se fa l’amore poi le si può lasciare qualcosa per aiutarla ma lei non chiede niente in anticipo.
Si balla un pò nella festa paesana in mezzo alla strada con una strana sensazione circa il fatto che qualcosa, per me, non è al suo posto, e per varie circostanze si lasciano le ragazze al loro finale di serata con la personale convinzione che quella bambina che si asseriva di 17 anni alla quale ho spiegato qualche parola di inglese e regalato cinque dollari non avrebbe rappresentato una conquista di cui vantarsi particolarmente.
HOLGUIN 23 APRILE Pasqua 2000: scartata l’idea di raggiungere direttamente la spiaggia di Guardalavaca per la quale sembra che la strada sia un vero disastro, puntiamo su una tappa intermedia, Holguin, nel cuore dell’omonima regione. Dopo 3 ore e passa di carretere mediamente dissestate, ma notevole varietà di paesaggio (tante palme, una spiaggetta deliziosa, pini spellacchiati, canne da zucchero), un quasi cappottamento (!) – non guidavo io, e nel sorpasso di un camion siamo finiti per le terre con pronto recupero dell’Alessandro (complimenti a lui e alla Matiz) – scrivo questi appunti dalla piscina del Mirador di Mayabe.
Viaggio con brivido. Prescindendo da un’assurda strada sterrata che portava fino a Moa (50 km da Baracoa), con crateri che si aprivano improvvisamente davanti alla nostra macchina, sulla strada per Holguin abbiamo veramente rischiato di ammazzarci a causa di un camion che ci ha stretto sulla sinistra mentre lo sorpassavo (con freccia e clacson, ovviamente!): siamo finiti nella cunetta, cunetta che proseguiva con una bella buca dalla quale sono riuscito a far saltare fuori la povera Matiz con un’abilità che, modestia a parte, ha sorpreso me stesso, dato che ramai stavamo per cappottarci. Gianfrancesco ha “smaltito de brutto”, essendo reduce da altri due cappottamenti, tra Italia e Namibia.
Nonostante tutto ciò siamo giunti in questo albergo chiamato Mirador del Mayabe, sulla cima di una collina (vista molto panoramica) e dotato di piscina. Sorpresa! È pieno di cubani, anzi sembra che ci siano solo cubani, rigorosamente di pelle bianca o, al massimo, pochissimi creoli. Sembrano la parte con i soldi della popolazione di quest’isola che finora abbiamo conosciuto unicamente per un’estrema povertà: bel contrasto con i dimessi abitanti di Santiago o con i disastrati di Baracoa! Tra l’altro, dagli altoparlanti intorno alla piscina esce musica da MTV, msta a qualche successo locale e – orrore – ad una versione spagnola di un pezzo della Pausini… Vabbè, sopportiamo anche questo! A cena, per festeggiare la Pasqua, aragosta!! Tutte le capanne e baracche e palazzi fatiscenti incontrati lungo la via contrastano non poco con questo albergo pieno quasi esclusivamente di cubani che certo non appartengono alla classe sociale (si può usare questa espressione?) dei loro connazionali incontrati fino ad oggi. La vista è notevole.
Questo viaggio mi sta piacendo molto, ma Cuba mi sembra sempre più il classico paese con grandi sacche di povertà e piccoli angoli di privilegio.
La serata non è stata movimentata come ieri e fidando nella mia guida che segnalava con un “eccellente” la cucina del ristorante ci siamo avventurati in una cena pasquale a base di aragosta. Potevano certamente cucinarle meglio.
GUARDALAVACA 24 APRILE Stamattina siamo andati alla spiaggia di Gardalavaca, celebrata da tutte le guide. Un’ora di viaggio, ma ne è valsa veramente la pena: acqua trasparente e calda, sabbia corallina più fina di quella di Playa Maguana, alberi che procurano una più che necessaria ombra vicino alla riva. Nessun italiano in vista, finchè non si è sentito da un pedalò in acqua un agghiacciante “o sole mioooo…”, che per fortuna non ha avuto seguito.
Scrivo questi appunti mollemente adagiato su un lettino gratuito in un imprecisato punto dei 3 km. Della spiaggia bianca di Guardalavaca; la località è certamente turistica, ma qui ancora non si vedono megaalberghi e non sono pochi i cubani che si godono il sole con i turisti stranieri. Mi sono dimenticato di appuntare di come un conoscente mi avesse avvisato che questo viaggio avrebbe comportato il confronto con una realtà in qualche modo precedente di circa 30/35 anni la nostra, in effetti la gran parte dell’interno visitato sembra risalire anche più indietro nel tempo secondo Ale, e facendo riferimento alla nostra Calabria (absit iniura verbis).
Ieri nel composto tentativo di conoscere i risultati del GP di F1 abbiamo (mi sono appena passati davanti mano nella mano lui quarantenne con cappello da cow boy bianco e ben tenuto, lei sui 20/25, locale, con sorriso stampato comunque decisamente graziosa, mah!), dicevo abbiamo impattato con il locale notiziario televisivo: due titoli, il primo sulle elezioni provinciali tenutesi in giornata con Fidel che aveva espresso il suo voto nel seggio di appartenenza; il secondo, su Europa e Stati Uniti condannati per violazione dei diritti umani. Dopo più di dieci minuti di servizio e intervista sul voto espresso dal generalissimo, abbiamo deciso che era ora di cena e che le cose possono sempre raccontarsi in modo assai diverso.
Al ritorno, nostro malgrado, abbiamo dato un’occhiata alla città di Holguin, avendo perso la via.
Ci avventuriamo inopinatamente per le strade di Holguin, niente di particolare ma riusciamo a perderci. Ebbene, veniamo salvati da un cubano biondo in bicicletta che, pedalando davanti a noi come un invasato, ci riporta sulla retta via, ci narra della sorella sposata ad un italiano di Modena, e ci chiede di dare un passaggio ad una sua connazionale.
Simpatico, ma molto rincoglionito: quando gli abbiamo chiesto della strada per l’aeroporto (dalla quale sapevamo arrivare all’albergo), si è fatto seguire – era in bicicletta – per mezza città, in un traffico infernale di biciclette, camion e risciò; quando poi gli abbiamo detto che dovevamo andare al Mirador del Mayabe ha invertito la marcia, costringendoci ad un nuovo giro per la città, finchè non ha parcheggiato la bici e ci ha chiesto di salire in macchina. Solo dopo due chilometri ha realizzato che non dovevamo vedere il Mirador ma fermarci lì, per cui non avrebbe potuto tornare indietro: ci siamo fatti portare fino all’incrocio della strada con l’aeroporto, gli abbiamo mollato due dollari e lo abbiamo salutato.
Finalmente domani ci libereremo del Mirador del Mayabe, dove stasera sono mancate acqua e corrente elettrica (questa mentre mangiavamo al ristorante). A letto presto dopo una cena con black out e con carne teoricamente di maiale, ma al gusto era altro (cosa non si sa).
Il posto in realtà è piazzato bene, ma condotto male: sembra che il personale stia lì per farti un favore ho chiesto un cacciavite per tentare di riparare una freccia della Matiz, ma non lo avevano e mi è toccato usare il tagliaunghie (!); la freccia, per la cronaca, è fulminata, per cui torneremo all’Avana così.
CAMAGUEY 25 APRILE Oggi abbiamo preso la mitica (?) Carretera Central, che non è poi tanto male e che permette di correre un pochino se non ci sono ciclisti, risciò, camion puzzolenti, trattori e molti, ma molti pedoni.
Le strade di Camaguey sono state costruite in modo irregolare per confondere gli antichi assalitori, ed oggigiorno assolvono perfettamente al loro compito: con non poche difficoltà abbiamo trovato il Gran Hotel, preferito ad altri, magari più economici, per la sua posizione centrale. Ad ogni modo 44 dollari per la sola stanza, senza colazione, ci sembrano un ladrocinio.
Impressioni a caldo anzi caldissimo: nonostante la protezione 20, spalle e caviglie mi ardono mentre dopo circa 300 km riposo al fresco dell’aria condizionata della stanza 312 del Gran Hotel di Camaguey. Abbiamo affrontato i primi km della famosa (!) Carretera Central. Il paesaggio ai lati della carretera è molto diverso da quello avuto fino ad ora. Siamo nel centro dell’isola poca vegetazione poche colline tutto piatto. Tante piccole nuvole in cielo ed un caldo che sale inesorabile con il passare delle ore.
Mentre attendevo che Ale espletasse le formalità alberghiere, rimanendo di guardia alla macchina (a Camaguey ci sono evidenti problemi di parcheggio, perché le strade sono strettissime) mi sono state offerte monete per la mia collezione (?), sigari di tutti i tipi, una stanza per 15 dollari e, soprattutto, con ingresso garantito alle chiche.
Camaguey, dopo aver visto Santiago, Baracoa ed Holguin, ci è sembrata veramente una città carina, quantomeno in alcuni suoi scorci.
