Colombia, un viaggio muy rico
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A Bogotà ci sistemiamo alla Casa Platypus; in realtà avevamo prenotato all’ostello affiliato, Platypus Hostel Bogotà per 60.000 Cop (circa € 25) camera doppia con bagno, invece, forse per sovra-prenotazioni, ci sistemano nella Casa che ha prezzi ben superiori, ma ci fanno pagare comunque la stessa cifra concordata, anzi di meno, 55.000 Cop. Andiamo a mangiare al ristorante Sanalejo vicino alla Casa e poi andiamo direttamente a dormire perché siamo stanchi dal viaggio, domani ci attende il viaggio fino all’Amazzonia e comunque fuori fa troppo freddo per i nostri gusti per festeggiare il capodanno all’aperto, ci sono circa 15 C°, sappiamo che in Italia è ancora più freddo ma preferiamo riposarci, infondo siamo in vacanza e il capodanno per noi perde di importanza.
01/01/12
Arriviamo in Amazzonia, dopo un volo Aires Bogotà-Leticia 10.00-12.00 e la lancha delle 14.00 che da Letica ci porta dopo due ore a Puerto Nariño navigando sul Rio delle Amazzoni. Lungo il tragitto osserviamo come la vita dei locali si snoda sulle sponde del Rio che rappresenta la principale (se non l’unica) via di comunicazione fra i vari villaggi, ed è frequente vedere anche bimbi che portano barche a remi. In Amazzonia ci si può arrivare solo in aereo che arriva a Leticia e la vista dall’alto è spettacolare: foresta, foresta e foresta, davvero si tratta del polmone del mondo assolutamente da salvaguardare! Ci sistemiamo all’Hotel Lomas del Paiyu per 50.000 Cop (circa € 21) camera doppia con bagno; Gloria dell’hotel è molto gentile e mi presta anche i suoi stivali. Effettivamente servono, tutti i giorni becchiamo pioggia. Il villaggio è proprio un gioiellino in mezzo alla foresta amazzonica, è ben tenuto, i prati hanno l’erba tagliata e si fa la raccolta differenziata dei rifiuti, c’è anche un mirador da cui si gode un bellissimo panorama del villaggio, della foresta e del Rio delle Amazzoni. Giriamo per il villaggio e ci allontaniamo dal centro per vedere i villaggi degli indigeni. Facciamo un tour sul Rio durante il quale: siamo andati al Lago Tarapoto per vedere i delfini rosa (che poi il giorno dopo vedremo da molto più vicino dal molo del nostro villaggio); Marco ha pescato due piraña (per prenderli è stato necessario prendere un grillo da un ramo di un albero, che ha fatto da esca per prendere un piccolo pesce e che a sua volta ha fatto da esca per pescare i piraña), il piraña ha dei colori bellissimi, rosso e viola, e dei dentini piccoli ma molto aguzzi; abbiamo visitato un villaggio di indigeni tikuna, dove non si possono non osservare i bimbi nudi che camminano nel pantano tutti beccati da punture di insetti; i ragazzi che erano con noi hanno fatto il bagno nel fiume, ma noi non ce la siamo sentita con piraña e coccodrilli in giro, e poi l’acqua è marrone….noi aspettiamo di arrivare ai Caraibi.
04/01/12
Arriviamo a Santa Marta dopo voli Aires Leticia-Bogotà 12.40-14.45 e Bogotà-Santa Marta 19.30-21.00. Santa Marta è una località sulla costa caraibica ma non è un gran ché, troppi rifiuti per strada; qui ci stiamo due notti ma solo perché ci serve un giorno per andare in banca a cambiare i dollari ($ 1 = 1.890 Cop), per andare al terminal degli autobus a chiedere informazioni a Expreso Brasilia (l’agenzia di trasporto più diffusa in Colombia) per i successivi trasferimenti in pullman da Santa Marta a Riohacha e da Riohacha a Cartagena (purtroppo ci dicono che i biglietti non si possono comprare in anticipo ma solo il giorno stesso della partenza: speriamo di non avere sorprese…) e come base di partenza per il Parco Tayrona 1) perché dobbiamo partire presto all’alba perché in questo periodo in Colombia è “temporada alta” (alta stagione) e, oltre ai turisti, ci sono tanti colombiani in vacanza, per cui verso le 10 del mattino il parco chiude per l’intenso afflusso di visitatori e 2) perché così alcuni bagagli li lasciamo in hotel e al parco ci portiamo solo il necessario (cosa assolutamente da fare perché dall’ingresso del parco agli alloggi c’è molto da camminare). A Santa Marta ci sistemiamo alla Casa Familiar per 54.000 Cop (circa € 23) camera doppia con bagno. Svolti gli “affari burocratici“, passiamo il pomeriggio sulla spiaggia per assaporare un po’ di Caraibi e la sera mangiamo al Donde Chucho.
