Cose turche ad Istanbul

“ALLAH E’ GRANDE E MAOMETTO E’ IL SUO PROFETA” ovvero COSE TURCHE, appunti di viaggio – Istanbul maggio 2003 La prima parola turca che si impara appena sbarcati all’Atatürk International Airport, è “çikis¸”. Niente di particolarmente mistico, non immaginiate chissà quale rivelazione sui misteri dell’Islam, significa...
Scritto da: Andrea Paoletti
cose turche ad istanbul
Partenza il: 30/04/2003
Ritorno il: 04/05/2003
Viaggiatori: fino a 6
Spesa: 500 €
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“ALLAH E’ GRANDE E MAOMETTO E’ IL SUO PROFETA” ovvero COSE TURCHE, appunti di viaggio – Istanbul maggio 2003 La prima parola turca che si impara appena sbarcati all’Atatürk International Airport, è “çikis¸”. Niente di particolarmente mistico, non immaginiate chissà quale rivelazione sui misteri dell’Islam, significa solamente “uscita”, ma in questo frangente è utile saperlo, anche perché la incontreremo per tutta la vacanza…Bella forza entrando e uscendo da moschee, palazzi, bazar e ristoranti, alla fine dalla “çikis¸” ci si deve passare per forza.

Ma l’impatto con Istanbul e la Turchia è assai più rivelatore…I discendenti degli Ottomani, sotto forma di impassibili funzionari doganali ci introducono immediatamente ad una delle caratteristiche più sorprendenti di questo Paese, ovvero l’assoluta libertà monetaria. Ufficialmente in Turchia la valuta corrente è la lira (al cambio 1€ = 1.700.000 lire turche) ma la flessibilità nei confronti della valuta straniera è la vera regola: per farla breve, il visto d’ingresso in Turchia (vera e propria gabella che riporta alla mente gli esattori del sultano Sulimano) viene proposto in due versioni di pagamento, speculari ed egualmente sorprendenti, 10 $ o 10 €.

Ora, va bene che il cambio paritario tra la valuta dell’UE e quella degli USA facilita la conversione ma qui si tratta dello Stato Turco che intasca valuta straniera in barba ad ogni trattato internazionale! Forse lo fanno per facilitare i turisti appena sbarcati che non hanno ancora cambiato i soldi, comunque la cosa mi insospettisce ma ovviamente pago senza fiatare i miei 10 € per avere l’ambito timbro “giris¸” (vi ho detto cosa significa “çikis¸”… con un po’ di immaginazione… io comunque l’ho capito solo davanti alle porte scorrevoli se vi può consolare). Se il buongiorno si vede dal mattino (e non importa se noi siamo arrivati alle 11.00 di sera) i turchi mi stanno già simpatici! Un emissario del Sultano, sventolante un cartello col cognome del rag.Filini della situazione, ovvero Luigi Torino, ci attende per accompagnarci in albergo. Questo servizio da veri signori ci aveva insospettito fin dai giorni prima della partenza, quando l’organizzatore sopraccitato ne aveva accennato l’esistenza compresa nel pacchetto 4 notti all’evocativo “Sultan’s Inn”. In realtà i nostri timori di integrità di portafogli, bagagli e soprattutto fisica vengono fugati dal sorriso del fido Mohamed che non parla una parola di inglese ma ha la faccia simpatica e ci scorta verso il parcheggio da dove estrae una familiare che a prima vista sembra un incrocio venuto male tra una Fiat Duna, una Trabant ed una vecchia Skoda. Visti i modelli di partenza (anche i meno esperti di automobili ricordano l’auto sbertucciata senza pietà sulle pagine di Cuore, l’auto resa famosa dagli U2 ai tempi di Achtung Baby e quelle berlinacce anni ’70 dei film di spionaggio ambientati in Medio Oriente) non so trovare aggettivi per descriverne la bruttezza.

Arriviamo dopo una ventina di minuti all’hotel, piccolo e grazioso (perché mai gli alberghetti si accompagnano sempre con questi de aggettivi?) con una splendida vista del Mar di Marmara pieno di mercantili e navi di varie dimensioni ancorate al largo.

