Conoscere cuba
Todo el Mundo (per i cubani, “Tutto il Mondo” è Cuba, non avendo avuto l’opportunità di conoscere altri Paesi) è fermo al 1959.
Il 2 Gennaio di 50 anni fa i barbudos fecero il loro ingresso trionfale a La Habana, Fidel Castro vi giunse l’8 Gennaio; partendo da Santiago, aveva attraversato l’isola per spiegare ai cubani il programma della Revolución “Umanista, Democratica e Nazionale”.
La luce del mattino ci catapulta indietro nel tempo, le strade, i vicoli, le auto d’epoca che dopo sessanta anni continuano a sfrecciare roboanti per la carretera in barba a rottamazioni e presunte futuristiche emissioni zero.Traballanti Lada, Coco Taxi, risciò sgangherati e Audi fiammanti da turista zigzagano per La Habana, sotto lo sguardo rugoso dei palazzi coloniali; barocco e neoclassico si intrecciano sui colonnati che portano al Capitolio, copia ben riuscita del Campidoglio di Washington DC.
La Habana Vieja, il centro storico coloniale che dal 1982 è Patrimonio Unesco, sta attraversando da tempo vaste opere di ristrutturazione e recupero, ma la parte bonificata è ancora minima ed in genere gli edifici risultano molto fatiscenti. Spessissimo si può assistere in pieno centro all’improvviso collasso di palazzi, incendi, crolli improvvisi.
Prima della Revolución, il governo aveva progettato di radere al suolo gli antichi quartieri storici; per fortuna Fidel fermò tutto, senza però aver mai avuto i mezzi per riuscire ad arrestare la loro lenta e progressiva decadenza.
File interminabili si improvvisano ad ogni punto di spaccio, libreta alla mano (il libretto del razionamento, in vigore dall’epoca dell’austerità) per assicurarsi la dose fissa minima mensile di alimenti di prima necessità, che lo Stato mette a disposizione di tutti i cittadini: dieci uova, mezzo chilo di pollo, un chilo di pesce, un chilo di carne, tre chili di zucchero, tre chili e cinquanta di riso, un panino e un litro di latte (al giorno); non sono compresi: olio, sapone, shampoo, dentifricio… .
Spesso gli alimenti inclusi nel razionamento non si trovano e quindi inizia la faticosa ricerca sotterranea.
Nessuno muore di fame bisogna dirlo, ma di sola libreta non si può vivere.
“Ho molto rispetto per ciò che è stata la Revolución – dice Agacia 1 , una donna di mezza età, funzionaria statale – mia madre mi raccontava spesso delle sofferenze e delle privazioni che i cubani erano costretti a subire…” Dall’arrivo di Cristoforo Colombo colonia spagnola, all’indipendenza mascherata sotto protettorato USA; terra di conquista da sempre umiliata e sottomessa allo Straniero, ma fertile fucina di epici eroi.
La dittatura di Fulgencio Batista (1952-1959) arrivato al potere con un colpo di Stato appoggiato apertamente dagli USA, aveva ridotto l’isola ad un bordello nordamericano, un porto franco per gli imprenditori e la Mafia d’oltreoceano: sfruttamento delle risorse naturali, case da gioco e prostituzione straripante; un “parco giochi” yankee che Batista aveva allestito reprimendo nella violenza ogni forma di opposizione, lasciando la maggior parte della popolazione ai margini, immersa nell’estrema povertà, schiacciata da un analfabetismo che superava abbondantemente il 90%.
I Gringos arrivavano a controllare il 90% delle miniere, il 90% delle piantagioni, l’80% dei servizi pubblici, il 50% delle ferrovie; gli USA acquistavano la principale risorsa cubana, lo zucchero, ad una tariffa preferenziale così da tener in pugno l’isola, soggiogandola economicamente.
Una Cuba stremata dalla burocrazia, dalla corruzione dilagante, dalla fame, salutava i rivoluzionari di Fidel come la riscossa nazionale a secoli di dominio e sfruttamento; Batista nelle stesse ore fuggiva in aereo trafugando in enormi valige, gli ultimi fondi delle casse Statali.
“Il popolo cubano prima non aveva niente, non era niente, ci hanno restituito la dignità che ci era stata per secoli calpestata…” racconta ancora Agacia .
Confisca delle industrie straniere, nazionalizzazione delle piantagioni, degli zuccherifici, delle raffinerie di petrolio e dei sistemi di comunicazione; aumento dei salari e taglio ai costi dei servizi pubblici. Nel maggio 1959 la prima grande riforma agraria con il conseguente esproprio delle terre ai grandi proprietari (in maggioranza nordamericani), per ripartirle equamente tra i campesinos.
Ecco il primo esodo verso Miami dei vecchi privilegiati, che abbandonarono le loro ricchezze e fuggirono in Florida.
Il Diritto all’Istruzione fu reso pubblico e parallelamente iniziò una massiccia opera di alfabetizzazione; l’accesso alle cure mediche è da allora, gratuito per tutti.
Non mancarono esecuzioni sommarie e deliberate dei vecchi arnesi del regime fantoccio, funzionari, militari, fiancheggiatori; già si iniziarono a notare i tratti autoritari della nuova stagione: alcuni barbudos troppo “autonomi” dalla linea ufficiale furono via via incarcerati (fra gli altri, si ricorda il caso di Huber Matos).
Ripetutamente Gracia – la donna che ci affitta la sua casa particular nella Capitale – torna sull’episodio del tentato golpe di Baya de los Cochinos, la fiducia ed il debito che nutre nei confronti del Líder Maximo è ancora grande, nonostante Fidel Castro sia praticamente scomparso dalla vita pubblica da circa due anni per gravi motivi di salute ed abbia lasciato il posto al meno stimato fratello, Raúl.
Gli Stati Uniti, colpiti direttamente nei propri interessi attuarono da subito un atteggiamento ostile verso il nuovo corso cubano, ritirandosi dagli accordi commerciali per lo zucchero (Eisenhower rifiutò per ritorsione 700 mila tonnellate di azúcar destinate agli USA) e tentando poi il colpo di mano: il 17 Aprile 1961, 1400 mercenari anticastristi addestrati dalla CIA, sbarcarono a Playa Girón con l’obiettivo di rovesciare Fidel.
L’operazione fallì miseramente, Cuba fece 1100 prigionieri che furono poi liberati in cambio di 53 milioni di dollari in attrezzature mediche, farmaci e alimenti per bambini.
Per la Superpotenza fu un enorme schiaffo morale.
È qui che si rese noto il carattere “socialista” della Revolución: è il tempo della Guerra Fredda, i due blocchi si fronteggiavano minacciosi, l’isola tropicale era in mezzo, costretta dalla Storia ad allinearsi all’Unione Sovietica per sopravvivere.
Il 25 aprile 1961 gli USA attuarono el bloqueo (l’embargo) economico, commerciale e finanziario verso Cuba che ancora oggi, mina alla base l’economia dell’Isola, rafforzandone però la leadership politica.
I miei tentativi di chiederle lumi sulla Cuba di oggi e sulle sue contraddizioni, risultano inutili, in un attimo Gracia ritorna con le lancette della Storia ai tredici giorni della paura.
Nel 1962 Cuba si trovò al centro del Mondo, l’alleato Sovietico vi aveva istallato clandestinamente missili nucleari puntati verso gli Stati Uniti.
Kennedy ordinò il blocco navale e chiese l’immediata rimozione dei missili; raggiunto l’accordo, Krusciov fece smantellare i missili, ma ottenne da Washington l’impegno che non avrebbe invaso l’isola caraibica.
Il regime cubano ne uscì rafforzato, mentre sul piano internazionale si apriva la cosiddetta “epoca della distensione”; la Terra e i suoi popoli erano stati ad un passo dal precipitare nell’abisso nucleare.
Cuba si avvicinò sempre più agli U.R.S.S., la sua economia dipendeva interamente dai Russi, in quanto si basava sullo scambio “tra Paesi Fratelli” : Cuba dava una tonnellata di zucchero o tabacco, ricevendo una tonnellata di petrolio sovietico… era un vero e proprio baratto, che naturalmente non si basava su nessun principio economico, era una forma di totale assistenzialismo.
È questa l’epoca dello sviluppo, in più arrivarono anche i primi frutti delle nuove riforme: sorsero grandi centri urbani per dare casa alle masse popolari, vennero eretti grigi casermoni, giganteschi alveari che ancora presidiano le periferie; l’analfabetismo fu sradicato, il numero dei medici salì in maniera esponenziale, la mortalità infantile ridotta considerevolmente.
Il Che, grande guerrigliero e rivoluzionario è l’icona di Cuba, il “Cristo laico”, il vero paladino dall’inflessibile rigore morale, della coerenza, della lotta al fianco dei più deboli; fu uno dei principali artefici della Revolución.
Divenuto Ministro dell’Industria, Presidente del Banco Nacional, preferì ripartire da zero, partendo per l’Africa, poi per la Bolivia con l’intento di esportare la Revolución per riscattare altri popoli oppressi della Terra. Fu ucciso da agenti della CIA il 9 Ottobre 1967 in territorio boliviano.
Da allora, è ovunque nel Mondo l’effige, il vessillo di ogni movimento libertario e progressista.
“Crediamo nel socialismo, negli ideali di uguaglianza, ci hanno educati, abbiamo vissuto pensando che era possibile costruire el hombre nuevo, ad oggi ci sentiamo traditi” si rammarica David, cubano da anni emigrato in Italia.