06/01/12
Alle 6.00 partiamo per andare al Parco Tayrona con 3 argentine e una coppia di francesi; camminiamo in mezzo al mercato cittadino che sta per aprire e al marasma di gente che aspetta l’apertura del mercato, e arriviamo al punto di partenza dell’autobus per Tayrona (Calle 11 con Carrera 11); qui ci dicono che l’autobus non parte perché c’è uno sciopero (effettivamente anche nel giorno precedente molti esercizi pubblici erano chiusi), ci spiegano che si tratta di uno sciopero forzato sotto la minaccia dei paramilitari che vogliono protestare perché l’esercito ha ammazzato uno di loro (questo sarà l’unico episodio di allarme, lieve, che percepiamo in tutta la nostra vacanza). Per fortuna dopo un po’ ci dicono che l’autobus parte, chiaramente ci chiedono una tariffa più alta di quella solita ma pur sempre una sciocchezza, 10.000 Cop (circa € 4) a testa per un tragitto di un’ora lungo il quale una gomma si buca e ci fermiamo per cambiarla (è un po’ avventuroso questo tragitto per arrivare a Tayrona! ma nulla in confronto a quello che ci è capitato in seguito alla Guajira…). Arriviamo a El Zaino, l’ingresso del parco, dove paghiamo 35.000 Cop. (circa € 15) a testa per l’ingresso, per arrivare al mare bisogna addentrarsi nel parco: da El Zaino si arriva a Cañaveral dopo circa 20 minuti con un pullmino (2.000 Cop a testa), da qui ci vuole un’altra ora e mezza per raggiungere il posto dove vogliamo alloggiare, Cabo San Juan de la Guia, di cui i primi 45 minuti fino ad Arrecife si possono fare a piedi o a cavallo, mentre gli altri 45 minuti da Arrecife a Cabo San Juan de la Guia si possono fare solo a piedi; pertanto, considerato che abbiamo un po’ di zavorra per via degli zaini, decidiamo di andare a cavallo per i primi 45 minuti. Per me è la seconda volta in tutta la mia vita che vado a cavallo e il percorso non è affatto semplice, perché, giustamente, quello più tranquillo, che è un altro, è riservato a chi va a piedi, mentre questo percorso dove passano i cavalli, anche per portare alimenti e non solo ai vari alloggi del parco, ha tratti sia in salita che in discesa, e durante il tragitto mi sono trovata sul precipizio di un burrone e mi sono incrociata con altri cavalli che arrivavano sia da davanti che da di lato, praticamente il tragitto io l’ho fatto pressoché quasi tutto in tensione mentre Marco si divertiva un mondo. Arrivati a Arrecife facciamo i successivi 45 minuti a piedi fra foresta e spiaggia. Arriviamo a Cabo San Juan de la Guia, hanno solo 2 cabañe già occupate, le alternative sono amaca o tenda; ci sistemiamo in una tenda 2 mt. x 2 mt. con coperta di pile e materassini per 50.000 Cop (circa € 21); per noi è la prima volta in tenda e l’esperienza ci è piaciuta. Nel campeggio effettivamente c’è molta gente, fila per il bagno, per la doccia, per lavarsi i denti, per la colazione, per il pranzo, per la cena, ma il rituale dell’attesa non ci infastidisce più di tanto e ci abituiamo piacevolmente. Le spiagge sono belle e nel mare ci sono delle belle onde. Passiamo le giornate alla Playa Nudista e non ci facciamo mancare la possibilità di fare i nudisti: anche questo per noi è la prima volta e l’esperienza ci piace… quante prime volte in questa vacanza!
