Croazia on the Road 3
CITTADELLA
Un viaggio senza sosta, fino a Dubrovnik, con partenza serale, avrebbe potuto essere fatalmente letale. Quindi la nostra prima tappa è stata, per una sera (e per festeggiare il compleanno di Ciccio!), Cittadella. Piccolo e suggestivo borgo del Veneto, poco a nord di Padova. Cena allegra, tra i frinire dei grilli e delle cicale, con piatti tipici e non: baccalà mantecato (assolutamente un must), sarde in saor (mi perdonino i veneti se lo scrivo male), lumache all’insalata, linguine con granchio di laguna, gamberi, vongole e altre bontà locali… Venete, di mare, più che locali. Ovviamente ad accompagnare il tutto prosecco (che tanto viene bistrattato, per esser poco costoso, ma che sa sempre avere carattere, a modo suo) e Lugana. Nottata di riposo e l’indomani, di buon mattino, alle 6:30 la sveglia suona. Caffè, bello amaro, e via, in macchina. La strada da macinare sarebbe stata davvero tanta. Da previsione, poi veritiera e precisa, circa 10 ore d’auto. Avremmo dovuto affrontare l’Italia, superare Trieste, poi un tratto di Slovenia, e finalmente Croazia. Correre lungo le autostrade fino alla dogana in Bosnia, percorrere una trentina di chilometri in questa nazione, e poi nuovamente dogana per tornare in Croazia e, finalmente, raggiungere Mlini, quindi Dubrovnik.
CITTADELLA-MLINI
Sole algido di una mattina d’Agosto. Con ancora il profumo del caffè nelle narici, l’asfalto ha iniziato a correre fluido sotto le ruote dell’auto. Poche valige: un trolley da cabina a testa, ed uno zainetto con lo stretto indispensabile. Direzione Trieste. L’orario e l’essere nel mezzo della settimana ci hanno garantito l’assenza di traffico per quasi la totalità del percorso, fino al confine. Solo una sosta rapida per comperare un libro, un caffè e una bottiglietta d’acqua. “M” di Sicurati mi avrebbe accompagnato nel viaggio, e anche dopo… La Slovenia si apre subito, con edilizia caratteristica e che subito lascia percepire di non essere più in Italia. Ma passa veloce. L’ingresso in Croazia è quasi impercettibile, le terre di confine son sempre una miscela di generi, stili, culture. Belli, lungo le strade, poi i porcelli al girarrosto, come un richiamo alla porchetta laziale. La strada scorre fluida in Istria, poi vira verso l’entroterra. Boschi, piccoli borghi di montagna, silenzio tutto intorno. La sosta pranzo, per non dilatare i tempi, è stata rapida, in autogrill nel mezzo del nulla. Frugalità? Beh, per quanto possibile, si. Ma di frugale, in Croazia, c’è spesso una specie di salsiccia: il Cevapcici, un mezzo hamburger, una mezza salsiccia all’aglio. Qualche verdura al vapore e un po’ di acqua gasata. Prezzo? Non economico, circa 13 euro a testa. Riprendiamo la strada, con sosta solo per un espresso, per darci la carica. Pagato bene, direi: 2€. L’unico tratto più “lento” è stato l’arrivo alla dogana bosniaca. Prima di raggiungerla, però, mi sento di segnalarlo, il paesaggio cambia: si vira verso il mare, si digrada dai monti, lungo tornanti con panorami mozzafiato. Si costeggia, in lungo, il fiume, con a sinistra le acque scure, e a destra campi e mille cioschetti arrabattati dove verdure e frutta brillano al sole del tramonto. La dogana è formale, pochi controlli e si fila via. Ma il tratto di strada in bosnia regala scene assurde: edilizia selvaggia, caos, una sensazione di confusione e poche regole. Brutta, indubbiamente. Si torna, rapidamente, in Croazia. Torna l’ordine, una certa idea di regole e pulizia. Vigneti intorno, mare, sole arancione: un mix di colori e atmosfere incredibile. Siamo vicini alla meta. Si intravede Dubrovnik in lontananza, prima città vecchia, poi la moderna. E noi filiamo via, a circa 15km dal centro, per raggiungere Mlini. Piccolo borgo a sud di Dubrovnik, direzione Montenegro, dove tra la quiete e la salsedine, decidiamo di soggiornare per tre giorni.