Appoggiamo i bagagli e decidiamo di esplorare il quartiere di Sultanhamet per bere una birra. E’ vero che il Corano prescrive il divieto assoluto dal consumo di alcolici, ma i turchi ci hanno già dato l’impressione di affrontare le questioni legali con somma indifferenza mista alla già accennata flessibilità… le insegne al neon inneggianti alla Birra Efes infatti ci tolgono immediatamente ogni dubbio. Uno allora potrebbe pensare che l’acquisto e il consumo sia libero da ogni vincolo…E qui si sbaglierebbe perché il popolo turco sfoggia un’incredibile faccia di bronzo nei confronti di tutto ciò. Il caro Double Iu Bush scoprirebbe insospettabili similitudini tra il perbenismo wasp di cui è impregnata la società americana e il fatto che per motivi di convenienza la birra siamo invitati a bercela all’interno del locale e non nei tavoli all’aperto… I Turchi poi sono strani parecchio…Governati da un partito islamico che ha vinto le recenti elezioni, ultranazionalisti, spietati con le minoranze etniche, filo-europei, filo-statunitensi ma al tempo anche filo-sovietici… insomma dei gran paraculi per usare un termine in uso negli ambienti diplomatici…E qui chiudo la parentesi politica.

A dormire allora perché domani ci attende la Moschea Blu, Santa Sofia, la Yerebatan Sarnici (ovvero le cisterne romane) e il Gran Bazar. I buoni propositi non hanno però fatto i conti con i muezzin, che, per chi non li conosce, sono i sacerdoti deputati a richiamare i fedeli alla preghiera con invocazioni e canti lamentosi sparati a tutto volume dagli altoparlanti posti sulla cima dei minareti. Il fatto che ce ne sia uno ad una distanza di 50 metri in linea d’aria dalla nostra camera ci fa immediatamente capire che la mattina dovremo fare i conti con lui…Ah per la cronaca il muezzin inizia ad invocare Allah verso le 6.00 del mattino… Proviamo a riaddormentarci ma la luce che invade la stanza è incredibile e a questo punto Luigi si lancia in una pericolosissima discussione di stampo astronomico-geografico sulle motivazioni di questo fenomeno. Avanza timidamente un parallelo tra il fuso orario (+ 1 h) e la maggiore lunghezza delle giornate di luce ma rapidamente si accorge che meridiani e paralleli qui non confortano la sua teoria, non trovandoci in Scandinavia ma al confine tra Asia ed Europa. Il buon senso prevale e su questo troviamo la forza di sonnecchiare ancora un po’ prima di affrontare la nostra prima colazione turca, servita sulla terrazza dell’albergo che, bisogna ammetterlo, non scherza affatto come vista…Moschee, case in legno tipiche dell’epoca Ottomana, palazzi imponenti e l’immancabile Bosforo.

Vi starete chiedendo com’è la tipica colazione turca e soddisfo subito la vostra curiosità, anche perché non cambierà di una virgola per tutto il resto della vacanza. Un uovo sodo (che inizialmente ci trae in inganno dato che ha tutto l’aspetto di un uovo alla coque, compreso il bicchierino) olive saporitissime, fettine di cetriolo, pomodori, 2 tipi di formaggio, una specie di brioche salata, marmellata, miele ed una versione locale del Ringo Pavesi. A suo modo memorabile.