Citando Ernesto Che Guevara de la Serna: “La liberazione dell’uomo non significa solo realizzare la giustizia sociale, non significa solo sconfiggere l’ignoranza, non significa solo sopprimere la disoccupazione… Ma fino a che non sarà sconfitto l’egoismo, non avremo ancora compiuto la liberazione dell’uomo; non avremo realizzato i nostri sogni rivoluzionari…
Contemporaneamente alla base materiale bisogna fare l’uomo nuovo… ” Parallelamente al “modello” arrivò pure il “metodo” sovietico, il regime si radicalizzò, facendosi sempre più opprimente, per mezzo di un sistema poliziesco capace di controllare meticolosamente il territorio grazie ai CDR (Comitati di difesa della Revolución). Ancora oggi organizzano la vita politica, mobilitano il popolo per le manifestazioni, raccolgono le confidenze degli informatori (chivatos), nascosti in ogni condominio di ogni quartiere; radunano nei Centri di emergenza la popolazione in caso di uragani, segnalati tempestivamente dal modernissimo Centro Meteo de La Habana, riducendo praticamente a zero i rischi per la vita dei civili.
“Il periodo peggiore che abbiamo attraversato – racconta David – è stato il cosiddetto período especial… terribile, non pensavamo di poterne uscire…” Nei primi anni Novanta, con la dissoluzione dell’Unione Sovietica ed il perdurare dell’embargo USA, Cuba si trovò al fallimento dello Stato, la popolazione letteralmente alla fame, salvata dal disastro sanitario grazie alla prevenzione ed ai tantissimi medici presenti sull’isola. Iniziarono così cinque anni di austerità che vide l’isola cercare di salvarsi dal naufragio esclusivamente con proprie risorse.
Eccolo lo spartiacque, probabilmente l’appuntamento fallito con la Storia: rifiutare di aprire ad una sorta di Perestrojka cubana, prendendo atto che una fase storica a livello internazionale si era conclusa e che altre sfide potevano essere aperte, nell’esclusivo interesse del popolo cubano.
Fidel decise di restare sulla strada senza uscita; Cuba si aprì all’esterno, al turismo, al possesso del dollaro, ad una economia mista (anche se minima) ma mantenne lo stesso modello e la stessa struttura statale già incancrenita dalla burocrazia, dalla corruzione diffusa.
L’autopista è uno stradone scassato e privo di segnali, come fosse l’ultima delle strade poderali; galline, biciclette, carrozze trainate da ronzini smagriti che stentatamente trasportano famiglie intere… Passa di tutto su quella che dovrebbe essere l’autostrada che parte dalla Capitale, ma che si arresta ben presto, lasciando il passo a straduncole sconnesse, spesso interrotte da zone sterrate prive di qualsiasi protezione o indicatore di direzione.
Siamo ad ovest, la provincia di Pinar del Río è stata la parte più colpita: Hyke, Gustav e Paloma hanno violentato questo angolo di paradiso, mettendo in ginocchio economia e vita sociale; ovunque c’è distruzione: alberi secolari completamente sradicati, decine e decine di case divelte o danneggiate irreparabilmente. I cubani pazientemente ricostruiscono, il materiale che fornisce lo Stato è molto scarso, per non dire insufficiente. Si prende coraggio e si va avanti, con il sorriso di chi, realisticamente non ha niente da perdere.
Regione selvaggia dalle dolci montuosità della cordigliera di Guaniguanico, forata come un groviera da caverne naturali ove il Che si rintanò durante la crisi dei missili, nascosti molto vicino.
La Parte occidentale dell’isola è la terra del tabacco e della frutta, l’angolo meno esplorato dagli stranieri ma anche il più affascinante e misterioso. La fertile valle di Viñales disseminata di mogotes, strane formazioni geologiche ammantate di vegetazione si apre davanti a noi.
Enrique ci porta fin dentro “la giungla cubana”, fitte foreste di pini, felci arborescenti, eucalipti.
L’era Giurassica sembra nostra contemporanea: la natura ci avvolge ovunque, attraversando i campi di tabacco, solcando i viottoli color mattone, sotto lo sguardo vigile degli avvoltoi.
Vista da vicino la pancia di una delle montagne che presidiano la valle incute un certo timore, un campesino ci scorta munito di torcia fin dentro una grotta; stalattiti e stalagmiti giganti ci fanno da appiglio fino al fiume sotterraneo. Dicono sia lunghissimo; impossibile resistere alla tentazione di fare un bagno nell’acqua minerale… Incredibile, è a temperatura ambiente!! Gli agricoltori ci osservano curiosi, salutandoci cordialmente.
Costeggiamo i campi disseminati di vacas e cerdos, arrivando in una fitta radura.
Un campesino ci accoglie nella sua casa da lavoro, ci prepara un sigaro e ci offre noci di cocco; prima beviamo il liquido zuccheroso e poi raschiamo la polpa, accompagnata da un sorso di rum.
Sembra di essere nel Far West in primavera, i tacchini gorgogliano nel silenzio, mentre i polli frugano fra gli scarti del tabacco.
Il vecchio cowboy seduto sulla soglia della catapecchia di legno, dondola le gambe al vento, scrutando l’orizzonte; ha il viso segnato dalla vita; la semplicità e la dignità gli si riflettono nei profondi occhi scuri; non ci chiede nulla per la sua squisita cortesia, ecco che riceve cinque Cuc prelevati dalla nostra cassa comune, una sorta di piccolo forziere per le spese collettive.
Dai tempi della forzata apertura all’esterno a Cuba è in vigore la doppia valuta, il Peso Cubano e il Peso Convertible.
Il Peso Cubano è la moneta dei cubani, la moneta con cui si accede al razionamento, ai punti di spaccio per la pizza cubana o il Cochinito, al mercato della frutta, al cibo, insomma.
Il Dollaro americano non è più accettato: dal 2004 è stato sostituito dal Cuc ossia il Peso Convertible, comunque ancorato alla moneta statunitense, avendone lo stesso valore.
Ecco la principale causa delle enormi disparità sociali presenti nell’isola che si richiama al socialismo e all’eguaglianza come caratteri fondanti dello Stato.
I salari sono elargiti dallo Stato in moneta nazionale, ma il costo della vita, di tutti i beni di consumo è in Peso Convertible .
1 peso cubano è 1/24 di 1 Cuc (circa 0,90 Euro), il salario medio mensile è circa 10 Cuc.
Il peso convertibile è la moneta degli stranieri, che pagano qualsiasi cosa in moneta pesante.
Anche senza grandi calcoli, si può capire bene come sia impossibile vivere, ma si sia costretti a sopravvivere.
Ovvio che il cubano che vive a contatto con i turisti, abbia molte più risorse e possibilità rispetto a chi è tagliato fuori dal business; anche se non ha libertà di movimento, risulta limitato e discriminato in varie situazioni: non ha accesso agli alberghi, alle strutture turistiche, alla navigazione… utilizza varchi differenziati dagli stranieri per entrare nei locali notturni, nei musei, alle manifestazioni culturali… Altra posizione di “beneficio” occupa chi può disporre delle rimesse dall’estero di parenti, amici o conoscenti che sostengono forse più dei 2,3 milioni di turisti annui, l’economia nazionale.
L’ultimo esemplare vivente di socialismo reale, si ritrova in pancia una miriade di classi, una polveriera sociale, che vive alla giornata adoperando l’ingegno, la furbizia, la creatività, l’arte di arrangiarsi. È reclusa dalla dittatura, in una bolla che salvaguardia il vero privilegio: la conservazione dell’élite che gestisce e governa il Paese.
Il sole si nasconde, ma l’acqua cristallina fa da specchio a quello che in lontananza pare un tetro cimitero di elefanti; i cicloni, le mareggiate hanno portato a riva carcasse d’alberi che giacciono al suolo contornate da moltitudini di conchiglie di ogni forma e colore.
La spiaggia di Cayo Jutías è bianchissima, di sabbia fine; la timida luce porta la temperatura a 27° , 28 ° .
Sembra impossibile che un mare così bello, sia sgombro da natanti o yacht; più in là noleggiano una barchetta per fare escursioni.
Ci ritroviamo a nuotare fra i coralli e pesci tropicali, sopra tappeti di stelle marine giganti.
Il sub pesca un’ aragosta: visibilmente infastidita, appena libera scompare dalla vista in un baleno.
A passo stanco un gruppo di pescatori si allontana in bicicletta, la giornata di lavoro è terminata, l’andatura è lenta ed affaticata. Non possono vendere, ma per una decina di Cuc ci prendiamo l’intero pescado, aragosta compresa (il cubano non può acquistare il prezioso crostaceo, che è destinato al turista e all’esportazione).
La strada corre attraverso il Centro dell’Isola, la valle di Los Ingenios con le sue piantagioni di canna da zucchero, i villaggi ignorati dal turismo di massa, i lugares carattestici.
Eccoci nella paludosa Peninsula de Zapata ricca di venados e di cocodrilos; minacciose e grevi nubi coprono il cielo, all’improvviso un muro d’acqua si abbatte sulla via, è lluvia tropicale che ci accompagnerà incessantemente ancora per molti chilometri.
Cienfuegos sembra una città europea, il centro pullula di edifici neoclassici, è molto pulito e ordinato.
Fondata nel 1819 da immigrati francesi, è uno dei principali porti dell’isola, attivo nel commercio dello zucchero, del tabacco e del caffè.
La notte ci ritroviamo in un quartiere “benestante”, fatto di villette con giardino; al posteggiatore abusivo affidiamo el coche. Per un Cuc dice che lo custodirà fino all’indomani.