MLINI
Mlini è un borgo di mare, molto curato e molto turistico. Sulle pagine web che presentano la Croazia viene raccontato come suggestivo, ricco di vecchi mulini ad acqua, un centro storico ecc., ma, in realtà, le cose che per prime saltano all’occhio sono gli hotel di lusso, le belle ville, le spiagge libere e pulite, il parco e la pineta, mille localini curati e la quiete assoluta. C’è qualche centro commerciale, negozi e tante attività da poter fare per trascorrere le giornate di vacanza… Ma questa è un’altra storia. Abbiamo avuto la fortuna, o l’acume di cercare attentamente, di alloggiare in una villa bellissima. Ci ha ospitato Mark, offrendoci una casa davvero bella: salotto e cucina, terrazzo, due camere da letto, due bagni, cortile e giardino. A due passi dal mare.
La prima sera, dopo esserci sistemati in casa, una doccia fresca, ci siamo preparati a una passeggiatina serale. A poca distanza dalla casa, nella pineta con affaccio mare, abbiamo cenato in un ristorantino molto carino: lucine dorate, giardino vintage, sorrisi. Piatti tipici della zona, come la Buzara di cozze (in bianco), del pesce e un brodetto con un vino bianco locale. Prezzi? Non economici come si racconta. In quattro, con antipasto e un piatto a testa, circa 40€ a persona.
La notte, trascorsa quieta, ha aperto le porte ad una giornata di relax. Mlini offre spiagge molto belle, libere (ma è possibile noleggiare un lettino con pochi spiccioli) e dotate di cabine per cambiarsi (gratuite!) e docce. Il mare, tiepido, ci ha accompagnati per tutta la mattinata. Senza fretta alcuna, recandoci al supermarket sul lungo mare, abbiamo comperato qualcosa per pranzare e a casa ci siamo rifocillati. L’obiettivo era raggiungere una spiaggia più “selvaggia e suggestiva” nel pomeriggio. Boba, la moglie di Mark, ci ha consigliato di raggiungere un angolo selvaggio, chiamato Pasjaca. Trattasi di una spiaggia raggiungibile soltanto per mezzo di una scala nella montagna a picco sul mare. In fondo, piccola e compatta, c’è la spiaggia. Affaccia a sud ovest, quindi niente tramonto sul mare. Carina, ma affollata, nonostante la fama di location inaccessibile e selvaggia.
L’indomani avremmo puntato a Dubrovnik.