Pochi minuti a piedi e siamo già sotto la Moschea Blu così denominata per il colore delle piastrelle che la decorano (a dire il vero queste piastrelle blu abbiamo poi scoperto che stanno dappertutto, ma non è il caso di essere fiscali, quindi sorvoliamo). Ovviamente ci si deve togliere le scarpe e metterle in una busta di plastica ma questa è la tipica cosa di cui solo il turista più becero e provinciale si stupisce…Fortunatamente nessuno di noi si lancia in battute stupide e proseguiamo per la mitica S.Sofia, simbolo di Istanbul e strategicamente situata a due passi dalla moschea. Tutto si potrebbe dire di questa chiesa, poi moschea, poi chiesa, poi ancora moschea e infine museo per volere del Padre della Patria, ovvero il fondatore della Turchia moderna, Kemal Atatürk. Affascinante, misteriosa, imponente, buia, minacciosa, dalla struttura architettonica indefinibile, miscuglio di stili e di epoche, agglomerato di torri, torrette, cupole, minareti e ogni tipo di elemento che turba l’occhio europeo abituato a simmetrie, croci romane e croci greche, navate ed altari. Qui tutto è rimesso in gioco con un risultato di mirabile bellezza. Il pensiero corre al racconto del sacco di Costantinopoli in “Baudolino” di Umberto Eco. Ma non vorrei esagerare ed apparire pedante e sovracculturato, in una parola, come dicono dalle mie parti, per non fare troppo lo “sborone”, quindi passiamo oltre ed andiamo a vedere le cisterne romane che sono dall’altro lato della strada.

Anche qui lo spettacolo è mozzafiato (piccola soddisfazione personale: la mia tessera dell’Università di Bologna, anno di emissione 1999-2000 ovvero pochi mesi prima della laurea, mi garantisce ancora una volta l’accesso a prezzo ridotto… ma vieni!) e assolutamente unico: si scende sottoterra e in una penombra che sconsiglia l’uso di macchine fotografiche si intravede una distesa sterminata di colonne. L’umidità è pazzesca: dal soffitto cadono delle vere e proprie secchiate d’acqua, le colonne trasudano e in un silenzio irreale l’unica cosa che si sente è l’eco delle gocce d’acqua. Adesso non ricordo quante siano le file di colonne (forse 12 da 33 colonne ciascuna ma non ho la guida sottomano quindi non mi sbilancio, anche perché comunque la Guida Touring si è rivelata uno schifo…Ne riparleremo) ma l’effetto è incredibile e la dice lunga sulle competenze idrauliche dei bizantini…Ah l’Impero Romano d’Oriente…Ah la Tauromachia…Come giustamente chiosa Luca. Decidiamo di seguire la Yeniçeriler Caddesi che ci porta verso il Grand Bazaar che a parte evocare racconti da Mille e una notte e stimolare la fantasia dell’occidentale capitalista consumista che è in tutti noi, rappresenta un’esperienza da non lasciarsi sfuggire. Partiamo all’arrembaggio, non prima di aver provato sulla nostra pelle la simpatica invadenza dei turchi, soprattutto dei lustrascarpe, che si accaniscono con Luca, in quanto unico dotato di scarpe “serie” e lucidabili. Regalo! Regalo! La promessa è di una lucidatura gratis in cambio della sigaretta inizialmente offerta, ma presto si tramuta in una sorta di ricatto a suon di milioni di lire. Riusciamo a sfuggire…Luca salda il tutto con un euro e ci raggiunge all’interno del più intricato e affollato dedalo di strade e negozi che abbia mai visto. Si vende di tutto, abbigliamento, souvenir più o meno pacchiani, gioielli, narghilè, cibo, spezie, orologi, tutto! Ci aggiriamo estasiati e pronti ad affrontare feroci contrattazioni con i negozianti ma veniamo presi clamorosamente in contropiede…Per continuare con la metafora calcistica, i turchi effettuano un pressing alto, nella metà campo avversaria, ovvero ti abbordano appena entri nel loro raggio d’azione, tentano di intuire la nazionalità e appena scoprono che sei italiano iniziano con una serie di salamelecchi (lasciatemi fare per l’ultima volta lo sborone…Salamelecco da salaam, forma di saluto reverenziale e molto elaborata, questo spiega