Creta, Cipro, Giordania e Israele
Premessa
Questo GRANDE VIAGGIO (stupendo… è stato un sogno, una gioia, una magia) l’ho fatto a fine ottobre del 2013. Il diario era pronto da un po’ di tempo e se ne stava, non so perché, dimenticato nei file del mio computer. Un po’ per pigrizia e un po’ per mancanza di memoria non l’ho mai messo in ordine e pubblicato, ma adesso è arrivato il momento (ho fatto una fatica doppia perché, non ricordandomi che era già trascritto sul computer, mi ero messo a trascriverlo per la seconda volta dal bloc notes, ripetendo la sgobbata che avevo fatto all’inizio; quando mi sono accorto che stavo scrivendo un doppione era troppo tardi, l’avevo passato dal cartaceo in digitale per il 90%…).
Indice dei contenuti
Questo tour, che tocca quattro Paesi (ad essere pignoli i Paesi sarebbero cinque, contando Cipro Nord), nasce dalla mia esigenza di vedere e di sapere dove sono state e che cosa hanno fatto le civiltà dei nostri antenati. Il Mediterraneo mi ha sempre affascinato, in precedenza ho visitato la Sicilia, la Grecia, la Turchia, l’Egitto, la Spagna, la Corsica, la Sardegna, la Francia, la Toscana, il Lazio, la Campania, le isole Eolie, il Marocco. Con il poker di Creta, Cipro, Giordania e Israele ho portato avanti il mosaico. Quest’anno ho inserito anche la Calabria, regione bellissima, che mi ha dato tante emozioni.
Purtroppo non so quando, e se, riuscirò ad aggiungere la Siria ed il Libano, così pure la Tunisia e la Libia.
Chissà che il prossimo poker non siano proprio queste quattro, allorquando la situazione si sarà normalizzata.
Ho visto anche un po’ di Mondo, ma i posti che mi hanno sempre affascinato sono stati i Paesi affacciati sul Mediterraneo.
Ci mettiamo pure che, nel tempo, le situazioni cambiano. Due anni fa in Israele c’era calma apparente ed il mio viaggio è stato tranquillo. Adesso invece potrei avere qualche timore, ingiustamente, perché il paese e la sua gente sono splendidi.
Ma un viaggiatore non è propriamente un turista, non sta a guardare, non aspetta che vada tutto bene, non segue le raccomandazioni dei mass media, non soffoca le proprie ambizioni, non si accontenta. Fatte le debite eccezioni, perché ci sono alcuni paesi veramente a rischio, del tutto off-limits, un viaggiatore prima di tutto legge, s’informa, ha sete di sapere, viaggia, non si ferma, fosse anche solo stando fermo, perché un viaggio inizia prima di tutto dentro di se.
Una regola è quella di non avere mai troppe aspettative: bisogna saper prendere ed accettare ciò che un viaggio, un’esplorazione, una visita ci possono dare. Occorre sapersi adattare ai luoghi e alle situazioni, è necessario rispettare gli usi ed i costumi dei Popoli che si vanno a visitare.
Lo spirito di adattamento è la conditio sine qua non per godere appieno di tutto ciò che un paese ci può offrire.
In giovinezza mi sono adattato diverse volte nei miei giri, spesso improvvisati, attraverso l’Italia, quando, senza saperlo, testavo le mie qualità di viaggiatore, dormendo dove capitava, anche sulle panchine di una stazione ferroviaria.
In ultimo vorrei dire che per viaggiare non occorrono cifre iperboliche, spesso costa meno che starsene a casa propria. Chi invece vuole essere servito e riverito è il tipico turista-consumatore, a cui sconsiglio la lettura del mio diario.
Ho il maledetto vizio di leggere, non certo romanzi, ma resoconti di viaggi, avventure, avventure disperate, reportage, a volte oltre ogni limite, di persone che ce l’hanno fatta, nonostante tutte le avversità, nonostante il loro destino sembrasse segnato, e nonostante, in altri casi, incombessero le gufate di amici e parenti. Persone dal carattere di acciaio disposte persino a passare in mezzo a territori in guerra o a sfidare le forze della natura pur di portare a termine il proprio progetto (che non sempre è quello di fare un’esplorazione o un’avventura, ma anche di documentare, di aiutare, di portare sostegno a chi ha bisogno).
Questi libri mi danno forza, mi insegnano che nulla è impossibile e che il Mondo va esplorato. Certo, ci sono anche dei rischi da mettere in conto, ma senza un po’ di rischio il viaggio perde il suo fascino. In certi posti, come visitatori, è meglio non avventurarsi, proprio perché il rischio morte è altissimo. Ammiro quelli che nei Paesi in guerra ci devono andare per lavoro o per missione: i giornalisti, i fotografi, i medici e paramedici, e altre figure che hanno il coraggio di convivere con la guerra (tolti ovviamente quei personaggi senza scrupoli che dalle guerre traggono enormi vantaggi).
In merito a questo percorso, che io chiamo “poker d’assi”, ho messo insieme l’isola di Creta della grande civiltà Minoica, ancora adesso ignota, ma culla della grande civiltà Greca e del periodo aureo veneziano; l’isola di Cipro, crocevia di grandi popoli (tra cui anche e soprattutto Venezia, geograficamente appartenente al continente asiatico, ma dal sentimento filo-europeo, contesa fra Turchia e Grecia, e ancora adesso oggetto di disputa, che la vede divisa crudelmente in due parti dal 1974 (è notizia di oggi 23.12.2015 che ci sia stato un incontro tra i leader greco e turco cipriota per trovare un’intesa sul futuro di Cipro, nell’ottica, forse, di una sua riunificazione, anche se gli ostacoli da superare saranno tanti, uno fra tutti: la restituzione dei terreni e delle case ai legittimi proprietari); la Giordania, attraverso cui sono passati tantissimi popoli in diversi periodi (nonostante il suo territorio sia per 2/3 desertico e quindi, in teoria, poco interessante politicamente ed economicamente), per citarne alcuni: Amorriti, Hyksos, Egizi, Edomiti, Moabiti, Ebrei, Ammoniti, Filistei, Assiri, Babilonesi, Dinastia Tolemaica, Seleucidi, Maccabei, Nabatei, Romani, Impero Romano d’Oriente, Bizantini, Sasanidi, Arabi Maomettani, periodo dello scissionismo tra Sciiti e Sunniti, Omayyadi, Abbasidi, Fatimidi, Segulchidi, Crociati, Saladino, Mamelucchi, Ottomani, Inglesi, Rivolta Araba ed infine Indipendenza. Altro?
Bisogna ricordare che nei secoli il territorio dell’attuale Giordania era la porta dei commerci da e verso l’Oriente, della famosa via della seta, che attraversava diversi paesi tra i quali gli attuali Iran, Iraq, Afghanistan, Kazahstan, Turkmenistan, Uzbekistan e Cina (o a sud il Pakistan e l’India). Dal Mediterraneo all’Oriente a dorso di dromedario e viceversa. Si capisce quindi perché tanti popoli mettessero gli occhi addosso a questa ricca e strategica regione del Medio-Oriente.
In ultimo, last but not least, Israele, il grande mistero.
La Storia di questo Paese la conosciamo a grandi linee un po’ tutti, ha dell’incredibile, ma per fare chiarezza andiamo con ordine (cito Wikipedia).
Le Dodici Tribù d’Israele ebbero vita a partire dalla metà del secondo millennio a.C. Il Regno d’Israele fu distrutto nel 722 a.C. Ed il Regno di Giuda fu distrutto nel 587 a.C ad opera degli Assiro Babilonesi. Nabucodonosor deportò la popolazione a Babilonia. Ciro il Grande conquista Babilonia nel 539 a.C. Ed autorizza gli esuli ebrei a tornare in patria. Ma le cose non andarono bene, il Regno di Giuda fu posto sotto protettorati diversi, dai Persiani ai Romani, fino al fallimento della grande rivolta ebraica contro l’Impero Romano, che provocò la massiccia espulsione degli Ebrei dalla loro patria (Diaspora Ebraica). Nel VII secolo d.C. l’Impero Bizantino fu scalzato dagli Arabi che vi portarono nuovi coloni dalle regioni meridionali della Penisola Araba. Dopo il periodo Omayyade l’area decadde in età Abbaside, idem in epoca Tulunide per poi cadere sotto il controllo delle tribù nomadi dei Banu Kalb e dei Banu Klab.
Vennero poi i Crociati, i Fatimidi, gli Ayyubidi e i Mamelucchi, in ultimo gli Ottomani, che rimasero al potere fino alla I^ Guerra Mondiale.
Nell’immediato dopoguerra fu creato in Palestina ed in Transgiordania un mandato della Società delle Nazioni, affidato alla Gran Bretagna, mentre in Siria un altro mandato fu affidato alla Francia.
La popolazione ebraica, che aveva abitato la zona per alcuni secoli ricominciò ad aumentare costantemente dalla fine dell’Ottocento, sulla base di ondate migratorie alimentate dal Sionismo, per arrivare alle 400.000 unità del 1936, causando attriti con la popolazione araba preesistente. La Gran Bretagna pose molte limitazioni all’immigrazione e alla vendita di terreni a ebrei, e respinse le navi cariche di immigranti ebrei in arrivo, proprio alla vigilia della Shoah e all’avvento del Nazismo, che spinsero molti verso questi territori.
Nel 1947 l’Assemblea delle Nazioni Unite approvò la creazione di uno Stato Ebraico sul 56,4% del territorio e di uno Stato Arabo sul 42,8% del rimanente territorio. La città di Gerusalemme ed i suoi dintorni (lo 0,8%) con i luoghi santi alle tre religioni monoteiste sarebbero dovuti diventare una zona separata sotto l’amministrazione dell’ONU.
La Gran Bretagna, visto che considerava la situazione ingestibile, rimise il proprio mandato nel 1948.
Il 14 maggio 1948 venne dichiarata unilateralmente la nascita dello Stato d’Israele, un giorno prima che l’ONU ne sancisse la creazione.
Lo stesso 15 maggio gli eserciti di Egitto, Siria, Libano, Iraq e Transgiordania attaccarono lo Stato d’Israele. Furono fermati e dovettero indietreggiare. La guerra terminò con la sconfitta araba del maggio del 1949 e produsse 711.000 profughi arabo-palestinesi. Analogamente 600.000 profughi ebrei dovettero abbandonare le loro case nei paesi arabi.
In seguito all’armistizio l’Egitto occupò la Striscia di Gaza, la Transgiordania occupò la Cisgiordania, assumendo il nome di Giordania. Israele si annesse la Galialea ed emise la Legge del Ritorno che favorì una nuova ondata migratoria, soprattutto di ebrei sefarditi, provenienti dai paesi arabi.
Nel 1956 scoppiò la Guerra dei Sei Giorni, con la quale Israele con un attacco preventivo sconfisse i paesi confinanti, Egitto, Giordania e Siria conquistando la Cisgiordania con Gerusalemme Est, la Penisola del Sinai, le Alture del Golan, la Striscia di Gaza, la Giudea e la Samaria, estendendosi di molto oltre i confini originari.
Nel 1973 Egitto e Siria attaccarono a sorpresa nel giorno della festività dello Yom Kippur, dando vita alla 4^ Guerra Arabo-Isreliana. Ma dopo un iniziale successo furono ricacciate al di là delle posizioni iniziali.
Nel 1978, con gli accordi di Camp David Israele si impegnava a restituire la Penisola del Sinai, mentre l’Egitto si impegnava al riconoscimento dello Stato Ebraico, facendosi espellere dalla Lega Araba.
Israele proclamò Gerusalemme come propria capitale nel 1949, ma ancora oggi la comunità internazionale non la riconosce come tale, per la famosa questione dei Territori Occupati, ancora irrisolta. Le rappresentanze diplomatiche sono stanziate a Tel Aviv.
Nel 1994 fu siglato un trattato di pace tra Israele e Giordania, tra Re Hussein e Yitzhac Rabin. Pace che dura ancora oggi.
Gli accori di Oslo del 1993 tra Mahmud Abbas e Simon Peres sancirono al creazione dell’Autorità Nazionale Palestinese. La seconda Intifada (2000) ne sancì il fallimento. Nel 2005 Israele si ritirò dalla Strscia di Gaza lasciando il territorio nelle mani delle autorità palestinesi.
Il resto è storia recente e, come vediamo, molti problemi restano ancora irrisolti. Da qualche settimana in Israele è scoppiata una sorta di 3^ intifada, che vede attacchi a sorpresa da parte di singoli arabi contro civili e militari israeliani. Rispetto a prima non si fanno saltare in aria con ordigni esplosivi ma attaccano con pugnali.
Gerusalemme, Yerushalayim, Al Quds, tre nomi per la stessa città, che è santa per le tre grandi religioni monoteiste: Cristianesimo, Ebraismo, Islam.
Gerusalemme è la prova provata che le religioni non uniscono, dividono. Viene da domandarsi chi e per che cosa le ha inventate. Gerusalemme con le sue contraddizioni non morirà mai, così come il suo Mistero rimarrà sempre vivo nei secoli a venire.
Giovedì 16.10.2013: TRASFERIMENTO A BERGAMO
E’ giunto finalmente il giorno della partenza. Atteso, sognato, sospirato, vissuto.
Un viaggio che si sta materializzando e prende forma.
Sono le 15.00. Mi preparo. La valigia è già pronta dal giorno prima, poche cose: due o tre cambi, abiti tecnici che si possono lavare ed asciugare rapidamente. Il bagaglio pesa poco, il minimo indispensabile.
Mi vesto a cipolla, senza appesantirmi, ma col necessario per non prendere freddo.
Alle 15.15 saluto mamma, e ci scappa una lacrimuccia.
Mi dirigo verso la stazione dei treni, che si trova a meno di 100 mt da casa, e attendo l’arrivo dell’Intercity per Milano.
Il viaggio scorre velocemente ed inganno il tempo leggendo il giornale. In Centrale a Milano cerco il treno per Bergamo, gestito dalla Trenord. Ogni volta che scendo in questa stazione mi sembra che le persone siano milioni, come a trovarsi in un grande formicaio. Brulica di gente, chi va e chi viene, chi scende e chi sale, chi parte e chi arriva.
Prendo il Regionale per Bergamo delle 18.00 insieme ad un nugolo di persone, che lo prende d’assalto, occupando ogni carrozza, ogni sedile, ogni posto in piedi.
Arrivato a destinazione mi accoglie una tranquilla cittadina di provincia. Chiedo informazioni ad uno del posto su come arrivare al mio ostello: “Al semaforo prendi a sinistra, prosegui, in prossimità del ristorante giapponese svolta a destra, e poi ancora a destra, e sei arrivato in Via Ghislanzoni”. Bene. Purtroppo per me del ristorante giapponese non c’è traccia, e prima di finire a Putenburgo torno sui miei passi e rifaccio la domanda ad un operatore ecologico. Stavolta va meglio e raggiungo la meta.
Poso la valigia e mi reco nella centrale Via Giovanni XXIII a mangiare un panino ed un pezzo di pizza. Chiudo poi con uno splendido gelato di un locale vicino, che di nome fa Grom, ed usa ingredienti di prima scelta, e si sente.
La notte scorre, ho ancora un episodio di dissenteria, dovuto all’antibiotico che sto prendendo da quattro giorni (caso vuole che mi becco l’influenza proprio all’inizio della settimana della mia partenza…). Ingoio una pillola di Imodium e spero.
Venerdì 17.10.2013: BERGAMO – CHANIA (CRETA)
Sveglia alle 05.00. Prendo il bus che passa nel viale principale alle 05.35. In corriera ho occasione di parlare con tre turisti di Salonicco, una coppia ed una signora, che da Parigi avrebbero dovuto avere la coincidenza a Bergamo per la loro città. Sennonché il loro volo è partito con tre ore di ritardo, per cause tecniche, ed hanno perso l’altro volo. La compagnia di voli low cost non prevede rimborsi né paga l’hotel per la notte passata in attesa dell’altra partenza.
Arrivati all’aeroporto loro corrono a prendere il volo delle 06.45 ed io a farmi due colazioni.
Passo poi controllo al metal detector.
Il volo parte puntualissimo alle 07.15, come tradizione di questa compagnia.
Appena seduto mi addormento. Mi sveglio dopo un po’ e approfitto per aggiornare il mio diario.