Scalare le montagne vicine è un’impresa non facile, la strada è martoriata da buche e interruzioni; con meraviglia arriviamo fino alle cascate de “El nicho” che si rigettano a valle in una serie incredibile di piscine naturali.
“Sono felice di essere qui, è la mia prima volta, pochissimi cubani sono arrivati fin quassù…” esulta emozionato Enrique, la nostra preziosa e onnipresente guida, fedele e insostituibile compagno d’avventura.
Per i cubani potersi spostare è un incubo; non possono possedere un auto almeno che non sia antecedente alla Revolución … o che non siano in possesso di permessi particolari (funzionari politici o governativi) o abbiano esigenze lavorative in ambito turistico.
In città si muovono in bicicletta o con i taxi che si pagano in moneta nazionale; per i viaggi più lunghi c’è la guagua (l’autobus) o il “cammello cubano”… Non è difficile vedere gente che aspetta per ore l’arrivo del mezzo, oppure cassoni di camion stipati di gente diretta verso il posto di lavoro.
Mezzo usatissimo è l’autostop, invece di potenziare i mezzi pubblici, i Comuni mettono dei veri e propri addetti alla disciplina degli autostoppisti in fila, che possono impiegare ore ed ore per trovare un automobilista che accetti di portarli a destinazione, sia esso un turista di passaggio o un cubano col mezzo di lavoro.
L’isola è super presidiata da esercito e polizia in ogni suo angolo; lo straniero è intoccabile (almeno che non faccia idiozie), ma i residenti sono guardati a vista e teoricamente non potrebbero muoversi dalla provincia di appartenenza. I controlli sono rigorosi, è un vero e proprio Stato di polizia che provoca sentimenti generalizzati di paura e costrizione; aleggia un perenne clima di sospetto e terrore che contagia i rapporti umani nel quotidiano… vicini di casa, colleghi di trabajo, semplici conoscenti o amici.
Un regime militare che, sempre più in declino, stringe il cappio attorno alla propria gente.
Scendendo dalle alture incontriamo villaggi poverissimi, qui gli stranieri sono una rarità.
Doniamo un piccolo casco di banane a due bambine che fanno l’altalena, come sedili utilizzano gli ex-involucri di due ordigni; una di loro chiede al genitore se possono accettare il regalo, l’uomo platealmente gli fa cenno di chiedere dinero.
Fra aranceti e platanares percorriamo la via che ci porterà a Santiago… ecco Sancti Spíritus, Ciego de Ávila… il paesaggio si trasforma, diversificandosi rapidamente… Molto di rado vediamo qualcuno che lavora, molti sono seduti, altri fanno la siesta… chissà da quanto… e per quanto tempo ancora saranno lì… Arriviamo a Trinidad, una piccola Habana: è facile perdersi nei vicoli dai fitti ciottoli, un pavè che fa impallidire il circuito della famosa Parigi-Roubaix . Per non smarrire l’orientamento Plaza Mayor è l’unico punto di riferimento e con un po’ di fortuna, troviamo subito l’alloggio per la notte.
Dal 1997 una legge autorizza i privati ad ospitare stranieri a pagamento, nacquero così las casas particulares. I proprietari dormono in salotto o in sala da pranzo su letti di fortuna o in poltrona e affittano la loro stanza per 20-25 Cuc a notte; dopo un’iniziale esplosione del fenomeno, il governo sta progressivamente strozzando les “Renta de habitaciones”, facendo leva sulla fiscalità. Impone ai proprietari una tassa fissa (fra i 100 e i 200 Cuc mensili, a seconda della Regione di appartenenza), indifferentemente da quale sia l’effettivo afflusso della loro clientela.
La stessa politica è riservata anche alle paladares, piccoli ristoranti privati dove si mangia ottimo cibo casalingo in ambiente familiare; sono molto economici, i prezzi sono in Peso cubano.
La tendenza sembra quella di costringere alla chiusura queste attività, ostacolando la vita di intere fasce sociali già precarie; parallelamente sarà scoraggiato il turismo fai da te che si serve del particular per i suoi costi moderati ed accessibili.
Il turismo del futuro sarà livellato verso l’alto, convogliato verso i villaggi vacanze e resort gestiti dalle grandi multinazionali del turismo o gli hotel ed i ristoranti di lusso statali partecipati da capitali esteri. Praticamente a costo zero il capitalista straniero erige strutture su concessione statale quinquennale, che ritornano di proprietà dello Stato alla fine del periodo pattuito: un business per entrambi, sulla pelle dei lavoratori cubani.
La mattina splende su Trinidad, sulle sue case coloniali basse, le sue facciate color pastello; sul marciapiede uno sciuscià lavora fra i passanti, mentre un mulo trascina faticosamente un carretto rugginoso. È una bella giornata di sole, questa cittadina di 60.000 abitanti sembra deserta; una scolaresca composta ma vivace irrompe innanzi alla cattedrale.
Un vecchio si aggiusta il cappello di paglia, ritrova il ritmo tornando ad ondeggiare sulla sedia stringendo fra le labbra un robusto.
Son los Sueños Todavía di Gerardo Alfonso ci accompagna lungo il cammino: l’effige del Che, gli slogan del regime, i tabernacoli dedicati ai cinque cubani detenuti ingiustamente nelle carceri nordamericane al grido…¡VOLVERÁN!. Scuole, tante scuole lungo la carrettera nei villaggi, o nel mezzo alle campagne. Ognuna è sorvegliata dalla sguardo severo dell’eroe nazionale José Martí.
Via via sulla strada fanno incursione campesinos con grossi tocchi di queso e guaiaba, tipici prodotti della zona di Camagüey.
Le campagne sono molto popolate, i contadini arano la terra spronando i buoi, appoggiandosi per l’intera giornata alle case del trabajo di paglia gialla (bohios); sulla piana pascolano in tranquillità le vacas che forse si sentono fortunate: sanno che non arriveranno facilmente in tavola.
Sembra di essere nell’Italia preindustriale degli anni ’50, il cittadino furbo e smaliziato costretto ad arrampicarsi in ogni modo anche per un pò di latte… i rurali incontaminati ed irreprensibili, lavoratori instancabili, premiati dai frutti della terra e dal mantenimento del bestiame.
Sognano La Habana i giovani dei centri minori, delle campagne, dei modesti villaggi; vagheggiano la Capitale come la culla delle opportunità, el centro del Mundo.
Diamo spesso ospitalità a chi fa autostop, incredibile… dalla professoressa di liceo, all’avvocato, alla studentessa, alla dipendente governativa. I loro racconti stupiscono e commuovono, riflettono le difficoltà, le ansie, la rassegnazione di chi non vede altro orizzonte davanti a sé, se non la sopravvivenza obbligata e la lotta quotidiana per tirare avanti.
L’asfittica economia socialista, un circuito chiuso ed imbalsamato è ferma e non riesce a soddisfare il fabbisogno minimo della popolazione.
Paradossalmente è l’economia illegale e sotterranea che sorregge l’intero Sistema: operazioni commerciali di scambio e baratto, ma soprattutto mercato nero in peso convertibile; furti e furtarelli allo Stato (specialmente sul posto di lavoro) e smercio clandestino.
Gli stranieri sono un ingranaggio importante della catena, in quanto immettono liquidità e carburante nel macchinario.
Ogni cubano è costretto a fare più di un lavoro particular, oltre il trabajo ufficiale; il primo lavoro conferisce effettivamente un reddito fittizio.
È con il secondo o terzo impiego di fortuna che si tira avanti: il medico vive facendo il tassista di notte, il giornalista professionista si guadagna l’esistenza vendendo calcomanie e disegnando insegne commerciali, l’impiegato statale procaccia casas particulares ai turisti e si prende la commissione dovuta dall’affittacamere.
È un’arte d’arrangiarsi a ciclo continuo, mestieri impensabili nascono dalla creatività e dal bisogno di resistere ad un Sistema malato e generatore di profonde disuguaglianze.
Lo Stato sa e tollera questo impianto economico parallelo e sommerso, perché appare ovvio come l’economia clandestina sia l’effettiva economia reale, senza la quale il Paese collasserebbe socialmente ed il regime stesso crollerebbe come un castello di carte.
Di riflesso, il continuo raschiamento del Sistema pubblico corrode e alimenta incessantemente il dissesto Statale, già di per sé una gigantesca voragine.
“Il governo rattoppa qua e là, una zattera alla deriva piena di piccole e grandi falle; come ne ripara una in un settore, se ne apre una ben più grande in un altro… la linea è discendente da troppo tempo, la gente non ce la fa più – denuncia Jorge, giovanissimo studente di ingegneria – il Sistema ormai non può più autoriformarsi, entro cinque anni se le cose non cambieranno radicalmente, arriveremo al crack e succederà qualcosa di grosso”.
Scende dall’auto e ci saluta sollevato, anche per oggi è riuscito a trovare un passaggio per tornare a casa dopo tre ore in attesa d’autostop, per percorrere appena 30 chilometri!! Siamo alle soglie dell’Oriente, passiamo Las Tunas, molto in lontananza si erge la Sierra Maestra, foresta impervia ed inospitale, proprio qui si formò la guerriglia, il nucleo che sferrò l’attacco decisivo all’esercito di Fulgencio Batista.