tutto) con lo scopo di attirarti dentro il loro negozio. Le possibilità di acquisto sono varie, dalla pashmina resa celebre dai reportage di Lilli in Iraq alle magliette con lo skyline inconfondibile di S.Sofia ma riusciamo a resistere ed usciamo indenni…Più o meno… A questo punto decidiamo di affrontare il nostro primo pranzo turco e finiamo per scegliere quello che dall’aspetto sembra garantire senza ombra di dubbio i più bassi standard igienici…Ci accomodiamo su degli sgabelli bassissimi e ordiniamo spiedini misti di pollo piccante accompagnato da uno strano riso arancione, un’insalata mista e pita (pane arabo) a volontà. Da bere Pepsi Cola in bottiglie di vetro modello 1973, presa da cassette appoggiate sui gradini esterni. La temperatura della bevanda è quindi quella ambiente…Neanche avessimo ordinato uno Chateaux Margaux. Te’ turco per tutti e via, verso il Bazaar delle spezie (Bazaar Egiziano, consigliatoci da un turco per i prezzi sensibilmente inferiori al turistico fratello maggiore). Ci incamminiamo ma la fetida mappa Touring non si dimostra assolutamente all’altezza (guai se non si riesce a trovare la Lonely Planet) e non sappiamo bene dove siamo, ossia senza eufemismi ci siamo persi. Luca blocca un ragazzo turco che ci indica la via…Quattro chiacchiere in inglese con il sottoscritto e siamo rassicurati: solo pochi minuti a piedi. Non abbiamo fatto neanche tre metri che il ragazzo ci segue e si offre di accompagnarci, nonostante avesse detto chiaramente un attimo prima che era un avvocato e doveva andare da tutt’altra parte…Mistero: sarà solo un esempio di squisita disponibilità mediorientale oppure c’è qualcosa di losco? Dario, fino a quel momento silenzioso, avanza l’ipotesi che io abbia rimorchiato…La prospettiva non mi esalta per niente e il turco continua a fare da Cicerone indicandoci monumenti e moschee, informandosi nel contempo su Roma, Venezia e Firenze. Finalmente raggiungiamo la meta e il turco potenzialmente sodomita se ne va, sciogliendoci il dubbio…Ma non del tutto.

Questo bazaar è decisamente meno frequentato dai turisti, le spezie la fanno da padrone con enormi sacchi colorati, odori più o meno gradevoli penetrano nelle narici e, in poche parole l’atmosfera è più vera, anche perché siamo letteralmente circondati da abitanti del quartiere (questa è una mia arbitraria supposizione, ma provate a smentirmi!) e banchetti di oggetti assurdi tra cui trottoline a filo, cacciaviti, batterie per telefonini, cibarie di ogni tipo e adesso non mi sovviene che altro. Comunque un gran casino di roba e di gente per dirla con un linguaggio forbito.

Decidiamo di prendere un taksi (così si scrive e pronuncia) e scopriamo che l’auto di Mohamed in realtà è diffusissima e anzi gode di una sorta di regime di monopolio per quanto riguarda il trasporto non pubblico. A proposito, io di autobus non ne ho proprio visti, mah, inspiegabile ‘sta cosa. Comunque il tassista (tassinaro, mi correggono i tre romani) non accetta dollari o euro, sconvolgendo i nostri piani, anche perché io per non saper né leggere né scrivere ho deciso di non avere mai a che fare con la valuta locale. Arrivati più o meno in zona albergo il tassinaro “ce prova” ovvero imbosca i soldi che Luca gli porge, ne estrae altri dalla tasca e si lamenta che non bastano. Inutile dire che scendiamo al volo ma la sua maledizione ci colpisce, infatti le sue indicazioni si rivelano sbagliate e vaghiamo come dei deficienti per tutto il Sultanhamet. Fortuna che avevamo deciso di prendere il taksi perché eravamo stanchi di camminare… Alla fine riusciamo ad arrivare all’albergo, esausti, in tempo per buttarci sul letto e non mancare all’appuntamento con il caro muezzin e la preghiera del tramonto… Per la serata decidiamo di puntare verso Taksim (niente a che fare con i taksi) ovvero la piazza che si trova in cima alla collina della Torre di Galata, da cui il quartiere di Galatasaray che tutti