DUBROVNIK
Per me Dubrovnik, altrimenti nota come Ragusa, non sarebbe stata una novità. Avendola vista già due volte, in occasioni e momenti diversi della vita, l’entusiasmo non era poi così tanto. Prima delle considerazioni, però, raccontiamo la giornata. Partiti da Mlini, su consiglio di Mark e Boba, abbiamo optato per un traghetto (non lo è, in realtà, è più una barchetta – taxi-boat) che dal porticciolo del comune dei mulini ci ha condotti, direttamente alle mura di Dubrovnik. 32€ in quattro, giusto prezzo, contando la comodità di non dover far altro che star seduti. Sbarcati, dopo una traversata traquillissima, ammirando la costa spoglia e qualche albergo abbandonato e ancora con i segni della guerra che ha colpito questi territori della Dalmazia, ci siamo trovati catapultati in una città piccola e caotica. Non di quel caos alla Napoli, alla Palermo o alla Milano, ma un caos da parco giochi. Turisti ovunque, odore di fritto, la salsedine mista al cherosene delle barche, acescenza da birra, profumo di donne, profumo di uomini, rumore di voci, bambini, adulti, mille lingue diverse. Ci incamminiamo verso il centro. E’ tanto cambiata da come la ricordavo. Ci ero stato dieci anni prima, ed era un luogo molto, molto, più autentico. I turisti non sono mai mancati, ma erano in quantità adeguata ad un piccolo centro storico. L’autenticità dei locali e negozi era percepibile, adesso, invece, come Firenze, sembra tutto finto. Lungo le strade abbondano i bar, e i negozi di immancabili souvenir, purtroppo inflazionati tantissimo dal fenomeno Game of Thrones. Essendo stato set della serie, quale Approdo del Re, oggi tutto quasi ruota intorno alla serie tv di HBO, rovinando la bellezza del luogo. Abbiamo passeggiato, comunque, da bravi turisti per il centro storico. Ammirandone le architetture antiche, e nei vicoletti silenziosi apprezzando ancora la lentezza della vita. Immancabile, infine, il giro mura. Lungo, sotto il sole, e stancante, ma un must per chi visita la città. Le mura, infatti, che girano interamente intorno al centro storico, sono tenute benissimo e consentono di perdersi con lo sguardo tra tetti, mare e l’isola di Lokrum. Pranzo frugale e rapido in un locale a caso, dopotutto Dubrovnik poco offre di autentico, con delle “bruschette” che avrebbero avuto, forse, nel nome qualcosa di italiano… ma che di italiano non avevano in realtà manco la fantasia. Caffè e via con qualche altro passo da fare per i vicoletti, fino a voler tornare a Mlini per dedicarsi al mare al tramonto. Dubrovnik è carina, ma è come Gardaland ormai. Tutto fa business, tutto fa turismo. Tutto, anche la storia, si perde nell’inseguire il denaro, cancellandosi per lasciar spazio a storie e avventure, tour e aneddoti sulla serie TV. Preferisco ricordare la città di Ragusa, in Dalmazia, come l’ho vista anni ed anni fa.
Dopo una cena tranquilla a Mlini, in un localino vista mare, e dopo un bagno al tramonto nella completa tranquillità del borgo, la notte e le valige ci attendevano per condurci, l’indomani, all’isola di Hvar.
HVAR (Drvenik, traghetto e Starigrad)
Raggiungere l’isola di Hvar, da Dubrovnik, non è complicato. Però richiede tempo e bisogna macinare un po’ di strada. La mattina, dopo una bella colazione con biscotti, caffè greco e succo di frutta, ha preso il via col rombo del motore. Tutto pronto, salutati Mark e Boba, ci siamo rimessi in strada, puntando stavolta a nord. Bisognava superare nuovamente la frontiera con la Bosnia (dove, per nostra fortuna, non abbiamo incontrato traffico) e poi virare verso la costa non appena rientrati in Croazia. Le impressioni, anche al ritorno, di mattina e non al tramonto, non sono state diverse: le due nazioni raccontano modi diversissimi. Abbiamo raggiunto presto (tutto sommato) Drvenik, dove appena giunti al porto (non che la cittadina sia molto più grande del porto!) abbiamo dovuto fare i biglietti per l’imbarco (nostro e dell’auto). Si, avete capito bene. I biglietti sono stati fatti la mattina stessa. La compagnia di navigazione croata non consente di prenotare il posto per il viaggio. Anche con il biglietto fatto da casa, mesi prima, si fa la coda. Chi prima arriva, prima imbarca. Ci siamo messi in fila, e con la fortuna dei dilettanti, per un’auto non siamo saliti sul primo traghetto in partenza (30 posti totali). Quindi quale occasione migliore di una seconda colazione al bar? Tre bomboloni, tre caffè, una spremuta ed un gelato: circa 6€. Qui, stavolta, il prezzo è quello che ci si sarebbe attesi dalla Croazia: economicità!