Il volo procede tranquillo ed il comandante, pochi minuti prima dell’atterraggio, comunica che avverrà con circa mezz’ora di anticipo. Incredibile.
Mentre sorvoliamo la penisola su cui si trova l’aeroporto noto che l’approccio alla pista non è dei più agevoli…….Una landa pietrosa con monti tutt’intorno, una pista che sembra un francobollo, il mare sembra quasi lambire la pista, il vento che soffia incessante….Ricorda molto l’aeroporto di Genova, solo che quest’ultimo è ancora più piccolo, giusto una striscia sul mare.
L’aereo compie una virata decisa per portarsi in linea con il nastro di asfalto su cui atterrerà e dà il fianco destro al mare. Lo vedo laggiù, ampio, increspato, minaccioso, pronto ad accoglierci se il pilota dovesse commettere anche un piccolo errore. Ma no, non succede. Pericolo scampato. Adesso però c’è la pista, l’aereo scende, balla, è scosso dal vento laterale, scende, pochi secondi e le ruote toccheranno terra. Conto i secondi, mi preparo, spero. Non penso, penso….Ecco che le ruote posteriori toccano terra, poi la ruota anteriore, siamo veloci, si balla che è un piacere, è il momento più delicato. I flap sono tutti abbassati, per porre resistenza aerodinamica, i reattori girano al contrario, per aiutare a fermare la corsa il più rapidamente possibile. L’aereo si stabilizza, rallenta, siamo quasi fermi. Ci prepariamo ad uscire. Tiro un sospiro di sollievo.
Prima di scendere mi intrattengo un attimo col comandante il quale mi conferma che l’atterraggio a Chania è uno dei più difficili in assoluto. Gli faccio i miei complimenti e saluto.
Cerco il noleggiatore dell’auto che mi porterà in giro per l’isola, lo trovo, è un omone simpatico, che mi fornisce una microvettura, una lattina, utile però allo scopo (per informazione: striscia subito la mia carta e blocca 900,00 euro…….per una Matiz tenuta su con i cerotti……).
M’involo verso la città. Mentre guido sudo da matti perché dentro quella scatola di sardine la lamiera fa cuocere l’abitacolo a 100°, un forno! Ho ancora l’antibiotico in corpo e sono a rischio ricaduta.
Mi guardo intorno e, oltre a vedere dei gran sassi e pochissima vegetazione, scorgo molto disordine e sporcizia. Non c’è un piano urbanistico e ognuno costruisce dove e come vuole.
Raggiungo il centro e m’infilo in una viuzza laterale, alla ricerca della mia residenza. Sono sulla strada che costeggia il lungomare, mi fermo, chiedo lumi ad un anziano in bici. Mi risponde in greco e cerco di capire a gesti. Bene. Vado avanti, per una mia disattenzione (guardavo il mare e le bagnanti a destra) manco la svolta a sinistra per Minos Studios e vado oltre.
Dopo poco m’infilo in una viuzza e richiedo, prima di finire chissà dove. Un altro gentile vecchietto si fa carico di accompagnarmi a piedi, e voilà, fatti circa 400 metri eccoci arrivati a destinazione.
Lo ringrazio calorosamente e lo saluto. Alla reception mi danno le chiavi, chiedo di pagare in anticipo e il proprietario mi accompagna con la moto a riprendere l’auto che avevo posteggiato chissà dove. Mi dice che dietro manca la pedana destra, di fare attenzione. Bene. Raggiungiamo l’auto e torniamo agli Studios. Porto i bagagli in camera, che è semplice , bagno “easy”, ma per il prezzo pagato va fin troppo bene. Mi rinfresco ed esco alla scoperta della città.
Percorro il lungomare, su cui si affacciano tanti bei ristorantini e guest house, e dopo circa un km raggiungo il porto vecchio, intorno a cui si sviluppa il bel centro storico, che è zeppo di piccole viuzze, di negozi e di ristoranti. Il cuore pulsante di questa città è qui, i turisti ciondolano disordinatamente guardando le merci esposte, mentre gli avventori dei ristoranti siedono ai tavoli vista mare.
Il porto è di chiare reminiscenze veneziane, bizantine e turche, dopo che fu costruito sui resti della mura greche.
La principale attività, oltre al turismo, è la pesca, e lo dimostrano le tante barche attraccate. Vago per paesello e cerco il posticino che mi ispira di più per il pranzo. Lo trovo vicino alla cattedrale, in un giardino comune, rinfrescato da rampicanti e piante grasse. Divoro, spinto dall’appetito, l’insalatona greca, il tza-tzichi, il mezzo filone di pane e mi scolo la birra media, il tutto per poco meno di 11,00 euro. Rifocillato mi alzo e mi reco a visitare la cattedrale. Il rito è ortodosso, tutt’intorno ci sono icone e arredamento in stile.
Esco e passo da una gelateria dove compro un ottimo cono (un po’ caro: due palline Euro 3,20 ma a Creta è così ovunque).
Ritorno alla camera per riposare a farmi una doccia per riprendermi. La sera arriva che non me ne accorgo e chiedo al gestore dove poter cenare non da turista. Mi indica una posto li nei pressi, in passeggiata. Ci vado subito. E’ una taverna di pesce, che mi ispira ed ha molti clienti.
Il cibo è buono: ordino un’insalata mista (che è abbondante) ed una grigliata di calamari freschi. Tutto ottimo, inclusa la birra locale, Alfa. Chiedo il conto e mi portano una mini panna cotta ed una specie di grappa, molto alcolica. Per digerire faccio due passi fino in centro, dove alcuni locali brulicano di gente. E’ venerdì sera e molti giovani del posto s’incontrano. Giro per le vie, scatto foto notturne, noto alcuni locali con schermo gigante ed avventori italiani, c’è la partita Roma -Napoli, e alla fine del 1° tempo i partenopei sono già sotto di due gol. Sono stanco, rientro al monolocale perché è tardi (qui siamo un’ora avanti rispetto all’Italia).
Mi preparo mentalmente all’indomani, quando leverò le tende per Kissamos, da dove il battello mi porterà alla visita dell’isola di Gravousa e della Laguna di Balos, famose per essere due mete ambite a Creta.
Sabato 18.10.2013: CHANIA – KISSAMOS
Partenza alle 08.15. saluto il proprietario, assai gentile, e prendo la strada costiera in direzione ovest. Dopo un km mi fermo a fare il pieno di benzina, non si sa mai, anche se poi scopro che ci sono benzinai disseminati lungo tutto il percorso. Caos, disordine, case, empori, negozi ovunque, sembra di essere in un grande bazar, non si vede neanche il mare. Sporcizia, case non ultimate, un paesaggio brullo e per nulla invitante. Ad un certo punto incrocio la superstrada e finalmente lo scempio finisce. Si viaggia meglio.
Mi fermo per strada, poco prima di Kissamos, per fare colazione in un bar. Non c’è molto, prendo l’unico bagel ed un tè. Prezzo 2,80. La ragazza al banco è simpatica, rotondetta, ma molto gentile e disponibile. Le chiedo di insegnarmi a contare in greco e mi fa ripetere alcune volte (non ho una gran memoria):
ENA
DUO
TRIA
TESSERA
PENDE
EXI
EPTA
OCTO
ENCA
DECA
ENDECA
DODECA
DA 10 A 19 SI PREMETTE DECA (PER IL 19 PERO’ MI PARE DECA-NESI)
VENTI = ICOSI VENTUNO = ICOSPENA VENTIDUE = ICOSDUO
TRENTA = TRIANDA e così via
Mi fa ripetere tre volte, cerco di distrarla, ma lei insiste e mi becca sempre in castagna. Finalmente il tè finisce e posso svignarmela. Fiuuuuu……..Raggiungo il porto di Kissamos e faccio biglietto. La partenza avverrà entro un’ora quindi ho tutto il tempo di scattare delle foto e di bighellonare in giro per le banchine.
Finalmente si salpa, sono le 10.30. Salgo in posizione sottocoperta perché c’è vento e durante il viaggio non voglio prendere aria.
Si parte, dopo che i mozzi hanno sbloccato la catena dell’ancora. Durante il tragitto enormi spruzzi di acqua salata inondano la prua e le persone che vi sono assiepate. Passiamo davanti a delle isolette, sassi e coste brulle, e si arriva finalmente all’isola di Granviosa. Scendiamo tutti, e tutti insieme saliamo alla fortezza, situata in cima al monte. Sassi, belle vedute, ma solo sassi. Un posto da capre. Il vento mi sferza e mi fa pentire di essermi ammalato, mi arrabbio perché sudo, perché ho il catarro, perché non sono in forma. Insomma, devo espiare le mie colpe proprio durante il mio bel viaggio.
La vista dall’alto è magnifica, e le foto si sprecano, ma io devo scendere alla barca perché l’aria si fa insistente e pericolosa.
Appena salito a bordo pranzo, la tavola è imbandita e, visto che sono solo, scelgo con calma. Gli altri sono tutti fuori, chi a fare il bagno, chi a prendere il sole. Arriva un piccolo gruppo di turiste italiane, che sono salite per il pranzo e stanno trascorrendo un periodo di quindici giorni a Creta (a fare che cosa, su quest’isola di sassi? Non sto bene quindi sto sragionando e vedo tutto nero….). Per loro è il secondo anno su quest’isola, una settimana la prima volta, due settimane la seconda (per me, in questo momento, i miei quattro giorni e mezzo programmati sono fin troppi).
Si riparte, sono stanco, gli altri turisti risalgono tutti insieme e si buttano come cavallette al buffet. La sala si riempie e si sente un gran lavoro di mandibole insieme al tintinnio di posate.
Dopo un po’ arriviamo alla laguna di Balos, ed io, onestamente, anche se il posto merita, non me la sento di scendere per prendermi tutto il vento che soffia incessante e petulante. Purtroppo non sono nelle condizioni di fare un bel tuffo ed un delizioso bagno nelle acque calde della laguna. Dormo sulla panca, non mi riesce di fare altro. Vado a poppa, guardo in lontananza la piccola baia gremita di persone. Ci si arriva a nuoto o con una barchetta. Ci penso, avrei potuto perlomeno andarci, ma due soffi di vento piuttosto forte mi fanno pensare che sia stato meglio così, al fine di risparmiarmi per i prossimi giorni.
Finalmente arrivano gli altri. Il battello si ripopola e la calma viene spezzata dal chiacchiericcio. Sono circa le 16.30 e spero che levino le ancore, non ne posso più.
A poppa ho notato che qualcuno ha pescato una povera e tranquilla aragosta, che adesso giace in un secchio angusto. La sua fine è segnata, e che fine, perché finirà cotta viva in qualche ristorante.
Il catarro non mi abbandona, maledetto.
Leviamo le ancore.
Penso a dove andrò a dormire e dove mi recherò l’indomani, passando per la parte ovest e dirigendomi poi verso Heraklion, alla scoperta delle rovine archeologiche e della civiltà Minoica, di cui vorrei sapere qualcosa di più. In fondo è per questo che sono venuto a Creta (al momento il mio stato d’animo mi dice che due giorni sono più che sufficienti).
Finito l’aggiornamento del diario cerco una bella ragazza che parla greco, dev’essere una guida, le chiedo se mi fa un mini corso di greco. Si chiama Tatiana, di padre cretese e madre russa, una sventola, anche molto gentile.
Le faccio vedere quel che mi ricordo circa i numeri, mi corregge e mi insegna pure qualche espressione. La lascio finire di mangiare il gelato che tiene in mano, vedo un tizio che gironzola intorno nervosamente, intuisco…. ringrazio e saluto.
Torno al mio posto e intavolo una conversazione con una simpatica coppia del Lago di Garda. Parliamo di tante cose, loro gestiscono un agriturismo e lui si occupa anche di erbe, secondo metodi che dice si riconducono alla spagiria (boh?). Ci scambiamo delle dritte su ristorante e alberghi e poi, scesi dalla barca, ci ripromettiamo di rincontrarci il giorno seguente ad Elafonissi.
Salgo in auto e mi dirigo verso ovest. Il sole che tramonta mi va negli occhi e rende difficoltosa la guida. Giunto a Platanos decido di fermarmi per cena presso un ristorante che si affaccia sulla strada, il cui nome è Zaharias, e promette di offrire cucina tradizionale sana, con cibi biologici. I proprietari sono molto gentili si sforzano di parlarmi in italiano. Il menu offre di tutto, anche pesce, ma visto che siamo in campagna mi lascio suggerire un menu di terra. Ordino stufato di capretto, che è ottimo, ma nel sugo ficcano pure delle patate fritte, che appesantiscono di molto un piatto, tutto sommato leggero. Non mi faccio mancare il delizioso tza-tziki, ed una porzione di squisita insalata greca. Mi servono il loro vino, ottimo, molto liquoroso, quasi da meditazione, acqua e pane. Per finire mi lascio tentare da una fetta della loro fresca torta al limone. Devo dire che è deliziosa, sublime, di rara bontà, e la divoro in pochi istanti. Mi offrono extra un piatto di frutta e l’immancabile grappa. Conto onestissimo. Mi faccio consigliare un posto dove dormire, che è Avenue, li vicino. E’ una locanda tutta nuova, appena costruita. Mi danno un mini appartamento con tre letti e angolo cottura. Tutto brilla, è nuovo di pacca e pulitissimo. Pago un prezzo onestissimo e saluto.
Doccia, tv (dopo un film comico fanno vedere uno speciale su Kastellorizo, senza sottotitoli, vado ad intuito e cerco di afferrare seguendo un filo logico).
Non so che ora ho fatto, mi viene sonno e mi addormento.
E’ notte, sono le 03.30 e non riesco a dormire. Continuo a scrivere il diario e concludo il resoconto della giornata precedente.
Ripenso a Tatiana e la immagino qui accanto a me.
Domenica 19.10.13: PLATANOS – HERAKLION
Mi alzo di buon’ora. Doccia. Vado a fare colazione da Zaharias. Mangio della frutta e bevo un bicchiere d’acqua. Rientro in auto e vado a vedere il sito di Falassarna, che dista 5 km. E’ un bel posto, splendide spiagge, una piana coltivata e alle spalle le catene montuose che fanno da anello. Spiagge, baie, insenature, isole, c’è un po’ di tutto. Riprendo l’auto e parto alla volta di Elafonissi, spiaggia incantevole posta sullo spigolo opposto, a sud-ovest dell’isola. Passo di nuovo da Platanos ed imbocco la strada costiera, mi attendono 47 km di curve, discese, salite, tornanti, viste mozzafiato su calette, strapiombi, golfi, insenature, a volte inaccessibili. Sovente greggi di pecore e di capre mi sbarrano la strada, per cui occorre molta cautela, perché il pericolo e spesso dietro ogni curva.
Il paesaggio mi ricorda l’isola d’Elba, pari pari la costa ad ovest. Ogni tanto la strada passa in mezzo a villaggi rurali, dove qualcuno ha pensato bene di migliorare le proprie condizioni di vita trasformando la propria casa in una taverna od in un b&b.
Arrivo ad Elafonissi. Un lungo tratto pianeggiante di circa 7 km mi introduce a questo paradiso. Parcheggio l’auto e mi reco al lido. Davanti ai miei occhi un istmo di sabbia finissima, acqua cristallina, fondali bassi che permettono di raggiungere un’isoletta di sabbia a piedi, con l’acqua che arriva sotto le ginocchia. Scatto delle foto. Vorrei fare il bagno, ma le mie condizioni fisiche non me lo permettono. Sarà per un’altra volta. Risalgo in auto e mi reco al terzo ed ultimo sito della giornata: Paleophora, situato a sud-ovest.
In realtà Elafonissi e Paleophora sono a poca distanza l’una dall’altra, in auto sarebbero circa 5 minuti, ma non c’è strada costiera, solo un sentiero pedonale escursionistico. Quindi occorre ritornare all’interno, salire in alto, e poi ridiscendere. In tutto saranno circa 40 km di strada che passa in mezzo ad uliveti, villaggi rurali e montagne sassose e ventose.
