Cuba 10

Panorama Cubano
Scritto da: Giovanna Carlot
cuba 10
Partenza il: 26/12/2010
Ritorno il: 03/01/2011
Viaggiatori: 4
Spesa: 2000 €
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NATALE/CAPODANNO 2010/2011 Tour “Panorama Cubano”

Cuba Rientro in Italia dal mio viaggio a Cuba e ho con me un bagaglio in più. Una valigia riempita alla rinfusa con ricordi, immagini, suoni, sensazioni ed infinite emozioni. Ho trascorso poco più di una settimana in terra cubana, meta sognata da tanto tempo.

Dopo il lungo volo fatto per raggiungerla, l’estenuante attesa alla dogana dell’aeroporto de La Habana non ha scalfito l’entusiasmo provato all’arrivo. E’ notte fonda. Il cambio del fuso orario non mi aiuta a prender sonno ed il mattino giunge presto. La camera dell’albergo che mi ospita è con vista mare. Mi aspetto di vedere un meraviglioso e soleggiato panorama caraibico e invece… cielo plumbeo! Grosse e schiumose onde s’infrangono sulla spiaggia e le palme del lungomare si piegano dal forte vento. Vedo lì, fra le immagini di una natura arrabbiata posteggiata lungo il viale che affianca la costa, la vecchia auto americana degli anni cinquanta. E’ una macchia dal vivace e incredibile colore azzurro. Eh sì… sono a Cuba!

In albergo riesco a cambiare gli Euro in “Cuc”. A Cuba circolano due valute: il peso convertibile “Cuc” e il peso nazionale “Cup”. Il primo è per il cambio (1 euro sono circa 1,20 pesos convertibili), il secondo è la moneta interna (1 euro sono circa 0,03 pesos nazionali).

Lunedì 27 dicembre. La prima giornata del tour è dedicata alla visita della casa, ora museo, dello scrittore Ernest Hemingway e alla città de La Habana. Situata su una collina che domina la Città e circondata da un lussureggiante parco, si trova la casa dove visse Hemingway. Qui nacque il suo racconto “Il vecchio e il mare”. Prima dell’accesso al viale, per portare con noi la macchina fotografica, dobbiamo pagare 5 Cuc. Nella bianca dimora non si può entrare. Dalle finestre che danno sul terrazzo che la circonda, si possono ammirare e fotografare gli arredi originali e gli effetti personali dello Scrittore conservati all’interno delle stanze. Il tutto sotto l’attento occhio vigile di numerosi “guardiani”.

La Habana. Custode dell’insenatura che si protrae verso il porto, armata di vecchi cannoni si erge la fortezza del Moro. Dai suoi bastioni la vista, aldilà del canale, della Città. La grande cupola del Capitolio Nazional, la città vecchia vicina al porto e la parte moderna di fronte all’oceano. L’aria fredda mi sferza il viso, mentre una forte mareggiata schiaffeggia la sua costa. La osservo e in me cresce incontenibile la voglia di entrare in Lei. Percorso il tunnel sotto il canale, si apre davanti a noi il Malecòn, il lungomare de La Habana. Sullo sfondo i vecchi palazzi coloniali. Il Paseo, lungo quasi un chilometro, è il luogo dove i cittadini avaneri amano incontrarsi. Trascorro qui, fra la popolazione locale, alcune ore della domenica pomeriggio prima del rientro in Italia. Atmosfera rilassata. Giovani famiglie con bambini passeggiano e ragazzi dal look modaiolo occidentale, seduti sulla banchina, chiacchierano tenendo in mano una lattina di birra “Bucanero”. Il traffico lungo il viale è scarso. Circolano i “cacharos” auto americane degli anni cinquanta, come i sigari ed il rhum sono simbolo di Cuba. Chevrolet, Ford, Plymouth, Buik… Alcune hanno la carrozzeria dagli sfavillanti colori e il paraurti d’acciaio lucidato a specchio altre portano gli inesorabili segni del tempo perdendo a volte, qualche pezzo di motore per strada.