Ci imbarchiamo, lungo la traversata, in lontananza scorgiamo dei delfini che scivolano allegri tra le onde. Viaggio tranquillo, di circa 40 minuti. E raggiungiamo l’isola di Hvar. All’arrivo, come alla partenza, un microscopico centro abitato ci accoglie. Puntiamo l’auto verso Starigrad, all’altro capo dell’isola e via, con il motore ruggente, ci lanciamo verso le vie di campagna. Una fila interminabile d’auto (si, non hanno uno spazio per chi imbarca) sta ferma lungo la strada, sull’altra corsia, in attesa del proprio turno di imbarco.
STARIGRAD
Un’oretta d’auto, tra curve, olivi, case antiche e disabitate, bar e cartelli ci separa da Starigrad. Mi è parso, per un attimo, di essere in Grecia. Lungo la strada il panorama, prettamente agricolo, regala scorci piacevoli per qualche foto.
Giunti a Starigrad si fa ingresso in una cittadina quasi moderna, ma piccina. E qui, forse, ci sarà la prima piacevole sorpresa della Croazia. Lasciamo l’auto nel cortile della casa, prenotata anch’essa dall’Italia. E’ una villetta dietro il porto, con proprietaria e nostra ospite una donna di Zagabria che non parla inglese, non parla italiano, non capisce spagnolo o francese e non ha idea di come comunicare con noi. Ci dice di parlare con il figlio via Whatsapp, lui ci farà da interprete a distanza. Ottimo. Ci offre della “Duma”, pare si chiami così, un liquore di mele, simile al Calvados, ma fatto in casa. Ringraziamo, ma per evitare spiacevoli inconvenienti non lo beviamo. Usciamo di casa, facciamo due passi nel centro: è carinissimo. Un paese di pescatori. Case in pietra, veneziane azzurre, piccole botteghe, ristorantini, anziani alle porte di casa, profumo di cucina. Ha un sapore vero, e non è l’amaro! Pranziamo in un piccolo bistrot: alici, calamari e buzara di cozze (qui la fanno rossa). Tutto squisito. Il prezzo è di circa 12 euro a testa, più che onesto.
Dopo il pranzo, e qualche passo ancora per la cittadina, puntiamo a una spiaggia da scoprire. Un bagno ristoratore è sempre ben gradito. Non lontano dalla città, manco a farlo a posta, ci sono varie calette selvagge, raggiungibili in barca. Noi ci andiamo a piedi, via bosco. Dopo un breve sentiero pietroso e una finta arrampicata approdiamo nella piccola baia. Alcune signore croate fanno nudismo, altri più in là dormono al sole. Ci accomodiamo, tranquillamente, sotto un albero. Tuffi e nuotate in un’acqua cristallina. Sul fondale cetrioli di mare e ricci in abbondanza, qualche granchio sugli scogli sfugge alla vista. E’ la pace dei sensi. Dopo il tramonto, quando il cielo volge al blu, torniamo a casa per una doccia e vivere Starigrad con la luna in cielo.
Starigrad di sera è viva, colorata, animata. Localini brulicano di gente, e i ristorantini (con prezzi accettabili) offrono menù variegati ed appetitosi. Molto buona, e sempre presente, è la verdura alla dalmata (ricorda, neppure troppo lontanamente, le rape e patate irpine). Abbiamo cenato calamari, gamberi, buzara di cozze (stavolta bianca e col vino) e vino bianco della casa. Sempre 12€ a persona, ma tanto gusto e tanto piacere nel trascorrere una serata meravigliosa sotto le stelle. L’aglio, meglio dirlo, fa da filo conduttore nella cucina della zona.
Dopo una passeggiata, presi un po’ dalla stanchezza, ci siamo fermati a prenotare il passaggio anve per raggiungere Bol (o meglio, il corno d’oro). E via, a letto.