Arrivo a destinazione che sono le 12.30, in perfetta tabella di marcia. Nulla di che, c’è una spiaggia carina, una baia ed un golfo, ma non mi esaltano. Il paesello è disordinato, le case costruite in ordine caotico. Cerco un posto per pranzare. Dalla spiaggia intravvedo, in una via laterale, un ristorante vegetariano. Ci vado. Mi accoglie, senza entusiasmo, la proprietaria, un’inglese seguace di una setta indiana. Sono l’unico avventore e vorrei fuggire. La tipa mi mostra la teca con le preparazioni “veggie”. Non mi ispirano. Chiedo allora un’insalata greca, tza-tziki e, per finire, un’insalata di frutta con yogurt e miele. Mangio con appetito, è tutto buono e preparato al momento. Mi alzo, pago il conto, dopo aver visitato il wc. Un cartello prega di non gettare la carta nel water ma nel secchio accanto. Mi attengo alle indicazioni, ma non comprendo (avranno la pozza biologica?). Esco. Faccio due passi fino alla fortezza e alla zona del porto. Uno schifo, paesaggio squallido da film horror. Nel promontorio, che divide il paese in due, fa bella vista di sé un ecomostro, un palazzo abusivo, rimasto allo stato scheletrico, abbandonato, ma con vista mare incantevole. Desolazione su desolazione. Torno giù al lungomare, risalgo in auto e faccio visita alla parte est del villaggio. Riparto. Mi aspetta un pomeriggio di guida attraverso montagne e strade statali. Purtroppo il cibo mi rimane sullo stomaco, la guida si fa pesante, mi viene sonno. Maledico la mia ingordigia e la figlia dei fiori.
La cipolla cruda, forse non ben masticata, mi rimane sullo stomaco e non vuol saperne di schiodarsi da li. Non sto bene. La strada non finisce più. Raggiungo Chania, ma voglio arrivare a Heraklion, con ancora 130 km da smaltire. Durante il tragitto faccio sosta a Rethimno, nulla di che. Butto via 4 Euro per visitare la fortezza veneziana, una delle tante in quest’isola.
Il mattone è sempre lì, dentro lo stomaco, cammino per le viuzze cercando di distrarmi e di aiutare lo stomaco a stappare lo scarico. Ritorno alla macchina, riprendo l’autostrada e guido di malavoglia per ancora un’ora.
Finalmente raggiungo Heraklion.
Una città caotica, con un grande porto ed un aeroporto molto attivo. Lascio l’auto in una strada semicentrale, in una zona di cintura. Tremila cartelli indicano parcheggi, tutti a pagamento. C’è traffico. Scendo in una via, Via Evans, dove si trovano molti negozi, incrocio una piazza e poi ancora una via principale. La gente si assiepa nei locali per l’aperitivo serale. Faccio caso se vedo qualche hotel, b&b, ma nulla, solo bar, caffè, taverne, lounge bar etc… Chiedo informazioni. Una signora mi indica qualche hotel economico li vicino. Ne scelgo uno situato in una via laterale, Irini Hotel. Mi chiedono 35 Euro per la singola senza colazione, ma con posto auto. Accetto, non ho grandi alternative, dato che è già tardi e vorrei pure riprendere la macchina. La stanza è decente ed il balcone ha vista mare. Il bagno andrebbe ristrutturato, ma va bene così. Esco per riprendere l’auto e portarla al parcheggio dell’albergo. Non è facile orientarsi in quel labirinto di vie, sensi unici, strade pedonali Giro in tondo per dieci minuti, poi prendo deciso la via degli hotel che sale dal porto e la indovino, scorgo la meta, ma devo fare il giro dell’isolato, per via dei sensi unici. Mi faccio dare la chiave del cancello e finalmente parcheggio.
Mi rinfresco ed esco ad esplorare la città. E’ un tipico posto di mare su un colle, da cui si diramano tutti i viali a scendere fino al mare. In quanto a negozi, caffé , bar e ristoranti c’è l’imbarazzo della scelta. Il mio mal di stomaco e la stanchezza del viaggio mi fanno rinunciare alla cena. Mi fermo presso una frullateria per farmi preparare un frullato di mela e banana, per calmare lo stomaco. Intanto la cipolla continua a galleggiare nelle mie budella……
Faccio due passi fino al porto, dove alcun i traghetti attendono di partire.
Gli aerei che decollano dal vicino aeroporto passano proprio sopra il porto marittimo. Bizzarro, ricorda un po’ Genova.
Heraklion è una città caotica, disordinata, ma è sul mare, e come tutte le città di mare ha dei vicoli luridi e disordinati.
Dopo aver camminato lungo l’enorme e infinito molo sono stanco e ritorno in camera. Sono le 22.30, finisco il diario e mi addormento.
Lunedì 21.10.13: HERAKLION – CNOSSO – HERAKLION
Ho dormito bene ed ho riposato altrettanto bene.
Mi reco, dopo la colazione in hotel, al museo archeologico nazionale. Il lunedì però apre alle 13.00. Prendo il bus e mi reco al Palazzo di Cnosso.
All’entrata cerco subito una guida in italiano, che ci sarebbe, ma mancano gli italiani per fare un gruppo di minimo 6/8 persone, da spendere 10 euro a testa. Niente da fare, attendo circa 40 minuti ma i pochi connazionali non ne vogliono sapere della guida. Tutti i gruppi ce l’hanno, tutti pagano l’obolo, gli italiani no (forse perché sappiamo già tutto, siamo troppo furbi….). Allora compro una guida da 6 euro e mi butto nel palazzo.
Una meraviglia, una cosa grandiosa. Pensare che l’abbiano costruito 2000 anni prima di Cristo mi fa sbalordire. La costruzione pare contenesse 16.000 stanze e poggiasse su 20.000 m2. La civiltà Minoica pare fosse molto avanzata, non si sa bene da dove venisse, ma per certo è stata la culla delle civiltà greca. Poi, sparì e non se ne seppe più nulla, così come non si è riusciti ancora a decifrare i loro geroglifici.
Ho fatto una ricerca su Wikipedia e pare che quei popoli venissero dall’Europa e non dal Nord-Africa, né tanto meno dall’Egitto, e neanche dal Medio Oriente. Erano europei, capito?
Tutto quello che si può vedere fu sistemato dall’archeologo inglese Evans, che potè procedere con gli scavi nel 1900, dopo che Creta fu tolta ai turchi e dichiarata indipendente (qualche collega prima di lui tentò di chiedere il permesso di scavare ma i turchi volevano tanti, troppi soldi).
Il toro, i sacerdoti, le sacerdotesse, le ancelle, i giochi di abilità coi tori… reminiscenze scolastiche che si rifanno vive nella mente e che si materializzano davanti ai miei occhi.
Godo, godo smisuratamente di questa visione e gioisco per il fatto di trovarmi lì.
Appagato ed in pace col mondo lascio il sito. Prendo il bus di linea che mi riporta in città. Scendo, mangio dei panini in un bar e mi reco al vicino Museo Archeologico.
Non male, ma di Cnosso c’è ben poco, ciò che c’era da vedere è tutto nel Palazzo. I reperti sono comunque di notevole bellezza: preziosi, gioielli, collane, monili, che al giorno d’oggi farebbero sfigurare qualsiasi orafo.
Finisco il pomeriggio girellando per la città, dopo aver raggiunto la camera ed essermi schiacciato un pisolino.
Nel mio girovagare arrivo ad una piazza in cima al colle e mi spingo fuori dell’area turistica. Trovo subito una chiesetta in cui probabilmente stanno provando i cantici per la messa.
Dei fedeli portano dei pezzi di pane, che lasciano in un cestino all’ingresso. Alcune donne mettono dei rametti con foglie di non so che in tutte le icone. Il prete incensa la chiesa e poi va a rinchiudersi dietro all’altare. Sto in silenzio, rispetto quel momento di concentrazione e misticismo e mi guardo bene dallo scattare fotografie.
Lascio quel luogo di pace e gironzolo per i vialetti situati nei pressi. Scene di vita quotidiana, di un simpatico disordine, che è poi la vita di una qualunque città portuale.
La sera ceno presso una taverna posta di fronte all’ingresso del porto. E’ l’unica sempre piena e che non fa pubblicità. Non ha neanche i buttadentro. Ordino insalata di patate, cozze alla marinara e seppia ai ferri. Una birra Alfa, di produzione nazionale, mi bagna lo stomaco. Tutto buono e leggero. Chiedo il conto. Mi portano la frutta e la grappa, sempre offerti. Faccio notare un piccolo errore nel conto, che viene subito corretto con tante scuse ed una razione extra di grappa.
Per smaltire la cena percorro tutto il molo fino alla fine (2 km), dal quale si possono godere tante belle vedute della città e del porto. Le luci della città allietano quel quadro policromo ed il rumore del mare mi avvolge.
Mi stupisco a vedere che dalle 22.00 decollino tanti aerei, ogni 3 o 4 minuti circa, e mi domando dove vadano, quante persone trasportino e perché siano così frequenti.
Finiti i 4 km di piacevole passeggiata mi ritiro in hotel.
Martedì 22.10.2013: HERAKLION – CHANIA
E’ mattino. Porto i vestiti a farmeli sistemare da una lavanderia espresso situata a 50 mt dall’hotel. Mentre aspetto in camera porto avanti il diario. Sento che questa città mi mancherà, mi è entrata nel sangue. Sarà anche che ho familiarizzato con la ragazza della reception, Nikki, tanto dolce quanto simpatica ed educata. Heraklion mi ricorda tanto Genova, ma anche Venezia. E’ come se mi sentissi a casa. Alle undici vado a ritirare i vestiti. Il titolare mi invita a visitare alcuni paesini, situati nell’entroterra, lungo il percorso verso Chania.
Lascio l’hotel, saluto calorosamente Nikki e salgo sull’auto. Uscire dai labirinti del centro storico è sempre difficile, ma ce la faccio e mi dirigo verso l’autostrada.
Il paesaggio costiero è bello e regala scorsi bellissimi, ma la guida mi disturba, provo fastidio, forse perché non mi piace più guidare, o forse perché l’autostrada non è granché comoda. Non vedo l’ora di raggiungere la destinazione. Finalmente arrivo. Cerco Agi Apostoli, che è una bella località situata 4 km fuori Chania, sulla costa, con tre belle insenature.
Cerco l’hotel Niris, che trovo quasi subito, attendo il proprietario che arriva subito e mi dà le chiavi. L’hotel è tutto nuovo e il prezzo che pago è veramente ridicolo. Incontro la coppia di italiani che mi aveva dato il suggerimento e ci scambiamo qualche parola. Faccio loro il resoconto dei miei ultimi due giorni e ci salutiamo. Su consiglio del titolare, Georges, pranzo li accanto, dove mi faccio portare il moussaki, un’insalata mista ed una coca-cola. E’ tutto buono e, nonostante le patate fritte nella pietanza, pure con besciamella, digerisco tutto perfettamente.
Faccio una camminata fino alle baie e mi piange il cuore a vedere tutti in costume a fare il bagno ed io, invece, l’unico scemo che gira con addosso il pile, la maglietta della salute e la giacca a vento. Sto maledetto raffreddore o cosa diavolo sia non mi vuol lasciare in pace e continua a torturarmi. Se apro la k-way il vento mi gela il sudore, se la chiudo schianto dal caldo… Torno in camera, mi cambio e prendo il bus per il centro. Gironzolo per la zona del centro storico, guardo tutti i particolari che ricordano Venezia, e mi viene un groppo alla gola a sapere che i turchi se ne fossero appropriati dopo la caduta di Venezia. Sono affranto a sapere che i nazisti l’abbiano bombardata durante la 2^ Guerra Mondiale. Scatto ancora qualche foto con le luci della sera e poi vado alla fermata del bus per tornare alla camera.
Mi rinfresco ed esco per andare dall’auto. Prendo direzione Galatas per cenare da Elia, ristorante suggeritomi da Georges. E’ una taverna semplice ma mangio divinamente e spendo pochissimo. Mi sono fatto preparare un’orata alla griglia, un’insalata di pomodori, una tisana di erbe selvatiche, pane e insalata di frutta. Mi offrono anche dei canditi buonissimi e la solita eccellente grappa. Alla tv danno la partita Milan – Barcellona e la gente del posto accorre a vederla. Durante l’intermezzo, sul risultato di 1-1 mi congedo e torno all’hotel. La taverna è di poche pretese ma la gente è cordiale e vera. Non è un posto per turisti, bisogna conoscerlo tramite conoscenze e le opportune indicazioni, ma è genuino e offre uno spaccato di vita greca rurale. Sono persone semplici, per nulla smaliziate, sono cordiali e molto ospitali. Il cibo era ottimo e l’orata era fresca. La proprietaria, Maria, mi ha dato solo due scelte per il pesce fresco: orata o triglie. Il resto era tutta roba congelata.
E’ uno di quei posti, pur se alla buona, che però rimane nel cuore
Mercoledì 23.10.2013: CRETA – CIPRO (PAPHOS)
La mattina lascio la camera alle 09.00 salgo in auto e mi reco verso il porto vecchio di Chania per far colazione. Scelgo un caffè in posizione defilata, tranquilla e soleggiata ma con vista totale sul porto. Sembra un locale alla Hemingway. Mi faccio portare una spremuta di arancia, pane, burro e marmellata e un te di montagna (un infuso ricavato da una pianta selvatica che si trova in tutta Creta). Mi sciolgo, l’atmosfera è poetica, mi godo la vista, che è unica e suggestiva. I tavoli sono tutti pieni, gli altri clienti parlano sottovoce, quasi a non disturbare quel momento di pace e di relax, quasi di meditazione. Ho scelto senz’altro il posto più bello ed il più gettonato, visto che gli altri non sono altrettanto pieni.
Fatta colazione, a malincuore mi tocca alzarmi, do un’ultima occhiata alla città, che saluto, e mi reco alla macchina.
Prendo la direzione dell’aeroporto, e prima di arrivare a destinazione faccio visita ad un monastero poco lontano. Un frate molto discreto e timido presidia l’ingresso. E’ un luogo di pace a armonia. La chiesa è piccola ed un cartello chiede di non usare telecamere né macchine fotografiche.
Scatto alcune foto ai cortili, molto ordinati, con alberi da frutto ovunque, soprattutto agrumi.
Riparto per l’aeroporto, poco lontano, e riconsegno l’utilitaria.
L’addetto sale e constata che è tutto ok. Ma ecco l’imprevisto: il tizio mi dice che i miei 900 euro saranno sbloccati in due giorni, DUE GIORNI? Non è possibile, sono sgomento, a parte i 900 euro per una scatoletta, ma i due secondi per bloccarli al mio ritiro, adesso diventano due giorni per riaverli? Chiamo l’ufficio a Chania e l’addetto mi assicura che ha fatto il fax alla sua banca per lo sblocco del denaro. Fax? Banca? Cazzarola, che alzi le chiappe e chiami quella testa di rapa dell’addetto che ha bloccato la mia carta, al ritiro gli sono bastati due secondi, vero?! Ma porc… devo andare a Cipro, e per l’uso dell’auto dovrò avere a disposizione la carta, ma se tra cauzione e spese non è disponibile, cosa darò in garanzia a Sixt?
Per farla breve: cinque telefonate, e ogni volta garanzia che la banca era stata informata. Allora, Visa, perché non mi fai l’sms con cui mi avvisi dello sblocco? Ma l’sms non arriva, neanche quando giungo a Cipro.
Non bastasse, passato il controllo al metal detector, fatti dovuti controlli della carta d’identità e del documento di viaggio, mentre varco la porta del gate una poliziotta mi insegue e mi chiede di nuovo documento e carta d’imbarco, oltre a “dove sta andando?”. Vorrei rispondere “se non lo ha capito sto entrando al gate dell’imbarco per Paphos, Cipro, non vede?” . Ma mi mordo la lingua e rispondo “Vado a Paphos”. Lei gira e rigira la mia carta (che cosa cerca?) e la fa vedere ad un altro addetto mostrandogli la mia foto. Sarà la barba lunga di una settimana, sarà che ne so, non capisco cosa non le quadri. Le faccio vedere il passaporto, ma mi dice che non le serve. Voleva forse sapere qualcosa di più su di me? In fondo, pensandoci bene, la poliziotta non è malvagia, forse voleva curiosare nella mia intimità (se me lo avesse chiesto mi sarei anche lasciato perquisire da lei). Ok, tutto a posto, abile ed imbarcato.
L’aereo decolla, e nel mentre penso che a Chania ci siano ancora i miei soldi…
Un momento, dimenticavo… l’aereo prima di decollare sta fermo una quarantina di minuti e la cosa mi sembra strana, perché Ryanair non ritarda mai. Il motivo è presto detto: arriva la polizia e viene a prendere in consegna una ragazza, che una mezz’ora prima ha fumato nella toilette dell’aereo.