La città può definitivamente chiamarsi tale: edifici bassi ma tutti in muratura, piccoli parchi in alcune piazze, le costruzioni sembrano aver avuto un passato se non glorioso comunque certo dignitoso.
Ci è anche riuscito di entrare nella Cattedrale Municipale approfittando dell’uscita di alcuni partecipanti ad una semplice cerimonia di battesimo. Peraltro siamo stati subito richiamati dal tizio che stava sbarrando tutte le porte ed invitati, comunque gentilmente, ad uscire.
Qui abbiamo visto i primi negozi di elettrodomestici e di abiti alquanto forniti, ed abbiamo inviato le prime notizie di noi in patria via fax.
Lettore che passi per Camaguey, non farti scappare in una notte stellata la Piazza San Giovanni di Dio magari cenando alla Campana di Toledo a base di bovino lardellato e trio locale di capaci “mariachi”.
Abbiamo eletto a nostro posto favorito Plaza San Juan de Dios la quale, a differenza della sua omonima romana, è una riserva di pace e tranquillità (è chiusa al traffico), con un bello stile coloniale e colori pastello. La sera ci siamo concessi il lusso di una cena in un ristorante proprio sulla piazza, dove abbiamo mangiato ottimamente, deliziati peraltro da tre tipi che schitarravano e cantavano con maestria. Usciti sulla piazza, il piccolo carro e la stella polare indicavano la via di casa: attimo di nostalgia, subito rovinato da due zoccole che si sono offerte senza neanche troppi sottintesi. Le abbiamo poi riviste a braccetto con due vecchi maiali… Sarà anche l’ordine azzeccato del nostro percorso cubano ma, una volta respinto l’ennesimo e deciso attacco di jineteras locali, si può certo riconoscere di aver trascorso una giornata a ritmi caraibici pur se meno ritardati che altrove.
TRINIDAD 26 APRILE Ancora Carretera Central, spingendo la Matiz ben oltre i 100 orari quando possibile (spesso, a dire il vero!): dopo aver visto – nostro malgrado, dato che avevamo perso la strada a causa della solita carenza di cartelli – anche Ciego de Avila, siamo giunti a Trinidad, patrimonio mondiale dell’umanità curata dall’UNESCO.
Forse la fortuna ci ha assistito: dopo quasi 300 km di camion puzzolenti sulla Carretera arriviamo a Trinidad (patrimonio dell’umanità). Il panorama è sempre stato piatto e triste, di tanto in tanto qualche gruppo di palme, ma niente in confronto alla vegetazione della Barac(c)oa – Moa e al numero di paesini brulicanti di vita lungo la Santiago – Cayobabo.
Bene, si è manifestata la ragionevole esigenza di ridurre il budget delle giornate, appena arrivati ci rechiamo all’Hotel Las Cuevas, su una piccola collina alle spalle della città, tante unità indipendenti con una gran bella vista. È tutto pieno, e non sanno consigliarci alternative se non il Campesinos, svariati chilometri fuori Trinidad. Stavamo ormai lasciando la città stanchi e scornati, io ho letto un paio di volte “Hostal” su alcune insegne ma Ale sostiene che qui non esistono ostelli. Sull’ultima strada, per fortuna, oltre ad Hostal c’è anche scritto VACANCY.
Io aspetto in macchina e mi viene nuovamente offerto di tutto: benzina, stanza e chiche.
Ma ce l’abbiamo fatta! Ci accoglie Carlos, panciuto professore di fisica e astronomia, gestore della sua stessa casa, che ci mostra una agenda piena di incredibili apprezzamenti nei confronti della sua ospitalità della cucina della moglie etc. Etc.: il prezzo è conveniente, non ci resta che provare; ora si va a Playa Ancon, la più bella spiaggia a sud di Cuba.
Abbiamo fatto l’errore di caricarci due locali, Adriano (ahimé, “come Celentano”) ed un altro di cui non mi ricordo più il nome, pescatori di aragoste, che ci hanno portato alla playa ideale per la loro attività ma, purtroppo, infestata dalle zanzare. Colpito ripetutamente nell’arco di pochi secondi, ho battuto in ritirata verso uno dei due soli alberghi della penisola, L’Hotel Ancon, dove abbiamo tentato di allontanarci un minimo dai turisti. Siamo finiti sotto un ombrellone sgangherato, circondati da un mare di lattine, in un punto in cui l’oceano pieno di alghe rimestava in maniera assai simile ad Ostia.
La stanchezza ha però fatto il resto, ed il pomeriggio è passato così.
Al ritorno la preziosa moglie di Carlos ha rimediato alla grande con una sontuosa cena a base di due (dos) aragostine per uno e contorni vari. Carlos è una persona decisamente a modo, con una casa pulita ed una moglie che cucina alla grande (cena pantagruelica con aragoste freschissime ed altre cosine che abbiamo fatto sparire con ingordigia).
La sera abbiamo fatto un giretto per Trinidad, ma la scarsa illuminazione locale non ci ha per ora consentito di apprezzarla appieno.
Satolli al limite dell’inverosimile ci siamo trascinati sull’irregolare acciottolato di Trinidad, godendo di un reticolo di viuzze con edifici bassi, tutti pieni di inferriate, fino alla Plaza Mayor ed ad una scalinata al termine della quale, sorseggiando il mio primo mojto, ho goduto della musica locale piacevolmente eseguita da un orchestra in cui tuttavia le trombe erano forse troppo forti.
Sbirciando in una delle case, tutte con le finestre spalancate per il caldo infernale, abbiamo dapprima visto una fila di sedie a dondolo apparentemente occupate da donne: Ale ha commentato che si poteva trattare di una casa per gestanti, magari abbandonate dai “conquistadores occidentali” e, alla finestra successiva, la sua ironica previsione si è rivelata azzeccata, in quanto una quindicina di pancioni dondolava pigramente di fronte al monoscopio televisivo.
Per la cronaca, tutte le televisioni che ci è stato possibile vedere erano sintonizzate su quello che dobbiamo ritenere essere l’unico programma irradiato.
27 APRILE Mi sono svegliato per il freddo. Contento di aver trovato una stanza con il solo ventilatore, dato che Gianfrancesco mi ha finora martirizzato con la sua adorata aria condizionata, mi sono ritrovato con un autentico tifone che soffiava per la stanza: mi consolo pensando che almeno questo non mi cancellerà l’abbronzatura, come invece è solito fare il maledettissimo condizionatore. Ad ogni modo, finita la colazione, mi sono “calato” un’enterogermina per rintuzzare l’assalto che il vento freddo del ventilatore ha portato al mio apparato digerente.
Dopo una breve visita a Trinidad di giorno siamo tornati a Playa Ancon, ma stavolta sulla spiaggia davanti al Grill Caribe, simpatico ristorantino specializzato in aragosta e gamberoni.
Ora giaccio, ancora di notevole colazione rinfrancato, e dopo aver goduto di una visione diurna della coloniale Trinidad.
Ho anche acquistato un Cohiba per stasera al notevole costo di 5$ che conto delizierà il fine pasto odierno.
Sono circa le 13.00, il sole picchia come un poderoso battitore di baseball (sport nazionale cubano), ma io mi difendo sotto l’ombrellone di pagliericcio.
Il mare qui davanti è pieno di pesci colorati fin dai primi metri ma l’Avv. Scarano mi ha messo sull’allerta per la presenza di meduse: io non ne ho viste, ma non sono tranquillo in acqua.
La piccola playa si è andata un pò affollando con l’arrivo di tre toscane discretamente cozze, una cozzissima. Dal ristorante Grill Caribe provengono attutiti ritmi locali ed io mi dedico alla lettura del libro di Xavier Marias, sempre più piacevole ed in qualche caso per me evocativo. Mi trovo in uno stato di quasi totale catalessi da cui mi ha appena distratto l’”official parking man” (è scritto su una tavoletta di legno che mi mostra come documento) spiegandomi che, poichè lui se ne deve andare, è il caso che lo paghi per il servizio effettuato! Cuba! Veloce conoscenza con le tre pistoiesi o meglio con una delle tre: forse all’Avana ci torneranno utili.
La spiaggia è molto, ma molto meglio di quella dell’Hotel Ancon, e così pure il mare: fino all’ora di pranzo siamo stati gli unici occupanti, poi sono arrivate tre fanciulle di Pistoia, con una delle quali (Michela) sono rimato d’accordo di rivederci all’Avana – chissà?! Tornati da Carlos, troviamo in veranda un gruppetto di italiani (?) del Nord-Est che, tanto per fare i simpatici, come replica ad un nostro – peraltro discreto ed educato – tentativo di socializzazione, iniziano a parlare in dialetto stretto tra di loro: il risultato è un ignorarsi a vicenda, e la sempre più viva convinzione che più si viaggia, più ci si deve vergognare di chi abita nel nostro Paese.
Sulla veranda dell’Hostal, nella migliore tradizione del viaggiatore, ci intratteniamo con Carlos su Cuba e sulla sua filosofia imprenditoriale.