09/01/12
Ce ne andiamo dal parco, questa volta però il ritorno lo facciamo a piedi (ovviamente su mia proposta) e il percorso riservato al cammino a piedi da Arrecife a Cañaveral ci regala un paesaggio veramente bello, foresta tropicale, spiaggia e vedute dall’alto spettacolari, anche se all’uscita del parco arriviamo un po’ provati per il peso degli zaini. Usciti dal parco prendiamo due pullman per raggiungere la città di Santa Marta, ritiriamo il resto delle valigie che avevamo lasciato alla Casa Familiar e prendiamo un taxi per raggiungere il terminal degli autobus di Santa Marta per prendere il pullman per Riohacha. Eravamo lì alle 15.15, l’ultimo pullman partiva alle 17.00, ne partiva uno ogni mezz’ora, come potevamo immaginare di essere in ritardo? Expreso Brasilia ci dice che non hanno più posti per la giornata… No, non è possibile, domani parte il nostro tour a La Guaijra da Riohacha! Lo sapevo io che il fatto di non poter comprare i biglietti in anticipo ci avrebbe riservato delle sorprese! Avevo prenotato tutto, voli, alberghi e tour, ed avevamo fatto bene considerata la temporada alta, l’unica cosa che non ero riuscita a prenotare erano appunto gli spostamenti in pullman… ma mica ci hanno detto che in questo periodo di temporada alta c’era il rischio di non trovare posto! Non ci diamo per vinti e iniziamo a chiedere in giro se c’è un altro pullman per Riohacha, ci dicono di no, ma ad un certo punto una persona ci indica un autista dicendoci che lui ce l’ha; l’autista ci dice di avere solo un posto a sedere e che per il secondo passeggero si sarebbe liberato un posto dopo circa mezz’ora di viaggio, quando sarebbe sceso un altro passeggero; noi, un po’ in ansia, capiamo tutto questo discorso, fatto ovviamente in spagnolo e a dir la verità anche un po’ in fretta perché il pullman stava per partire (grazie al nostro mitico corso di spagnolo purtroppo solo di base ma con il quale ci siamo sempre arrangiati benone: lo consigliamo a tutti prima di mettersi in viaggio), ma un po’ tentenniamo, un po’ dubbiosi col timore di una “fregatura” o cose del genere, ma l’autista ha tanto di divisa ufficiale e quindi non sembra una bufala; ci invita a seguirlo per farci vedere il pullman; a me mi sistema in un posto in fondo al pullman, i bagagli li mette in mezzo al corridoio (certo che questi zaini ne passano di tutti i colori) e Marco, che non ha il posto a sedere, si siede su un appoggio duro vicino all’autista, e così partiamo con destinazione Riohacha, pensando che c’è andata proprio bene! Durante il viaggio, per rendere un pò più confortevole la sua seduta, Marco si mette sotto il sedere due asciugamani e si fa delle belle conversazioni in spagnolo con l’autista (dico da solo perchè manda avanti sempre me dicendo che io lo parlo meglio); riesce a prendere posto a sedere solo quando effettivamente scende il primo passeggero, ma non dopo mezz’ora come dettoci dall’autista inizialmente, ma dopo più di un’ora (va bè è risaputo che i tempi colombiani sono un po’ dilatati). A quel punto Marco si mette un asciugamano sul viso per coprirsi gli occhi per dormire e l’altro sotto il sedere; succede quindi che quest’ultimo asciugamano rimarrà sul pullman una volta scesi perché ce lo dimentichiamo… era il suo asciugamano preferito comprato durante il suo viaggio con gli amici in Messico che si porta dietro in ogni nostro viaggio… ecco, ora non c’è più…cose che capitano quando si fanno tanti spostamenti e quando dallo zaino prima si tira fuori una cosa, poi un’altra e poi la rimetti via… capita ma ci diciamo che l’asciugamano è solo una cosa materiale e che ben più importanti sono i ricordi dei viaggi! Io invece sul pullman parlo con un colombiano che mi chiede di dove siamo (sul pullman infatti siamo gli unici turisti riconoscibilissimi, magari non tanto io che ho una carnagione olivastra ma sicuramente Marco che proprio olivastro non è), mi chiede quanti giorni stiamo in Colombia, gli dico 25, mi chiede a quanto abbiamo cambiato la moneta per