Morale: arresto, multa di 5000,00 euro, e la radiazione a vita da Ryanair. Accidenti. Partiamo. Il volo procede regolare, e altrettanto bene atterriamo a Paphos, che è l’aeroporto ad ovest di Cipro. Cerco subito la Sixt per sbrigare le formalità per il ritiro della vettura.
Racconto la mia disavventura all’addetto il quale si meraviglia del fatto che mi sia stata chiesta una cauzione così alta per una micro car.
Mi pone due alternative: blocco nella carta di euro 350,00 oppure blocco di solo 58,00 euro per il carburante e pagamento di 9,00 euro al giorno onnicomprensivi + le tasse aeroportuali, per cui non c’è franchigia né patemi vari. Accetto la seconda opzione. Fanno 95,00 euro e sono molto felice.
Prossima volta noleggerò l’auto presso un gruppo grande come SIXT, AVIS, BUDGET, HERTZ o altri, che mi diano più sicurezza (a Creta il broker presso cui ho prenotato l’auto si era appoggiato ad una piccola ditta locale: lasciate perdere le piccole ditte, se succede qualcosa siete alla loro mercé).
Arrivo alla macchina e devo fare i conti con la guida a destra, come in Inghilterra. La cosa non è immediata, anche se non cambia niente, bisogna solo pensare al contrario, ma il viaggio tra l’aeroporto e la città di Paphos non è proprio confortevole. Finché si va sul dritto non succede nulla, ma trovarsi per vie, incroci, rotatorie, viuzze, attraversamenti non è proprio così facile, tanto più se devi trovare la via dell’hotel e sei da tutt’altra parte. Finisco in cima alla collina. Scendo, trovo finalmente la via Thomb of the Kings’ Road, una via lunga e trafficata, su cui si affacciano ristoranti, pub e altri locali. Trovo il Tasmaria. Purtroppo alla reception non sapevano della mia prenotazione, ma ottengo lo stesso la camera, visto anche che l’avevo già pagata. Il prezzo è veramente ridicolo, non mi ricordo se 15 o 20 euro, con colazione inclusa…
E’ un apart-hotel con piscina e lounge bar. La camere è ampia e abbastanza buona, però pulita. Esco e vado a fare cena da San Marino (?) dove ovviamente nessuno parla italiano, e nessuno è di Cipro.
Mangio un’ottima orata ai ferri con contorno di insalata greca, patata alla brace con burro, riso, carote e patate bollite, macedonia senza zucchero. 22 euro.
Faccio due passi alla spiaggia, dove è tutto buio pesto, con larghi spazi di accesso, altrettanto bui.
Torno all’hotel. Mi fermo al bar a bere una specie di sidro. Converso con la barista ed una coppia di inglesi che mi consiglia per il giorno dopo di percorrere la vecchia strada per Limassol, così da vedere la splendida costa cipriota.
Passo la sera scrivendo il diario e sbirciando la partita Real Madrid –Juve (che finirà 2-1) Si fa tardi, sono le 23.00, ho sonno. Mi congedo e vado in camera a dormire.
Giovedì 24.10.2013: PAPHOS – NICOSIA
Mi alzo alle 07.30. Faccio colazione e via per la vecchia strada per Limassol. Uscito dalla cintura urbana di Paphos si aprono tanti bei scenari che la costa cipriota mi offre. Vorrei fare foto ovunque, ma non ho tanto tempo e seleziono i posti. Per esempio il sito detto “luogo di nascita di Afrodite”, una meraviglia per gli occhi e per i sensi. Non molto dopo raggiungo il sito archeologico di Kourion (popolato prima dai Greci, poi dai Romani ed infine dai primi Cristiani) dove mi colpisce una grande casa greca le cui rovine danno uno spaccato di vita dell’antichità, e dove si vede che i greci, ancor prima dei romani, con i loro bagni avessero grande cura del corpo e del loro benessere.
Riprendo la strada e poco dopo scendo alla spiaggia sotto il sito. Un grande cartello ammonisce a non entrare in acqua date le forti correnti sottomarine.
Saluto e continuo. Arrivo a Limassol, che non mi lascia granché: una grande città, un esteso lungomare, spiagge, bagnanti e porto. Riparto. Decido di prendere l’autostrada in direzione Nicosia, così da arrivare per le 13.00/13.30. Rispetto a Creta le autostrade qui sono veramente tali e si viaggia che è un piacere. Il paesaggio è quasi ovunque uguale: rocce, vegetazione rada e bassa, terra. In arrivo a Nicosia vedo la montagna che sta dalla parte nord, su cui campeggia una mega insegna con la bandiera di Cipro Nord e Turchia.
Entro nella città moderna, nella parte greca, ed è tutto un fiorire di nuove costruzioni, grattacieli, uffici, negozi, lusso. Parcheggio col parcometro ad un euro l’ora.
Cerco l’ufficio informazioni turistiche, ma non lo trovo. Mi fermo in locale dove nessuno parla inglese, nessuno è di Cipro, nessuno sa dove è l’ufficio informazioni, e mangio un toast con coca-cola.
Esco, mi dirigo con l’auto verso la stazione dei bus, lascio l’auto in una park custodito adiacente, a 3 euro l’ora (pazzi). Mi sbrigo perciò a trovare l’ufficio in centro storico e anche l’hotel, così da togliere presto l’auto.
Trovo il Rimi Hotel, il primo in cui mi sono fermato, e prendo una singola per 50/notte con colazione e possibilità di fare check-out alle 14.00 del giorno seguente.
Bene, vado a prendere l’auto e la parcheggio un po’ fuori dalla zona centrale, che è tutta a pagamento.
Torno all’hotel, mi rinfresco ed esco subito per raggiungere la via pedonale che porta alla zona turca. Alla frontiera mi danno il visto d’ingresso (basta la carta d’identità). Entro e cambia tutto: rispetto alla parte greca, che pullula di attività e benessere, qui tutto è all’opposto: tranquillo, decadente, vita più calma, prezzi più bassi a volte anche meno della metà, (mi domando se lo scopo della UE sia di far raddoppiare/triplicare i prezzi ovunque….).
Cerco subito un negozio di abbigliamento dove comprare un paio di jeans nuovi, visto che i miei si sono lacerati sotto il cavallo.
Lo trovo, scelgo un paio di jeans di (finta) marca a 20 euro, che mi calzano subito a meraviglia. Saluto e cerco un posto dove cenare. Mi fermo ad una specie di kebab. Chiedo roba non piccante. Mi portano un piattone di riso con farro, un piattone di stufato, insalata, yogurt, un bicchierone di una specie di limonata ghiacciata, pane.
Il conto è ridicolo: 10 euro.
Esco, giro qua e là per tirare le 18.30 allorquando mi recherò al Hammam per bagno turco e massaggio a 20 euro. Arriva l’ora, entro, pago subito i 20 euro e mi sparo il bagno di vapore. Dopo mezz’ora mi raggiunge il massaggiatore che in 25’ mi rimette in sesto. Prima del massaggio mi inzuppa bene con acqua tiepida e mi cosparge con schiuma di sapone, che sulla pelle dà una sensazione di seta. Dopo il massaggio mi rilasso disteso sulla pietra calda di marmo, cospargendomi ogni tanto con secchiate di acqua tiepida.
Esco leggero ed in pace col mondo intero. www.grandturkishhamam.com. Andateci, merita una visita. Esco, mi sparo subito una birra media di 2 euro per recuperare i liquidi.
Appagato ripasso il confine e mi reco all’hotel, dopo aver girovagato per le vie del centro storico, che pullula di giovani.
In hotel tiro tardi su internet a controllare le mail finché non crollo esausto.
Venerdì 25.10.2013: NICOSIA-LARNAKA
In hotel mi hanno accordato il check-in ritardato, così ho tutta la mattina per visitare la città vecchia da ambo le parti. Prima la parte UE, scatto foto, alcune nella zona delle barricate dove campeggiano filo spinato, pannelli divisori, case in rovina, nonché la bandiera greca e cipriota, con tanto di cartello OFF LIMITS – NO PICTURE a ricordare che siamo in zona militare.
Tra le due zone c’è la terra di nessuno (che sarebbe sotto il controllo dell’ONU) i cui tutti gli immobili presenti, disabitati, sono lasciati andare in rovina. Più ci si avvicina la confine più c’è decadenza. Cammino a filo di confine e arrivo davanti ad una chiesa armena che è incuneata tra le due parti, non c’è terra di nessuno, è essa stessa il confine.
Decido di tornare nella via principale e passare dalla parte turca. Cammino lungo il confine e vedo che è tutto decadente, sembra ci sia miseria, la gente vive proprio in quelle case che mi sembrano crollare da un momento all’altro, dà l’idea che nessuno sia interessato a fare manutenzione. D’altronde quel milione di turchi portati a forza dalla Turchia dopo il 1974 non penso si senta come a casa propria. Ma è un’idea mia.
In giro ci sono donne col velo e donne senza velo, gruppetti di bambini giocano per le viuzze. Filo spinato ovunque, polvere, cartelli con scritte in turco, che fanno capire di tenersi alla larga e di non fare foto né riprese filmate.
Parlando con una delle ragazze della reception del mio hotel è emerso che la divisione ha comportato la confisca reciproca dei beni e degli immobili della due etnie. Così la rabbia e l’odio sono cresciuti da ambo le parti, fomentati anche da indottrinamenti scolastici, diretti dai regimi dei due paesi. Quando la Turchia entrerà (semmai vi riuscirà) a far parte della UE sorgeranno tante recriminazioni e dispute legali da ambo le parti, al fine di riottenere quanto precedentemente confiscato. Temo che potranno succedere non solo battaglie legali ma anche vendette personali. Credo che lo stesso mio timore lo abbiano anche i vertici UE, per cui la Turchia, per questo ed altri motivi, difficilmente potrà essere ammessa in Europa.
Eppure prima della divisione la convivenza tra greci ciprioti e turco ciprioti pare fosse pacifica e di lunga data.
Ma vediamo di ricostruire i fatti: nel 1974 la giunta dei Colonnelli invase Cipro per annetterla alla Grecia. La Turchia per tutta risposta,a tutela dei turchi ciprioti, venne alle armi e dopo sanguinose battaglie occupò la parte nord dell’isola tirando una linea di demarcazione che tagliò in due Nicosia e tutto il territorio, annettendo città come Famagosta, ed espellendone tutti gli abitanti, creando 200.000 profughi greci ciprioti, impedendo a loro di portarsi via effetti personali, auto etc… lasciando cadere in rovina gli immobili presenti.
Storie tristi, penso che chi non abbia subito espropriazioni del proprio suolo, della propria identità nazionale e dei propri beni, non possa capire. La Storia parla di soprusi, schiavitù, confische, guerre, genocidi, deportazioni, rivendicazioni, etc….Non finirà mai, in questa Terra non ci sarà mai pace tra i popoli, esisterà sempre lo sfruttamento degli uni a danno degli altri. Troppi interessi, troppe ricchezze che debbono passare di mano, con le buone o con le cattive.
Ogni tot ore i muezzin invitano, dagli altoparlanti delle moschee, alla preghiera. Visito una moschea, che prima dell’occupazione turca era una basilica, intitolata a S.Sofia.
Sono ateo, profondamente ateo, non capisco perché esistano le religioni e perché siano riuscite a condizionare le vite di interi popoli per millenni. Soprattutto quelle monoteiste che, paradossalmente, sono spesso causa di guerre e conflitti.
Ok, lasciamo perdere….
Gironzolando qua e la mi imbatto in un negozio che vende spremute. Mi scolo un ottimo succo di melograno fresco, e un delizioso mix di pompelmi ed arance locali. Tutto per due euro a spremuta, ottime bibite non zuccherate e bombe vitaminiche.
Purtroppo nella parte turca non hanno una gran dimestichezza con l’inglese e non sempre ci si riesce a capire, ma l’euro è ben accetto e ci si intende.
Sono le 12.00 e decido di ritornare in Europa. Passo il confine senza problemi e mi reco all’hotel. Faccio delle telefonate alla mia banca e alla Visa. Voilà, i 900 euro vengono sbloccati in un secondo.
Mi faccio una doccia veloce ed esco per fare pranzo. Mi lascio tentare da una pizzeria con forno a legna.
Ordino una margherita con extra formaggio, insalata greca senza cipolle e una coca, 12 euro. Ma la pizza, pur se cotta bene, mi stomaca per la quantità eccessiva di formaggio e poco pomodoro. Ne lascio metà.
Compro delle cartoline che userò a casa per fare dei quadretti con i colori delle case di Cipro.
Ritorno all’hotel, uso la toilette un’ultima volta, faccio il check-out e saluto la simpatica, carina e spigliata ragazza mora della reception.
Ritrovo la mia auto dopo vari giri dell’isolato e parto in direzione di Larnaka. Nel tragitto fino all’autostrada ho attaccato al sedere un autobus per tutto il tempo, che mi suona ad ogni semaforo. Non capisco, se c’è un pedone che attraversa col verde ed io ho il rosso mi fa segno di partire, se c’è giallo e mi fermo non va bene, se c’è il giallo lampeggiante e sono fermo devo muovermi. Boh…
L’autostrada fila liscia fino a Larnaka ed il viaggio è relativamente breve.
Dal centro prendo una strada costiera verso est e dopo 7 km giugno al Lucky Hotel Apartments.
Si trova nei pressi di un lungo litorale sabbioso, all’interno della Dekalay Road.
E’ un posto tranquillo, ideale per chi voglia passare le vacanze al mare per crogiolarsi al sole,
Mi accoglie il proprietario, un uomo mite, ma deciso e risoluto, che tiene tutto sotto controllo. Chiedo una standard, mi dice retoricamente, se sapessi quanto volevo spendere. Gli dico una cifra senza tentennamenti. Ridacchia sotto i baffi perché sapeva già dove volevo arrivare. Mi dice allora che per quel prezzo mi darà la superior, senza sovrapprezzo. Accetto senza fiatare.
Un bel bilocale spazioso, pulito, con vista mare e vista piscina, ben soleggiato.
E finalmente, dopo tutte le stanze che ho visitato tra Creta e Cipro trovo finalmente il phon. In bagno finalmente, oltre alla saponetta anche shampoo e doccia schiuma, mai viste prima.
Un bel resort, tranquillo, pulito e rimodernato. Tv led in camera e pure in soggiorno. Ovunque adesivi che invitano a risparmiare acqua e corrente. Giusto, la vacanze non devono essere una scusa per sprecare risorse, specie in un paese come Cipro che non ne abbonda.
Mi faccio una doccia veloce e scendo in piscina per farmi una dormita a bordo vasca. Purtroppo non mi sento ancora in forma per fare il bagno.
Dormo un’oretta, scaldato dal sole di Cipro. Mi alzo, decido di andare a visitare il litorale. Attraverso la strada ed eccomi in spiaggia. Un lunghissimo litorale sabbioso. Vedo che dei bagnanti camminano in acqua per circa 100 mt prima di non toccare più il fondale. Torno sui miei passi, ed assisto ad un battibecco tra un signore anziano ed una signora che porta il cane a passeggiare in spiaggia, che è vietato. Lui poteva essere più tollerante, ma lei reagisce con veemenza, e se lo poteva risparmiare, visto che era in torto marcio.
Arrivato in hotel mi sparo un bel frullatone di frutta e poi verso sera mi fiondo in centro città per visitarla e per fare cena.
Arrivo in centro, parcheggio nel posto meno caro (2 euro) mi faccio dire il nome della via e mi dirigo verso la zona della passeggiata a mare.
Come giro l’angolo vedo quella che sembra l’Ocean Drive di Miami Beach. Tutto nuovo, grattacieli, mega alberghi. Ristoranti di tutti i tipi.
Ne adocchio uno, il primo, e faccio il tour fino in fondo.