Qui anche l’Università è gratuita e, pare, assai meritocratica. Lui sviluppa con attenzione e cura il suo lavoro: prima aveva venduto per 5 anni pizza e nei 2 precedenti, sigarette. Pare che abbia una rete di amici un pò dappertutto a Cuba e noi speriamo che siano come lui.
La cena a base di “camarones” è decisamente superba e dopo mi lascio dondolare apprezzando il mio primo cohiba sul terrazzino che affaccia in strada con lo stridulo accompagnamento di uno sgangherato stereo che suona Roberto Carlos per i “negros” come li chiama Carlos.
Breve passeggiata in Plaza Mayor piena di gente e buonanotte.
Questa sera problemi intestinali cusati da un mix di insolazione, attrippata di gamberoni e successiva botta di freddo in fase digestiva per il vento (sembra che all’Avana abbia piovuto, e la temperatura si è parecchio abbassata).
28 APRILE Stamattina apro con enterogermina + bimixin: dobbiao andare in barca a Cayo Blanco, un’isola da queste parti, e non vorrei “sorprese”.
Dopo un mediamente riuscito tentativo di dare notizie in patria, attendiamo pazienti alla Marina di Trinidad la partenza dell’escursione a Cayo Blanco; prego con tutte le forze per l’accelerazione dei miei processi digestivi in considerazione dell’ampiezza della colazione e della piccolezza della barca che ci dovrà trasportare.
Quanto a salute tutto bene, facciamo una breve immersione nelle vicinanze dell’isolotto, molti pesci e piante acquatiche, un barracuda mi osserva sospettoso: lo ricambio. Risalgo in barca giusto il tempo per assistere alla fortunata pesca del nostro capitano di una enorme aragosta che mi sono affrettato a fotografare magari tenendola in mano per darmi qualche aria in patria.
Dopo una nuotata sulla barriera corallina in compagnia – tra gli altri numerosi pesci – di un bel barracuda (!), siamo andati sull’isola, dove un gruppetto di scandinave ha fatto in modo di fregarci i pochi lettini disponibili.
Dal patio del capanno sulla spiaggia dell’isola osservo: a sinistra palme, a destra vegetazione tipo Capocotta, alcune delle sei finniche che non fanno il bagno, un terribile cinquantenne magiaro che si esibisce in esercizi di equilibrismo su un pontile mal messo.
Cerco di proteggermi dal sole che picchia ma questo mare azzurrino è molto tentatore.
La giornata si fa impegnativa. Prima di essere rifocillati con un abbondante aragosta in riso abbiamo avuto anche l’emozione di due grosse iguana che passeggiavano dietro il nostro capanno. Quattro chiacchere con un simpatico francese viaggiatore solitario e l’idea di comprarsi un caicco per girare il mediterraneo (l’idea è di Ale).
Durante la gita abbiamo conosciuto un ragazzo francese, Alex, che viene da Evian (proprio quella dell’acqua più che liscia!) e viaggia qui da solo: simpatico scambio di esperienze di viaggi. Il sole ha picchiato durissimo, e dopo la scorpacciata di aragosta pescata un’ora prma dal personale della barca siamo rimasti al riparo di una tettoia, allietati dalla visita di un paio di iguana.
Ed eccomi qui rientrato dal sole cubano mi avvio per la calle di Trinidad: all’incerta ricerca del bar Canchanchara per provare l’omonimo cocktail, vengo, al solito, abbordato. Questa volta si chiama Esnaider, e decido per il momento di farmi indicare la strada. Si chiacchera: il futuro di Cuba pare assicurato da Raul, fratello di Fidel e capo dell’esercito. “Se fosse stato per lui” mi dice la mia guida improvvisata “saremmo in guerra con gli americani”. Però e soprattutto pare che esista un giovane, si chiama “Cassan”, che parla a braccio e non legge il “papel” come ormai fa Fidel e ricopre già qualche carica che non ho capito. Decido di fidarmi, ed all’ennesima proposta di acquisto di sigari, dopo aver sorseggiato l’ottima canchanchara ed avergli offerto una birra, accetto e lo seguo in strade di Trinidad che, probabilmente, non avrei mai percorso. Gli edifici sono più cadenti ed i turisti sempre più scarsi, Esnaider mi precede, entra, la contrattazione è breve, mi giura che i Cohiba Lanceros non hanno più di tre giorni, vengono dall’Avana, mi chiede 15 dollari, meno di un terzo del costo ufficiale, siamo in strada.
Continua a chiedermi una maglietta, ma purtroppo non sono in grado di accontentarlo e lo saluto lasciandogli 5 dollari.
Ragazzi da dove comincio ? Rientrato con i sigari di contrabbando, ci apprestiamo alla nostra ultima cena in Trinidad.
“Fileto di pescado”, ottimo e abbondante, ma sul serio.
Il bello viene dopo. Carlos, stuzzicato da qualche domanda, decide di intrattenerci per almeno due ore su Cuba, la sua Cuba. È impossibile ricordare tutto, ma certo è un discorso che fa impressione, un misto di orgoglio nazionale e fatalismo: su tutto trionfa la consapevolezza che Cuba è l’unico paese al mondo che dice agli “Estados Unidos” quanto essi sono “fiji de puta”.
Mi ha provocato un attacco di sonno tale che stavo per addormentarmi sulla sedia di fronte a lui, ma è stato altamente istruttivo: il loro sistema, almeno a parole, è ottimo, e consente alla popolazione di avere istruzione gratuita anche all’Università, servizio sanitario eccellente, nessuna disoccupazione (“chi non lavora è chi non chiede di lavorare”).
Cuba è un “mosquito con i cojones da elefante”. Lui ha 47 anni, ne ha visti di cambiamenti e di miglioramenti nella sua vita. Il partito unico? Certo, mica si può far succedere quello che è successo in Nicaragua dove Ortega, una volta eletto, ha accettato la competizione elettorale in cui è stato battuto grazie ai soldi messi in campo dagli americani. I diritti umani a Cuba sono rispettati non meno e forse più che altrove. Giustamente osserva che spesso non vengono rispettati anche in Italia, ma a causa della disinformazione voluta dagli Stati Uniti pare che tutto il marcio del mondo sia concentrato qui: in realtà c’è un unico partito perchè è il popolo che lo vuole, grazie ad uno spiccato senso sociale e ad un amor patrio che fanno sì che non esistano inefficienza e corruzione (tu guarda che lezione ci dobbiamo prendere quaggiù!). Qui ci sono 200 leggi (contro le nostre 150.000), e vengono fatte rispettare: però! Ci racconta di un terrorista salvadoreno al soldo degli Stati Uniti che, un paio di anni fa, si è messo a piazzare bombe per l’isola fino a quando a l’Avana non ci è morto un turista italiano ed una bomba, piazzata nella Bodeguita del medio (storico locale della capitale), è stata fortunosamente attutita da un frigorifero che ci era stato involontariamente messo sopra. Alla settima lo hanno preso e fucilato. Sarebbe bello, ho pensato, farci un film su una storia così! È vero che al tempo della rivoluzione tutto ciò che era inglese era vietato così che, per esempio, quelli della sua generazione non hanno potuto imparare l’inglese ma non poteva essere diversamente, c’era la guerra.
La povertà è data dal fatto di essere da una parte soggetti all’embargo decretato dagli Stati Uniti, e dall’altra carenti di materie prime e tecnologia (insomma, si arrangiano con quello che hanno). Carlos prevede però che tra qualche anno, grazie anche ai soldi – tanti – che entrano con il turismo, Cuba si riprenderà da una situazione che è peggiorata solo con la fine degli aiuti da parte dellUnione Sovietica: secondo lui Cuba sta imparando finalmente a farcela senza l’aiuto di nessuno.
Dal 91/92, quando sono cessati gli aiuti dell’ex URSS, per la prima volta Cuba ha dovuto e potuto iniziare a muovere da sola i propri passi (prima sotto gli americani e ancora prima gli spagnoli). È così che la monocultura della canna da zucchero è stata lentamente sostituita, e che finalmente il turismo ha avuto la spinta necessaria Certo, ci dice, se vostra madre in questo momento vi cercasse basterebbe chiamare l’ufficio di immigrazione per sapere in qualsiasi momento dove alloggiamo, ma non c’è paragone con qualche anno fa, quando non sarebbe neanche stato possibile immaginare due stranieri, con una macchina in affitto, che chiaccheravano con lui sul patio di casa sua.
C’è un 30% di cose che non gli vanno bene ma per il resto è contento; è stato anche due anni in Angola ad aiutare la popolazione ed era un macello spiegare in portoghese, che non conosceva lui, o in spagnolo che i suoi studenti non capivano.
Da giovane è comunque riuscito a ballare i ritmi della sua epoca, ed in effetti nella stanza dove contrattiamo l’acquisto di qualche souvenir, c’è un ritratto di John Lennon. Quando la polizia bussava alle porte delle loro feste si affrettavano a mettere sul giradischi un LP di rock cecoslovacco, preso chissà dove, che, proveniendo da paese socialista, non poteva non passare il controllo di rispetto dell’ortodossia.