Pochissimi sono i distributori di benzina, meglio optare per la gasolina especial; niente self service alla Statale Cupet-Cimex, unica compagnia petrolifera; spesso troviamo anche cinque addetti per due sole pompe di erogazione! Cuba è ricca di petrolio, riesce a soddisfare la metà del proprio fabbisogno interno; l’altra metà è fornita dal Venezuela di Hugo Chávez (novantamila barili al giorno), assieme alla tecnologia estrattiva e di raffinazione, in cambio di truppe di medici specializzati (trentamila secondo le stime recenti).
Novello Comandante, El Caudillo si erge a paladino del socialismo del terzo millennio: vorrebbe emulare il miglior Fidel, portavoce negli anni Settanta dei Paesi in via di sviluppo ed esponente di spicco dei Paesi non allineati; simbolo della lotta contro l’imperialismo yankee.
Il nichel è un’altra importante risorsa dell’isola; metallo usato in tutto il mondo per fabbricare acciaio inox, batterie ricaricabili, monete (per esempio, i nostri centesimi), oltre che essere un catalizzatore per l’idrogenazione degli oli vegetali.
Venezuela ma anche Cina, che fornisce prodotti tecnologici e autobus nuovi di zecca; Brasile ma anche Germania. Spagna, antica madre coloniale.
Holguín è la città dei parchi e furono proprio queste zone che Cristoforo Colombo visitò dopo la scoperta di Cuba (lo sbarco avvenne vicino a Gíbara); vista dall’alto è grandissima (200.000 abitanti) e scarsamente illuminata.
Non ci resta che visitare la Casa della Musica dopo un’ottima mangiata in Paladar.
Don Quijote e Sancho Panza troneggiano nel centro della città fondata nel 1525 dal conquistadores García Holguín; dal 1959 come tutte le città cubane ha un propria Plaza della Revolución e le sue vie e piazze principali sono intestate ad eroi nazionali.
Un filo rosso unisce idealmente i combattenti delle guerre d’indipendenza ai patrioti della Revolución. Antichi paladini, storici nemici; valorosi protagonisti, eterni avversari.
Simon Bolívar ( 1783-1830) l’eroe venezuelano che dedicò la vita per l’autodeterminazione degli stati sudamericani.
José Martí (1853-1895), il più grande eroe cubano: poeta, scrittore, ribelle; fondò il partito rivoluzionario e organizzò la prima guerra di indipendenza (1868). Cadde ferito a morte da un proiettile spagnolo.
Carlos Manuel de Céspedes, eroe del primo conflitto per l’autogoverno contro gli iberici.
Antonio Maceo, figura leggendaria della lotta per la libertà dallo Straniero, dopo la morte di Céspedes.
Máxìmo Gomez, si unì a Maceo nella lotta e morì il 17 giugno 1905.
Camillo Cienfuegos, uno dei più celebri barbudos della Revolución Cubana dopo Fidel e il Che, morto prematuramente nell’autunno 1959.
Anche da queste parti i recenti uragani hanno fatto gravi danni, specialmente nelle campagne dove centinaia e centinaia di famiglie sono costrette a ricostruire.
Passando dai “cantieri” rimaniamo sbigottiti da ciò che vediamo: abitazioni su abitazioni sono coperte da pannelli di Eternit, amianto.
È lo Stato che fornisce il materiale: sembra addirittura che ancora venga prodotto ad ovest, nella zona di Pinar del Rìo.
Il regime finge di non sapere e non informa la popolazione, esponendola a patologie mortali: le fibre di amianto provocano mesioteloma pleurico, una gravissima forma di cancro e abstestosi.
Dal 1984 l’Eternit è stato via via eliminato in Occidente da facciate e tetti 2 .
Anno 2009: è possibile che lo Stato cubano non sappia per arretratezza, quando ha un modernissimo centro meteorologico dove riesce addirittura a prevenire gli uragani più efficacemente degli Stati Uniti (vedi il disastro Katrina)? Eppure in questo controverso Paese, la salvaguardia del territorio è col tempo diventata una priorità nazionale – ad eccezione delle zone adibite a turismo di massa, dove sorgono villaggi turistici ed alberghi di lusso (le zone di Varadero, Guardalavaca) , – in controtendenza con le distruzioni ambientali operate in passato dai regimi filo-nordamericani.
Con la Revolucìon intere aree dell’isola sono diventate parti di territorio tutelate e protette.
Addirittura l’agricoltura urbana produce il 60% degli ortaggi a livello nazionale, le coste e le spiagge sono custodite gelosamente nel rispetto dell’equilibrio ecologico, facendo vincere a Cuba importanti riconoscimenti internazionali.
A partire dal 1968 la Sierra del Rosario (riserva mondiale della biosfera per l’Unesco) ad ovest, è stata oggetto di un vasto progetto di rimboschimento; oggi è una meravigliosa foresta di sei milioni di alberi.
Allo stesso tempo non esiste una cultura ambientalista, un senso civico adeguato; la raccolta differenziata dei rifiuti è pura fantascienza.
Le città sono sporche, si getta spesso roba ormai inutilizzata dalla finestra.
A terra, cartacce, bottiglie di plastica e cellophane cuociono al sole scosse dal vento.
Con l’approccio al consumismo ed il conseguente incremento di materiali e confezioni, sta aumentando di pari passo l’inquinamento: i rifiuti vengono ammassati in luoghi appartati e bruciati sul posto. Dense nubi scure si levano nell’aria già satura dell’alta percentuale di smog, vomitata dai migliaia di vecchi macinini d’epoca che intasano le strade.
A Santiago de Cuba troviamo un caldo asfissiante, questi bruciatori old style saranno anche modelli unici e bellissimi da vedere… le Chevrolet, le Cadillac, le Mercury, le Studebaker 48… ma insieme a centinaia e centinaia di Lada, qualche 126 Fiat e qualche Panda… tolgono il fiato, rendono l’aria irrespirabile per dei polmoni normali! Questa sorta di “American Graffiti” che va in scena in ogni città, è l’ultimo lascito visibile del “ bordello degli USA”. Poi l’embargo commerciale e la chiusura totale al mercato nordamericano… Le famose auto d’epoca oggi sono state dichiarate da Fidel “Patrimonio Nazionale” e non possono essere né comprate, né vendute.
Via via ogni cubano si è scoperto meccanico e spesso li troviamo ad armeggiare pazientemente dentro cofani fumanti ai bordi delle strade.
È comunque sfatato il mito secondo cui dovremmo rottamare l’automobile ogni cinque, dieci anni raggiunti i fatidici centomila chilometri… Il popolo è un melting pot di razze, un autentico patrimonio meticcio: bianchi (di origine spagnola), mulatti, neri (“importati” ai tempi della schiavitù – poi abolita nel 1886) ed asiatici… incredibile anche La Habana ha la sua China town! La discriminazione razziale, in un’isola da secoli multietnica, venne dichiarata illegale dal governo rivoluzionario.
Santiago de Cuba è un esempio di questo miscuglio latinoamericano, anche se la percentuale di neri è altissima; qui comprendiamo bene l’unione del ritmo caraibico con le danze africane, dalla Rumba al Mambo, dal Son alla Salsa, dal Cha Cha Cha al Bolero, dal Changui al Batanga.
La colonna sonora di un’esistenza malinconica e travagliata, ma scandita dal sorriso e dalla voglia di vivere.
Passeggiando per tutto il Paese, incontrando persone, le loro storie, visitando luoghi sospesi dal tempo, è come se questa musica coinvolgente ci accompagnasse nel cammino, creando una atmosfera unica ed indimenticabile.
La vecchia Lada vacilla ma non si dà per vinta, il tassista si ferma ai piedi della Moncada.
Oggi è una scuola, ma fino al 26 Luglio 1953 era la caserma simbolo del regime di Batista.
Fu assaltata dal giovane Fidel Castro Ruiz alla testa di un centinaio di uomini, con lo scopo di infliggere una sconfitta decisiva al governo fantoccio nordamericano e conquistare la città, la seconda dell’isola.
L’operazione fallì, Castro fu arrestato, le truppe di Batista (oltre 1000 uomini) fecero prigionieri ed attuarono una dura repressione, in totale ci furono 61 morti.
Gli spari, le raffiche di quel giorno sono ancora oggi visibili sulla Moncada, da allora simbolo nazionale e luogo ideale per la nascita del movimento del 26 Luglio, che segnò l’inizio della Rivoluciòn cubana. Avrebbe trionfato esattamente dopo sei anni, sei mesi e sei giorni.
I 61 Martiri li ritroviamo non molto lontano, nel Cimitero Monumentale della città, insieme all’Eroe nazionale José Martí, ad Antonio Maceo… fino al grande Compay Segundo, compositore, musicista e cantante recentemente scomparso.
È ancora giorno quando giungiamo al Castillo del Morro, a pochi chilometri da Santiago: una fortezza che domina l’accesso alla baia, costruita dagli spagnoli nel 1663 per proteggere la città dalle continue incursioni dei pirati. Dall’alto ecco Cayo Granma e la vastità della Sierra Maestra, ma anche una modesta prigione adibita alla detenzione di prostitute.
Non distante da Santiago, meta nazionale di pellegrinaggio e preghiera è il santuario cattolico de El Cobre, La Virgen de la Caridad. Centinaia e centinaia di persone la affollano ogni giorno provenienti da tutto il Paese.
Dal 1998 dopo la visita ufficiale di Giovanni Paolo II, lo Stato ha aperto al culto religioso; si può dire che è stato accettato, ciò che prima era peccato.
Il cubano tutt’altro che bigotto, aveva perso ormai del tutto il suo rapporto col cattolicesimo e questo forse spiega in buona parte, l’attuale libertà di costumi.