Ritorno indietro e scarto tutti gli inviti dei buttadentro, raggiungendo il Dionissos, che è un’oasi di pace e tranquillità, con vista mare. Ordino un’orata fresca, un’insalata greca ed una birra grande. Tutto buono, l’insalata è tanta, ma leggerissima e sublime. C’è anche l’immancabile tza-tzichi, le olive, il contorno di verdure bollite, la patata al forno con dentro una noce di burro. Insieme al conto, che arriva molto lentamente, mi portano un dolcetto che consiste in un fagottino ripieno di ricotta aromatizzata alla vaniglia e al succo di rose. Una squisitezza, e per finire un liquore alla mela che è una meraviglia. Il conto finale è 22,00 euro. Ringrazio e saluto, con la promessa di lasciare una recensione su Tripadvisor.
Mi ripasso tutta la passeggiata da cima a fondo per aiutare la digestione e torno dove ho lasciato l’auto, almeno penso. Ma mi perdo in vie laterali. Chiedo ad un gruppetto di amici, due uomini e due donne, appena usciti da un locale. Gli chiedo lumi e faccio vedere il nome della via, che mi ero annotato sul bloc notes. Ci pensano su e poi si offrono di portarmi la parcheggio dandomi un passaggio sulla loro auto.
Mentre andiamo una della due donne, molto carina e con voce suadente, mi sorride maliziosamente quando le dico che sono italiano. Quello a fianco dev’essere il suo fidanzato, non indago, meglio rimanere neutri e stare al gioco, ma la tipa mi sta scombussolando gli ormoni. Mi racconta dei suoi viaggi in Italia con dovizia di particolari. Fossimo altrove e soli la bacerei appassionatamente.
Ma ecco che siamo arrivati al mio parcheggio e la magia finisce. Saluto tutti calorosamente e do due baci sulla guancia ad Afrodite, che fa una risatina compiaciuta. Fa caldo…
Raggiungo l’auto e torno all’hotel. Nel buio manco l’uscita giusta ma fatti due giri su e giù riesco nell’impresa e parcheggio davanti alle case.
Alla reception trovo l’immancabile proprietario, con cui scambio due chiacchiere, e torno in camera.
Sabato 26.10.2013: CIPRO-GIORDANIA (LARNAKA – AMMAN)
Alle 07.00 sono già in piedi. Doccia, diario e, alle 08.00, colazione. Saluto e poi vado via, verso Larnaka. Voglio visitare i laghi salati, che si trovano in direzione aeroporto. Sono asciutti, manca l’acqua. Quando piove si riformano e tornano gli uccelli migratori. Non c’è altro da vedere. Riempio il serbatoio dell’auto per la metà mancante e noto con piacere che la benzina qui costa 1,34 al litro, mentre il gasolio costa di più, 1,45 ma sempre meno che da noi, quindi conviene di più la benzina.
Vado all’aeroporto, riconsegno l’auto, faccio il check in presso Royal Jordan Airlines con molto anticipo, e mi siedo ad un bar a bere due tazze di caffè cipriota, che è filtrato a mano, per cui ha molto fondo.
Arriva l’ora dell’imbarco, al duty free shop compro dei ricordini per amici e parenti. Vado al gate per l’imbarco. Il posto assegnatomi è a fianco ad una graziosa ragazza ucraina, Tetyana, che abita e lavora a Nicosia per un gruppo russo (su questo è molto generica e assai vaga, vabbè…).
La ragazza si sta recando ad Hong Kong, per divertimento e per lavoro (?) ed ha quattro giorni di tempo su una settimana totale. Il suo volo non è diretto per cui deve fare transito ad Amman. Il tempo con lei “vola”. L’intenzione di Tetyana è quella di approfittare dei tempi morti tra un volo e l’altro per fare una breve visita ad Amman. Avvalendosi della mia collaborazione, lasciate le valigie in stanza all’hotel dell’aeroporto, verrebbe in centro a vedere la lista di siti che si era prefissata di visitare in un ordine ben calcolato. Non male l’idea, sulla carta…
Infatti all’aeroporto le dicono che lei è in transito e che non può avere il visto, e quindi, per entrare in Amman deve farlo. Ma lei è col gruppo di persone che sono in transito, e deve seguirlo in hotel, da cui però non si può uscire senza visto.
Atterrati all’aeroporto mi reco al controllo passaporti, non prima di aver cambiato 100,00 euro alla banca (cambio carissimo, per 100 euro danno 85 JOD, un furto perché il cambio è 97), pago il visto 20 JOD e attendo la ragazza che sta sbrigando delle pratiche nel gruppo dei transiti.
Mi chiede di accompagnarla col gruppo fino al suo hotel, il pullman ci porta tutti alla sua destinazione. Dopo aver preso la camera lei vorrebbe uscire, ma le viene impedito. Non resta che salutarci, visto che io non posso rimanere in quell’hotel. Mi spiace per Tetyana, che è così graziosa e simpatica. Ma ecco che i solerti addetti alla security mi fermano e mi chiedono dove volessi andare. “A piedi all’aeroporto”, rispondo io. Non si può, c’è come un regime per cui il mio passaporto passa in tremila mani, ognuno chiedendosi quale sia il mio status. Obbietto che io ho il visto e che me ne vorrei andare. Punto. Dopo vari consulti decidono che posso andare, ma a condizione che sia il pullmann (tutto per me) a portarmi in aeroporto. Al varco la guardia controlla per l’ennesima volta chi sono e se ho il visto, così ci lascia passare e guadagno la mia destinazione, non dopo aver dovuto dare una mancia all’autista che con 5 JOD in mano brontola pure.
Salam Aleikhnon e benvenuto in Giordania…
Il minibus che mi deve portare in centro è subito li vicino, salgo e chiedo lumi a qualcuno. Due ragazze, vestite da hostess, si fanno carico di aiutarmi, visto che parlano bene inglese e mi spiegano che il biglietto me lo fa l’autista e che devo scendere al 4th circle. Da lì dovrò prendere un taxi che mi porterà al mio hotel. Si parte, la prima cosa che chiedo alle ragazze, anticipandole, è perché non portino il velo. “We are christian”, mi rispondono, e quindi niente velo. Mi dicono che nel loro paese i cristiani sono circa il 5% della popolazione. La conversazione procede piacevolmente, le giordane mi danno diverse dritte su cosa fare, cosa visitare, dove mangiare e come trattare con la gente. Scendono prima di me, ci salutiamo (ovviamente senza baciarci, visto il contesto).
Arrivato al 4th circle scendo e fermo un taxi. Il furfante spegne il tassametro, preparandosi a chiedermi un po’ di soldi. Infatti, arrivati a destinazione mi chiede 20 JOD, che sono uno sproposito, visto che le ragazze mi hanno detto che avrei potuto pagare max 8 JOD. E’ un tira e molla, la discussione si fa accesa, alla fine gli metto 10 Jod in mano e lo mando a quel paese.
Secondo benvenuto in Giordania…
L’hotel è il Jordan Tower, una bettola, ma è centralissimo ed ho la mia camera con bagno ensuite. Il prezzo è contenuto, 30Jod a notte, ma onestamente per gli standard giordani è tanto. Vabbè. Esco subito, giro per cercare un cambiavalute. Sono in downtown, la parte più caotica, commerciale e sudicia di Amman, dove le case sembrano baracche, l’elettricità è un intrico di cavi ingarbugliati senza capo ne coda, il traffico con l’inquinamento annesso la fanno da padroni, i pedoni attraversano (rigorosamente fuori delle strisce) in sincronia con le auto che passano e non si fermano, ci sono negozi uno ogni due metri, non c’è uno spazio libero, ci sono milioni di commercianti di ogni genere. Trovo il cambiavalute che mi cambia a 97, e scopro che è il più conveniente perché in giro c’è chi cambia a 94, chi a 95. Mi imbatto poi in un venditore ambulante di falafel (panini ripieni di pomodori, frittelle di purea di ceci etc…) chiedo che non sia piccante e per 1 JOD me ne dà due. Entro al mercato della frutta, che è un suq, ed è subito full immersion nella vita araba.
C’è frutta di tutti i tipi, verdura freschissima, venditori che urlano, passanti che guardano i vari banchi alla ricerca del giusto acquisto. Compro mezzo chilo di datteri freschi, mezzo chilo di noccioline, due kg di noccioline tostate e tre kg di banane. Il tutto per circa 5 JOD e mi chiedo che me ne farò di tutta quella roba.
Gironzolo per le vie tenendo a mente la strada del ritorno. Passo davanti alla moschea mentre il muezzin sta chiamando alla preghiera. I fedeli accorrono, molti di essi si fermano alle fontane di fronte al tempio per lavarsi i piedi (c’è anche chi ne approfitta per lavarsi viso e ascelle). Non mi azzardo ad entrare anche perché mi fa schifo mettere i miei piedi nudi su un tappeto calpestato quotidianamente da migliaia di persone. Faccio due foto da fuori. Decido che per oggi è ok e torno all’hotel. Al bar sottostante guardano la partita Barcellona-Real Madrid, la sfida eterna , ed un gruppo nutrito di ragazzi sta seguendo con trepidazione. C’è chi parteggia per una squadra, chi per l’altra. Finisce 2-1 per la squadra di casa. Salgo alla reception e prenoto la gita del giorno dopo per Jerash, con partenza alle 08.00 e ritorno alle 18.00. Spero non sia un massacro. Porto avanti il diario e poi alle 23.09 , stanco della giornata, mi ritiro in camera.
Domenica 27.10.2013: AMMAN – AMMAN
(TOUR A JERASH/ ANJARA MADONNNA CHE PIANGE/CASTELLO DI AJLOUN/UM QAIS)
Sveglia alle 07.00, colazione alle 07.30 e alle 08.00 partenza per il tour. Siamo in sette: io, un ragazzo inglese (che sembra il piccolo lord), due coreane, una olandese, una coppia di americani. Il conducente Abdullah è un uomo elegante, che a prima vista sembra stia bene economicamente. Durante il trasferimento ci racconta di molti suoi viaggi intorno al mondo. Rispetto alla maggioranza dei suoi connazionali ha un alto tenore di vita.
Dopo un’oretta e mezza arriviamo a Jerash, che è un enorme sito archeologico, prima romano e poi bizantino. E’ enorme, è impressionante, ci sono lunghissime vie lastricate, di circa 1 km ciascuna, convergenti tutte al centro, a formare una croce. Rimango incantato a vedere i due anfiteatri, che sono in piedi ancora oggi, con tutte le gradinate intatte e con l’acustica perfetta. Il selciato porta ancora i segni delle ruote dei carri che passavano numerosi ogni giorno con le mercanzie, che rifornivano gli innumerevoli negozi accalcati sulla via. Notevoli le chiese bizantine, che hanno ancora porzioni di mosaici dai colori vividi (una guida mostra a dei turisti tedeschi che, versando sopra ad una porzione di mosaico dell’acqua, essa lava via la sabbia e la polvere, facendo emergere i colori originari in tutto il loro splendore).
Mi perdo nei due anfiteatri, pensando alla grandiosità dell’ingegneria romana e al lavoro di tanti schiavi che ha permesso tutto ciò. L’abilità dei romani fu di apprendere e migliorare da tutti i popoli che avevano conquistato, in particolare dai greci (abili costruttori di teatri), questa fu la loro grandezza, consentendo ai popoli sottomessi di poter esprimere le loro abilità e le loro capacità. Insomma, tutti avevano la loro chance.
Prima di tornare all’appuntamento con il gruppo mi fermo a sentire un piccolo concerto di cornamuse tenuto da tre beduini, ed io, che sono seduto sulla fila in cima del teatro più grande, sento ogni nota perfettamente.
Peccato che il terremoto del 749 d.C. dell’ottavo grado della scala Mercalli abbia raso al suolo gran parte delle costruzioni, colonne, capitelli, muri, archi etc…è finito tutto per terra.
Ci ritroviamo con gli altri dal pulmino e partiamo per la prossima destinazione: Anjara, un santuario dove si trova la statua della madonna che piange sangue. Ci accoglie un prete egiziano che parla perfettamente italiano, in quanto è stato per sette anni a Roma, e ci racconta la storia. Non parla inglese, per cui faccio da interprete per il gruppo. Era un giorno del 06 maggio 2010, la perpetua stava facendo le pulizie alla chiesa insieme ad un gruppo di ragazzi, quando si accorse che la Madonna stava piangendo. La teca era chiusa a chiave, l’unica l’aveva il parroco, in quel momento distante, perché era ad Amman. Eminenti studiosi del Vaticano fecero esaminare il liquido, che risultò essere sangue umano. E certificarono il miracolo.
Finita la storia il parroco ci spiega che intorno al santuario è sorta un’opera che si occupa di bambini poveri ed orfani, consentendo loro di avere assistenza ed istruzione.
Gli lascio una libera offerta.
Ci salutiamo e partiamo per il castello di Ajloun. E’ ora di pranzo, sono svogliato e non apprezzo abbastanza il castello. Scatto delle foto che guarderò con calma una volta ritornato a casa.
Partiamo per il sito di UMM QAIS. Altre due ore di viaggio interminabile e stancante. Il paesaggio è sempre uguale: deserto, sabbia, villaggi che sembrano baraccopoli, sudiciume, spazzatura, che viene bruciata per strada, sole, strade, che ad ogni centro urbano hanno dissuasori della velocità ogni 50 mt, così si rallenta l’andatura, e di molto. La gente di questi posti ha molto da raccontare, ed io lo banalizzo con questa descrizione assai riduttiva ed impietosa. Ma è anche vero che vedere tutti questi rifiuti sparsi per tutta la campagna fa male al cuore.
Arriviamo a UMM QAIS. Bel sito, in gran parte costruito con la pietra locale, scura, il basalto. Un’altra perla regalataci dai romani. Da lì si può vedere poco distante il lago di Tiberiade ad ovest e a nord il confine siriano.
Ritorniamo ad Amman, siamo distrutti dal viaggio interminabile, reso ancora più duro dal cd di musica araba tanto gradita ad Abdullah.
La sera, insieme ad un gruppo di olandesi vado a cena nella Rainbow Street in un locale tipico. Prendo un piatto a base di agnello, patate e cipolle. Molto buono e non piccante. Gli altri ordinano un altro piatto locale a base di zucchine, ripiene di carne trita, ed annegati nella salsa di yogurt.
Spendo 12 JOD inclusa la mancia per i camerieri.
Torniamo all’hotel e ci ritiriamo in camera.
Lunedì 28.10.2013: AMMAN
Volevo prenotare il Grand Tour di Amman, ma alla reception mi dicono che non ci sono partecipanti, per cui mi arrangio da solo. Esco dall’hotel e subito dietro l’angolo noto un posto di polizia turistica. Chiedo informazioni ad una poliziotta, molto carina, ma con la testa fasciata dal velo, che mi fornisce tutte le informazioni di cui ho bisogno. Mi chiede timidamente (ha paura di farsi vedere dai suoi colleghi maschi) da dove vengo, celando a fatica una grande voglia di conoscere, di sapere, di informarsi e forse di affrancarsi da quel regime di soggezione imposto da una società, per certi versi, ancora medievale. Le donne del mondo arabo, a mio parere, hanno una voglia matta di evadere, di evolversi, più di quanto non facciano gli uomini, che sono legati a pochi concetti basilari, il più importante dei quali è avere il controllo delle loro femmine.
Salgo su, alla cittadella, che è il punto più bello per vedere Amman, e proprio di fronte si può ammirare l’anfiteatro Romano, e il teatro più piccolo a fianco.
Entro e pago il biglietto, che mi pare costi solo 3 JOD.
Le guide mi chiedono se mi serve un cicerone. Il prezzo è 25 JOD, ma io dico che più di 10 non posso. Allora uno di essi, che parla italiano intavola una conversazione con me. Dopo mi fa avere una guida in inglese per 10 JOD, dato che questa stava smontando dal servizio, e quindi era un extra tutto sommato spuntato dal nulla.
Devo dire che mai quei 10 JOD furono meglio spesi. Dalle sue parole sento che Amman ha una storia che risale alla notte dei tempi. Diverse civiltà si sono succedute e le prime giunsero qui dallo Yemen. I greci la ribattezzarono Filadelfia.
Cito da Wikipedia: Amman è stata abitata da parecchie civiltà, la prima delle quali risale al periodo Neolitico, intorno al 6500 a.C.; l’esistenza di tale civiltà è stata dimostrata nel 1994 attraverso il ritrovamento di reperti archeologici[1] ad ʿAyn Ghazāl (arabo: عين غزال), “località situata nella parte orientale di Amman”.
