Colori di Terra e di Africa
A dire il vero, aver viaggiato per la terza volta consecutiva in paesi latini, che seppur con le loro particolarità in fondo emanano tutti un’aura simile, ha contribuito a lasciare intatta in me la voglia di scoperta.
Al-Maghreb Al-Aqsa (l’estrema terra del sole che tramonta) come la chiamano gli arabi appunto. Con quella lingua fatta di suoni spigolosi e a noi incomprensibili, che in realtà rivela una profonda radice antica e poetica.
Ebbene, questa terra mi ha dato probabilmente molto più di quello che mi sarei aspettato!
21 Aprile 2007 Arrivo – Casablanca – Fès Questo volta, a differenza del passato, si viaggia in quattro. Ci accompagna una coppia di amici che, già candidati all’avventura cubana, si sono dovuti arrendere per impegni di lavoro.
La prima e lunga giornata che apre le danze, inizia molto prima dell’alba con l’auto che punta verso l’aeroporto di Bologna, scalo a Lione e poi Casablanca.
L’arrivo a Casablanca, oltre che da dense nubi, è avvolto da uno strano clima umano; lo definirei freddo e asettico. Sbrighiamo velocemente le pratiche per l’immigrazione e quelle per l’auto. Notiamo che averla prenotata da casa ci evita i numerosi parassiti che si aggirano per l’aeroporto in cerca di commissioni.
Tutto fila, stranamente, talmente liscio che alle 12.30 siamo già in auto, direzione Rabat.
Le immagini che scorrono davanti ai nostri occhi ci lasciano subito un po’ intontiti. Ai lati della strada si susseguono baracche e gente a piedi. Il paesaggio si presenta brullo e povero. Lasciamo alle spalle la periferia di Casablanca e dopo aver costeggiato il mare fino a Rabat, tra brevi scrosci di pioggia, ci infiliamo sulle montagne. Il paesaggio si fa più interessante, ai bordi della carreggiata vasti boschi di querce da sughero si susseguono a campi ricoperti di fiori giallo-arancio, e a splendide coltivazioni di zafferano in fiore. Sbucano timidamente qua e là piccoli fazzoletti di terreno ricoperti di vigne. Ampie schiarite si alternano a pioggia battente, il paesaggio che da prima ricordava la Provenza ora si fa più ardito, quando salendo di quota, ci inerpichiamo tra ulivi, eucalipti e cedri. Quello che il finestrino ci offre muta rapidamente, così anche la stanchezza sembra farsi più lontana e noi puntiamo senza esitazione verso la prima tappa: la città imperiale di Fès.
In mezzo a grandi spazi dove a farla da padrone sono i pastori, le pecore e qualche rada casa sparsa, l’autostrada che stiamo percorrendo (semi-deserta e con la media di un autovelox ogni 10km) stona come un riga di matita in mezzo ad un foglio bianco.
Dopo circa 3h30’ siamo finalmente a Fès. Girare in auto per la città è molto più complicato di quanto ci si può aspettare. Nonostante tutto, in non più di mezz’ora, riusciamo a trovare uno degli hotel che ci eravamo prefissati.
L’hotel Royal, a dispetto del suo nome, non è un granché. Di girare ancora a vuoto non se ne parla nemmeno e decidiamo quindi di fermarci qui.
Dopo aver constatato che la cosa peggiore della camera è il bagno (per questo sarà utilizzato il minimo indispensabile) ed essere stati riempiti di consigli e raccomandazioni da una ragazza francese incontrata in hotel, partiamo alla scoperta della città.
L’impatto con la cultura marocchina, così diversa dalla nostra, è forte; pensare che solo 12 ore fa eravamo ancora nei nostri letti. Le sagome e gli abbigliamenti che incontriamo per strada sono dei più disparati. Incrociamo donne di cui a malapena si vedono gli occhi, altre che vestono all’occidentale e, con le dovute eccezioni, possiamo dire lo stesso degli uomini.