Il Vaticano ha conquistato nuove praterie da evangelizzare e Castro davanti al Mondo intero, ottenne la condanna dell’embargo statunitense: “Le misure di blocco economico contro una popolazione sono ingiuste ed eticamente inaccettabili” affermò Karol Wojtyła al tempo della storica visita a La Habana. Concetto ineccepibile.
Nel novembre 2008 migliaia di persone si sono riversate a Camagüey, la provincia più cattolica, per beatificare Giuseppe Olallo Valdés religioso del XIX° secolo. Alla cerimonia ha presenziato anche Raúl, el nuevo Líder – 77 anni; infondere spiritualità serve al regime per anestetizzare le piaghe sociali e celare le difficoltà contingenti dello Stato; curiosamente chi afferma di ispirarsi al marxismo, usa il credo per dare oppio alla propria gente.
La Chiesa cubana appare abbastanza contigua alla dittatura, anche se i non molti sacerdoti aiutano concretamente la popolazione, nonostante gli esigui fondi a loro disposizione; si riscontrano però poche migliaia di fedeli rispetto alla santería, una sorta di rito tribale, sincretismo tra religione africana e culto cattolico che coinvolge milioni di persone sconvolte dal presente ed ansiose di futuro.
I chilometri aumentano e con essi las preguntas che nascono, colmano la mente: l’isola è una meraviglia per gli occhi, ma un sussulto per il cuore.
Più avanti avvistiamo Guantánamo, sede della famigerata base militare nordamericana, dove i Gringos seviziano e torturano i loro nemici, fantasmi veri o presunti dell’infinita guerra al Terrore.
Dal 1934 “el enemigo” paga un canone di locazione irrisorio, effetto residuo del remoto protettorato.
Fidel incassa borbottando, denuncia il sopruso ma misteriosamente l’odiata Superpotenza resta in territorio “comunista” .
L’autopista è un salto nel buio, nessuna segnaletica o corpo illuminante, cambi di corsia non segnalati, improvvise interruzioni, biciclette o carri senza luci di posizione; davvero pericoloso ed inspiegabile come in tutti questi anni non si sia investito nel potenziamento delle opere pubbliche e di comunicazione.
Spesso e volentieri è uno dei pochi pregi di ogni dittatura quale ne sia il colore.
Santa Clara è il Che, Santa Clara è un caposaldo della Revolución cubana.
1958: Fidel Castro ed i suoi uomini si impadronirono di Santiago, il fratello Raúl conquistò Guantánamo, Camillo Cienfuegos combatteva nel centro, a Yaguajay mentre Guevara entrava a Sancti Spiritus il 24 Dicembre.
Il 28 Dicembre scoppiò una battaglia a Santa Clara; le truppe rivoluzionarie vennero bombardate, ma il Che assaltò un treno blindato pieno di munizioni diretto a Santiago.
Questo episodio fu determinante, i ribelli di colpo si ritrovavano armati quanto l’esercito regolare.
La Revolución aveva il via libera della Storia, era il Gennaio di 50 anni fa.
Ad ovest della città ecco il Memoriale del Che, sul basamento l’incisione HASTA LA VICTORIA SIEMPRE.
CHE, per il popolo: Cubano, Hermano, Ejemplo; le sue ossa riposano sotto la statua, nel Museo dei Martiri della Revolución con le trentotto lapidi dei compagni caduti in Bolivia.
Tuona alle nove della sera il cañonazo de la Habana, come all’epoca degli spagnoli colonizzatori che al colpo di cannone serravano le mura della città.
Julio apre il portone e si nasconde dietro le gambe di Camila che lo prende in braccio, accogliendoci con grandi sorrisi.
La casa è scarna, ma l’ospitalità è grande. Uno stanzone disadorno e scialbato è occupato per larga parte da una impalcatura, ai cui piedi sono piazzate due poltrone e un divano.
“Sono anni che cerchiamo di finire di ristrutturare gli interni – ci dice Ramón – ma non ci sono i soldi e quindi andiamo molto a rilento…” Ci sediamo a tavola, si mangia in sala da pranzo… menù tipico: Moro y Cristianos (fagioli neri e riso), Cochinito (maiale) e pollo con contorno di cetrioli, pomodori e plátano (banana, considerata una verdura).
Parliamo del viaggio, dei meravigliosi lugares e delle perplessità che abbiamo.
Ramón e Camila in silenzio ascoltano, il piccolo Julio scorrazza ed urla per tutta la casa senza mai fermarsi, è una vera peste! Enrique e Ramón non si conoscono, ma parlano con una complicità tale che sembrano conoscersi da una vita. Florencia sorride guardando ammirata il nipote, quel niño così vivace, che ha i tratti della madre, ma gli occhi furbi e svelti del padre.
Vivono da sempre in questa casa della Habana Vieja, da generazioni.
Non si può fare altrimenti, lo Stato fornisce l’abitazione, ma una sola volta; anche Julio abiterà qui con sua moglie, con i suoi figli e se sarà fortunato, con i suoi nipoti.
Camila e Ramón sognano un proprio appartamento per essere indipendenti; un piccolo coche per portare il figlioletto a vedere le montagne dell’ovest, riuscire a costruire una prospettiva di vita migliore al bellissimo Julio.
Emerge chiaramente che una sorta di apartheid monetario ha creato un Paese a più velocità: Il cibo razionato non basta a sfamare l’intera famiglia (ed in genere sono nuclei numerosi…).
Ci vogliono mesi e mesi di risparmi particular per potersi permettere un semplice paio di scarpe o un paio di pantaloni, addirittura occorre una vita intera per regalarsi un televisore, giunto a pezzi dalla Cina ed assemblato in patria.
Le calzature sono addirittura considerate un bene di lusso, di prezzo elevatissimo risultano essere anche quelle confezionate dagli artigiani del posto, altra categoria “benestante”.
Le spese per luce, acqua e gas sono abbastanza sostenibili, ma il costo della vita resta comunque altissimo e irraggiungibile, se si dovesse sopperirvi unicamente con il salario ufficiale.
I cittadini hanno il proprio conto in Banca, ma non hanno accesso al credito né esistono forme di risparmio.
Rifletto ad alta voce, di aver vissuto bene a Cuba, una vita normale senza che mi fosse mancato nulla … ma ho dei Cuc in tasca…“Questo dimostra che ci sarebbe spazio anche per noi”- mi interrompe Ramón.
Fortunatamente la famiglia di Florencia, come molte altre da queste parti ha parenti en el Norte (negli States).
Sono le rimesse dall’estero degli esuli cubani o degli altri sparsi per il Mondo, che sostengono l’economia reale, più del turismo.
I Cubani del nordamerica sono ormai diventati una lobby potentissima in Florida tanto da risultare decisivi perfino in una delle recenti elezioni presidenziali, si ricordi il pugno di voti che permise a Gorge W. Bush di approdare alla Casa Bianca nel 2000.
Soprattutto per questo gli USA dalla fine della Guerra Fredda, non hanno mai invaso l’isola caraibica e mai si azzarderanno a farlo: a Cuba vivono ancora gran parte delle famiglie dei capitalisti di Miami.
Dal crollo dell’URSS è un gioco delle parti: “Cuba lo Stato Canaglia” contro “el enemigo”.
L’embargo commerciale è sempre asfissiante, ma dalla Superpotenza arrivano sommessamente boccate d’ossigeno: tonnellate e tonnellate di derrate alimentari vegetali (nel 2008 sono arrivate per 600 milioni di dollari), pagate in contrassegno alla consegna; altri prodotti made in Usa arrivano dall’Europa o dal Sud America, è facilmente reperibile persino l’odiata Coca Cola .
Girando per i negozi e negli pseudo centri commerciali de la Habana troviamo marchi internazionali come Reebook, Benetton, Adidas… ragazzi muniti di telefono cellulare, chicas vestite all’ultima moda… il capitalismo sembra già sbarcato… certo el bloqueo è rimasta anche un’arma politicamente formidabile che Washington affida alla dittatura; il regime vi fa leva per mantenere le redini dello Stato, addossando ogni colpa ai maledetti yankee.
Camila ci porge del caffè espresso e del cioccolato, tipici prodotti dell’est, zona fluviale di Baracoa.
Doniamo a Julio ed al suo amichetto dei piccoli astucci pieni di pennarelli e matite colorate, qualche pacchetto di chewing gum; per un attimo sembrano come ipnotizzati, sembra impossibile che ci sia un regalo proprio tutto per loro: la piccola peste chiede conferma alla mamma.
Gioia e sorpresa si confondono in teneri sguardi, dolci sorrisi illuminano il viso de los niños che si liberano della meraviglia, in un lungo abbraccio a los extranjeros.
La casa si è riempita come un metrò all’ora di punta, amici, parenti su parenti, ragazzini dappertutto rincorsi da madri giovanissime. Fa la sua comparsa perfino un prete ortodosso: “È venuto a confessarmi, sono un maledetto peccatore…” ci ammicca con tono scherzoso Ramón, un uomo dal fisico asciutto, sui quarantacinque anni. Quello con la trentenne Camila è il suo secondo matrimonio (il minimo per un cubano), l’ex moglie vive a qualche isolato di distanza assieme al nuovo marito e tre bambini. A conti fatti… Ramón, ingegnere edile disoccupato, ma finissimo piastrellista particular che veste le case dei cubani possidenti, ha ben quattro figli.
L’ultimo diavoletto disegna buffi ometti colorati, uno sembra nonno Carlos tozzo e baffuto: sta appunto uscendo per la notte; è parcheggiatore statale e per ben dodici ore consecutive farà la guardia alle auto dei turisti per pochi, pochissimi spiccioli.