Nel XIII secolo a.C. Amman fu dominata dagli Ammoniti, successivamente dagli Assiri, dai Persiani e poi dai Greci, durante la dominazione dei quali fu chiamata Philadelphia da Tolomeo II. Successivamente divenne una città del regno di Nabatea. Conquistata dai Romani divenne una delle dieci città di Decapolis.
Il nome Philadelphia fu modificato con Amman durante l’era dei Ghassanidi ed ebbe il massimo splendore nell’era degli Omayyadi, che avevano come loro capitale la vicina città di Damasco. Amman continuò ad essere una città importante anche nell’era degli Abbasidi (con capitale a Bagdad).
A causa di parecchi terremoti e disastri naturali Amman rimase niente più di un piccolo villaggio con annesso un mucchio di rovine fino all’anno 1887, quando arrivarono al governo i Circassi, i quali decisero di costruire una linea ferroviaria tra Damasco e La Medina e passante per Amman in modo da facilitare agli abitanti dei loro territori il pellegrinaggio annuale verso La Mecca.
Nel 1921 ʿAbd Allāh I scelse Amman come sede del governo per la creazione degli Emirati di Transgiordania e successivamente come capitale del regno hashemita del Giordano. Amman rimase una piccola città fino al 1948, quando ebbe inizio un afflusso di rifugiati palestinesi che portò ad un considerevole aumento di popolazione; è in questo anno, infatti, che i sionisti creano lo Stato di Israele all’interno di una parte della Palestina storica. Nel 1967 si registra una seconda imponente ondata in corrispondenza dell’occupazione da parte di Israele dei rimanenti territori palestinesi.
Dall’8 all’11 maggio 2009, si è recato in storica visita apostolica ad Amman, Papa Benedetto XVI, il quale ha celebrato la Santa Messa nell’International Stadium di Amman.
Fatta questa doverosa ed opportuna citazione ecco che sulla parte a nord la guida mi fa vedere in lontananza l’esteso palazzo reale con tutta l’enorme area che lo delimita. All’inizio della residenza si trova la terza bandiera più grande del mondo.
Entriamo poi al museo della cittadella, che contiene reperti ordinati secondo le varie epoche.
Dopo il museo Radi mi porta e vedere la porta tombale, una pesantissima porta di basalto che era posta in un cimitero, ed aveva la funzione di passaggio nell’aldilà. Funziona ancora perfettamente e mi sono divertito ad aprirla e chiuderla.
Finita la gita do i meritatissimi 10 JOD alla guida e scendo in città. Durante il tragitto in una salitella vedo l’insegna di un internet point. Entro, chiedo il prezzo e mi dicono che un’ora costa ½ JOD mentre con 1JOD posso navigare tre ore. E’ una baracca, i pc sono vetusti e riciclati, i monitor sono ancora a tubo catodico, ma il collegamento ad internet è sufficiente.
Esco, scendo giù a Downtown, mi fermo da un chiosco per farmi servire un ottimo succo d’arancia (1 Jod), buono da morire.
Passeggio per la via, piena zeppa di mercanti e di ogni genere di mercanzia. Dopo un po’ mi imbatto in un venditore di succo di canna da zucchero e me ne faccio servire un bicchiere. E’ una bevanda molto buona, con un gusto particolare, ma molto piacevole e rinfrescante. Mi fermo dal solito venditore di falafel che mi vuole fregare sul resto. Faccio notare l’errore, subito corretto, ma noto un vaffa… in arabo tra i suoi denti al mio indirizzo. Proseguo, prendo una via laterale che sale leggermente, in cui si trovano diversi ristoranti, alcuni non mi ispirano, altri sono un po’ più invitanti. Scelgo il Jafra, su due piani. Salgo al piano superiore, mi fanno accomodare sul balcone che dà sulla strada. Ordino una pita con formaggio e spezie locali, ed un piatto a base di carne trita di montone con pomodoro e patate, e succo d’arancia. Il conto è 10,40 JOD. Esco, gironzolo, ritorno all’hotel, faccio una doccia e riposo un’oretta. L’oretta diventano due ore, è pomeriggio tardi, mi alzo, esco e vado a cercare la Rainbow Steet. Nel cammino mi rifaccio un bicchiere di succo d’arancia ed uno di canna, così da imprimerli bene nella mente. La via non la trovo, Amman è un dedalo di vie disordinate, le cartine non riescono a farmi luce sul percorso e la gente a cui chiedo lumi non sa darmi un’indicazione chiara, anzi, molti di loro mi danno indicazioni errate, a volte di proposito, così si beccano un vaffanculo in diretta, mi verrebbe voglia di schiaffeggiarli, perché se lo meritano, ma ho lo svantaggio di essere solo in terra straniera, in un paese islamico. Alla fine del labirinto trovo la Rainbow Street. Cammino avanti e indietro, nulla di che, solo una via alla moda i cui negozi per lo più vendono moda occidentale, e la zona è frequentata da fighetti con macchine di lusso. Cerco il rinomato chiosco Al Quds (che in arabo vuol dire Gerusalemme). Mi faccio preparare un falafel (1/2 JOD quello normale). Buono. Torno giù a downtown dove ci sarà pure un’accozzaglia umana , ma si respira un’aria più vera. Mi domando come faranno a sopravvivere tutti quei negozianti, visto che vendono in molti le stesse cose, abbigliamento, ma giungo alla conclusione che, evidentemente hanno un loro mercato.
Non faccio cena perché non ho appetito, ho mangiucchiato parecchio e mi concedo della frutta: banane giordane e uva locale, molto buona e croccante.
Mi viene in mente che la guida che ci portò a Jerash ci disse che il prezzo del pane è calmierato, per consentire a tutti di mangiare. Ma vedo che tutti , o quasi, hanno cellulare e auto. Come se li possono permettere, e come li mantengono? Boh…
Martedì 29.10.2013: AMMAN – PETRA
Nei piani originari avrei dovuto prendere il taxi alle 06.30 per arrivare alla stazione Jetbus e prendere il bus delle 07.00 per Petra, ma la reception mi ha detto che mi sarei dovuto aggregare ad una pool car per soli 15 Jod, con partenza alle 08.00. Ho scelto la seconda opzione, molto più comoda, ed ho potuto così fare colazione in hotel con calma.
In macchina siamo tre passeggeri: io, una ragazza austriaca, che ha poco tempo per stare in Giordania, visto che alle 03.00 di notte avrà il volo per la Thailandia (dove si fermerà più di un mese) ed un ragazzo di Singapore, che ha solo una settimana di vacanza. La ragazza paga 50 Jod per stare mezza giornata a Petra e tornare per le 21.00 in aeroporto ad Amman. Il ragazzo paga 45 Jod per fare tappa in alcuni punti panoramici, giusto per fare delle foto.
Il viaggio è lungo e noioso, ci fermiamo spesso a fare foto panoramiche, peraltro molto belle, ma alla fine raggiungiamo la meta. Ci salutiamo.
Il taxi mi porta allo stesso hotel del ragazzo di Singapore, il Sunset Hotel, situato a 300 mt dall’ingresso del sito archeologico.
Chiedo se hanno una singola per due notti. Mi viene data la scelta tra una standard ed una superior (20 e 30 Jod). Scelgo la seconda, che è mille volte meglio e tutta riammodernata. Faccio una doccia veloce e vado subito al sito archeologico.
L’ingresso per due giorni (consigliato, vista l’immensità) è 55 Jod (1 giorno costa 50 Jod, 3 giorni 60 Jod). Chiedo subito una guida: sono carissimi: 50 Jod per due/tre ore. Non c’è in italiano. Potrei risparmiare un sacco di soldi e comprare la guida cartacea, ma una volta in vita mia che sono a Petra preferisco la guida. Provo a trattare sul prezzo, ma mi dicono che è fisso e rilasciano ricevuta. Ok, facciamo questo sacrificio.
Arrivati al check-point offrono un cavallo per percorrere circa 1 km, e visto che (dicono) è incluso nel prezzo, mi lascio tentare. Bene, anzi, male, perché alla fine del percorso chiedono la mancia, che sono 5 Jod. Da quel punto in avanti altri attaccano a proporti chi l’asino e chi il calesse, per percorrere il canyon.
Con la guida dobbiamo farlo a piedi, perché è da li che inizia il tour.
Il canyon è l’ingresso di quella città abbandonata e popolata da secoli dai beduini. I primi abitanti furono i Nabatei, che provenivano dallo Yemen e che vi si stanziarono stabilmente. Scolpirono monumenti e tombe nella pietra, molto friabile, che era sabbia compatta. Le loro case erano situate fuori, in un villaggio raso al suolo dai terremoti. Nel sito c’erano i monumenti funerari, la via del commercio, le case dei commercianti e le vasche per la raccolta dell’acqua.
I Nabatei furono sopraffatti facilmente dai Romani, i quali furono sostituiti in seguito dai Bizantini.
I vari terremoti successivi fecero scappare tutti ed il sito finì nell’oblio per secoli.
Vi fecero tappa i Crociati, spinti li da Saladino, dopo che li aveva cacciati da Gerusalemme.
Spariti i Crociati nei secoli vi si insediarono i popoli nomadi del deserto, i beduini, che vissero nelle tombe, che utilizzarono come case e le spogliarono di tutti i resti buttando via ossa e arredi funerari (non c’era oro, ma solo solo terrecotte). I discendenti di quei beduini sono rimasti lì fino al 1994, a custodia del sito, gelosamente. Il governo diede loro delle case in cui abitare, con la possibilità di vendere souvenir e paccottiglie ai turisti, nonché di dare servizi come muli, asini, cammelli e i cavalli per percorrere le varie scalinate e mulattiere. Il fatto è che sono petulanti, è tutto un chiedere, offrire servizi e merce, al fine di succhiare i soldi dei turisti. Ci si scoccia velocemente.
La guida mi dice che per fare dei percorsi laterali (sacrifici, monastero, vista del tesoro) occorrono 20 Jod ciascuno Uffa… anche lui come i beduini.
Ringrazio e saluto (con la guida cartacea avrei risparmiato soldi e la questua vergognosa di questo tizio).
Mi dirigo verso il monastero e mi lascio tentare a salire a dorso d’asino (7 Jod + 3 di mancia). Bello. Ci sono tre punti panoramici da cui si godono viste meravigliose. Arriva il tramonto. Scendo a valle perché è tardi e tutti si ritirano. Ovunque ci sono punti di ristoro dei beduini, anche nei posti più impensati ed inaccessibili. Ringrazio ma rifiuto cordialmente. Sono circa 4 km, che percorro a passo sostenuto, tirando fuori tutte le energie (mi va bene perché così smaltisco un po’ di calorie accumulate). Arrivato all’hotel faccio una doccia tonificante e scendo a cercare un ristorante. Incontro il Singaporegno (singaporiano?….) e ceniamo insieme al buffet li vicino (10 Jod, bibita 5 Jod, una piccola fregatura).
Si va a dormire, non prima di aver scattato delle foto in notturna all’ingresso della zona archeologica.
Lì nei pressi incontro dei tassisti e con uno di questi contratto il prezzo per il passaggio per Aqqaba fino al confine israeliano (ottengo un prezzaccio, 30 Jod, non male).
Mercoledì 30.10.2013: PETRA
Mi sveglio. Doccia. Faccio un’abbondante colazione e poi vado via presto per vedere i colori del mattino.
Percorro la via del sacrificio. Prendo un mulo per 20 Jod, che mi porta fino ad un certo livello, poi mi tocca scarpinare. Salgo fino al punto di vista panoramico che dà sulla tomba del tesoro. Scendo. Porto giù un asino per fare un favore ad un beduino. Lo consegno all’amico e gli faccio ripetere “TUTTE LE STRADE PORTANO A ROMA”. Non gli entra. Saluto. Sono le 13.00. Sono stanco. Torno in hotel. Doccia veloce e pasto frugale con noccioline e pane arabo. Bevo tanta acqua. Alle 15.00 vado all’hotel di fianco, il Petra Palace, per fare un bagno turco rilassante, al prezzo di 20 Jod.
Non è niente male, non fosse che, ad un certo punto, arrivano quattro coppie di tedeschi chiassosi e rompono così quell’aura di serenità e pace.
Il bagno turco consiste di: sauna, jacuzzi tiepida, massaggio. Una figata, dopo una giornata di fatiche al sito.
Lo consiglio a tutti, ne vale veramente la pena.
Esco dal Petra Palace e ritorno al mio hotel dove cerco un balcone per portare avanti il diario e aspettare le 18.00, ora in cui m’incontrerò con una ragazza coreana e con il singaporegno, per fare cena tutti insieme. Dopodiché andremo a vedere lo spettacolo Petra by Night.
Il viale degli hotel è inquinatissimo perché in salita e vi passano tutti i mezzi: taxi, inquinanti camion e pick-up. Uffa….
Finita la cena io e Terence ci congediamo dalla coreana e ci rechiamo a Petra by Night.
Il Rag. Fantozzi urlerebbe “E’ una ……. pazzesca”. Nulla di che, l’idea è buona, ci sono tanti lumini per terra, c’è la musica dal vivo fatta dai beduini, ma nulla di più.
Posso dire: “Io c’era” (anche se Fantozzi docet…).
Finito lo show davanti alla tomba del tesoro torniamo in fretta all’hotel, col mio passo di marcia frenetico a tal punto da mettere in crisi l’asiatico, assai più basso di me e forse meno avvezzo a questi ritmi.
Raggiunto l’albergo ci congediamo.
Giovedì 31.10.2013: PETRA – GERUSALEMME (GIORDANIA – ISRAELE)
Giornata di trasferimenti (in tutto saranno 5)
Mi alzo. Doccia. Colazione. Alle 08.00 scendo giù per il check-out. Il taxi mi aspetta dalle 07.00 (?) e l’autista è contrariato. Tra l’altro non è la persona con cui avevo preso accordi. Gli dico che io non c’entro nulla e di prendersela col collega. Insomma, doveva venire Mohammed, alle 08.00, poi dice che manda il fratello, poi ne arriva un altro ancora, un beduino di cui non ricordo il nome. Durante la guida per le strade tortuose mi propone il cambiavalute. Neanche fosse una banca: ha tutte le valute del mondo. Come non bastasse oltre a guidare fuma, telefona, parla, apre il portafogli, commercia, il tutto mentre sta guidando. Ed io mi inalbero. Gli dico che ne parliamo dopo. Uffa.
Dopo un po’ facciamo sosta in una specie di autogrill, che è un bazar di suoi amici. Fa freddo. La campagna è una landa sassosa, con spazzatura ovunque.
Arriviamo finalmente ad Aqaba e alla meta finale: il confine con Israele. Pago i 30 Jod pattuiti ed il resto che ho nelle tasche, 2 Jod, così non ho più spiccioli. Nell’attraversare la frontiera mi obbligano a pagare 10 Jod per il visto d’uscita. Qui è tutto un pagare, 20 Jod per il visto in entrata e 10 per quello d’uscita, l’ennesimo balzello. Non ne posso più, questo modo di fare mi infastidisce.
Faccio il cambio, a prezzi da strozzinaggio e mi faccio dare pure qualche Schekel. Passo dalla parte di Israele. Attraverso il check-point. Più rigoroso che in aeroporto. Iniziano subito le numerose domande: “Che cosa sei venuto a fare?” – “ Conosci qualcuno?” Mi fai vedere la prenotazione del volo?” – “Mi fai vedere la prenotazione alberghiera?” – “Dove alloggerai nei giorni rimanenti?”
La tipa mi guarda non del tutto convinta e alla fine mi stampa sul passaporto il visto di Israele (in genere lo stampano su un foglio volante, ma va bene così).
Esco. Prendo un taxi che mi porta alla stazione degli autobus (35 Ils). Compro il biglietto per Tel Aviv (perché il primo bus libero per Gerusalemme partirà alle 17.00). Pago 75 Ils. A proposito, ci sono due file, una per i civili ed una a fianco per i militari. Se vedete un ragazzo o una ragazza (anche in abiti civili) che vi passano davanti sono militari, ed hanno la precedenza
Giro per Eilat, compro della frutta. Cambio 200 euro. Alle 11.0 si parte. Il bus è pieno di militari che tornano a casa per il week-end (in Israele il prefestivo è il venerdì ed il festivo è il sabato, il loro Shabat, mentre la domenica è un feriale).