avere i pesos colombiani, io gli dico 1 $ = 1.890,00 Cop quindi con l’euro è di più (in effetti il cambio dall’euro utilizzando la carta di credito è stato di circa 1 € = 2300-2400 Cop), e a quel punto lui mi dice “con tutti quei soldi puoi rimanere in Colombia due anni!”, io gli dico “sì, ma sai quanta fatica per guadagnare un euro?!”; ma in effetti capisco la sua esclamazione: l’euro è molto forte e i paesi latino-americani vedono l’Europa come noi vedevamo l’America tempo fa… sì, forse il nord-Europa, perché il sud… Arriviamo a Riohacha alle 17,00 e ci sistemiamo all’hotel Panorama per 35.000 Cop, la sistemazione più economica della vacanza, circa 15 euro, e finalmente dopo 3 notti in tenda ci godiamo una stanza discreta con letto matrimoniale e bagno in camera. E finalmente una bella doccia…a proposito, non so se questa considerazione sia interessante, ma oggi è stata una giornata di lunghi spostamenti (camminata di 1 ora e mezza nella foresta tropicale, 3 autobus e 2 taxi), in questi spostamenti ci siamo ridotti “muy sucios” che vuol dire “molto sporchi” e la parola sporco si pronuncia “suzio” che è un pò buffa perchè ricorda la nostra parola “zozzo” e l’idea è proprio quella; abbiamo scoperto di sentirci bene a viaggiare “sucios” anche perché così si dà l’idea di quasi straccioni e non si attira l’attenzione di malintenzionati che si possono trovare nei terminal degli autobus come da noi si potrebbero trovare nelle stazioni dei treni; quindi il fatto di ridursi “muy sucios” è sì inevitabile, ma da un lato è anche strategico. Riohacha è un paesino carino sulla costa caraibica che rappresenta la base di partenza per esplorare il deserto della Guajira. Qui ci concediamo la prima cenetta decente della vacanza al ristorante Tinaja a base di pesce au gratin e vino; il vino in Colombia costa tantissimo perché lo importano dal Cile e dall’Argentina, peccato perché noi siamo degli amanti del vino. In Colombia abbiamo sempre mangiato bene, i piatti sono semplici, non particolarmente conditi e speziati, ma le cose si ripetono: riso, che sulla costa caraibica è insaporito con il cocco che ci piace meno del riso bianco, carne o pesce, insalata (troppa poca per i miei gusti, per fortuna mangio quella di Marco che a lui non piace perchè è quasi tutta verza) e patacones (che sono fette di platano, un tipo di banana che rimane più verde e meno dolce, che si cuociono fritte e che sostituiscono le nostre patatine fritte). Finiamo la serata con una passeggiata sul lungomare e sul molo, dove vediamo per la prima volta gli indigeni wayuu, gli abitati di questa regione della Colombia, che vendono i loro fantastici prodotti artigianali, in particolare le mochillas (borse tipiche colombiane).
10/01/12
Andiamo all’Hotel El Castillo del Mar di Riohacha dove ha sede la Kai Ecotravel, un’agenzia del posto con cui abbiamo prenotato il tour alla Guajira e che lavora con gli indigeni wayuu; questa è la regione più a nord della Colombia (che bello passare dal punto più a sud della Colombia al punto più a nord, dall’Amazzonia al deserto, e c’è da dire che la Colombia è grande quasi come Francia, Spagna e Portogallo insieme), una regione desertica che è difficile raggiungere da soli perchè per il deserto ci sono tanti percorsi battuti ma non ci sono indicazioni stradali, per cui se non si conosce la strada ci si perde (in effetti la nostra guida nonché autista Moura è un indigeno wayuu e lui la strada la conosce molto bene, anche di sera quando è totalmente buio). In hotel ci tocca fare un altro travaso di zaini (dopo quello per Tayrona) per portarci dietro solo il necessario e lasciare in hotel il resto; il fatto è che in tutti questi travasi si finisce sempre per dimenticare qualcosa, e questa volta ci dimentichiamo un oggetto molto importante: la macchina fotografica! Non ce la prendiamo più di tanto: ci sarebbe dispiaciuto di più se ci fossimo dimenticati la telecamera, le foto le chiederemo poi ai nostri compagni di viaggio. Nel primo giorno del tour arriviamo