Habana Vieja. E’ ammiccante ed affascinante come una signora che ha conosciuto tempi migliori, la Città Vecchia. Strizza l’occhio ai turisti che percorrono le sue vie bisognose di un “lifting”. Si diffondono lungo la strada le note inconfondibili della salsa, mentre ci avviciniamo all’Habana Club per visitare il Museo del Rhum. Respiro aria retrò entrando nel locale con gli arredi di legno scuro e le “pale” per muovere l’aria al soffitto. Ricordo i vecchi film americani in bianco e nero. Un’orchestrina allieta gli avventori suonando l’inconfondibile musica caraibica. Contagioso è il ritmo delle trascinanti note ed inizio a ballare. Un musicista invitandomi a suonare con loro mi offre un paio di maracas. La visita alla città incomincia da Plaza de S. Francesco. Lasciandomi alle spalle Plaza de la Armas giungo alla Catedral. Passando davanti alla Bodeguita del Medio, tappa d’obbligo per sorseggiare un fresco Moijtio in ricordo di Hemingway, l’itinerario turistico mi conduce verso la Plaza Vieja. In questo quartiere le vie pedonali hanno una buona manutenzione e con l’aiuto dell’UNESCO diverse costruzioni hanno recuperato l’antico splendore. Singolari sentinelle che sorvegliano uno dei portoni che danno sulla calle sono una coppia di pavoni. Incuriosita mi affaccio all’androne. Delimitato da portici e grandi finestre dai vetri colorati l’adiacente silenzioso e ombreggiato patio. Lungo il percorso vocianti ragazzini, con pezzi di legno per mazze e guanti consunti, sono impegnati in partite di baseball, mentre giocatori di domino discutono animatamente seduti a dei vecchi tavolini. La Piazza Vecchia. Circondano la grande piazza rettangolare edifici storici ristrutturati con porticato e balconi dalle grate color pastello ed alcuni caffé all’aperto. Al centro la fontana realizzata in marmo di Carrara. Stride con l’eleganza del luogo l’assordante musica sparata dagli amplificatori posti sopra un palco. Gruppi di giovani ballano al ritmo incalzante dei suoni “tecno”. All’angolo di una calle che da accesso alla piazza una costruzione diroccata in stile liberty, attende di essere restaurata. Palazzo Cueto, negli anni prima della rivoluzione, ospitava un “casino-casinò”. Nella zona altri palazzi barocchi risalenti a fine settecento vivono la stessa sorte. Trasformati in case popolari sono abitati perlopiù da gente povera. Il mio sguardo si perde in occhi puri, ironici a volte furbi di persone dignitose d’aspetto che mi osservano silenziose. Qui la Città alza malvolentieri il sipario per mostrare alla vista del turista la sua tragedia. I colori sbiaditi le conferiscono una triste aria dimessa. Marciapiedi dalle insidiose buche, cornicioni ed intonaci in precario equilibrio. Le spoglie “botegas” statali rappresentano la cattiva situazione economica di Cuba. La “libreta” è la tessera che garantisce al cittadino cubano un minimo di sostentamento pertanto, nell’intera Isola vige l’arte dell’arrangiarsi. Per procurarsi i preziosi “Cuc” o Euro è fiorente il mercato nero.

Attraversato il Centro della Città incrociando l’imponente struttura del Capitolio Nazional, proseguiamo in una visita panoramica dell’Havana Moderna. Il Vedado. Gli edifici di questa parte della Città si rifanno all’architettura moderna americana degli anni quaranta/cinquanta. Non mancano, infatti, i grattacieli. I quartieri sono separati dalle “rampe” che arrivano al Malecòn affacciato sull’Atlantico. La forte mareggiata porta le alte onde oltre la banchina e la via del lungomare adiacente è allagata e chiusa al traffico. Monumentali ficus benjamin e quelle che erano eleganti dimore, ai lati dei lunghi viali che conducono verso la Plaza de la Revoluciòn Josè Martì. Sovrasta la piazza l’imponente torre stellata del Memoriale Martì. Alla base, il Museo e la statua di marmo bianco dedicati al fondatore del Partito Rivoluzionario Cubano, Josè Julian Martì Pèrez. I volti stilizzati dei due grandi eroi della rivoluzione, il Che Guevara e Camillo Cienfuegos, risaltano alle pareti di due alti edifici. Noto parcheggiati o in transito bizzarri veicoli gialli. Sono i coco-taxi, forma ovale, metà moto e metà auto, a tre ruote e a tre posti compreso il conducente. La loro simpatica presenza alleggerisce l’austerità del luogo. Un cielo dall’azzurro abbagliante ed un’aria fresca ci accompagnano il giorno successivo verso la Valle de Vinales. L’autostrada dissestata che percorriamo fa sobbalzare quasi incessantemente il pullman di fabbricazione cinese ed il viaggio non è dei più tranquilli. Lungo il ciglio dell’importante arteria frotte di persone attendono un passaggio facendo l’autostop. Scopro essere il mezzo più usato dai cubani per spostarsi qualsiasi sia la meta o lo scopo del viaggio. Protagonista della natura che ci circonda c’è, quella che è considerata la pianta nazionale, l’altissima palma reale. Giungiamo nella zona della coltivazione del tabacco. La stagione ci permette di vedere le numerose piantagioni ancora con il fogliame da raccogliere. Le vellutate foglie sono la materia prima per la fabbricazione dei famosi sigari. Lasciamo l’autostrada per imboccare il tragitto che ci porterà a destinazione. Piccole e colorate sono le dimore dei contadini che lavorano queste terre. Il tetto dalle tegole rosse è a due spioventi. Una delle due falde forma il portico e sotto scorgo l’immancabile sedia a dondolo. Dal pullman colgo le immagini che mi portano alla quotidianità del luogo. Contadini intenti al lavoro di piccoli appezzamenti con aratri trainati da buoi. Orti coltivati, animali da cortile, mucche al pascolo, mentre grandi uccelli neri in voli concentrici scrutano il territorio. Rende difficile e laboriosa la lavorazione dei terreni, una pianta infestante della famiglia delle graminacee. Copre gran parte della campagna il Marabù, un arbusto introdotto nell’isola di Cuba dai conquistadores spagnoli. Sostiamo davanti ad una bancarella dove esperte mani tagliano con un machete dolci e succosi frutti esotici. Ci offrono pezzi d’ananas, noci di cocco e papaya. Una leccornia è la polpa fresca e morbida della noce di cocco spalmata con il miele! La Valle de Vinales. Le Mogotes sono particolari alture calcaree, le loro gobbe si distinguono in questo famoso Parco Nazionale dalla rigogliosa vegetazione. In epoca coloniale nelle loro grotte trovavano rifugio gli schiavi africani che riuscivano a scappare. L’area è stata dichiarata dall’UNESCO riserva mondiale della biosfera. Abbandoniamo la Valle nel tardo pomeriggio. Dal mirador lo sguardo è catturato dalla magia del panorama illuminato dalla luce calda del tramonto.