Salutiamo a notte inoltrata ringraziando per la magnifica serata, ancora sconcertati dal video mostratoci poco prima (in un piccolo televisore di marca cinese munito di lettore dvd), della sfavillante e sfarzosa festa in onore dei quince años di María anch’essa una delle tante nipoti di Florencia.
Il compimento dei quindici anni sono tradizionalmente una ricorrenza importantissima per i cubani, che considerano il simbolico passaggio dall’età della pubertà all’età adulta, un avvenimento degno di una grande cerimonia, in cui si misura il prestigio della famiglia.
In passato ci si limitava a semplici cene fra parenti, come ancora si usa nelle zone più povere.
Grazie agli zii di Miami e ad amici friulani, María ha realizzato il suo sogno di cartapesta: vestita da diva ha danzato avvolgenti ritmi caraibici e poi scatenato la discodance assistita da un nutrito ed effervescente corpo di ballo.
Tantissimi invitati hanno goduto del grandioso buffet offerto dalla festeggiata, organizzato nei giardini di un rinomato hotel della Capitale, affittati per l’occasione ed inondati da fiumi di champagne.
Il tutto è stato ripreso dalle molteplici telecamere di una troupe professionale, che le ha realizzato anche un ricco book fotografico degno di una starlet del Cinema.
Da non credere come si possa buttare al vento tanto denaro in un sol giorno, quando nei fatti, a malapena si metta assieme il pranzo con la cena e ci si arrabatti in tutti i modi pur di sbarcare il lunario.
Chissà forse con tutto quel dinero, l’intera famiglia avrebbe potuto vivere senza problemi addirittura per un anno intero o forse più… ma certamente sarebbe risultata agli occhi degli altri meno autorevole; e forse María, non sarebbe mai stata Principessa per una notte.
Un vero e proprio choc: contraddizioni nette, d’impatto inspiegabili.
La società dei consumi fa leva sugli istinti più bassi, li lusinga, li corteggia.
Se non hai mai avuto e ne hai improvvisamente la facoltà, l’impulso immediato è di avere, è nell’ovvia natura delle cose.
Se non si possiedono o non si è dotati preventivamente di anticorpi adeguati, il rischio è quello di perdere il controllo di sé e della propria vita, schiacciati da un Sistema impietoso.
Essere educati al consumo potrebbe essere una efficace forma di autodifesa: capire quali siano le reali priorità da affrontare, i bisogni primari da soddisfare secondo le proprie possibilità, facendo un uso consapevole di ciò che consumiamo nel rispetto di chi ci circonda.
Sembra scontato, ma in Occidente siamo ipnotizzati da quei messaggi fasulli, da quei falsi modelli, a cui María e la sua famiglia, – e tanti come loro – legittimamente aspirano.
Spesso e volentieri, l’illusione svanisce presto e se non si è preparati, il pericolo reale è essere definitivamente travolti.
Meglio non pensare a cosa accadrebbe se da un giorno all’altro, un Paese fermo a cinquanta anni fa che vive di assistenzialismo e di un’economia arrangiata e clandestina, passasse di colpo all’economia di mercato.
Piccoli e grandi rapaci pronti a colonizzare l’ultimo mercato vergine del mondo, sono pronti da tempo.
“La Habana è La Habana” dicono da queste parti, siamo nella Capitale fra i vicoli della città vecchia, in molte zone priva di luce e acqua corrente… spesso improvvisi black out (el apagón) la attraversano per ore e ore, in tempo di uragani anche per giorni.
Cuba strabocca di gioventù e molti degli undici milioni di cubani che vivono oggi sull’“Isla grande” sono nati dopo l’avvento al potere di Castro e hanno conosciuto solo il suo socialismo.
Le nuove generazioni sono disilluse e disincantate dalla propaganda del regime, la politica li ha nauseati e disinteressati, si ritrovano persi e disorientati da un presente incerto e da un futuro enigmatico.
Marcos ci fa salire al terzo piano, abita in un palazzo a due passi dalla Cattedrale, vive da solo pagando l’affitto in nero ad una amica della madre che vive dalle parti di Matanzas.
“È dura vivere così – sospira – ci danno la possibilità di studiare, di avere una qualifica e delle competenze elevate, ma poi non possiamo lavorare. Lo Stato è saturo, non c’è lavoro; ti obbligano a lavorare per un paio d’anni, dopo di che ti puoi permettere addirittura di non far nulla, in ogni caso devi comunque trovare altri impieghi paralleli. Il salario statale è una miseria e basta appena per mangiare. Conviene rimanere disoccupati ed arrangiarsi alla giornata con qualche trabajo particular. In tanti fanno così.” È ingegnere elettronico e lavora presso una struttura ministeriale a due passi da Plaza de la Revolución; percepisce uno stipendio di circa 25 Cuc mensili, circa 20 euro.
Ma già il suo appartamento costa 35 Cuc!!! È costretto a scortare turisti in giro per la città, sperando in qualche mancia pesante; oppure vaga per la Habana augurandosi che qualche ditta straniera, che ogni tanto accede all’isola per collaborare col governo, si avvalga delle sue competenze. L’ultima volta il compenso unico di 400 Cuc per una settimana di lavoro (che per una multinazionale è una bazzecola ed un grosso risparmio, rispetto allo standard occidentale), gli ha permesso di vivere di rendita per più di un intero anno.
L’istruzione è pubblica, universale e gratuita (obbligatoria dai 6 ai 16 anni) dalla scuola primaria fino all’Università.
Lo Stato fornisce gratuitamente il materiale scolastico, addirittura vitto ed alloggio per seguire gli studi universitari; è la conquista primaria della Revolución, di cui ogni cubano è fiero.
Molti studenti da ogni parte del globo, frequentano gratuitamente le università cubane che risultano ottime e di altissimo livello educativo: anche gli Stati Uniti fanno incetta di ingegneri e medici cubani.
Resta la grave contraddizione di come l’elevato grado di istruzione, non possa costituire la base per il riscatto sociale, per il pieno sviluppo di un popolo forzato alla povertà e all’indigenza da un regime che non consente all’individuo di realizzarsi liberamente come persona.
Altro contrasto rappresenta l’anomalia di questa dittatura: l’alto grado di conoscenza, rende il popolo pienamente consapevole della propria condizione e delle proprie potenzialità represse e negate. La censura fa il resto, negando alle nuove generazioni di comunicare facilmente con l’esterno e di viaggiare.
A differenza dei giovani del blocco sovietico, che non potevano sapere vi fosse un altro Mondo al di là della cortina di ferro, i cubani si ritrovano alla porta di casa questi conquistadores occidentales con i loro vestiti firmati e l’atteggiamento altezzoso dei “ricchi in patria altrui”.
Le strade della Capitale sono battute da una pioggia fitta, rivoli d’acqua scorrono sull’asfalto bollito dal sole; bambini giocano in strada fra le pozzanghere con mazza e palla da baseball, principale sport nazionale.
Sotto i portici coloniali bellissime donne lanciano sguardi ammalianti; a Cuba non esiste alcuna forma di pubblicità, la gioventù non deve seguire alcun modello preconfezionato, risulta meravigliosa nella sua naturalezza.
Esiste una parità sostanziale uomo-donna, anche se la società resta profondamente maschilista; è riconosciuto il diritto all’aborto ed il regime ha da tempo intrapreso una grande campagna educativa sulla contraccezione e sulla prevenzione alle malattie sessualmente trasmissibili.
Dappertutto jineteras, ossia ragazze particulares si offrono (direttamente o indirettamente) allo straniero per accedere a beni di consumo o semplicemente per vivere, magari tentando di sposare il forestiero e lasciare il Paese.
Ti accostano, ti prendono per mano, ti apostrofano da lontano.
Questo fenomeno, nato inevitabilmente con l’apertura all’esterno dell’isola, è in costante aumento e sembra aver assunto inequivocabilmente un impianto illegale organizzato, una sorta di racket.
Migliaia e migliaia di turisti si tuffano quotidianamente fra le meravigliose chicas cubanas per un’abbuffata di sesso a buon mercato; come qualche femmina occidentale in vacanza, che pesca il suo jinetero.
Al Museo della Revolución conosciamo i giovani Nicolás e Alicia, guardiani del Granma; l’imbarcazione con cui Fidel, il Che e gli altri compagni traversarono il Golfo del Messico alla volta di Cuba nel dicembre 1956.
Nicolás parla molto bene italiano essendo un bravissimo interprete, è fidanzato con Julia che vive in Spagna e lo aspetta quanto prima: “Uscire da qui è difficile, quasi impossibile se non hai un visto di studio o di lavoro per andartene altrove…I permessi da fare sono costosissimi e non è detto che ti diano il via libera o che tu riesca ad ottenerlo dall’estero… la miglior fortuna è avere il doppio passaporto di un altro Paese… Julia ha la cittadinanza spagnola, la madre vive a Barcellona e può andare e venire liberamente” .
Il cordone con Cuba non si può spezzare se riesci ad andare a vivere altrove: devi pagare una tassa annuale e far ritorno nell’isola una volta ogni undici mesi, per conservare la cittadinanza cubana e non rischiare così di precipitare nel limbo dei senza Patria, perdendo il diritto di poter tornare sull’isola.
Moltissimi tentano l’azzardo dell’approdo clandestino in Florida; la traversata con barche di fortuna in quel tratto di male pieno di squali è pericolosissima, ma basta toccare fisicamente il suolo nordamericano per ottenere immediata residenza 3 .