Insomma, lui non è comunista, lui si considera un rivoluzionario che spera di qui a dieci anni di poter andare in gondola a Venezia di vedere la Torre Eiffel e Roma.
Beh, che dire, viva Cuba ! PLAYA LARGA 29 APRILE Oggi è giornata di saluti, sono triste e lo scrivo con i dovuti complimenti nell’agenda che ci auguriamo Carlos possa mostrare a tanti altri viaggiatori che verranno a trovare lui e la sua gentilissima signora.
Si parte, destinazione Playa Giron e Playa Larga, dove ci aspetta Nivaldo, amico di Carlos, nonchè le promesse bistecche di coccodrillo.
La strada per Cienfuegos è apparentemente discreta, ma appena comincia a costeggiare il mare ci appare coperta di foglie rosse che non capiamo da dove provengano. Lo strano è che queste foglie scrocchiano stranamente sotto le ruote della Matiz, e ci vuole poco a capire che si tratta di granchi, decine, centinaia di granchi, molti schiacciati, molti che corrono, forse per deporre le uova dall’altro lato della strada: è uno spettacolo inaspettato e incredibile. Purtroppo partecipiamo anche noi ad un inevitabile massacro che più tardi si rivelerà fatale per ben due gomme della nostra vettura che, però, miracolosamente o, forse, cubanamente, riesce a portarci a destinazione.
A un certo punto del trasferimento, su un piccolo sentiero sterrato e deserto al centro di una specie di jungla, ove solo alcuni ceppi ai lati ricordano le poche vittime cubane dell’assalto della Baia dei Porci, incontriamo una tipica automobile cubana.
E’ la classica vettura americana anni ’50, carica di ragazzi. L’autista ci fa segno di rallentare e si ferma davanti a noi, scende con una sigaretta in mano e con cortesia ci chiede se possiamo in qualche modo farlo accendere: è tale lo stupore e la voglia di accontentarlo che, senza nemmeno verificare se la Matiz abbia un accendisigari (ce l’ha!), Ale svuota mezzo zaino per recuperare un accendino. Sono anche le piccole cose che fanno un viaggio.
Sono sempre stato convinto che fare le buone azioni porti sfiga: siamo difatti giunti solo avventurosamente alla Baia dei Porci. Durante il tragitto ho cominciato a sentire crocchiare sotto le gomme: lì per lì ho pensato a foglie secche, ma non essendo la stagione ho guardato meglio ed ho visto qualcosa muoversi sull’asfalto; erano granchi, a centinaia, a migliaia, che attraversavano la strada dal sottobosco verso il mare. Avevo visto questa scena in televisione, ma passarci sopra con la macchina è un’altra cosa: la scena si è ripetuta più volte durante il tragitto, finchè è accaduto l’inverosimile, ovvero due gomme – contemporaneamente – sono state bucate da chele di granchio. A raccontarlo ora viene da ridere, ma a 20 km dal primo centro abitato me la sono vista brutta: ho continuato per un pò con le due gomme bucate, poi ho sostituito quella messa meno peggio ed ho proseguito fino a casa di Nivaldo, tipo raccomandatoci da Carlos ma la cui casa è ben lungi dall’offrire le comodità di Trinidad.
Lo scherzetto dei granchi ci è costato caro: abbiamo trovato un gommista di sabato pomeriggio, ma lo abbiamo pagato più salato che a Roma (30 dollari! Aaaarrgh!).
Sul mare un pò algoso della baia dove ora Ale sta ricevendo in dono delle conchiglie da due piccoli bambini che giocano nell’acqua io sono rintronato da un lancinante motivo locale per di più distorto dal solito stereo di fortuna. Le gomme dovrebbero essere riparate per permetterci di raggiungere l’Avana, dove vogliamo proprio assistere al trionfo del “pueblo” il 1° maggio. Carlos ci ha parlato di più di un milione di orgogliosi cubani, mentre ci regalava l’unghia di uno zoccolo di mucca con una feritoia per inserirci un’immagine del Che di guscio di tartaruga. Troneggerà sulla mia scrivania.
Siamo riusciti quantomeno a ricambiare il dono di Carlos con il vocabolarietto italiano – spagnolo di Ale, e gli abbiamo promesso di mandargli le foto con noi.
Ciao Carlos, “Hasta la victoria siempre!”.
Nivaldo ci accoglie calorosamente, ci promette il coccodrillo per stasera, e questo viaggio sta sempre più acquistando i requisiti dell’indimenticabilità.
Come la fortuna può essere determinante nei viaggi creati giorno per giorno lo penso ora seduto al bancone di Villa Nivaldo. Forse Ale ha ragione, il livello è da film Pasoliniano; siamo fuggiti a Caleta Buena per un paio d’ore, poi il sole si è coperto e abbiamo fatto l’inevitabile errore di tornare.
Bianco, pelato, ultra cinquantenne, pasteggia sull’unico tavolo della casa di Nivaldo con ragazzona non particolarmente fine. Dietro di loro un proto-frigorifero blu, sormontato dal suo stesso rumoroso e puzzolente motore. Ancora musica a palla, in questo preciso momento fortunosamente interrotta (speriamo che duri). La stanza è invasa dalle zanzare, e la paghiamo pure più che da Carlos.
Siamo costretti a tapparci in camera a causa degli sciami di zanzare che infestano la zona (intorno c’è la palude ove sono allevati i coccodrilli): non che nella stanza ce na siano poche, dato che il condizionatore è lì solo per fare rumore, ma sempre meglio di essere esposti agli assalti all’esterno… Cerco di capire se, essendo sabato, ci sia un luogo dove trovare un pò di gente e allontanarci stasera da qui, ma Nivaldo mi risponde che qui un posto simile non c’è, qui è “todo tranquilo”. Bene! Sono le 20,30, ci hanno fatto mangiare alle 18,30 nonostante le nostre richieste per le 20,00. Il coccodrillo, o quello che era, era in effetti buono e non sapeva nè di carne nè di pesce.
Si tenta un blitz fuori dalla stanza: ci accoglie un mare di zanzare e lo stesso Nivaldo, che con aria divertita dice “mosquitos, mosquitos” agitando la sua enorme pancia nel vano tentativo di difendersi. Di corsa in stanza. La notte ci si gioca una scatola di sigari a tresette in camera.
Gianfrancesco ha perso a spizzichino la scatola di legno di sigari Partagas che abbiamo comprato a metà per uno, dopodichè è andato a letto completamente vestito per via delle summenzionate zanzare. Io mi sono limitato a “panarmi” abbondantemente di Autan Extreme, cosa che però non mi ha evitato qualche puntura.
L’AVANA 30 APRILE Già alle 5 ci diamo un primo buongiorno, ed alle 7,30 abbandoniamo questo acquitrino, non prima di aver appreso che la Ford di Nivaldo è del 52, ha un motore Mercedes, il cambio Lada, il differenziale Volkswagen: è “Cubania” ci dice orgoglioso.
Siamo partiti senza fare colazione, sia perchè abbiamo quasi finito i contanti, sia perchè non intendiamo far finire altri dollari nelle tasche di Nivaldo, della cui ospitalità abbiamo già abbastanza. Siamo sull’autopista per l’Avana, c’è di tutto: pedoni che fanno l’autostopo sulla corsia centrale, autoarticolati che si lasciano andare a conversioni ad U, ed avvoltoi che scarnificano la carcassa di qualche cane investito.
Ad un ventina di chilometri dall’Avana siamo riusciti a fare benzina: erano già altri venti chilometri che andavamo prima a 90 all’ora, poi a 60, per paura di restare a secco sull’autostrada, dove i distributori sonno pressochè inesistenti.
Ciudad de la Habana: man mano che ci addentriamo, i palazzi sono meno cadenti e certi viali anche alberati,e dopo avere trovato la sistemazione per la notte (ancora su consiglio di Carlos), eccoci diretti verso la Playa del Este, la più vicina e popolare della città.
All’Avana siamo andati ad alloggiare – solo per questa sera – in una casa consigliataci da Carlos (il quale, a dire il vero, ci aveva consigliato anche Nivaldo… Speriamo bene!): i padroni sembrano ospitali, parlano anche un pò di inglese, e chiedono 30 dollari per la notte e 6 per la cena. Abbiamo pagato in anticipo, e siamo partiti per Playa del Este, che corrisponde alla Ostia locale; se non fosse per il mare di colore diverso, sembrerebbe di essere a Capocotta: è domenica ed è pieno di famiglie.
Come al solito si chiedono informazioni. Ci imbattiamo in Paolo, bolognese palesemsnte godereccio e simpatico, che cerca un taxi per la nostra stessa destinazione, ed al quale diamo un passaggio.
Ora siamo davanti al Tropicoco. Spiaggia affollata, anche di vigilantes, mare niente male e ritmi del Caribe.