conoscono per la squadra di calcio. Il grande Raffo (che è stato dappertutto) mi aveva preventivamente consigliato questa zona e soprattutto la strada che collega la Torre a Taksim, ovvero la Istikal Caddesi, a detta sua piena zeppa di bar e pub tra cui un fantomatico Old Beirut che però non abbiamo trovato. In compenso troviamo la prima fregatura, sotto forma del ristorante dove decidiamo di cenare: anziché scegliere tra i piatti descritti, accettiamo il consiglio del cameriere, ovvero un gran mix, dal prezzo di 12.500.000 lire. One portion = Four people ci raccomandiamo e il cameriere fa cenno di sì: a proposito, lezione importante di linguaggio gestuale: se un turco muove la testa indietro vuol dire di no anche se potrebbe sembrare a noi occidentali come un sì…Ma non è stato un malinteso di questo tipo a generare l’equivoco…Perché di equivoco si trattò dato che alla fine il conto era di 50.000.000 (12.500.000 X 4). Tutti comunque sconvolti dalla mia zuppa di legumi dolci e frutta secca che sulla carta può sembrare una schifezza ma in realtà era buonissima e poi pare che sia il Viagra turco…Ma non approfondiamo… Decidiamo di mettere alla prova i locali della zona che ci appaiono da subito molto occidentali e moderni, tanto che non sembra affatto di essere ad Istanbul, per quel poco che abbiamo visto. Entriamo in una specie di minuscolo disco pub dove suonano dal vivo e la birra, neanche a dirlo è ancora la Efes, tanto che mi sorge il dubbio che questa birra, di produzione turca, goda di un regime di monopolio un po’ sospetto. Non ci lamentiamo anche perché non è malaccio e poi ci fa sentire molto antiamericani dato che non si vede ombra di Bud! La band, neanche a farlo apposta si lancia subito in una versione un po’ zoppicante di “Sultans of swing” dei Dire Straits. Non c’è che dire, il titolo della canzone è decisamente appropriato al luogo e man mano la band si scalda e si lancia in una serie di cover di classici del rock, tanto che qua dentro mi sembrano ben poco islamici e assai più sex & drugs & rock’n’roll. Ci spostiamo in un altro locale dove oltre alla birra…Efes un’altra band fa ballare l’intero locale al ritmo di classici dell’acid jazz e del new soul alla Simply Red: bravissimi e quando suonano “Blow my mind” dei Jamiroquai quasi mi commuovo… Ho ancora il tempo per fare acquisti discografici, sotto forma di due cd di musica etnica turca ( ma quando chiudono i negozi qua? E’ quasi l’una!) e poi prendiamo un altro taksi per tornare in albergo dopo aver contrattato la corsa per 5 €. Ci accorgiamo di avere la città in pugno, almeno sotto l’aspetto della viabilità, quando siamo noi a dare indicazioni al tassista per raggiungere il Sultan’s Inn. Ci facciamo scaricare davanti ala porta e il nostro ego è al massimo. Tutti a dormire, domani ci attende il Topkapi, il mitico palazzo del sultano… Il sole impietoso ci accompagna nella lunga scarpinata verso il palazzo dove frotte di turisti pregustano la visita al monumento più affascinante della città. Affascinante è dir poco, a parte la vastità indescrivibile del luogo, la visita all’Harem vale da sola il prezzo del biglietto per la squisita fattura delle decorazioni, le piastrelle, le finestrelle, le fontane, le logge e le mille stanzette che dovevano ospitare le 400 concubine del sultano e gli enuchi che si occupavano di loro. Il Topkapi va visto, non si può raccontare, così come non si possono descrivere le suggestioni dell’Impero Ottomano e la grandezza del Sultano, delle sue ricchezze, dei tesori, le porcellane, i pugnali e le sciabole istoriate, le collane, i bracciali e…Tanto altro, compreso un terrazzo panoramico sul golfo del Bosforo che si merita una classica foto di gruppo…Beh siamo solo in quattro… “Si è fatta ‘na certa…” dicono i tre romani e capisco che è ora di pranzo, consumato con un classico kebab e una patata ripiena (una jacked potato alla turca per intenderci) ma niente alcolici: prima perché siamo all’aperto, secondo perché abbiamo capito che evidentemente nei ristoranti la tremenda legge islamica non lo permette. Avremo capito bene? Il pomeriggio abbiamo deciso di dedicarlo alla vera esperienza sensoriale, spirituale, culturale, ecc. Ovvero il bagno turco. Al grido di “Ferzan sarebbe orgoglioso di noi!” (memori del film “Il bagno turco”, ambientato proprio ad Istanbul, città natale del regista naturalizzato italiano…Che stile didascalico penoso Andrea, che ti succede?) siamo andati con un misto di timore e curiosità alla volta del “çemberlitas¸ hamami”, aperto dalle 6.00 del mattino a mezzanotte, per uomini e donne, ma soprattutto per turisti. Al prezzo di 15 $ a testa (totale per 4 persone: 100 milioni di lire turche che a dirlo fa sempre un certo effetto…!) optiamo per il servizio completo, che prevede lavaggio e massaggio. Ci cambiamo, indossiamo il pes¸temal, ovvero il telo da bagno ed entriamo in questo stanzone dalla temperatura infernale al centro del quale campeggia un enorme lastrone di marmo esagonale riscaldato da tubature interne sopra il quale ci si stende e, tra una sudata e l’altra, si ha tanto tempo per riflettere, guardando il soffitto della cupola che sovrasta il tutto e i fori dai quali la luce entra con un’inclinazione tutta particolare. Scopriamo poi che il disegno originale di questo antico bagno turco (1584) è del mitico architetto Mimar Sinan che ha progettato praticamente metà delle moschee e dei palazzi di Istanbul. Mentre siamo persi in questi pensieri e il relax sta diventando veramente totale, un nerboruto massaggiatore con una pancia immensa che trasborda dal telo mi afferra per un piede ed inizia a strofinarmi energicamente con un guanto ruvido che mi estirpa un migliaio di peli e qualche strato di pelle, poi prende una federa da cuscino, la immerge nell’acqua saponata e poi con un effetto bolla di sapone, ne sparge la schiuma sul corpo iniziando a strofinare e massaggiare con una violenza inaudita. Mi ferma la circolazione delle gambe talmente stringe con le mani, poi mi stritola cassa toracica e schiena prima di infierire sulla spalla destra, sulla quale ci passa almeno una decina di minuti. Praticamente esausto e decisamente rincoglionito da questo primo trattamento, passo alla seconda fase, seduto su una specie di water, con il massaggiatore che decide di farmi cadere quei pochi capelli che ormai mi rimangono con uno shampoo-centrifuga che mi lascia intontito e mi fa ingurgitare chili di schiuma, visto che il naso è completamente ricoperto di sapone. Una “scrocchiata” al collo ed una alle braccia e, suonato come un pugile, ritorno a svaccarmi sul lastrone, rinfrescandomi di tanto in tanto con una bacinella d’acqua fresca. Sfiniti, rientriamo nelle cabine, ci asciughiamo e decidiamo di chiudere l’esperienza brindando con una spremuta fatta sul momento con uno spremiagrumi meccanico modello guerra di Crimea. Non ho le forze per descrivere l’esperienza dell’Hammam…È semplicemente una cosa unica e dall’impatto devastante sul corpo. Devastante nel senso positivo del termine, ma solo quando lo avrete provato anche voi ne potremo discutere… Dopo il bagno turco non c’è muezzin che tenga e il sonno ristoratore questa volta non viene minimamente disturbato, tanto che usciamo dalle stanze dopo le nove e optiamo per una serata tranquilla al ristorante Doy Doy che sta proprio dietro l’angolo. Siamo talmente provati che dopo poco più di un’ora di narghilè decidiamo di rincasare con il dubbio se l’effetto rilassante del bagno turco sia dilatato nel tempo…Vedremo al risveglio… Miracolo! Allah è grande! E noi infedeli che avevamo dubitato delle virtù terapeutiche…! Siamo pronti per l’evento della mattinata: una crociera sul Bosforo. Ci è toccato alzarci presto (l’autobus passa alle 9.30) ma sulla carta dovrebbe essere un’esperienza interessante…E poi anche Raffo, che sa sempre tutto, l’ha consigliato… La