BOL (isola di Brac)
Hvar ci avrebbe accolti ancora per un po’, ma di primo mattino, zaino in spalla e qualche prodotto da panificio in borsa, siamo andati a prendere la barca che ci avrebbe condotti a Bol, sull’isola di Brac. Un’oretta di navigazione, lungo le coste di Hvar e poi lungo quelle dell’isola dirimpettaia. Si approda a Bol città, dove si percepisce già l’aria di un turismo più sviluppato. Negozi curati, bar, lungomare, mille persone che praticano attività d’ogni tipo, una costa ricca di bagni, di barche ormeggiate… di villeggianti non proprio facili da accontentare. Qui, con una passeggiata di una ventina di minuti, si raggiunge il famoso corno d’oro di Bol, una lingua di terra (sabbia di ciottolini) che, si dice, cambia forma con vento e marea. Acqua meravigliosa, si, ma folla come fosse a Rimini, a ferragosto, su una spiaggia libera. Nessun particolare degno di nota, se non il sole spacca pietre e l’acqua azzurra come gli occhi delle valchirie. La mattinata e il pomeriggio trascorrono nell’ozio, pisolini e bagnetti. Poi salto al bar, per un frullato Bio e via a riprendere la barca per far ritorno a Starigrad, dove avremmo fatto le valige presto e dopo una serata per strada, a respirare l’aria del mare, ci saremmo dovuti costringere al sonno per la ripartenza l’indomani, in direzione Spalato.
SPALATO
Nuovamente l’avventura del traghetto da affrontare, ma essendo un diverso porto di partenza la situazione non è stata propriamente rosea come precedentemente narrato. Arrivati in direzione di Hvar porto, la fila, già dalla strada extraurbana, ci attendeva immobile. Due di noi, fermi in auto, e due a caccia del biglietto. Dopo aver camminato per un chilometro buono, abbiamo potuto comperare il biglietto e la colazione (cornetti non malvagi e una focaccia) nell’unico bar nei pressi del porto. Attesa lunga, doppia. Giro al centro commerciale (che non ha nulla a che vedere con i nostri, di centri commerciali) che non ha nulla di interessante e finalmente imbarco.
Il viaggio è lungo. Ore di navigazione in un traghetto più grande di quello passato, e più caotico, con persone buttate alla bell’e meglio. Dormiamo un po’, prendiamo un caffè e finalmente vediamo all’orizzonte la città di Spalato. E’ grande. Si nota fin da subito. Sbarchiamo e ci troviamo catapultati nel traffico. Chiamiamo il nostro ospite, ci attende, frettoloso, sotto l’appartamento. La sua consorte sta per partorire, ma lui ci attende comunque. Un personaggio assurdo. Raggiunga la casa, poco lontana dal centro, parcheggiamo e scarichiamo l’auto. Saliamo, rapidi, in casa e il nostro anfitrione si perde con Ciccio a parlare dello Spalato (la squadra di calcio, di cui io ignoro ogni informazione esistente). La moglie chiama arrabbiata, lui scappa e noi usciamo.
Il centro di Spalato, la primo sguardo, mi ha ricordato Tunisi. Bancarelle, folla, rumori. Architetture romane, greche, un mix di bianchi, senape e gialli. Subito dopo, però, vengo rapito dal campanile, e poi dalla chiesa. Tutto il centro storico, un tempo, era la villa, o il palazzo, di Diocleziano. La vita qui è animata, locali e turisti, insieme, vivono la sera con dinamismo. Localini belli, profumi di cucina, aria di gioia. E’ una città che si dimostra subito incantevole. Passeggiamo perdendoci tra i vicoletti, e poi il lungomare per osservare il tramonto sulle onde e sui campanili. La cena, però, diventa un dramma. Non avendo prenotato, nessun posto disponibile. Ceniamo in un ristorantino dietro casa, un mix croato-messicano. Alla fin dei conti, nonostante l’assenza di climatizzazione e di acqua in frigo, si cena bene, ed anche tanto.