Mercoledì 29 dicembre. Lasciando l’Havana, il tour prosegue verso Trinidad. Ci soffermiamo a Cienfuegos. D’impronta francese si affaccia sulla Bahia De Jagua la città di Cienfuegos, la “Perla del Sur”. Fondata all’inizio dell’ottocento i suoi palazzi signorili dai colori vivaci mantengono ancora un aspetto decoroso. La simpatica Conchita accompagna il suo canto al pianoforte e ci allieta durante il pranzo presso il Palacio Valle. Singolare edificio, un misto d’architettura moresca con richiami al gotico veneziano. Raggiungiamo percorrendo la strada pedonale Avenida 54 il Parque Central Josè Martì. Piccoli calciatori a piedi scalzi giocano rincorrendo un pallone sgonfiato nel parco antistante il teatro Tomàs Terry. Lo trovo romantico questo piccolo teatro, definito dalla guida, di stile eclettico. La platea a ferro di cavallo dai seggiolini riverniciati, due ordini di palchi di legno e il soffitto affrescato. Sul suo palco si esibì Enrico Caruso.

Trinidad. La terza città più antica di Cuba. Bella e sensuale come una giovane creola. Il suo cuore pulsa di ritmo africano e mi conquista. In ogni dove c’è musica. Mi accompagnano nella sua visita i suonatori dai cappelli di paglia con i loro “Danzon”. Musica dal mattino fino a tarda notte, dove alla “Casa della Trova” ballo sulle note di mambo, chachachà e rumba. La maggioranza degli abitanti discende dagli schiavi africani che lavoravano nelle piantagioni di canna da zucchero. A Trinidad la “Santeria”, mischiata ai riti cattolici, è la religione più praticata e i luoghi di culto si trovano all’interno delle abitazioni. Nelle varie sfumature del verde, azzurro, rosa, giallo sono dipinte le antiche case coloniali. Caratteristiche grate in legno o in ferro proteggono, arrivando quasi a filo strada, le finestre al piano terra. Le imposte aperte mi offrono scorci di vita quotidiana in dimore che hanno mantenuto gli arredi lasciati dai coloni spagnoli dopo la loro fuga. A fine ottocento fu abolita la schiavitù e i grandi “padroni” abbandonarono Trinidad. In salita sono le acciottolate vie che conducono verso la Plaza Mayor e alla chiesa Parrocchiale Mayor de la Santissima Trinidad. Nel Museo Romantico, palazzo coloniale appartenuto alla famiglia Brunet, ho la possibilità di ammirare prezioso vasellame e mobili d’epoca. Alla “Canchanchara”, canticchiando “Guantanamera”, sorseggio l’omonimo e dolce aperitivo, un cocktail a base di rhum, lime e miele. Pernottiamo a Camaguey prima di proseguire il nostro itinerario verso Santiago de Cuba. In mattinata visitiamo la Città. C’incamminiamo per le sue vie raggiungendo piazze e chiese. Nella Plaza de San Juan de Dios davanti alla chiesa mi avvicina un ragazzino. Su un volto mulatto brillano occhi verdi sorridenti e furbi, asserisce che fa raccolta di Euro. Barattiamo un Euro per una moneta da tre pesos (Cup) con il volto del Che. E’ il mattino del 31 dicembre e nella Città sono fervidi i preparativi per i festeggiamenti del capodanno. Vittime sacrificali sono giovani maiali immolati nei cortili interni delle case. Passando accanto alle mura rabbrividisco. Sento le loro grida e il sangue misto ad acqua scorre lungo le condotte di scolo della via. Con un palo che fungerà da spiedo, la carne sarà arrostita su fuochi improvvisati lungo le strade.