Paolo è un appassionato della città, e contiamo di utilizzare le sue dritte nei prossimi giorni. Del resto non va più a Varadero che non è più – testuale – “il troiaio” di una volta: ora la polizia impedisce alle ragazze di fuori di trattenersi in citttà, ed il luogo migliore per fare conoscenze pare essere diventata L’Avana. Ci spiega che qui a Cuba le ragaze a 15,16 anni sono donne, e l’affidabilità che gli avevamo attribuito subisce un crollo verticale.
Comunque, nei cinque minuti trascorsi mentre passeggiavo verso il mare, lui ha già conosciuto una graziosa ragazza di Santiago, sul cui corpo sta pazientemente spalmando l’olio solare e che, secondo le sue precedenti spiegazioni, non dovrebbe essere una “professionista”.
La tipa agganciata da Paolo (carina!) non è ovviamente qui in vacanza, ma il nostro bolognese è un aficionado che da anni gira tutto il Centro e Sud America e che è all’Avana per l’ennesima volta, quindi si sa già come andrà a finire.
E così arriva la sera e la cena a base di pollo e tante chiacchere con Ramon e Alicia, i nostri nuovi ospiti. Lui, simile a Jabba the Hut di Guerre Stellari, scappò a 17 anni in Brasile due mesi prima della caduta di Batista, inseguito dai suoi sgherri.
È molto dispiaciuto che l’attuale successo del turismo ci faccia considerare dai cubani dei portafogli ambulanti e freni la voglia di studiare di tanti ragazzi che non vedono certo adeguatamente remunerati i loro genitori laureati.
Ci racconta delle sue allergie alimentari, ma anche la storia della canchanchara, il cocktali che ho provato a Trinidad. Questo, con il suo forte apporto di energia (è a base di aguardiente, limone, zucchero e miele), veniva dato ai ribelli nella terza definitiva guerra di indipendenza contro la Spagna per combattere più energicamente contro i fucili avversari usando solo, a suo dire, machete ed altre armi bianche.
Dopo cena abbiamo fatto un giro esplorativo fino all’Hotel Sevilla, che ci vedrà residenti nei prossimi (ultimi) giorni. Camminando per strada, quando si passa per strade non ventilate dalla brezza marina, si soffoca dal caldo: l’illuminazione è scarsa e non possiamo godere pienamente della vista di ciò che ci circonda, per cui, considerato che domattina dobbiamo alzarci per andare a consegnare l’auto, prendere possesso della stanza al Sevilla e poi recarci a Plaza de la Revolucion per la manifestazione del primo maggio, torniamo verso casa di Ramon, nostro anfitrione ed instancabile chiaccherone sulla situazione cubana. La nostra prima uscita nell’Avana by night ci mostra, nella zona vecchia, una città che deve essere stata veramente splendida e che sta tentando di tornarci, visti i cantieri e i lavori un pò dappertutto. I grandi palazzi coloniali, ora in massima parte alberghi, brillano di mille luci anche se, per la strada, la penombra dovuta alla cattiva illuminazione continua ad essere una prerogativa delle notti cubane.
1 MAGGIO Ci alziamo assai presto, perchè “esto es el dia”, la molla curiosa che ci ha spinto inizialmente a programmare questo viaggio. Svegli prima dell’alba, colazione, saluti, zaino in spalla e via, verso la macchina che però non c’è più! Non ci siamo capiti, evidentemente, con Ramon quando ci ha detto dove metterla, perchè l’hanno rimossa per la manifestazione.
Al suo posto, nel parcheggio, un evidente punto di transito di centinaia di cubani che si dirigono verso Plaza de la Revolucion.
Lasciamo anche se non molto fiduciosi ad Emma, altro nostro contatto a l’Avana, il compito di iniziare le ricerche della Matiz, e decidiamo comunque di partecipare al raduno. Infatti non ci saranno cortei, ma direttamente una “concentration” nella piazza sotto il maestoso monumento ad uno dei Padri della Patria, Josè Marti.
È qui che assisteremo ad uno spettacolo coreografico, con musica e canzoni ad intervallare gli oratori, degno del finale di un film di Guerre Stellari.
Avete presente le grandi sfilate con tutti felici e sullo sfondo balli e canti? E’ proprio così: in un grande ordine e con estrema compostezza forse più di 400000 cubani agitano le loro bandierine ed ascoltano in silenzio l’inno nazionale. Le sensazioni sono contrastanti, anche se prevalgono quelle positive.
Lo spettacolo è emozionante: tutta questa gente (centinaia di migliaia) ci crede davvero, agita bandierine cubane e “santini” di Elian, e sta lì sotto il sole a sentire i discorsi di vari personaggi.
Poi, guardando verso l’edificio del Ministero dell’Interno su cui si staglia l’immagine del Che ecco che, inconfondibile, vediamo la bandiera dei Comunisti Italiani.
Sotto di essa incontriamo Gianni e Pino (è vero, sono i loro nomi), indomabili pensionati emiliani ormai permanentemente di stanza a Cuba, con i quali si imbastisce subito un rapporto amichevole. Siamo stati i primi ad averli visti ma non gli unici: nell’arco di un’oretta si raduna sotto quella bandiera un bel numero di connazionali, tutti intenti a fotografarsi all’ombra del rosso vessillo.
Questi non sò comunisti così, sò comunisti cosìììì!!!! (Vedi “Un sacco bello” di Verdone…): un mito.
Il buffo è che tutti gli italiani presenti in piazza si concentrano sotto quella che risulta essere l’unica bandiera comunista di tutta la piazza, e alla fine anch’io vengo ripreso con la bandiera rossa in mano (a Roma verrò senz’altro ricattato per questa foto). Conosciamo anche una ragazza di Pomigliano d’Arco (NA), tale Afrodite, anch’essa avvocato, che viaggia da sola (però!): ovvio scambio di indirizzi, con promessa di risentirci qui all’Avana, visto che anche lei sarà in città fino a mercoledì.
Vengo anche quasi costretto ad immortalare un gruppo di invasati lavoratori di una fabbrica di l’Avana, la Dimer, che poi mi danno l’indirizzo chiedendomi di mandargli il ritratto. Lo farò.
Per ultimo alla fine prende la parola Fidel che svolge, finchè lo ascoltiamo, una minuziosa ricostruzione dello stato attuale della vicenda di Elian.
Sono più di 3 ore che stiamo sotto il sole in piazza, ed è tempo di verificare lo stato delle ricerche della nostra macchina, anche perchè oggi è il giorno che dobbiamo restituirla. Non partecipiamo quindi alla marcia sul Malecon, di cui recuperemo le foto sul giornale di domani. Tornati da Emma mentre Fidel Castro sta ancora parlando di Elian, veniamo informati del fatto che la nostra auto è stata portata in una stazione della locale “Polizia del Traffico”.
In poche parole, pare che la Matiz sia stata portata in un fantomatico “punto 0” che, una volta faticosamente raggiunto col taxi in una città mezza bloccata, si rivelerà una falsa pista. Giunti a destinazione (abbastanza lontano, in verità) ci dicono che l’auto loro non ce l’hanno, ma che cercheranno di farci sapere dov’è. Non avendo la targa (si e no ricordo quella della mia Fiesta del ’92) abbiamo dovuto telefonare all’Havanautos (fornendo noi il numero alla Polizia, dato che il loro centralinista non lo trovava: mah!), e alla fine il gentilissimo poliziotto ci dice che la nostra Matiz è stata solo spostata di un centinaio di metri (e siamo andati a cercarla dall’altra parte della città!).
L’occasione ci fa peraltro fare conoscenza con una locale stazione di polizia stradale le cui apparecchiature telefoniche lasciano decisamente a desiderare (risalgono se va bene a 30 anni fa). La simpatia e l’efficienza dei suoi tutori dell’ordine tuttavia ci conquista: uno di loro ha anch’esso una sorella sposata ad un italiano che vive a Milano, etc. Etc., e ci risolve il problema. Questo gentilissimo graduato, al quale ho regalato un pacchetto di gomme per i figli, ci ha chiamato un taxi e gli ha detto dove portarci, raccomandandogli di dire ai poliziotti che bloccavano la zona interessata dalla manifestazione (mezza città) di farci passare, per suo ordine. É quasi impossibile descrivere le scene surreali di questo tassista che, ai vari posti di blocco, diceva che stava trasportando due “compagneros” italiani che erano venuti a Cuba appositamente per il primo maggio e che dovevano recuperare la loro auto rimossa dalla Stradale, il cui comandante di stazione ordinava di concederci il libero transito per la città: ci sentivamo quasi degli ospiti di riguardo, anzichè due pirla che avevano posteggiato nel luogo meno adatto, ovvero dove avrebbe dovuto passare la manifestazione per la liberazione di Elian! Trovata la Matiz siamo andati al Sevilla e l’abbiamo riconsegnata (meno male che non si sono accorti delle condizioni delle ruote, massacrate, e della freccia non funzionante). L’Hotel Sevilla è un gran bel posto in stile moresco – coloniale (mi fa impazzire il disegno delle maioliche nell’atrio, voglio un bagno così!), ove finalmente ci possiamo concedere qualche lusso, ivi compresa RAI International, ove seguiamo le ultime battute del concerto del primo maggio a Tor Vergata, il TG e – finalmente! – una trasmissiona sportiva che ci aggiorna sul campionato di calcio (gran goal di Recoba a Perugia). Ora, dal lussuoso atrio dell’Hotel Sevilla, rinfrancati nello spirito anche dalle prime notizie dall’Italia dopo 10 giorni grazie a Rai International, ci apprestiamo ad organizzare la nostra seconda serata all’Avana.