Ci incamminiamo sulla via principale della città nuova, la Avenue Hassan II, la strada taglia tutta la città nuova nel mezzo partendo da davanti al palazzo reale; è a due corsie e nel mezzo, a fare da spartitraffico per buona parte della sua lunghezza, c’è un parco molto frequentato. Sembra che a questa ora ci sia parecchio movimento e sotto i portici incontriamo molti caffè, pasticcerie, sale da tè e ristoranti di vario livello.
Vedendo un trenino, di quelli che fanno il giro turistico della città, ho la bellissima idea di convincere tutti a fare un giro! Saliamo. Pressati quasi come sardine, tra una maggioranza marocchina che se la ride, facciamo il tour intorno di una parte delle mura che circondano la medina. Si dice che la medina di Fés sia la più antica e la più estesa di tutto il mondo arabo, le leggende narrano che persino le guide possano trovare difficoltà tra i sui mille e più vicoli! Il giro in se stesso non è niente di eccezionale, ci permette però un primo fugace assaggio di quello che ci attenderà l’indomani. Il sole intanto scompare all’orizzonte, regalandoci il nostro primo tramonto in questa estrema terra d’africa.
Nonostante i nostri vestiti siano pesanti, la temperatura si rivela piuttosto fresca. Ritornati al punto di partenza, sulla strada principale, facciamo una breve consultazione e decidiamo di concederci un ristorante di “lusso”; in fondo dopo la faticata e tutta la strada fatta, abbiamo bisogno di un luogo tranquillo dove riordinare le idee.
Ristornate “La Isla”, nome non molto marocchino; il locale è curato e il servizio impeccabile. Consumiamo il menù marocchino che è composto di 4 portate: zuppa, insalata marocchina, tajine di carne e per finire dolce o frutta. Tutto questo al costo di circa 150dh a testa.
Il primo impatto con il cibo è piacevole e ci lascia con la curiosità di scoprire cosa avrà da riservarci la cucina nei prossimi giorni.
Tornati in camera dormiamo come sassi. Riusciamo comunque, nel cuore della notte, a sentire la voce del muezzin che chiama i fedeli alla preghiera.
22 Aprile 2007 Fés La giornata inizia presto, e dopo una bella doccia bollente (l’acqua calda c’è solo dalle 7 alle 9), ci incamminiamo sulla Hassan II che a questa ora del mattino si presenta deserta.
Facciamo un’abbondante colazione alla caffetteria Paris dove, oltre al nostro primo tè marocchino, prendiamo anche delle ottime brioche.
Dopo averne discusso, tenuto conto del fatto che abbiamo solo una giornata, decidiamo di affidarci ad una guida ufficiale per la visita della medina. Lasciamo che sia il ragazzo del hotel a procurarcene una. Normalmente è meglio evitare le guide perché tendono a portarvi solamente dove vogliono loro e vi fanno vedere solo i negozi di amici o dove per lo meno prendono una commissione. Anche per questo motivo inizialmente siamo intenzionati a farci guidare solo per mezza giornata.
Il nostro cicerone è un tipo buffo e strano. Per prima cosa decide che dobbiamo usare la nostra auto. Appena partiti si mette a leggere un giornale sportivo, dove spiccano le scommesse di cavalli, lasciandomi alla guida senza quasi indicarmi la strada! La prima sosta è per le foto al palazzo reale. Riprendiamo il cammino senza capire inizialmente dove ci stiamo dirigendo, e arrivati su di una collina in periferia, dalla quale si alzano lunghe colonne di fumo nero, ci fa fermare in un posto loschissimo.
Scopriamo che qui si trovano diverse cooperative dove si lavora la ceramica: confesso che soli non avremmo mai osato addentrarci in un simile luogo.
Lo spettacolo è bellissimo. La manualità e la maestria che hanno nel creare piatti e vasi dal nulla sono eccezionali. Per non parlare delle decorazioni fatte rigorosamente a mano e con colori naturali.
Il forno di cottura ci sembra appena estratto da un canto dell’inferno dantesco, due poveri diavoli si alternano davanti alla sua bocca e gettano polvere di ulivo e cedro; questa in tutta risposta sputa lingue di fuoco e sbuffi di fumo nero che si innalza a colonna nel cielo.