Il viaggio in bus inizia con una querelle: un ragazzo prepotente vuole tenere bassa la tendina, la ragazza russa, seduta davanti a lui, parimenti cocciuta e ignorante, vuole che la tenda stia su. Vanno avanti per quasi due ore quando a lei viene offerto di cambiare posto (ci spostiamo io e la mia vicina, una ragazza sovrappeso che non tiene molto alla sua igiene personale). Si quieta, finalmente.
La corriera è piena di militari in permesso, tutti rigorosamente armati con fucile mitragliatore. Non si scherza, Israele è comunque un Paese in guerra, ed è circondato da Paesi arabi. Familiarizzo con una famigliola composta da papà, mamma e tre figlie adolescenti. Purtroppo i discorsi finiscono sulla religione ed io, che non voglio toccare l’argomento perché sono ateo, cerco di svicolare, anche se è dura.
Dopo cinque ore massacranti, e di viste sul deserto del Sinai, arriviamo a Tel Aviv. Cambio subito bus e prendo quello per Gerusalemme. (18 Ils).
Partiamo mentre la sera sta calando sulla città.
Arrivato a Gerusalemme prendo il Bus 6 (6,60 Ils). Si va piano, domani inizia lo Shabat e sono tutti a fare compere.
Arrivo all’ostello, Abraham Hostel, bello e moderno ma, ahimé, non ho più privacy. Infatti la mia stanza è in condivisione con altre tre persone, ed io mi ero abituato alle mie camere singole. Purtroppo i prezzi delle camere d’albergo in Israele non sono a buon mercato per cui ho dovuto scegliere una soluzione economica, anche se l’ostello è ottimo e centralissimo.
Esco, gironzolo per il mercato, che è tutto un vociare, gremito com’è di gente che è venuta per fare le compere. I banchi delle frutta, del pane e dei dolci sono uno spettacolo per la vista ed un invito per il palato. C’è da perdersi in mezzo a tutte quelle leccornie.
Dopo un po’ torno stanchissimo alla camera. Porto avanti il diario e poi crollo in un sonno profondo.
Venerdì 01.11.2013: GERUSALEMME O L’ETERNO MISTERO
Sveglia alle 06.00 (sono rimasto col bioritmo un’ora avanti, adeguato all’ora presente in Giordania). Scendo in lavanderia, faccio una lavatrice e converso con i pochi mattinieri come me. Alle 08.00 faccio colazione. Esco, Esploro Jaffa Str. alla ricerca di un barbiere che mi faccia la barba lunga di due settimane, e alquanto fastidiosa. Purtroppo per le leggi di pubblica sicurezza i barbieri non possono detenere rasoi a lama, per cui sono costretti a lavorare con rasoi elettrici. Dopo varie peripezie ne trovo uno un po’ moderno che mi preventiva 40 Ils. Chiedo anche di radermi le sopracciglia, che purtroppo crescono come degli alberi. Prende la palla al balzo e mi chiede se voglio anche la pulizia del collo. Ok. Alla fine sono bello ripulito dei peli e rimesso a nuovo. Il conto però è superiore alle mie aspettative: 100 Ils. Ci rimango male. Gli dico che sono troppi. Trattiamo un po’ e alla fine chiudiamo a 70 Ils e tanti saluti. Esco. Giro qua e là. Compro un cd di musica tradizionale (39 Ils), che però poi quando l’ascolto non mi sembra un granché. Arrivano le 11.00. La gente affolla i caffè. In fondo è giorno festivo e l’atmosfera è (apparentemente) rilassata. Purtroppo in questi luoghi si deve convivere con lo spettro degli attentati, ma la gente cerca di non pensarci, di esorcizzare il pericolo cercando di vivere una vita più normale possibile. Di sera ho visto molti giovani in giro, che hanno voglia di stare insieme, di essere uniti, di godersi la vita, quasi a non pensare che qualcosa di tragico potrebbe accadergli, in qualunque momento, a qualunque ora, in qualunque luogo.
Ricordo le parole di un venditore di Eilat: “Non dimentichi che il mio è pur sempre un Paese in guerra”. Quelle parole mi risuonano nella mente come bombe, le stesse bombe che purtroppo in passato , in in questi stessi luoghi, hanno mietuto vittime. Può succedere su un Autobus, in un bar, in un ristorante, al mercato. L’ideologia della morte come premio per il paradiso non tiene conto di chi invece ha altre idee in proposito. Ma qui la vita è così, o ti adegui e ci convivi, oppure ti trasferisci all’estero perché non reggi più alla tensione.
Torno in ostello. Alle 11.20 uno dello staff ci porta a Jaffa Gate, dove ci aspetta la guida gratuita della Città Vecchia. La mancia comunque è d’obbligo perché la guida è molto preparata, ed è laureata, ma è volontaria come tutte le altre e quindi non ha reddito.
Ci accompagna una simpatica ragazza israeliana, un po’ bassina, ma ha abbastanza voce da farsi sentire e capire perfettamente in lingua inglese. Iniziamo dalla Torre di Davide, che in realtà fu costruita da Erode, ma i crociati che arrivarono qui poco prima del 1100, fecero un po’ di confusione e la attribuirono a Davide. Entriamo nel quartiere armeno (la città vecchia è divisa tra cristiani armeni, che sono circa 1.000, cristiani circa 6.000, musulmani circa 17.000 ed ebrei, circa 7.000) che è quello più piccolo e chiuso, ermetico, la cui Chiesa di San Giacomo è visitabile solo tra le 15.00 e le 15.30. Si proclamano essere i primi veri cristiani, essendo stati i primi della Storia (dicono loro) a fondare una Chiesa Cristiana (gli altri che si arrogano lo stesso diritto sono i copti etiopi, presenti anche loro a Gerusalemme).
Passiamo su dei tetti da cui vediamo in lontananza il Monte degli Ulivi, le cupole delle moschee ed il Santo Sepolcro.
Scendiamo fino al Quartiere Ebraico, e ci fermiamo al punto panoramico da cui si vede il Muro del Pianto (western wall), lo attraversiamo tutto per finire in quello cristiano, e finiamo di fronte all’edificio del Santo Sepolcro.
L’ho fatta breve, ma abbiamo parlato di tante cose e le tre ore sono volate. Alla fine le lasciamo tutti una lauta mancia perché se l’è veramente meritata. Vado a mangiare un falafel in un ristorante poco lontano, e poi mi catapulto alla Chiesa di San Giacomo, per vedere la funzione degli Armeni.
Non vogliono che si scattino foto, indossano tutti la tonaca nera. C’è un che di esoterico e settario. Non sono a mio agio.
Esco. Corro al Santo Sepolcro, che è custodito da Armeni e Padri Copti Ortodossi, che non vanno d’accordo tra loro e spesso se le suonano, è il caso di dirlo, di santa ragione.
Il posto è un mistero, ognuno dice la sua. Il sepolcro di Gesù è al centro, ma non c’è certezza che sia quello vero. Gira tanta gente, tanti pellegrini, da tutto il mondo, tutti in coda per entrare nella piccola cupola in cui è custodito quanto rimane del sepolcro.
Esco che è buio, finisco nel quartiere arabo. Seguo gli ebrei ortodossi che stanno andando in massa al Muro del Pianto. E’ venerdì sera e gli ebrei sono tutti li, chi a pregare, chi a fare canti e balli di gruppo. Ci sono migliaia di persone e controlli ovunque. Inizia a piovere. Torno alla base. La strada è lunga e fa freschino. Tutti i negozi ed i locali sono chiusi, perché lo Shabbat impone la chiusura prima del tramonto.
In ostello facciamo la cena dello Shabbat. Siedo a fianco di ragazzi e ragazze israeliani, di Tel Aviv, con cui faccio conoscenza. Imparo alcune strofe di canti tradizionali. Si mangia e si beve, come da prassi si inizia la cena spezzando il pane, che va intinto nello hummus.
Finita la cena saluto e vado al pc in sala wi-fi e poi aggiorno il diario. Sono stanco, domani visiterò la Cisgiordania. Mi ritiro in camera. E’ l’una e trenta di notte da un po’ sento l’acqua scorrere, ma nel sonno non ho le facoltà mentali per rendermi conto di cosa stia succedendo. Poi mi giro e vedo le altre compagne di stanza che si stanno chiedendo la stessa cosa. Capiamo che in bagno il nostro coinquilino sta facendo una doccia chilometrica, insomma, sta sprecando acqua a tutto spiano, in un paese dove questo è un bene raro e prezioso. Sono arrabbiato, mi alzo, vado alla porta del bagno e busso energicamente più volte dicendo: “Hey, Joshua, is everything ok with you?”. Mi sento rispondere “I’m ok, thanks”. Al che gli faccio presente che sta commettendo un sacrilegio, quindi gli conviene chiudere il rubinetto. “Oh, sorry….” mi risponde. E chiude tutto.
Joshua è un ragazzo poco più che ventenne, abita in Australia ed è ebreo. Si trova a Gerusalemme per delle sessioni di studi (ma a me sembra che sia li per perdere tempo a cazzeggiare). Gli faccio presente che sprecare acqua nella terra dei suoi avi è un grande peccato, soprattutto perché è una risorsa sempre più rara, per la quale Israele ha continui conflitti con i vicini, Palestina e Giordania, che attingono dalle stesse fonti.
Mi guarda, anzi, non mi rivolge lo sguardo, annuisce, facendo finta di aver capito (altro che sessione di studi, lo manderei a presidiare gli obiettivi sensibili, così diventerebbe più furbo).
Sabato 02.11.2013: TOUR DELLA PALESTINA
Giornata di visita al di là dei confini. Innanzitutto occorre sapere che i territori palestinesi sono divisi in tre zone:
A: sotto il controllo palestinese
B: sotto controllo misto israelo-palestinese
C: sotto controllo israeliano
Superato il check point passiamo a prelevare la guida palestinese, un signore di antiche origini cristiane, dai tratti fisici e dai lineamenti europei.
Ci porta subito al campo profughi, che è li dal 1948. Ai palestinesi a cui erano state tolte le case e terreni vennero dati dei siti su cui vennero costruite case e interi insediamenti.
Attendono il ritorno a casa e, all’ingresso del campo, troneggia una grossa chiave, a simboleggiare il ritorno alle loro case. Tutt’intorno incombe il lunghissimo muro, eretto dagli israeliani nell’ultimo decennio, a difesa dei loro territori e della loro incolumità. In lontananza si scorgono anche gli insediamenti dei coloni israeliani che a volte sono diventate delle città.
Proseguiamo per Betlemme, dove ci raggiunge un negoziante che ci fa da guida alla Grotta della Natività (ci sono tre grotte ufficiali: una per i cristiani, una per i cristiani ortodossi ed una per i cristiani armeni). Dopo la visita alla grotta facciamo tappa al negozio di souvenir che è pieno di oggetti intagliati a mano su legno d’ulivo, tradizione tipica dei palestinesi cristiani, di antiche discendenze europee (infatti il nostro amico sembra il pronipote di un cavaliere normanno).
Arriva l’ora di pranzo e ci rechiamo al ristorante per mangiare falafel e mussaki (che sono purea di ceci e purea di ceci fritta). Dopo pranzo camminiamo per la città vecchia per digerire e godere del paesaggio.
Raggiungiamo il bus e partiamo per Gerico, che è la città più antica del mondo, posta a 100 mt sotto il livello del mare. Visitiamo gli scavi dell’antica cinta muraria e il monte su cui Gesù resistette per 40 giorni alle tre tentazioni del demonio.
La nostra guida a Gerico è un anziano signore molto pacato e colto, di antichissime origini italiane, che anche lui auspica l’unificazione tra Israele e Palestina, che possono, a suo dire, convivere in pace.
Lasciamo Gerico e ci dirigiamo a Ramallah, la capitale. Nel frattempo ci fermiamo a visitare una birreria palestinese, la Taybeh Brewing Co., gestita da una signora greca che si è sposata con uno del posto.
E’ sera ed è già buio. Nell’ingresso a Ramallah ci fermiamo a visitare la tomba di Arafat, dopodiché ci rechiamo a visitare la città, tipicamente araba.
E’ tardi ed è ora di rincasare. Nel percorso di ritorno lasciamo la guida vicino a casa sua. Riprendiamo la strada principale e prima del confine ci fermiamo ad un check point, perché ci troviamo ancora in zona A.
Sono quattro soldati palestinesi, due di loro salgono sul bus e ci chiedono i documenti. Un americano mostra la fotocopia, in quanto il giorno prima gli hanno rubato portafogli e documenti. Ma uno degli occupanti è israeliano, che si spaccia per belga che ha dimenticato i documenti in hotel. Gli chiedono come si chiama e lui risponde “John”. I soldati se la ridono e scendendo lo riferiscono agli altri due, che si fanno una bella risata. Sono in serata buona, e a John va di lusso perché lo avrebbero potuto arrestare e trattenere per interrogarlo. Su queste cose non si può scherzare.
Tiriamo tutti un sospiro di sollievo, io però mi volto verso “John” e gli faccio un segno inequivocabile che è pazzo, toccandomi la tempia con la punta dell’indice. Arriviamo all’ostello, tutti stanchi, ma felici di aver visto con i nostri occhi come stanno le cose.
In camera converso con un mio coinquilino, un giovane di Palermo, attivista della CGIL, visibilmente sconvolto. Gli chiedo perché. Mi spiega che anche lui oggi è stato in Cisgiordania, con un altro tour operator. La sua guida non ha fatto altro che parlare per tutto il tempo di come sia giusto annientare Israele e tutti gli israeliani, che gli attentati sono giusti, che la violenza è l’unico mezzo etc… Quando gli ho detto che le mie guide invece erano moderate, ed il cui scopo era il dialogo e la convivenza pacifica, mi ha guardato con un moto d’invidia.
Per dovere di cronaca la mia guida ci ha rivelato di trovarsi molto bene nella condizione attuale: in Palestina ha la sua bella casa, una villetta di due piani con annesso terreno, su cui non paga alcun tipo di tassa, il suo lavoro è esentasse, ha mille agevolazioni, e quindi ci rivelato olimpicamente di stare bene così, di non vedere perché dovrebbe trasferirsi in Israele per farsi mangiare vivo dalle tasse e da mille problemi.
Mi sembra tutto fin troppo chiaro senza bisogno di commenti.
Domenica 04.11.2013: MASADA SUNRISE – EIN GEDI – MAR MORTO
Alzataccia alle 03.00. Doccia veloce e poi giù alla reception ad attendere l’arrivo della guida e della navetta. Partiamo nel cuore della notte per raggiungere il sito di Masada. La Guida ci avvisa che andremo 400 mt sotto il livello del mare e attraverso le orecchie sentiremo la differenza di pressione.
Arriviamo al sito che è ancora buio. Sono le 04.45. Bisogna superare a piedi il dislivello di 400 mt per arrivare in cima alla montagna e godersi l’alba su Masada. C’è un lungo sentiero e innumerevoli gradini da fare. Forte della mia esperienza di camminatore salgo su come un fulmine ed arrivo alla meta solo soletto, lasciandomi tutti alle spalle, compresi i numerosi gruppi di studenti venuti in gita (faccio presente che per loro oggi non è un giorno festivo ma l’inizio della settimana di solastica).
Fa un bell’effetto trovarsi lassù, in quel sito che ha una storia affascinante, sia per come è stato costruito (è enorme, non manca nulla: templi, bagni pubblici, cisterne, strade, case), sia per come è stato conquistato.
Il sole sorge, colgo l’attimo e lo immortalo con la macchina fotografica. Fa un effetto che non si può descrivere a parole, il colore tenue del sole che nasce riempie di rosa i monti da cui sorge e tutta la piana sottostante, arida e brulla.
Non c’è nemmeno l’ombra di un albero, solo sassi, terra e null’altro, a perdita d’occhio.
Giro per le rovine facendo foto e dopo un po’ finisco nella parte posteriore dove trovo la scalinata, che mi porta alla rampa di assalto costruita dalla X^ Legione dei Romani. E’ ancora li, intatta, dopo 2000 anni, ripida, che viene da domandarsi come abbiano fatto a costruirla e a percorrerla, portando fin lassù migliaia di metri cubi di sassi e terra.