Quello che è senz’altro emozionante all’Avana è il Malecon al tramonto. La passeggiata sul lungo mare, con i palazzi coloniali ogni tanto interrotti da un orribile grattacielo da paese del patto di Varsavia pare non finire mai.
Incontriamo la connazionale conosciuta alla Plaza de la Revolucion, che determinerà il corso della nostra serata con il coinvolgimento di altri italiani, tutti sul modello del mordi e fuggi destinati o provenienti dalle spiagge di Cayo Largo o Varadero. Tre chilometri percorsi a piedi risulteranno ad ogni modo francamente troppi, il piacere della conversazione scarso, la loro voglia di interessarsi alla città o all’isola inesistente.
Si impone a questo punto una considerazione sugli italiani incontrati finora. Nulla di cui andare orgogliosi, come al solito, ma fortunatamente il nostro tipo di viaggio ha fatto sì da incontrarne pochi, sebbene in buona parte assolutamente privi di fantasia.
Dei veneti da Carlos ho già scritto. L’itinerario delle pistoiesi di Playa Ancon? L’Avana, Trinidad (una giornata), Cayo Largo (una giornata), L’Avana. Paolo di Bologna, che appena ha una settimana libera viene a L’Avana “perchè a Varadero non fanno più entrare ragazze da fuori, per cui sono sempre le stesse che vivono lì”, rimorchia fanciulle che – dato il suo precario aspetto di garssottello con pochi ma lunghi capelli – in Italia non vedrebbe neanche a pagarle oro. Gianni e Pino, comunisti indefessi, sono un caso a parte (quantomeno coerenti e fedeli alla linea). Afrodite di Pomigliano d’Arco, che prometteve bene in quanto viaggiatrice solitaria, alla fine ha rivelato che dopo L’Avana sarebbe andata prima a Cayo Largo e poi a Varadero. La comitiva di questa sera? Una coppia di Salerno (lei magistrato e lui che, nonostante abbia passato l’esame da avvocato, lavora in banca), che è risultata il classico esempio provinciale che si reca a Cba per averne sentito parlare, ma che non si è assolutamente documentata sul luogo e che passa da L’Avana a Varadero e stop; Marco, invece, che lavora per il Comune di Roma (tutela ambiente), non al suo primo viaggio a Cuba in quanto vi era venuto 22 anni fa, ha fatto L’Avana-Cayo Largo-L’Avana.
Possibile che la gente venga qui solo per andare al mare e – al limite – per spendere qualche dollaro in donne? Evidentemente sì, e gli “strani” siamo noi.
2 MAGGIO Dati i segnalati presupposti, ci sganciamo alquanto bruscamente da un improvvido appuntamento preso per la mattinata con la compagnia di ieri sera.
Oggi giro “turistico”. Siamo andati a vedere la Cattedrale (per me che vengo dall’Italia tutte le chiese all’estero non mi sembrano un granchè, salvo forse qualche caso di architettura gotica nel Nord Europa e la Plaza de Las Armas, dove un chitarrista ambulante mi ha fatto fare un giro di accordi sulla sua classica: risultato pessimo, dato che con le corde di naylon litigo più fortemente di quanto già non faccia con quelle di metallo della mia elettrica). Abbiamo poi visitato la Bodeguita del Medio, dove quell’alcoolizzato di Hemingway era solito scolarsi i suoi Mojitos.
Il locale storico della Bodeguita del Medio, dove Papà Hemingway sembra amasse sorseggiare il suo mojito, è veramente un buchetto dove cediamo alla tentazione della foto di rito. La Cattedrale, piuttosto, con i campanili asimmetrici ed una facciata concava, sembra proprio invitare ad entrare anche se l’interno, a mio modo di vedere, non mantiene le promesse. Tocca poi alla Piazza delle Armi con le sue bancarelle di libri usati, l’albergo preferito dall’Autore americano, ed il locale mercatino. Sarà pure la zona più turistica dell’Avana, come dice Ale, ma manifestamente lo merita.
Sulla parete di un palazzo una targa ci avverte che Garibaldi (e chi altri se no) ha dormito qui.
Ci facciamo, tra l’altro, fregare da un vecchietto che ci vende il giornale con le foto del raduno di ieri per un prezzo proporzionalmente spropositato: incominciamo ad essere un pò insofferenti per questa ed altre forme di cialtroneria presenti ad ogni angolo della strada.
Stasera prevediamo di cenare al Barrio Chino, ed io non riesco proprio ad immaginare un comunità cinese in un paese sud americano, eppure dovrebbe risalire ai primi del secolo.
In effetti, per quello che abbiamo visto, non si può proprio parlare di comunità cinese. A parte un’entrata del quartiere segnalata in stile pagoda, le strade povere e sporche su cui affacciano edifici cadenti sono im massima parte occupate da cubani che anche qui, come dapertutto, se di giovane età improvvisano partite di baseball.
Magari qualche insegna di ristorante è pure visibile, ma anche la voglia di rischiare ha un limite e così ritorniamo sui nostri passi.
La scelta è azzeccata perchè, sfruttando la guida di Ale, recuperiamo un sedicente ristorante vietnamita, l’Hanoi, dove mangiamo buoni piatti cubani di pesce ed io provo il Cubalibre, ottimo, riducendo ulteriormente i cocktail che mi mancano.
La serata termina nell’atrio del Sevilla, leggendo e fumando Partagas De Luxe, anche se finiamo per essere molestati anche qui da due cubane ben disposte a tutto che, comunque, presto si arrendono di fronte al nostro totale disinteresse.
Il disinteresse era giustificatissimo dalla gran voglia di relax dopo la scarpinata giornaliera, dagli ottimi sigari, dal fresco ed accogliente atrio del Sevilla e, soprattutto, dal fatto che ero – nel frattempo – impegnato a riflettere su di un commento ad una sura del Corano, basato sulla visione dell’apocalisse nella religione zoroastriana: non mi sembrava il momento adatto per ascoltare profferte di sigari, massaggi od altro, per cui ho ritenuto opportuno informarle che non avevamo bisogno di alcunchè, e tanto meno della loro presenza.
3 MAGGIO Oggi giornata di “fancazzismo” totale. Riteniamo di meritarci un giorno di riposo dopo quasi due settimane nelle quali abbiamo macinato chilometri in macchina e a piedi, per cui optiamo per incrementare un pò l’abbronzatura.
Scartata l’idea di andar per castelli e musei, che non ci pare ne valga la pena, decidiamo di unire le nostre scarse riserve economiche per dedicarci all’ultima giornata di mare a Playa del Este, che raggiungiamo grazie ad un’Oldsmobile di un tassista abusivo. La giornata è ventosa, ma il mare agitato permette di giocare a piacimento tra le sue onde.
Il ritorno ci è garantito dal solito taxi abusivo, rimediato da tal Rigo, molto preoccupato di non aver con sè il documento di identità che gli eviterebbe molti problemi in uno dei frequenti controlli della polizia che anche qui è assai numerosa e lui definisce “la mafia di Cuba”. Davanti all’Hotel Tropicoco riceviamo anche la prima ed unica offerta di stupefacenti da parte di un ragazzo che si affretta a qualificarsi come colombiano di Calì.
La giornata si conclude nuovamente nell’atrio del Sevilla con orchestrina locale, dopo un’ottima cena all’Hanoi, eletto nostro locale all’Avana. Quando saremo famosi tutti passeranno di qui.
Domani si parte e ci siamo ripromessi di spendere gli ultimi, assai pochi dollari per qualche pensiero per gli amici romani.
Il Floridita, l’altro locale amato da Hemingway, lo abbiamo visto solo da fuori ma forse un giorno torneremo per provarlo.
In effetti quest’isola va un bel pò sottopelle, anche se mi sono ripromesso che appena dovessi essere avvicinato dall’ennesima jinetera me ne andrò in stanza e buonanotte.
4 MAGGIO Ultimo giorno a Cuba. Questa mattina, rimasti quanto a disponibilità liquida con i soli soldi per pagare il taxi per l’aeroporto, siamo andati alla Plaza de Las Armas, stando semplicemente seduti su di una panchina a goderci il fresco e a fare due chiacchere con due simpatici chitarristi di strada, uno dei quali era quello già incontrato due giorni fa. Mi sono fatto spiegare come si accorda il “tres cubano”, chitarra locale con tre coppie di corde che formano un’accordatura aperta in re maggiore: ho provato a suonarlo ma con pessimi risultati, tanto per cambiare! Rientrati in albergo abbiamo atteso l’ora della partenza nell’atrio, dopodichè siamo andati all’aeroporto con un taxi non proprio moderno (una Dodge del ’57, sei cilindri in linea ed ammortizzatori putrefatti), guidato dal simpatico Armando.