“Un amico è stato sorpreso mentre fuggiva verso Miami – racconta Alicia – è stato prima richiuso nel carcere de la Isla de la Juventud per tre mesi, poi è stato rilasciato con l’interdizione per uno anno dagli studi universitari ed il divieto permanente di lavoro” .
Si può immaginare di come l’Amore più forte, il sentimento più intenso possa infrangersi nelle acque del Golfo del Messico o nella burocracia di regime; incredibile come così tante vite siano schiacciate in uno spietato e subdolo ingranaggio. Dividere destini, condizionare rapporti, stravolgere migliaia, milioni di esistenze.
Tutto con il pretesto della perenne e presunta, guerra sotterranea con Washington. Corre l’anno 2009.
Le difficoltà economiche e di Sistema stringono la morsa della dittatura sempre più.
Secondo gli oppositori interni, i cosiddetti riformisti, i prigionieri politici sarebbero circa duecentoquaranta, come conferma la giornalista Yoani Sánchez 4 .
Qualsiasi cosa è sottocontrollo: conversazioni telefoniche, posta tradizionale, posta elettronica; internet è talmente filtrato da risultare lentissimo oltre che molto costoso e quindi inaccessibile per i più.
L’informazione e la propaganda sono una cosa sola, affidate alle cinque reti televisive nazionali (vietato il possesso di antenne satellitari, Hotels per stranieri esclusi), alle quindici radio regionali e al famoso Granma, quotidiano del Partito… Cinque paginette ingiallite prive di cronaca scritte in politichese, che narrano le imprese dei Castro ed i sempre più frequenti disastri nordamericani.
Spesso sentiamo di persone fatte sparire o incarcerate, la nostra fedele guida Enrique ci racconta di come il regime non sia così sanguinario, ma altrettanto spietato nel reprimere ogni forma di dissenso, non dimenticando che mantiene in vigore la pena di morte.
Ma allora le piazze piene, il consenso di massa che si manifesta pubblicamente e che vediamo in tv? “Il Primo Maggio 5 se non partecipi alla Manifestazione, ti viene decurtato lo stipendio” – denuncia Nicolás.
Il dibattito prende forza: “Abbiamo un solo Partito, un solo Sindacato, la Giustizia fa capo al governo, sono loro che decidono della nostra vita… è proibito il possesso di armi da fuoco, come sarebbe possibile una nuova Revolución? ” si chiede Alicia, splendida mulatta dagli occhi chiari.
Come potrebbe arrivare il cambiamento? Degli Stati Uniti non si fidano, come dargli torto… Enrique ogni tanto si allontana, controllando che nessun estraneo possa sentirci; si vive nella paura, nella costante tensione di essere controllati o scoperti, perquisiti, deferiti all’autorità.
Le parole non sono mai chiare e nette, ma metafore, allusioni, doppi sensi… un linguaggio immaginifico e gestuale che arriva in un attimo alla testa e poi al cuore. Impotenza, rabbia, incredulità si mescolano alla sorpresa e alla delusione.
Una dittatura è sempre un regime dispotico e negativo, ma è veramente sporco ridurre milioni di persone in queste condizioni, coprendosi dietro gli ideali del socialismo, dell’uguaglianza, della libertà, celandosi dietro il volto eroico di Ernesto Che Guevara.
La dottrina castrista, analizza con realismo l’attuale situazione internazionale, le molteplici contraddizioni del capitalismo, l’inaccettabile esercizio del potere statunitense ed i suoi effetti destabilizzanti sul il Mondo intero.
Giustissime le critiche alla globalizzazione, fucina di devastanti disparità e disastri ambientali; veritiere le denunce sugli effetti delle guerre storiche del “Secolo Nordamericano” e di quelle contemporanee in Afghanistan e Iraq.
Legittime le feroci accuse contro la finanziarizzazione dell’economia, che ci sta facendo sprofondare nella Grande Depressione del terzo millennio. Inesistenti però i riferimenti alla drammatica situazione interna, dove le disuguaglianze che si dice di voler contrastare all’esterno, dilagano giorno dopo giorno.
Passeggiando lungo il Malecón, lo splendido lungo mare della Capitale, luogo di fatali incontri e tristi addii, i pensieri invadono la mente, tante tante preguntas, nessuna soluzione… Giovani che si abbracciano, bambini che si rincorrono, si nascondono, altri che scandiscono il tempo… giochi antichi, quasi dimenticati.
John Lennon ha deciso di fermarsi al Vedado, tanto che la sua statua ti aspetta su una panchina e quella dei Beatles è disseminata qua e là per la Isla Grande.
In questi giorni la Capitale è protagonista del più grande Festival cinematografico del Sud America: i cubani sono pazzi di Cinema, che risulta essere abbastanza economico (3 pesos cubanos per un ingresso) .
Pure le pellicole dell’odiato nemico nordamericano giungono (così come in tv) nelle vecchie sale affumicate dal tabacco e corrose dal tempo, senza censure, dai grandi blockbuster ai film d’autore.
Il Cinema cubano è un vivaio di talenti ed è storicamente estremamente creativo.
Tutto sommato “indipendente”, ha un certo margine di libertà… rispecchia il tipico “dire ma non dire”, limitandosi a rappresentare la realtà per quel che è: vale più di mille parole, più di mille denunce.
Qua e là, capannelli sparsi di appassionati discutono animatamente di baseball; ieri c’è stata la consueta giornata del seguitissimo campionato nazionale.
I divi dello sport non sono di casa da queste parti, niente folle idolatranti e schiamazzanti, il professionismo è stato bandito con la Revolución ed ogni manifestazione ha carattere amatoriale.
Alle 21 della sera, un Paese intero si ferma non più per il discorso del Comandante Fidel, ormai al tramonto, ma per la soap opera quotidiana, vero evento nazionale autentico oppio collettivo che illude, facendo sognare una nuova vita.
I ristoranti Paladares prendono proprio il nome dalla più famosa di queste fiction.
“Il Sistema sanitario nazionale è completamente gratuito”– conferma la fidelista Gracia, la nostra estroversa e logorroica affittacamere, come tutti gli anziani eternamente grati alla Revolución.
L’unica difficoltà è il reperimento delle medicine, che vengono centellinate in modeste dosi: causa embargo e gravi carenze del Sistema.
Resta da capire come si tuteli la salute costringendo a vivere tantissima gente in abitazioni estremamente fatiscenti, oppure ristrutturando rivestendole di amianto.
La notte si impadronisce de La Habana, l’oscurità cala anche sulla Catedral e sul Capitolio, pure i simboli della Capitale sono lasciati al buio: metafora di questo Paese giovane e meraviglioso, condannato a vivere il presente, guardando all’avvenire schiacciato dalle glorie e dagli incubi del passato.
Come è possibile che questo Stato barcollante e disastrato possa stare ancora in piedi nell’epoca della mondializzazione? Come può questo regime agonizzante ancora resistere sospeso nel tempo, ad avvenimenti che stanno cambiando alla velocità della luce, il volto del globo? Chi lo sostiene? Quali sono gli interessi in gioco? Domande forse troppo grandi.
L’élite oligarchica al potere ha tutto l’interesse nel mantenere il proprio status e garantirsi i privilegi acquisiti; così anche quelle ristrette fasce di popolazione che conseguentemente ne ottengono beneficio, in fondo sono “più ricchi” degli altri.
Dall’esterno, le grandi multinazionali del turismo si godono il business di migliaia e migliaia di turisti attirati dall’unicità di Cuba, dalla Cuba Rivoluzionaria, dalla Cuba Socialista, meta alternativa alla Repubblica Domenicana, ad Haiti, alla Giamaica.
Un Paese ricco di risorse naturali e paesaggistiche, con grandi potenzialità attrattive di turismo e ricchissimo di piante da frutto, allevamento di bestiame, ma anche energie fossili e minerali; gran parte del petrolio cubano marcisce nelle viscere della terra, l’isola non ha la moderna tecnologia per estrarlo al meglio. Si dice però, che una parte di esso, estratto e poi raffinato grazie al Venezuela di Chavez, arrivi addirittura in Europa a bassissimo costo.
Un’Europa che usa l’isola caraibica come una sorta di pattumiera, vedi i vecchi autobus a benzina rossa di Valencia in centro Habana, tecnologie ormai desuete destinate alle fabbriche locali, spacciate come ultimi gioielli della tecnica.
Habanos S.A. L’impresa statale che commercializza i famosissimi sigari Cohiba in tutto il mondo (escusi ovviamente gli States), ha ad oggi un fatturato di 390 milioni di dollari ed è un’azienda in joint venture con la britannica Imperial Tobacco. Un fifty-fifty fra i Castro e la Corporation straniera, sulla pelle dei sessantamila lavoratori cubani del settore.
Gli Stati Uniti dal canto loro, hanno sempre coltivato i loro nemici ad uso interno ed estero; fino a ieri Cuba è sempre stata “Una dittatura comunista, un regime canaglia”.
Questi sono forse alcuni dei fattori determinanti che sorreggono Raúl Castro, tenendo la dittatura del socialismo reale ancora in vita, nonostante la caduta del muro di Berlino, la fine della Guerra Fredda, l’avvento dirompente della globalizzazione neoliberista, l’11 Settembre 2001, i primi gravissimi accenni della crisi dell’economia mondiale.
Interi Continenti devono perennemente affogare nel secondo, terzo, quarto Mondo, così da garantire i privilegi e le ricchezze del Primo.