A letto, di corsa e l’indomani l’auto ci avrebbe compagnati a Krka.
KRKA
Il Parco Nazionale di Krka è sito più all’interno di Spalato. Non ci abbiamo impiegato molto a raggiungerlo, ma appena arrivati abbiamo dovuto attendere i nostri nuovi ospiti per capire dove è che avremmo alloggiato. Sono due signori anziani, non parlano inglese, né italiano. Un po’ se la cavano con il tedesco, ma in modo molto maccheronico. Divertente. La casa che ci ospiterà è carina, un villino con orto. Sa d’antico, ma è curata nei dettagli: un po’ anni ’50, un po’ 2020.
La fila per il parco è interminabile, e sono solo le 9 del mattino. Dopo oltre 45 minuti d’attesa, quando avremmo dovuto accedere alle casse noi, l’impiegato annuncia che avrebbe fatto pausa, quindi la fila si sarebbe dovuta scomporre e inserire a coda delle altre. Rivolta generale. Inglesi, italiani, francesi mai così compatti per un’idea. Ci danno i biglietti, che come vedremo sono super costosi per quel che il parco offre.
Ci incamminiamo e notiamo frotte di persone con gonfiabili e salvagenti. Ok, sappiamo che ci si può fare il bagno, nel parco, sotto le cascate… ma sembra un po’ troppo addirittura i gonfiabili. Nessuno vieta loro l’ingresso. Perplessi ci incamminiamo. Il sole batte forte, ogni tanto si trova refrigerio nell’ombra. Seguendo il sentiero camminiamo su passerelle lignee che superano radici e paludi, rovi, trote, carpe, rane, anatre. Tutto molto banale. Qualche punto panoramico sulle cascate e già, da lontano, qualcosa non quadra: cosa è quella massa informe di bagnanti?
La passeggiata prosegue fino alle cascate. E’ caos puro. Bancarelle, salamelle, gente buttata ovunque, sporcizia. L’acqua che in un Parco Naturale si immagina limpida è piena di persone con crema solare.
Passiamo rapidi, decidiamo di andar via dal parco. Una delusione enorme.
Pranziamo a casa, qualcosa di frugale. Doccia dopo la calura della mattina e riposiamo un po’. Puntiamo a vedere Sibenico, dopotutto è li vicino.
SIBENICO
Sibenico è una cittadina costiera. Antica, colonizzata dai veneziani e dagli inglesi. La prima tappa è dedicata al giocatore di basket più famoso della Croazia, Drazen Petrovic. La sua è una storia triste. Campione, giocatore di fama mondiale, un giorno di vacanza sbanda con la sua Golf e muore. A lui è dedicata una statua in periferia. Da qui, poi, puntiamo al centro storico. Parcheggiamo dopo la stazione e a piedi raggiungiamo il lungomare. E’ bianco, pulito e ordinato, quindi decidiamo di andare per i vicoletti sulla destra e inerpicarci verso il castello. La cittadina è antica, assomiglia a Spalato, ma è più piccola. Animata da un turismo meno invadente, ha mille locali carini e qui si trova il ristorante con più stelle Michelin della Croazia.
Dopo aver visitato la chiesa principale, tutta opera di artisti italiani, sorseggiamo un Hugo in centro, in un bar un po hipster. Poi ci perdiamo in una chiesa serbo-ortodossa (se ne trovano di simili anche in italia, in Calabria, nei paesi di lingua arbereshe). Spesa al volo e via a casa, cena in veranda, si gioca a Bang! e poi a letto per ripartire la mattina dopo.
KRK
Alle sette del mattino ci porta le crepe alla nutella, è la signora proprietaria di casa. Ci saluta, ci offre la colazione e noi ricambiamo con mille ringraziamenti. In auto attraversiamo il resto della Croazia per raggiungere Malinska, sull’isola di Krk. Siamo in Istria, ormai. L’Italia è vicina e si sente.