Per Santiago. Ci dirigiamo sempre più a sud. Il traffico è inesistente. Dallo stereo del pullman musica caraibica e monitor con relativo video. Si susseguono, oltre il finestrino, le immagini di terreni coltivati a canna da zucchero, piantagioni di banani, bestiame al pascolo e l’immancabile palma reale. Fiancheggiano la strada i villaggi di bohios, casupole dalle pareti di legno e il tetto coperto di fogliame o di lamiera. Il pullman incrociando i binari di diverse ferrovie si ferma, ma il transito del treno è solo una mera chimera per gli abitanti del luogo. In lontananza la catena montuosa della Sierra Maestra. Arriviamo a Santiago con il buio. Siamo tutti pronti per festeggiare il capodanno. Dopo il pantagruelico cenone in albergo, andiamo tutti in piazza. La maestosa Cattedrale spagnola, dalla facciata illuminata, magnanima osserva i suoi concittadini festeggiare. Mancano alcune ore alla mezzanotte. Dalla parte opposta il Municipio dove, dalle sue finestre, il 1° gennaio 1959 Fidel Castro annunciò ai santagheri l’instaurazione del governo rivoluzionario. Doppia ricorrenza per gli abitanti della Città per far baldoria. Ci mischiamo alla folla festante della Plaza de la Catedral. Si beve birra ballando al ritmo dei regueton. Abbandoniamo la contagiosa allegria dei santagheri. Una serata di musica tradizionale cubana ci aspetta alla “Casa della Trova”, la più famosa di Cuba. Il Bolero. Durante lo spettacolo domina la scena il cantante del gruppo musicale. Cambia tonalità di voce, cerca ritmi diversi, riflettono un dramma le parole come “amor” e “corazòn” nominate ripetutamente. La sua interpretazione è enfatizzata da movenze che accompagnano virtuosismi canori intrisi di pathos. Prendono spazio i musicisti della band. Gli strumenti a fiato diffondono note jazz. Si esibisce tra il pubblico il percussionista. Al tocco delle sue abili dita i bongos vibrano sonorità africane. La serata prosegue fra balli e Cuba-libre. A mezzanotte si sentono arrivare dalla piazza i botti dei fuochi d’artificio e noi brindiamo al nuovo anno con il rhum.

Sabato 1° gennaio. Santiago de Cuba, la città ribelle, la prima capitale di Cuba e ora seconda città importante dell’Isola. La giornata è dedicata ad un tour della città. Dal Castillo del Moro lo sguardo si perde nella spettacolare baia. La Caserma Moncada ci rievoca il 26 luglio del 1953, quando un giovane Fidel Castro a capo di una banda di ribelli fallì il suo primo tentativo d’insurrezione. C’è un secondo ritorno nella Plaza de la Catedral o Parque Cespedes. Qui oltre al Municipio, alla Cattedrale e all’Hotel Casa Granda in stile coloniale, c’è l’abitazione più antica dell’Isola, la Casa di Diego Velasquez, primo governatore di Cuba. Rispecchia il mio umore il tempo malinconico che ci accompagna verso l’aeroporto di Santiago la domenica mattina. Piove. Da qui un aereo di fabbricazione russa ci riporta all’Havana dove nella serata c’imbarcheremo sul volo per il rientro in Italia Ho fatto un po’ d’ordine nella valigia. Infinite parole avrei voluto scrivere per rivivere questo viaggio a Cuba. Descrivere ancora Lei, le sue contraddizioni, le sue incontaminate bellezze naturali, la sua gente, che ti chiede con discrezione e un sorriso un “Cuc”, una biro, una saponetta, consapevole che tu turista sei una sua preziosa fonte di vita. Lei mi ha divertito, incantato, affascinato e commosso. Il suo lento vivere mi ha fatto riflettere. Sono tornata al passato con le sue tradizioni. Come lasciarLa se non con una grande nostalgia, con una forte voglia di ritornarci presto, per scoprire le tante altre sue meraviglie ed è probabile che succeda perché, come dicono i cubani: “Un giorno forse chissà…” Giovanna Carlot Un grazie particolare per avermi consigliato questo splendido viaggio e per gli utili suggerimenti ad Anna di Abaco Viaggi.

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