guida dovrebbe parlare al 99% in italiano dice l’uomo alla reception (e qui non è chiaro se parlerà al 99% in italiano e all’1% in turco oppure se 99% è la probabilità che ci capiti una guida che parla italiano) e infatti dopo pochi minuti si capisce che parlerà solo inglese…E che inglese! Innanzitutto il nostro gruppo sembra la gita-premio aziendale: due vecchie babbione inglesi (brutte, grasse, con dei pantaloni corti che lasciano intravedere uno spettacolo ripugnante di vene varicose, due cappelli da texane e sandalacci modello “estate a Salonicco”, una mezza azzoppata e chissenefrega del politically correct!) una coppia italiana di mezz’età con figlio sui 18 anni palesemente annoiato, coppiette patetiche sulla quarantina che iniziano a bere birra appena seduti sul ponte del battello…Scopriremo poi che sono norvegesi…Un disastro. Meno male che lo spettacolo del Bosforo è notevole: tantissimi palazzi dal gusto europeo si confondono con altre moschee (ma quante sono?!?) ville dei ricconi locali…La guida cita Berlusconi e ci fa l’occhiolino…Luigi sfoggia una maglietta verde militare con una stella rossa e gli fa capire che ha proprio toppato… A proposito di Berlusconi, un’altra breve nota politico-polemica: ricordate la celebre frase del Cavaliere a proposito della superiorità della civiltà occidentale su quella barbarica e primitiva dei Mediorientali? Beh, si venisse a fare un giro ad Istanbul (c’è venuto pure Clinton che campeggia nelle foto delle vetrine dei negozi dell’Arasta Bazaar assieme agli entusiasti proprietari) e forse vedendo quali meraviglie hanno saputo costruire i Sultani imparerebbe a formulare giudizi solo dopo aver visto le cose e non prima, evitando di infarcire i suoi discorsi con populismo di bassa lega e il provincialismo tipico dell’italiano che non e’mai uscito dal suolo patrio ma sa benissimo com’è fatto il mondo. E poi cosa si può pretendere da una persona il cui lascito architettonico ai posteri e’ Milano 2? Fine della polemica e fine della gita sul Bosforo, chiusa dalla visita ad una fortezza che si affaccia sia sui Dardanelli che sul Bosforo e quindi ci permette di fare le tipiche foto da turistone felicione.

Ci facciamo scaricare di nuovo al Bazaar delle Spezie dove faccio acquisti vari tra cui, dopo un’estenuante contrattazione, il narghilè full optional richiestomi da Giancarlo e un cd pirata turco al prezzo di 50 centesimi di euro. Il bello è che contiene mp3 quindi praticamente dentro ci sono almeno 10 cd di hits turche, dai nomi incomprensibili, ma molto divertenti. Attraversiamo il ponte e andiamo a vedere la Torre di Galata, situata in un quartiere storicamente sotto controllo dei genovesi che, ancora più paraculi dei turchi, si schieravano ogni volta con chi gli faceva comodo, pur di conservare i privilegi. La vista dalla torre è notevole e si può apprezzare anche il dedalo di stradine che si arrampicano lungo la collina. Ma siamo stanchi e siccome vogliamo passare l’ultima sera alla stragrande decidiamo di prendere l’ennesimo taksi e tornare in albergo per poi dirigerci verso Bebek, una zona molto fighetta e piena di ristoranti di pesce. Questo a detta della guida del mattino…Che comunque non sembrava una cima… Detto fatto, puliti e rivestiti andiamo a Bebek (circa 20 minuti in auto, accompagnati dalla scena esilarante del tassista che per tutta la corsa cerca di chiudere il finestrino incastrato, prendendo a pugni la portiera e smoccolando in turcomanno…Ci riuscirà solo quando ormai siamo arrivati a destinazione…) e ci accorgiamo subito che i nostri sospetti sulla guida erano fondati: un vero cretino, dato che capiamo che la zona buona per i nostri propositi è in realtà Ortakäy, che ovviamente abbiamo già oltrepassato. A Bebek ci sono decine di gelaterie, ragazzine smaliziate che non seguono affatto i dettami del Corano, tamarri locali con auto sportive, motociclisti che fanno a gara a chi è più macho, insomma