Ovviamente la visita termina nel negozio, dove tentano di venderci ogni tipo di ceramica. Nonostante questo ultimo particolare, vedere gli artigiani al lavoro e l’insieme di come si svolge il loro lavoro è risultato molto interessante.
Riprendiamo la via della medina. Dopo esserci incanalati tra strette vie percorribili in auto, abbandoniamo il mezzo presso di uno dei tanti parcheggiatori abusivi e ci incamminiamo di corsa dietro alla guida; ora sembra avere il pepe al culo. In un attimo ci ritroviamo catapultati indietro di qualche secolo! L’impatto con il Suk è qualcosa di semplicemente unico. Difficile descriverlo a parole a chi non lo ha mai vissuto in prima persona. La prima sensazione che si ha, probabilmente, è quella di rimanere completamente disorientati. Siamo investiti da colori, odori e suoni di ogni tipo. Negozi di spezie, frutta, pesce e carne si susseguono senza continuità. Ma soprattutto con il suo brusio di fondo il Suk sprizza di vita.
Superato lo scoglio iniziale, attraversiamo una zona dove si lavora l’ottone. La guida continua ad andare spedita e per stargli dietro fatichiamo ad assimilare il mondo che ci circonda. Superato un passaggio buio e stretto che si arrampica in salita, e dove veniamo incalzati da alcuni muli carichi di merce, arriviamo all’entrata dell’università. Quello delle bestie da soma è ancora oggi uno dei pochi metodi di trasporto utilizzabili in queste strette vie. L’università in questo momento è in fase di ristrutturazione, non è quindi possibile visitarla, le informazioni storiche narrano comunque che l’università di Fés sia una delle più antiche al mondo.
Mentre scattiamo alcune foto alla tomba di Idrissi II, fondatore della città e diretto discendente di Maometto, assistiamo ad una pessima scena. Una ragazza che vende candele all’ingresso della moschea, a seguito di una discussione con la nostra guida, è cacciata in malo modo e in seguito costretta a rifugiarsi all’interno della moschea stessa. Superato questo choc, ci aspetta il suk dei vestiti; alcuni sono molto belli e sono confezionati con preziose sete lucenti. Entriamo poi nella zona dove si trovano gli artigiani del legno. I negozi sono ornati delle immense sedie a forma di trono: ci spiegano che non sono in vendita ma che possono essere noleggiate solo in occasione di matrimoni. Tradizione vuole che in quella occasione gli sposi vi siano messi sopra e facciano due giorni interi di festa! Prima di pranzo non possiamo inoltre mancare l’appuntamento con un venditore di tappeti. Attraversiamo uno stretto e buio ingresso, ci fanno salire al piano superiore attraverso una scala angusta e verticale per arrivare davanti ad alcune ragazze molto giovani che stanno tessendo tappeti.
Ci viene spiegato che la pratica della tessitura è impartita loro molto presto, e che metodo e disegno del tappeto si trovano esclusivamente nella loro memoria. Dopo esserci cimentati goffamente in quello che per loro sembra così naturale, ci traslocano al piano di sotto. Zona mostra.
Davanti a noi si apre un ampio salone, alle pareti sono srotolati distrattamente diversi tipi di tappeti e ammucchiati ai lati centinaia di pezzi dai mille colori che rendono l’ambiente caldo e accogliente.
Dopo averci fatto sedere iniziamo con il rito del tè marocchino, dopodiché iniziano a stenderci davanti tappetti di ogni tipo e misura. A niente valgono i nostri seppur garbati rifiuti, e nemmeno le nostre spiegazioni sul fatto che non abbiamo intenzione di fare alcun acquisto. I tappeti, in perfetto stile persiano, kilim o misti, sono sinceramente molto belli. Sul prezzo possiamo dire che non sono regalati, anche se in Italia tappeti di questo tipo avrebbero sicuramente un prezzo più alto.