Giungiamo all’ultima delle case in cui avremmo alloggiato. Villa stile hollywood, con giardino e griglia da poter utilizzare. Bene, è quasi ferragosto e vorremmo grigliare. Qui, però, di pesce come in Italia non se ne trova. Solo branzini a volontà, qualche gambero (pessimo) e calamari. Ci accontentiamo e dopo la spesa giriamo un po’ per la cittadina. Carina, ma nulla di veramente notevole di cui far nota. E’ moderna, turistica e piena di italiani e croati.
Ci fermiamo per la serata, a casa, e giochiamo a Bang!, di nuovo. La mattina seguente puntiamo al mare. Una spiaggia a sud ci attira. È a Stara Baska. Ci arriviamo dopo un po’ di strada tortuosa, tra interno e mare. Parcheggiamo sul ciglio della strada, come mille altre autovetture, e scendiamo lungo la scogliera. Spiaggia minuscola. Acqua meravigliosa. Si passa la giornata arrostendosi al sole. In serata, nel giardino, chiacchieriamo e grigliamo. Voglia di relax e riposo alle stelle.
La mattina seguente scendiamo in spiaggia, in paese. Si gioca, si prende il sole, si vive la quiete di Malinska. E’ una località di mare commerciale, semplice, piuttosto economica ma curata. Tra gonfiabili giganti a mare, racchettoni e tuffi trascorriamo una giornata spensierata, riservadoci la serata nella città di Krk prima di dire addio alla Croazia.
Krk è citta di turismo. Piena di gente. Locali, musica a tutto volume, bar, baretti e ristoranti e soliti, infimi, tutti uguali, negozi di souvenir. Penso di odirarli. Ceniamo in un’osteria del posto, pare tipica. Si mangia bene, e tanto, a prezzo onesto. Passeggiamo tra le stradine carine, entriamo in qualche piccola bottega artigiana, ma nulla lascia il segno o colpisce davvero… è tutto pensato per i turisti di massa. Un po’ deludente. Quando ormai si fa tardi, rincasiamo. La partenza è programmata di primo mattino, rischio traffico alle stelle e nessuna voglia di code autostradali interminabili.
DISTILLERIA POLI
Contro ogni aspettativa anche il ritorno è fluido, con pochissime code e di breve intensità. Raggiunto il Veneto, siamo in abbondante anticipo rispetto alle previsioni e la sosta pranzo non è ancora preventivata. Facciamo quindi rotta su Schiavon. Qui, alle distillerie Poli (al museo, in verità) ci fermiamo a sentire profumi e armi d’uva. Compriamo un po’ di nettare e ripartiamo alla volta di Bergamo. La vacanza termina, e lascia una sensazione un po’ strana, almeno a me.
Mi aspettavo terre selvagge, mare bello (e lo è) e tanta natura. Invece ho trovato, in Croazia, più belle le città (Spalato e Sibenico in primis) che la natura. Purtroppo in tutta la nazione esistono speculazioni sui turisti, con “inganni” che disturbano. In ogni dove, ad ogni angolo, in ogni negozio c’è un cash dispender (ATM) simile a quello delle banche, ma di società terze che, se non si presta attenzione, attuano tassi da strozzinaggio per ritirare moneta (Kuna). Bisogna star attenti: andare al bancomat negli istituti bancari (Unicredit, ad esempio) dove la commissione (anche del 20%) non si paga. La cucina è buona, al sud, meno al nord. Alcuni piatti, come la buzara, sono incantevoli, ma deve sempre e comunque piacere l’aglio. Al nord i furbetti, nei locali, ci sono eccome, soprattutto speculando sul cambio euro/kuna. Le strade sono ben tenute e la vacanza, on the road, non pesa (meno che in Corsica, sicuramente). Non tutto costa poco, anzi, a volte è più caro che l’Italia. Però, in fin dei conti, la Croazia mi è piaciuta… seppure in modo diametralmente opposto alle aspettative.