una Riviera Romagnola in salsa turca… Altro taxi e dietro-front, ma stavolta facciamo bingo perché Ortakäy è una meraviglia: strette stradine costellate di locali e ristorantini romantici con vista mozzafiato sul Bosforo scintillante di luci. Scegliamo il ristorante Cynar (sperando che il conto non sia amaro…Ehehehe che battuta del cazzo, scusate) e un turco con un inglese molto fluent e una ragazza molto gnocca si offre di ordinare per noi…Decidiamo di correre il rischio e scegliamo tra alcuni sfiziosi antipasti freddi. Dario decide di mangiare un pesce alla griglia e il cameriere si presenta con un piatto per fargli scegliere il tipo…Decidono tutti e tre di prendere un pesce dall’aspetto simile all’orata e che, ci par di capire che il cameriere chiami “dorata”, mentre io tiro a sorte e vado su una grigliata mista…Di carne, dato che il turco mi avverte che in realtà il ristorante è pessimo, ci si va solo per il panorama e lui, che vive lì vicino da 30 anni ci sta cenando per la terza volta in tutta la sua vita… Evvai…! Il conto indica 112.000.000 e stabiliamo il record della vacanza, ma adesso bisogna trovare un locale dove ci sia musica e possibilmente un po’ di movimento. Entriamo subito in un bar, dove la scelta di un whisky gioca un brutto scherzo a Luigi e Dario…10 € a bicchiere…Hai capito l’Islam! La musica viene fatta con una tastiera su cui un deejay imposta delle basi e un altro tizio ci canta sopra: l’effetto è esplosivo e le ragazze turche si scatenano in simil-danze del ventre…Dalle ochiate di Luigi capisco che il movimento del bacino non gli dispiace affatto…Anzi. L’approccio con le ragazze turche comunque è disastroso, non parlano o non vogliono parlare inglese e praticamente ti guardano come se fossi un appestato, lanciando occhiate disperate di aiuto ai manzi locali. Non vogliamo certo rischiare la rissa in terra turca e ci trasferiamo al Sys che ha la curiosa caratteristica di avere delle corone di fiori da morto appese fori dall’ingresso… Nell’entrare ci tocchiamo ma alla fine la musica è molto coinvolgente e tutti ballano come degli indemoniati al ritmo delle hits turche, egiziane e asiatiche in genere, più qualche cover di pezzi famosi tra cui una mitica “Life is life” degli Opus, che non sentivo dai tempi del college in Inghilterra, 1991…Una vita fa. Sbuca anche una versione turca di una canzone della Carrà che non riesco a definire bene, ma il cenno d’intesa di Luca e Luigi mi conferma che non ho avuto un’allucinazione! Ci troviamo improvvisamente a corto di lire turche e decido allora di liberarmi dei 20 $ che ancora mi avanzavano dal Capodanno a NYC per pagare le consumazioni… per un breve momento entro in possesso di 10 milioni di lire turche, ma, fedele al mio principio di non affidarmi alla moneta locale, decido di investirli subito cercando di farmi dare dal dee jay un cd con le hits della serata o comunque delle canzoni che vanno di moda nelle discoteche di Istanbul…Missione compiuta! Il mio feticismo musicale è ancora una volta appagato e possiamo tornare felici al nostro Sultan’s Inn per l’ultima notte ad Istanbul.

Il muezzin non ci molesta quindi ci svegliamo comodamente alle 10.00, facciamo l’ultima colazione in terrazzo e dato che l’aereo parte alle 14.50 possiamo dedicare un paio d’ore della mattinata alle ultime spese, sotto forma di due pashmine da esibire il prossimo inverno e l’ultimo tè turco della vacanza. Mohamed ritorna sul luogo del delitto ma stavolta sfoggia una lussuosissima toyota corolla e, ringalluzzito dalle superiori prestazioni di questo automezzo, stacca un tempo entusiasmante che ci permette di arrivare in aeroporto con largo anticipo e iniziare le procedure d’imbarco con grande flemma… La vacanza è finita e ce lo conferma il funzionario che, con aria impassibile ci guarda il passaporto e lo timbra con una parola ormai familiare: çikis¸.



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