Lungo la strada, un cartellone con una scritta che ci colpisce: “OGNI GIORNO 200 MILIONI DI BAMBINI DORMONO PER STRADA. NESSUNO DI LORO E’ CUBANO”; forse la cifra è esagerata, però il concetto fa pensare… In aerostazione una brutta sorpresa, che ha causato improperi e maledizioni nei confronti di Paolo di Nouvelles Frontieres, è stata rappresentata dalla notizia che le tasse aeroportuali che avevamo pagato quando abbiamo acqistato il volo riguardavano solo Roma Fiumicno, e non L’Avana Josè Martì; conseguentemente, visto che avevamo fatto i calcoli per arrivare all’aereo quasi senza un dollaro, abbiamo dovuto prendere – tramite carta di credito, e sicuramente a condizioni da rapina a mano armata – altri 40 dollari (20 per uno) per poter lasciare questo posto e tornarcene a casa.
IL RITORNO Sull’aereo abbiamo incontrato le pistoiesi di Playa Ancon, faceti parte di un nutrito gruppo di ritardatari che ha causato, tra il malumore di tutti, una partenza procrastinata di tre ore (e io che ho un appunatamento di lavoro programmato per lo stesso giorno del nostro arrivo…): in qualsiasi altra parte del mondo sarebbero rimasti a terra, ma qui le cose vanno in un altro modo.
Durante il volo approfitto del tempo a disposizione per scrivere, aiutato dalla fresca memoria, alcune considerazioni sulle esperienze di questo viaggio.
SECONDO ME CUBA… L’impressione che ho avuto andando dall’Est all’Ovest dell’isola è stata pari ad un passaggio dal Sud al Nord dell’Italia, fatte le dovute proporzioni. Nell’Est c’è una povertà più evidente, in quanto sono poche le costruzioni architettonicamente apprezzabili, mentre la gran parte delle abitazioni è molto “sgarrupata”, come direbbero a Napoli. Ciò nonostante, fisicamente la popolazione appare in buone condizioni: gli uomini hanno una buona struttura e le donne sono in genere molto belle fino ai 20 anni, dopodichè mostrano un evidente decadimento dovuto ad un eccessivo incremento del “giro coscia” (ovvero diventano delle enormi culone!).
Quanto ai nostri rapporti con loro, non sono stati facilissimi, perchè il 98% di essi tende a rivolgerti la parola solo per scopo di interesse (Paladar? Chicas? Sigari?).
Molte ragazze, come Arianne e Yarissa, fanno il mestiere più antico del mondo, in un modo però meno brutale di quello al quale siamo abituati da noi: l’aggancio ha l’aria di essere un normale rimorchio, si passa del tempo a chiaccherare, si offre da bere o da mangiare, si balla, si finisce – almeno ci hanno riferito… – per fare sesso con la dovuta calma, dopodichè viene lasciato un “regalino”, perchè “ne hanno bisogno, poverine…”. Questo fa sì che sia virtualmente impossibile rimorchiare a Cuba per amicizia ed attrattiva fisica: nonostante ciò, molti italiani finiscono per sposare una cubana.
In altri casi, invece, l’approccio da parte delle ragazze avviene nella più consolidata tradizione puttanesca.
I colloqui avuti con Carlos, Ramon ed Alicia (i nostri anfitrioni) ci hanno permesso di tracciare la figura di un popolo orgoglioso, che per la prima volta nella sua storia si trova a potersi gestire da solo (dopo le colonizzazioni subìte da Spagna, Stati Uniti ed Unione Sovietica). Ovviamente i problemi sono tanti, dati soprattutto dalla carenza di materie prime, ma con il turismo (2.000.000 di visite l’anno) la situazione economica è in netto miglioramento, data l’enorme quantità di dollari che entra nel Paese.
La gente presente in Plaza de la Revolucion appariva sicuramente contenta di festeggiare il primo maggio, ma era composta in maggioranza da persone di una certa età e da bambini: i giovani non erano poi molti. Purtroppo penso che saranno proprio i giovani a “rovinare” la società cubana: non possono essere più motivati a studiare, perchè chi lo ha fatto non raccoglie il frutto (economico) delle proprie fatiche (un medico prende 14 dollari al mese, un professore 18, un avvocato 20 – orrore! – e così via…), mentre al contrario “lavorando” con i turisti si riesce in poco tempo, senza fatica e senza bisogno di crescere culturalmente, a guadagnare molto di più di chi si è specializzato studiando. E quando scopriranno il mercato della droga? Ad ogni modo a Cuba sembra che di fame non si muoia. Da quanto ci hanno detto sull’isola in ospedale ci si cura – bene – gratis, lo studio è pure gratuito a tutti i livelli (e si avanza per merito, non per diritto…), la disoccupazione non esiste, il sistema giudiziario applica le leggi con rapidità ed efficacia.
Carlos giustifica il forte controllo interno con il fatto di essere “in guerra” con gli USA e con la necessità di far rispettare le regole, ma in fondo anche lui se ne lamenta un pò.
Il divieto di recarsi all’estero per i cubani sembra essere relativo, poichè se si viene invitati e se gli si paga il biglietto aereo è possibile uscire – momentaneamente – dal Paese. Sono comunque i giovani a lamentarsi maggiormente per la mancanza di libertà, in quanto non hanno la spinta ideologica che invece caratterizza quelli più avanti negli anni. Riprendendo il discorso sull’architettura, nell’isola Camaguey e Trinidad si distinguono per le vestigia coloniali del centro strico delle città, mentre gli altri agglomerati urbani sono abbastanza anonimi; a L’Avana degli edifici paragonabili ai peggiori “bassi” napoletani convivono accanto ad alberghi moderni. Ad ogni modo, anche se spesso si sentono cattivi odori in presenza di liquami di dubbia provenienza, non si vedono cartacce o rifiuti per terra (e non è poco per chi viene da Roma!): che ci sia un senso sociale più sviluppato del nostro? Lo so che ci vuole poco… *** *** *** LE “DRITTE”… Guida consigliata: assolutamente la Lonely Planet (edita in Italia da Edt).
Cambio in dollari: conviene farlo in Italia, perchè cambiare in loco con carta di credito significa vedersi applicare una commissione di circa 10.000 lire per cambio; ciò non toglie che per molti pagamenti convenga usare la carta di credito per non rimanere in seguito senza contanti; lasciare perdere la valuta locale (peso convertibile = $) perchè tanto si paga tutto in dollari USA.
Prenotazione: dall’Italia prenotare (abbiamo scelto Nouvelles Frontieres) un pacchetto con volo aereo (ottima la Air Europe, aereo nuovissimo e belle hostess…), un pernotto all’arrivo e uno o più pernotti alla partenza; trovare alloggio a Cuba non è mai un problema, se ci si adatta alle case particular (private), e si risparmia notevolmente: il costo dell’albergo è inferiore se prenotato dall’Italia con il pacchetto, ma in questo caso si è vincolati con i tempi ed i luoghi.
Automobile Presa in loco (Havanautos) senza prenotazione, ad un costo che ci è sembrato inferiore a quello proposto da Nouvelles Frontieres; una Daewoo Matiz per 11 giorni ci è costata circa 1.200.000 lire; attenzione ai posti di controllo della polizia stradale per evitare multe (10 $) per eccesso di velocità (il limite si abbassa bruscamente a 40 km/h); sulle strade mancano quasi completamente i cartelli che indicano le direzioni, per cui è meglio chiedere spesso ai pedoni. Strade Autopista a tre corsie, Carretera Central a una, ma molto più pittoresca; attenzione a pedoni, ciclisti, calessi, camion senza frecce; qualità dell’asfalto meglio nella parte ovest dell’isola (quasi a livello delle nostre statali), mentre nell’est occhio alle buche; mai e poi mai viaggiare di notte; la benzina si trova a circa 2.000 lire al litro: è meglio fare il pieno ogni volta che il serbatoio arriva a metà e si trova un distributore.
L’itinerario Abbiamo scelto di sfruttare lo scalo dell’aereo a Santiago, in modo di proseguire da lì verso l’Avana ed evitare quindi di fare avanti e indietro per l’isola, che non è proprio piccola (La Isla Grande…); le tappe sono state: Santiago de Cuba – Baracoa – Holguin – Camaguey – Trinidad – Playa Larga – L’Avana.
*** *** *** Santiago de Cuba Alloggio all’Hotel Casa Granda (prenotato dall’Italia), bello, centrale, in stile coloniale, bella terrazza panoramica, colazione buona ed abbondante; ci si arriva con il taxi dall’aeroporto in circa 10 minuti.