Cito in proposito Wikipedia di cui riporto pari pari dei passi:
Masada (o Massada, o in ebraico Metzada) era un’antica fortezza, situata su una rocca a 400 m di altitudine rispetto al Mar Morto, nella Giudea sud-orientale, in territorio israeliano a circa 100 km a sud-est di Gerusalemme. Mura alte cinque metri – lungo un perimetro di un chilometro e mezzo, con una quarantina di torri alte più di venti metri – la racchiudevano, rendendola pressoché inespugnabile. A rendere ancor più difficile un assedio contribuiva la particolare conformazione geomorfologica della zona: l’unico punto d’accesso infatti era l’impervio sentiero del serpente, così chiamato per i numerosi tornanti che lo rendevano un gravissimo ostacolo per la fanteria. La fortezza divenne nota per l’assedio dell’esercito romano durante la prima guerra giudaica e per la sua tragica conclusione.
Nel I secolo a.C. la fortezza era il palazzo di Erode il Grande che tra il 37 a.C. e il 31 a.C. la fece fortificare. La cittadina era arroccata su tre diversi livelli verso lo strapiombo sul lato nord della rupe, dotato di terme con caldaia centrale, magazzini sotterranei e ampie cisterne per la raccolta dell’acqua; nel 66 era stata conquistata da un migliaio di Sicarii che vi si insediarono con donne e bambini; quattro anni dopo – nell’anno 70 – caduta Gerusalemme, vi trovarono rifugio gli ultimi strenui ribelli non ancora disposti a darsi per vinti.
Dopo un lungo assedio, guidati da Lucio Flavio Silva i Romani riuscirono alla fine a costruire una imponente rampa di accesso (ancora oggi visibile, vedi foto) che consentiva alle torri di assedio di arrivare sotto le mura per sgretolarle con gli arieti. Tuttavia, poco prima che ciò avvenisse, nell’anno 74 gli assediati misero in atto un’azione rimasta unica nella storia; quando i soldati romani vi entrarono senza trovare resistenza davanti ai loro occhi trovarono solo una orrenda ecatombe: il suicidio collettivo della comunità ebraica dei Sicarii *che aveva resistito al potere di Roma anche dopo la caduta di Gerusalemme e la distruzione del Secondo Tempio.
Dopo la sua presa, Masada rimase in mano ai Romani fino a tutta l’epoca bizantina. In questo periodo venne a lungo abitata da monaci cristiani che vi costruirono anche una basilica. Dopo l’invasione araba il luogo venne abbandonato e piano piano si perse addirittura il ricordo della sua posizione; venne infine riscoperta oltre un secolo e mezzo fa per diventare simbolo della causa sionista. Tutt’oggi reclute dell’esercito israeliano vengono condotte sul luogo per pronunciare il giuramento di fedeltà al grido di: “Mai più Masada cadrà”.
Masada è stata in parte ricostruita ed è diventata uno fra i più importanti siti archeologici di Israele grazie anche agli scavi compiuti a partire dagli anni sessanta sotto la guida dall’archeologo Yigael Yadin. Sono stati riportati alla luce i resti dell’antica fortezza: evidenti risultano i segni dei campi militari romani, con mosaici di notevole qualità, bagni e anche i massi di pietra lanciati dalle catapulte. Come segno dell’occupazione zelotaresta solo una piccola sinagoga mentre più recente, risalente al V secolo, è una basilica fatta costruire da monaci penitenziali.
N.b. I Sicari erano detti anche Zeloti cito ancora Wikipedia:
Gli Zeloti difendevano ferocemente i precetti della Legge mosaica, così come anche lo stile di vita ebraico ed il nazionalismo israelita. In particolare gli Zeloti erano molto interessati nel difendere la Giudea dal dominio dei Romani, che venivano considerati idolatri e quindi nemici dell’ebraismo. Spesso venivano chiamati anche Sicarii, dal momento che andavano in giro con i pugnali (sicæ) nascosti sotto la cappa e che venivano utilizzati dagli Zeloti per ferire o persino uccidere chiunque fosse colto a compiere sacrilegi, atti offensivi o anche omissioni nei confronti della fede giudaica.
Seguo un sentiero che mi porta alle vasche d’acqua costruite a strapiombo nella pancia della montagna, e un altro mistero si pone: come hanno fatto a costruirle?
Un cartello avvisa della possibile caduta massi. Ritorno veloce sui miei passi anche perché nessuno, oltre a me, si trova li, in quanto sono tutti di sopra, nella parte esposta verso est, a godersi sole e vista, per cui, se dovesse succedere qualcosa, sarei perso in mezzo al nulla.
Tutt’intorno, nei pendi attigui, si notano ancora tutti i perimetri delle mura degli accampamenti romani.
Torno sopra e poi scendo giù, fino al posteggio dei bus. Attendiamo gli altri e partiamo verso la riserva naturale di Ein Gedi. Non sono interessato a visitarla, per cui rimango a farmi un pisolino sulle panche del bar attiguo all’entrata.
Dopo che gli altri sono rientrati dalla visita partiamo per il Mar Morto e raggiungiamo una spiaggia attrezzata. L’ingresso in acqua è confortevole, si galleggia senza fare nulla, tanta è la concentrazione di sale (90%). I cartelli indicano che non si può bere l’acqua (ci mancherebbe) né immergere il volto.
Dopo il bagno si possono fare i fanghi di argilla, che sembrano quasi sabbie mobili. Sto a prendere il sole per fare asciugare la creta dopodiché mi butto sotto un getto d’acqua messo apposta per lavarsi dalla terra. Infine salgo su alle docce per lavarmi con acqua dolce.
Si sta un po’ al sole e poi, verso l’una e mezza, si rientra a Gerusalemme.
Arrivato in città mi tuffo nel marasma del mercato per comprare un po’ di frutta fresca (la frutta è ottima e anche la frutta secca, c’è l’imbarazzo della scelta).
Raggiungo poi la città vecchia. Giro di nuovo per i quartieri e finisco al Muro del Pianto. Osservo in silenzio e con rispetto. Leggo su tanti volti la disperazione, quella disperazione che deriva dall’attesa di quel Messia che non si è ancora materializzato. Tutto questo mi sembra un enorme mistero che nulla e nessuno riuscirà mai a spiegare, così nessun o potrà mai spiegarmi il mistero delle altre due religioni monoteiste: l’islam ed il cristianesimo. Guarda caso sono rappresentate tutte e tre li, in quel fazzoletto di terra, che è sacro per tutte, e su cui, per secoli, si sono avvicendati popoli diversi, dopo che avvenne la famosa diaspora degli ebrei ad opera dei romani.
Sono felicemente ateo e mi vanto del fatto che nessuna religione potrà mai spiegarmi in maniera comprensibile il mistero della vita e della morte.
Vado via. Ripasso per il quartiere ebraico, che è meno confusionario e caotico di quello cristiano (in cui si trovano per la maggioranza musulmani con tutti i loro bazar ed i loro commerci, dove i bambini sputano per terra davanti a dove stai passando tu, e dove, come da prassi molti venditori ti invitano a comprare le loro mercanzie).
Nel quartiere ebraico c’è pace, nessuno m’invita a comprare, nessuno mi secca.
Si fa sera. Torno all’ostello. Sono stanco morto. Aggiorno il diario e vado a dormire.
Lunedì 04.11.2013: CANA / NAZARETH / LAGO DI TIBERIADE / CESAREA
Sveglia alle 07.00. Alle 07.45 si parte.
Iniziamo da Cana, dove Gesù compì il primo miracolo: trasformò l’acqua in vino.
Cosa trovo? Un villaggio arabo, una chiesa moderna con dentro le giare del vino originali e nulla più.
Partenza per Nazareth. Delusione totale. Una città commerciale, costruita sopra resti di valore storico religioso. La chiesa è moderna, progettata da un italiano. Delusione.
Lago di Tiberiade, dove Gesù camminò sull’acqua. Nulla. Gironzolo per la marina. Delusione.
Pranzo a Nazareth a base di panino falafel, succo di melograno, cornetto appena sfornato.
Andiamo a Cesarea. E’ un viaggio lungo ma il sito merita una visita perché è una grande testimonianza storica rimasta intatta ancora dopo 2000 anni. Impressionante il teatro e lo stadio delle corse delle bighe. Tutto sul mare, così che il sito si può ammirare camminando sulla battigia
Rispetto ad altri siti archeologici le costruzioni sono rovinate, non intatte, ma molto simili a quando furono edificate. Il teatro viene utilizzato ancora oggi, visto che ogni fila di sedie è numerata.
Cesarea cancella in parte la delusione della giornata.
Alle 16.30 partiamo per Gerusalemme.
In autostrada vedo code interminabili di auto che da Tel Aviv rincasano.
All’arrivo mi tuffo nel mercato, è già tardi e molti commercianti stanno ritirando la loro merce. Alcuni di loro cercano di far fuori la frutta vendendola a metà prezzo.
Cerco prima un forno dove comprare degli sfiziosi mini croissant al cioccolato e dopo un ristorante tipico che si trova nei pressi, che mi è stato consigliato dalla guida. Lo trovo, e noto che il menu è a base di carne. Prendo hummus con carne trita, insalata mista, grigliata mista con interiora, ed una sprite.
E’ tutto buono, ma devo smaltire l’abbondante cena e allora cammino fino alla città vecchia.
Mi dirigo verso il Muro del Pianto. Dei ragazzi arabi mi vedono passare da solo e mi lanciano un petardo alle spalle. Mi fermo, mi volto e li squadro mentre ridacchiano. Tra me e me penso cose che non voglio riferire.
Continuo verso il quartiere ebraico, passo il check point e mi ritrovo per la quarta volta al Muro del Pianto. Indosso la coppola e sto in disparte, in silenzio, ad osservare e a cercare di capire una volta di più il mistero degli ebrei (vorrei chiarire che per me tutte le religioni sono un mistero ed io non sono stato programmato per capirle e decifrarle).
Martedì 05.11.2013: GERUSALEMME – TEL AVIV
In mattinata gironzolo per Jaffa Str. Alla ricerca di qualche gadget interessante da comprare. Scrivo qualche cartolina e la imbuco all’Ufficio Postale Centrale. Mi reco alla città vecchia e gironzolo ancora per il quartiere cristiano.
Ritorno alla porta di Jaffa per l’appuntamento con la guida della Holy City Tour.
Si tratta di un giro attraverso i punti salienti di interesse religioso.
Ryan è un americano trapiantato qui da quindici anni ed è molto preparato.
Il tour dovrebbe durare 4 ore, ma non finisce mai. Si parte della Tomba del Re Davide, si passa per il quartiere ebraico e prima ancora per quello armeno. Arriviamo al Muro del Pianto, dove Ryan ci fa lasciare ad ognuno un bigliettino con su scritto il nostro desiderio più grande.
Passiamo poi al quartiere cristiano, e purtroppo non andiamo alla spianata delle moschee perché oggi gli islamici festeggiano l’inizio del nuovo anno.
All’ora di pranzo ci fermiamo in una vecchia taverna gestita da arabi, nel quartiere cristiano, all’altezza della 3^ stazione della Via Dolorosa. Dopo mangiato seguiamo tutte le stazioni della Via, passiamo per delle scorciatoie che penetrano nei monasteri dei copti egiziani ed etiopi. Ecco che si svela il fascino della città vecchia: un labirinto di case, monasteri, ordini religiosi, che sono li da secoli e chissà quali segreti nascondono. Quanta gente ci è passata, quante storie sono successe, il mistero s’infittisce.
Da ultimo arriviamo al Santo Sepolcro. Ryan supera se stesso, ci dà spiegazioni persino eccessive, ma dopo sette ore la stanchezza la fa da padrona. Non ce la faccio più, e devo anche scappare, perché sono le 16.30 e devo ancora raggiungere Tel Aviv ad un’ora decente.
Mi congedo dal gruppo e scappo verso l’ostello, che si trova a più di un chilometro.
Mi reco presso un taxi collettivo (è un minibus che parte solo quando si riempie, ma il prezzo è conveniente).
Alle 18.00 inoltrate arrivo a Tel Aviv e dalla stazione degli autobus raggiungo il lungomare tramite un bus-taxi. Cerco un posto per dormire e dove non farmi spennare. Trovo un posto quasi decente al Front Beach Hotel e mi faccio una doccia.
Esco, sembra di essere sulla Ocean Drive di Miami, dove tutto è “huge”: grattacieli, spiagge, ristoranti etc…sa molto di americano.
Vado a cena in un locale sulla spiaggia di fronte al mio hotel, con cui è convenzionato. Ordino un club sandwich al tonno ed un hummus all’olio di oliva. Mi portano un enorme sandwich con contorno d’insalata ed un ottimo hummus, che però non riesco a finire. Fa molto “yu es ei”….. Pago 106 Ils ed esco a fare due passi per smaltire l’abbondante pasto. Mi fermo ad una gelateria che mi dà una coppa da 21 Ils. E’ enorme e buona, ma troppa, e, come scoprirò più tardi, mi rallenterà la digestione.
Dopo un po’ che cammino (avrò percorso circa 4 km) la gamba destra mi duole all’altezza del quadricipite femorale, per cui decido di rincasare.
Mercoledì 06.11.2013: TEL AVIV – MILANO
Mi alzo di buon mattino e vado in spiaggia a camminare sulla battigia. E’ una bella sensazione, il sole comincia a scaldare e l’acqua sotto i piedi dà refrigerio.
Dopo un po’ mi reco ad un bar accanto all’hotel, con cui è convenzionato. Scelgo di fare la colazione israeliana: insalata mista, due uova bollite, due tipi di formaggio (duro e molle), delle salse, tè, succo d’arancia, pane e marmellata.
Finito torno all’hotel per un breve riposo e per il check-out.
Lascio la valigia nel vestibolo ed esco per recarmi a piedi a Jaffa, distante un paio di km. E’ un posto storico ma è diventato molto turistico. Visito il mercato alimentare al porto ma è una delusione. Salgo su al borgo vecchio da dove c’è una bella vista e dove mi fermo a fare pranzo al ristorante Aladdin, che ha una vista splendida. Consumo un pasto a base di pesce ai ferri, verdura e acqua.
Dopo pranzo scendo giù al paese e visito il mercato dell’usato dove si può trovare di tutto.
Ritorno a Tel Aviv lentamente per godermi gli ultimi sprazzi di Israele e di vacanza. Mi era stato detto che qui la gente vuole divertirsi, che è un grande villaggio turistico, e devo dire, mi sembra sia proprio così. Ovunque io guardi vedo gente che siede ai bar ed ai ristoranti, chi fa jogging, chi cammina, chi fa il bagno, chi fa kite surf, chi fa paraflight, chi va in bici etc….E’ anche un luogo di tolleranza: ci sono tutte le categorie sociali che trovano un luogo di pace e divertimento. E’ un vortice di consumo sfrenato che serve forse a dissacrare, a rendere meno pesante una vita di paura, il terrore lo si esorcizza così, non pensandoci.
Ho ancora un po’ di tempo così mi spendo qualche schckel in spiaggia seduto su una sdraio a godermi il sole con tanto di mezz’oretta di pennichella, sorseggiando un sidro.
Il bus mi porta alla stazione dei treni, da cui raggiungo l’aeroporto proprio nel cuore.
Passo i vari check-point e raggiungo il mio gate. Faccio amicizia con una ragazza italiana, da due anni convertita all’ebraismo e con cui condivido il viaggio in aereo.
Arriviamo alla Malpensa che è quasi mezzanotte, non avendo dove andare a dormire ci godiamo due panchine dell’aeroporto, facendoci compagnia tutta la notte.
Per parlare di Silvia occorrerebbe un altro diario, perché è una persona energica dalle mille risorse, e la cui vita è un’avventura.
Ci salutiamo a Milano in stazione centrale con la speranza di rivederci.
Il mio grande viaggio attraverso quattro grandi Paesi finisce qui, ma continua nei miei ricordi, perché è e rimarrà qualcosa che nessuno potrà mai portarmi via.
Un giorno una persona di (un tempo) grandi possibilità economiche mi disse “Ho soggiornato nei migliori hotel del mondo”. Chiesi: “Bene, ma cosa hai visto, cosa hai vissuto dei Paesi in cui hai soggiornato?”. La risposta terrificante fu: “Nulla, perché avevo già tutto nell’hotel o nel resort che mi ospitava, sai, ho scelto i migliori al mondo, dove avevo tutto, ero servita come una regina e potevo incontrare questo o quel personaggio famoso, e ti potrei anche descrivere come erano fatte le camere, tanto erano belle”.
Non c’è limite alla pochezza e alla stupidità di certi umanoidi.