La trattativa in stile marocchino è una vera e propria arte. Può durare per ore ed è fatta di offerte, contro offerte e discorsi che tutto hanno a che vedere tranne che con i tappeti. Alla fine l’estenuante trattativa volge al termine, i nostri amici si sono lasciati catturare da uno splendido tappeto stile persiano e concludono l’affare. In fondo come dicono qui in Marocco “se il tappeto ti piace non ti preoccupare di dove metterlo, vedrai che quando entra in casa il posto lo trova da solo”.
(il venditore pur mostrandosi scocciato è comunque sceso a 1/3 del prezzo iniziale!) Finalmente riusciamo a sederci per il pranzo. Il ristorante naturalmente lo sceglie la nostra guida e manco a farlo apposta si trova proprio a fianco del venditore di tappeti! Iniziamo con l’insalata marocchina che è composta di svariate tipologie di legumi e verdure, tra cui carote, patate, fagioli, lenticchie e altri mix ricchi di spezie. Come piatto di portata prendiamo il couscous con legumi e verdure, molto buono ma anche molto piccante. Per finire come dessert arancio alla cannella.(la spesa è di 150dh a testa, e il posto da considerarsi sempre come ristorante chic). Il ristorante si rivela comunque molto carino e con porzioni più che abbondanti.
A stomaco pieno riprendiamo il nostro giro per l’intricata medina. La prima tappa la facciamo, incredibilmente di nostra volontà, in un negozio dove ricamano tovaglie; forse anche per questo riusciamo a uscire senza fare acquisti. La seconda invece è sempre a cura del nostro amico. Ci fermiamo in una farmacia berbera dove una donna molto gentile ci spiega, per mio grande piacere in spagnolo, l’utilizzo di alcune spezie e dei profumi. Non possiamo fare a meno di acquistare 5gr di zafferano in pistilli e proseguiamo. Ci attende ancora l’immancabile appuntamento con le concerie.
Alcuni vicoli più in là iniziamo a incontrare negozi di pellai. La guida ci fa salire di nuovo per una ripida e buia scala, questa volta però ad attenderci in cima non troviamo un buio stanzino con donne al lavoro, ma uno spettacolo meraviglioso. Possiamo ammirare la città dall’alto, con tutto il suo fascino. Case su case, dominate da numerosi minareti che come torri di guardia scrutano l’orizzonte. In lontananza i monti del Rif la riparano, quasi a volerne celare la vista da sguardi indiscreti. Per ultimo, ma non in quanto a bellezza, sotto di noi, tra case fatiscenti ed erose dal tempo, decine e decine di vasche colorate come la tavolozza di un pittore. L’odore di guano che sale dalla conceria è piuttosto sgradevole, tuttavia siamo sufficientemente lontani perché non risulti insopportabile.
La visita guidata si conclude qui, e ritornati all’hotel liquidiamo la nostra guida.
Personalmente credo che visitare la città con una guida non sia il massimo, ma nel caso in cui si ha a disposizione solo un giorno è pressoché inevitabile farvi ricorso: Per lo meno si evitano gli scocciatori e si è sicuri di visitare tutte le cose più importanti della città.
Non attendiamo molto per rimetterci in strada, percorriamo la “Hassan II” in direzione del palazzo reale. Durante il tragitto mi fermo ad una cabina telefonica per chiamare Alì, il proprietario della guest house Merzouga, gli do conferma del nostro arrivo nella serata di domani, quando, tempeste di sabbia permettendo, avremo il nostro incontro con il deserto.
Prima che faccia buio entriamo nel Suk adiacente al palazzo: qui di turistico non c’è praticamente nulla e la qualità dei prodotti in vendita è decisamente inferiore. In compenso i prezzi sono decisamente più bassi, e udite udite, assolutamente non negoziabili! Acquistiamo dei datteri veramente deliziosi e una teiera per il tè marocchino che già ci è entrato nel cuore.
Sulla via del ritorno, dopo aver attraversato un vicolo tracimante di negozi che espongono false griffe, facciamo sosta in una pasticceria e ci riforniamo di brioche per la colazione di domani; quando all’alba partiremo per il grande sud.
Dopo due giorni di cibo da catering e marocchino decidiamo che sia il caso di riposare lo stomaco con una pizza abbastanza insignificante. Cena piuttosto mediocre.
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