In Italia sappiamo pochissimo sulla realtà cubana, partitelli sinistroidi ancora inneggiano al regime castrista, esaltandone l’operato; compiono pellegrinaggi a La Habana, giustificano e prendono a modello questo sgangherato cimelio per mero calcolo politico, anche la sopravvivenza al 2% ha il suo prezzo nel mercato elettorale.
Nell’ambiguo silenzio generale (escluso qualche sporadico articolo di stampa e qualche sito web) sembra nutrita la schiera dei reporters fidelisti che storicamente vanno e vengono dai palazzi del potere; coltivano gli aficionados di casa nostra nostalgici o neofiti della Revolución, trasmettendo un’immagine edulcorata e suggestiva, molto lontana dalla cruda realidad.
Alimentare il mito, significa realisticamente incrementare il business e rafforzare el compañero Raúl.
Effettivamente acquistare gadget di Ernesto Che Guevara al mercatino de La Habana, invece che fra le bancarelle delle vie di Roma, fa la sua differenza… Quando si guarda il Sistema Cubano non vanno certo cercati paragoni con altri Paesi europei od occidentali, ma con le nazioni dell’America Latina o degli stessi Caraibi; tenendo presente di come il Sud America in particolare, sia stato per decenni il laboratorio politico, economico e militare degli Stati Uniti: insieme ai Caraibi sono la regione più iniqua del Mondo, (con l’eccezione dell’Africa subsahariana) un decimo della popolazione detiene il 48% della ricchezza 6 .
Il Sud America conta un tasso di analfabetismo dell’11.7%, circa 42 milioni analfabeti e 110 milioni di giovani che non hanno un’educazione di base 7 ; Cuba risulta il Paese più alfabetizzato (96.9 % 8 ), con un tasso bassissimo di mortalità infantile ed un’altissima percentuale di medici per abitante (590 ogni 100.000) tanto da esportarne in giro per il Mondo.
Fame, malnutrizione, malattie flagellano milioni e milioni di sudamericani.
A Cuba non si registrano epidemie, né si muore di fame; l’aspettativa di vita è arrivata a circa 76 anni per gli uomini e 80 per le donne; nella Repubblica Domenicana è rispettivamente 66 e 74, ad Haiti di 59 e 63 9 ; passeggiando per le strade delle grandi città è raro imbattersi in senzatetto.
Praticamente inesistenti le milioni e milioni di casupole accatastate, che invece gremiscono le periferie di Nairobi o di Rio de Janeiro, gigantesche miniere di sfruttamento e traffico di stupefacenti.
Baraccopoli dimenticate ed incancrenite dal tempo, ove ogni miseria umana si fonde in un coacervo di fame ed ignoranza, nella totale assenza di igiene ed assistenza sanitaria, martoriate da ogni sorta di pestilenza.
Questo paradiso naturale sospeso nel tempo, conserva ricchezze ben più importanti di quel benessere materiale che ci ha reso schiavi e tremendamente soli.
Bambini che giocano assieme nel quartiere dalla mattina alla sera, con una palla di stracci o con un bastone ed un guanto, altri che si rincorrono fino allo spasmo fra guardie e ladri.
Creature che ancora assaporano il piacere della scoperta, si meravigliano per un dono, un astuccio colmo di matite o un pacchetto di gomme da masticare.
Difficile vedere la stessa scena con un ragazzino dei nostri, già allopiato da un pomeriggio passato in solitudine davanti alla tv, che passivamente si accaparra l’ennesimo giochino elettronico, magari lamentandosi in cuor suo perché già superato.
Un consumismo che ci ha chiuso in noi stessi, un benessere fittizio che ci fa accantonare oggetti, cose, attrezzi; un egoismo che ci toglie l’anima, che ci ha reso cinici e solitari, inconsciamente dediti a proteggere La Roba, con ogni mezzo possibile anche a costo di far danno all’altro.
Nei rapporti interpersonali sembra saltato il fragile equilibrio che lega le persone: gli affetti, il rispetto, la tolleranza, l’educazione.
Lo stare insieme si è ridotto ad occasioni sporadiche e limitate, causa un ritmo di vita frenetico e ipercompetitivo; al rapporto umano sembra sostituirsi ormai la conoscenza o l’amicizia virtuale, spesso fittizia e conveniente, perché poco impegnativa.
L’ipocrisia e la voglia di prevalere, sembrano gli unici strumenti per reggere il passo di una società che cannibalizza chi non ne può sostenere il ritmo, chi rimane indietro, a cui resta solo qualche elemosina e tanta compassione altrui.
L’onestà e la dignità di un popolo che sopravvive con ogni mezzo, ci riporta alla disastrata Italia di sessanta anni fa, che seppe unita ricostruire un Paese dalle tragiche macerie della guerra.
Ancora oggi si possono incontrare poeti improvvisatori di ogni età ed estrazione sociale che cantano la loro storia, la loro vita quotidiana, un po’ come l’antica ottava rima allietava le miserie delle nostre campagne.
La cordialità, la formazione, le necessità quotidiane, fanno del popolo cubano una comunità fondata sulla reciproca solidarietà.
Il senso di appartenenza ad una collettività, il venir sempre in soccorso al bisogno dell’altro (che non deriva senz’altro da una cultura religiosa), si respira in ogni angolo dell’isola, ad ogni incontro, in ogni sorriso, si ravvisa in ogni gesto.
I rapporti sembrano schietti, diretti, la vera amicizia sembra un sentimento indissolubile.
La nostra società sembra invece rincorrere disperatamente modelli fittizi, basati sull’apparire e non sull’essere.
La sera intere famiglie, amici, conoscenti si ritrovano per conversare, scherzare, stare insieme, mentre gli anziani si fanno la loro partita a dama, intervallata da un sorso di rum o un goccio di cerveza.
Situazioni scontate, ma che da noi sembrano ormai perdute o superate dal correre supersonico degli eventi.
La semplicità, il sorriso malinconico del popolo cubano entrano nel cuore, riportando in superficie ricordi e racconti di un passato lontano, idee e valori di cui riappropriarsi al più presto, per assaporare la vera essenza della vita.
La libertà di espressione, di culto, di pensiero; dare a tutti le possibilità di emanciparsi, gettando le basi per il progresso civile, sociale ed economico di un Paese e del suo popolo. Possono sembrare concetti retorici o antiquati, eppure, mai come quando si è stati a contatto con gli effetti reali di una dittatura, si ha la necessità di rafforzare ciò che i Padri ci hanno donato al prezzo di atroci sofferenze e fiumi di sangue.
In questi tempi oscuri, dove lentamente e sottotraccia ci hanno tolto diritti sociali e civili che pensavamo ormai acquisiti, con la lenta ma effettiva esclusione dalla rappresentanza politica e sindacale, con la palese precarizzazione della vita, la negazione ad un’informazione libera ed indipendente, ad una giustizia uguale per tutti, costretti ad assistere impotenti alla drastica ed inarrestabile distruzione ambientale, è necessario tener alta la guardia per difendere la nostra Democrazia, in quanto dono prezioso ed insostituibile di convivenza civile, unico viatico di uguaglianza.
Alla morte di Fidel non succederà nulla, la transizione è già avvenuta ed il potere è saldamente nelle mani della giunta militare di Raúl, a meno che il Sistema non imploda.
Il nuovo Presidente USA Barack Obama ha da tempo annunciato di voler dialogare: liberalizzare i viaggi verso La Habana (finora limitati ad uno ogni tre anni) e le rimesse ai familiari degli esuli di Miami.
Il futuro di Julio, Alicia, Jorge, Ramón, María, Julia, Yoany, Carlos, Nicolás, Agacia, Gracia, Camila, Florencia, Marcos … delle loro famiglie e di tutti gli altri undici milioni di cubani, è nelle loro mani… in fondo siamo tutti pedine di un gigantesco Risiko.
Intanto la simpatica Gracia sta già preparando lo sbarco per la prossima futura Baya de los Cochinos, stavolta più che pacifico, allestendo arrangiate brande per i nuovi denarosi ospiti, finalmente nordamericani!! Enrique ci abbraccia con commozione, chissà se mai rivedremo la nostra mitica guida, chissà se avrà mai l’occasione di realizzare il sogno della vita… riuscire finalmente a liberarsi di queste catene che lo riducono una tigre in gabbia, per visitare finalmente Todo el Mundo, quello vero.
“Condannatemi, la Storia mi assolverà” urlò Fidel al processo per l’assalto alla Moncada.
Quelle parole, tradotte dalla “generazione del centenario” nel riscatto di un intero popolo, oggi hanno l’amaro sapore del tradimento; nascosto da maschere mitiche e gloriose, il torbido Passato si fa Presente; un mutante beffardo, avido e famelico ormai infermo.
Un’amnistia cambiò il corso degli eventi, una tirannide non potrà invocare alcuna grazia.
Anche lui si era innamorato di Cuba, il grande scrittore nordamericano Hernest Heminguay che ambientò nel villaggio di pescatori di Cojímar il celebre romanzo Il vecchio e il mare.
“Il mondo è un bel posto e per esso vale la pena di lottare…” scrisse. A stretto giro idealmente sembra rispondere l’altro Ernesto: “La vera rivoluzione deve cominciare dentro di noi”.
È lo stesso che da Plaza de La Revolución sembra salutarci, mentre ci allontaniamo su una Dodge 56, nel buio verso l’aeroporto.
Cuba è Cuba, más o menos… Jacopo Brogi jacopo.Brogi@gmail.Com http://jacopobrogi-omnibus.Blogspot.Com/