A causa del ritardo di 12 ore dell’aereo abbiamo fatto solo un breve giro a piedi, e la città non ci è sembrata un granchè, anche forse per via del primo impatto: abbiamo trovato la macchina all’Havanautos presso l’Hotel Las Americas (raggiunto in taxi) e ci siamo diretti verso l’Autopista per poi svoltare a destra in direzione Guantanamo (che è uno dei posti più orrendi di Cuba, in pratica un enorme slum), da dove abbiamo proseguito sulla strada che porta a Cajobabo (molto bello il panorama quando si arriva sull’oceano, ma chi guida pensi alle buche!); la strada da Cajobabo a Baracoa è costituita da circa 50 km di tornanti che si arrampicano sulla montagna: faticoso, ma se ce l’ha fatta una Matiz… Baracoa Dopo 236 km percorsi in circa 4 ore, l’alloggio all’Hotel El Castillo, facilmente individuabile perchè domina la cittadina, era doveroso (anche perchè il La Rusa sembra una stamberga): piscina, bel panorama, colazione accettabile; prezzo 40 $ per la stanza e la colazione (il parcheggio non si paga).
Il posto è tranquillo, anche perchè un pò fuori dalle rotte turistiche (non è proprio ricco di bellezze architettoniche): conviene essere lì nel weekend, perchè la gente si riversa in strada a bere, mangiare e ballare e, quindi, divertirsi; il ristorante nel forte La Punta non è affatto male (consigliamo il maiale “ahumado”), mentre per bere qualcosa si può andare al Rumbos nella piazza centrale lungo Antonio Maceo (buona musica dal vivo).
La spiaggia migliore è Playa Maguana, a 20 minuti di macchina in direzione Moa (la strada è sterrata, occhio alle buche!): dei chioschi vicino alla spiaggia possono servire cibo e bevande fresche.
Per arrivare ad Holguin (base per andare alla spiaggia di Guardalavaca) bisona fare i 50 km di sterrato fino a Moa (la strada è allucinante, da percorrere anche a 30 km/h, ma talora offre bei panorami, soprattutto in prossimità di un parco naturale sulla costa), per poi proseguire per altri 172 km su una strada asfaltata (tempo totale quasi 5 ore).
Holguin La città non vale la pena di essere visitata; abbaimo alloggiato al Mirador de Mayabe, un albergo panoramico fuori città (sulla strada per l’aeroporto bisogna svoltare sulla sinistra, ma non c’è nessun cartello, per cui meglio chiedere) con piscina, stanze a bungalow con frigorifero non eccessivamente belle, e ristorante dove in fin dei conti si può cenare (anche perchè l’alternativa è un viaggio al buio in città); costo 42 $ esclusa la colazione, più 1 $ al giorno per il parcheggio (l’impressione non è stata molto positiva nel complesso, anche perchè il personale è stato tutt’altro che cortese, ma gli altri alberghi erano esauriti).
In un’ora di strada buona si arriva alla spiaggia di Guardalavaca, che vale veramente la pena di essere vista: sabbia corallina dai colori rosati, acqua trasparente, alberi che consentono di stare all’ombra, polizia che sorveglia.
Dopo 200 km di Carretera Central, cercando di evitare di entrare dentro Las Tunas (chiedere sempre la strada ai pedoni) si arriva a Camaguey.
Camaguey Alloggio al Gran Hotel, bell’albergo in centro su una strada pedonale, ma abbastanza caro: 44 $ per la stanza, colazione e piscina escluse! La città è bella, in stile coloniale, da vedere assolutamente (la sera è un posto di rara tranquillità) Plaza San Juan de Dios: mangiare al ristorante La Campana de Toledo, proprio sulla piazza (non economicissimo, ma veramente buono); abbiamo provato anche la Pizzeria Ragazza, di fronte al Gran Hotel: non fanno pizza, i panini non sono eccezionali, ma è molto economica e il nostro apparato digerente non ha subito traumi.
Riprendendo la Carretera Central in direzione Ciego de Avila, uscire per Sancti Spiritus e poi girare per Trinidad (in tutto 255 km, molto scorrevoli, da fare anche a 120 km/h!).
Trinidad Imperdibile: cercare assolutamente di alloggiare a casa di Carlos Gomez (Piro Guinart 36 B, primo piano, sulla strada per Cienfuegos), o almeno – se ha le due stanze piene – di andare a mangiare lì (15 $ per la stanza, 8 $ per il pasto, 3 $ per la colazione, 1 $ per il parcheggio custodito).
Carlos, professore di fisica ed astronomia, è un personaggio notevole: ascoltare le sue “dritte”! Trinidad è patrimonio culturale dell’UNESCO, ed offre svariati locali dove passare le serate con musica locale dal vivo.
La spiaggia di Playa Ancon è bella all’altezza del Grill Caribe (ristorante davanti al mare), sulla cui spiaggia si può stare liberamente (1 $ per le sdraio, se le volete), approfittando del posto di ristoro per bibite fresche (il parcheggiatore vorrà 1 $ per la macchina, ma vi laverà i vetri): evitare la spiaggia davanti all’Hotel Ancon, sporca e piena di alghe.
Di fronte all’Hotel Ancon c’è la Marina Cayo Blanco, che organizza gite all’omonima isola (consigliata: portare la maschera da sub!) per 25 $ incluso il pranzo, oppure pesca d’altura.
Proseguendo per la strada verso Cienfuegos (occhio ai granchi che attraversano durante il periodo della riproduzione, pericolo foratura gomme!), passata la città si prosegue poi per Playa Giron (la strada, in genere buona, prevede però un tratto di circa 20 km di rally su un rettilineo di sassi, andare piano è fondamentale), all’inizio della Baia dei Porci (Bahia de Cochinos): a Playa Giron c’è un mare sicuramente migliore di Playa Larga, anche se forse l’alloggio può costare un pò di più. Playa Larga Abbiamo alloggiato da un amico di Carlos, tale Nivaldo: la sua casa non è un granchè, costa 20 $ più cena e colazione (il parcheggio è gratis), il condizionatore fa solo rumore, e si sente la vicinanza della palude (zanzare a milioni!); la sera non c’è nulla da fare perchè il posto è sfigato ed isolato: unico vantaggio è stata la possibilità di gustare la bistecca di coccodrillo (buona, ebbene sì!), ma se si riesce ad alloggiare altrove (vedi Playa Giron) è meglio.
Dalla Baia dei Porci si prende la strada verso l’Autopista per L’Avana (chiedere ai pedoni, come al solito), Autopista che troverete ad un normalissimo incrocio regolato da semaforo: girate a sinistra e tirate dritto, facendo attenzione agli autostoppisti che talvolta sono sdraiati anche sulla seconda corsia! L’Avana La prima notte abbiamo dormito in una casa privata indicataci da Carlos, che ci ha mandato da Emma (Calle 25 n°526, app.To 4), che ci ha mandato al piano di sopra da Ramon e Alicia: casa non male a 30 $, più 6 $ per una cena niente di che, più 3 $ per la colazione (hanno un posto per parcheggiare l’auto, ma fatevici portare personalmente, per non sabgliare.
Ramon e Alicia sono due brave persone, laureate e con figli medici, parlano inglese e non disdegnano di conversare con i loro ospiti.
Le altre notti le abbiamo passate all’Hotel Sevilla, prenotato dall’Italia: albergo di lusso in stile sivigliano, centralissimo, ottima colazione in stupendo ristorante panoramico, piscina (quando ci siamo andati era in riparazione).
Per mangiare all’Avana consigliamo il ristorante Hanoi, tra Calle Brazil e Calle Bernaza (vicino al Campidoglio), gestito da vietnamiti ma con buona cucina locale a prezzi molto economici (10 $ circa a pasto).
La spiaggia dell’Avana è Playa del Este, raggiungibile in auto (25 km) o in taxi (se abusivo, non pagate più di 10 $ a viaggio): arrivate all’altezza dell’Hotel Tropicoco e scegliete il punto che preferite; la sorveglianza della polizia è continua, e permette di fare un bagno lasciando le cose sulla spiaggia (meglio però fare sempre il bagno a turno…).
Una spiaggia che si dice essere molto più bella, poco turistica e con barriera corallina, è Playa Jibacoa, ma è più distante dall’Avana: avendo tempo, dovrebbe valere veramente la pena! Per tornare all’aeroporto un taxi non deve chiedervi più di 15 $.
*** *** *** Raccomandazioni Per strada cercheranno di: a) portarvi in un paladar (ristorante privato), perchè prendono una percentuale; b) vendervi sigari, generalmente rubati in fabbrica; c) offrirvi la compagnia di chicas (fate un pò come vi pare…); d) chiedervi un passaggio (a volte è utile per evitare di fermarsi sempre a chiedere la strada).
In ogni caso, questi personaggi non sono insistenti più di tanto, se dite di no vi lasciano in pace: ricordare sempre che per la polizia locale il turista è sacro, sempre che non sia lui a creare problemi (una canna vuol dire 10.000 $ di multa, lasciare Cuba con il primo aereo, e non poter più tornare perchè dichiarati “persona non gradita!”).
BUON VIAGGIO!!!