a Cabo de la Vela, una località desertica sul mare che sta iniziando ad aprire le proprie porte ai turisti che fanno kite surf; già qui iniziamo a renderci conto di essere in un posto davvero fuori dal comune, la sensazione che abbiamo avuto sia io che Marco è quella di trovarci sulla luna, veramente un paesaggio lunare, mai visto nulla del genere finora. In questo primo giorno del tour siamo con una famiglia colombiana: la mamma Maria, la figlia Liliana e il compagno di Maria, Maurizio; facciamo subito amicizia, per Maurizio ogni occasione è buona per offrire una birra a Marco, gli diciamo che vogliamo provare l’aguardiente, un liquore colombiano simile all’anice, e loro fanno fermare il nostro autista per comprarne una piccola bottiglia in una “tienda“ (negozio); la sera ceniamo insieme, facciamo tante chiacchiere, beviamo, un sorso alla volta e un bicchiere alla goccia alla volta, tutta la bottiglia di aguardiente, e quando ci chiedono quand’è il nostro compleanno e gli diciamo “domani è quello di Marco” (11/01/12), loro chiedono subito al cameriere un’altra bottiglia di aguardiente, ci diciamo di volerne lasciare un pò per il giorno dopo, ma, anche questo, un sorso alla volta finisce, e a chi vorrebbe tirarsi indietro (Liliana) Marco dice che in Italia si usa dire “el grupo es grupo”e il gruppo non lo si può abbandonare. La serata termina in spiaggia a ridere con Marco che insegna a Liliana, un po’ intimorita, ad afferrare un granchio con le mani. Siamo alla Guajira, dove gli indigeni wayuu dormono in chinchorro (si pronuncia cinciorro), sono amache artigianali fatte a mano dalle donne wayuu più grandi, più comode e più calde delle amache che conosciamo, ci si chiude a bozzolo e ci si copre con una coperta di pile, perchè si è all’aperto e con sopra la testa solo un tetto di cactus essicato. E così ci tocca anche a noi dormire in chinchorro… che magia …al chiaro di luna! Quasi non serve la pila di notte per andare in bagno. Ma ci premuniamo di tappi perché qui la “brisa es muy fuerte“. Purtroppo il giorno dopo quando ci alziamo ci dicono che Maria è stata male durante la notte (sarà stato l’aguardiente? mah, chissà) e decidono di abbandonare il tour e farsi portare in ospedale. Che peccato, dobbiamo proseguire senza di loro, la loro compagnia era così gradevole!
Secondo giorno del tour
Arriviamo a Punta Gallina dopo 1 ora e mezza in lancha durante la quale prendiamo un sacco d’acqua perché andiamo contro onda. Punta Gallina si trova ancora più a nord, e questo è ancora di più un posto surreale e mistico che davvero, come dice la guida della lonely planet, difficilmente si riesce a descrivere; rocce arancioni, poi rosse e poi più scure quasi nere; e poi sabbia che con il vento (che come già detto qui tira molto forte) ha formato nel tempo dune altissime da cui ci si rotola fino a tuffarsi direttamente in mare. Gli indigeni hanno cucinato tutti i nostri pasti, al nostro arrivo abbiamo pranzato con l’aragosta più grande che abbiamo mai mangiato nella nostra vita, e poi sempre pesce, riso e insalata, e per colazione cioccolata, caffè e “arepa con huevo revuelto“, ovvero una tortilla di farina di mais con uovo strapazzato, che si mangia non solo qui ma in tutta la Colombia…ci si abitua a tutto! Anche qui conosciamo gente simpaticissima: 3 ragazze argentine (ce ne sono un’infinità in giro per la Colombia, tutte molto belle…per forza, tutte hanno almeno un parente italiano!), un ragazzo spagnolo (o meglio basco, lui ci tiene molto a questa precisazione) e un ragazzo italiano di Cagliari, che ha 45 anni ed è già in pensione da diversi anni perchè ha lavorato per l’aeroporto ed è riuscito ad andare in pensione molto giovane! Ha venduto quasi tutto in Italia, ora sta vendendo anche la casa, e sta viaggiando per il mondo, con la pensione mensile può farlo e se avesse necessità di lavorare dice che può fermarsi in qualche resort a lavorare; ha delle specializzazioni nella medicina naturale e dice che nel campo della salute è facile trovare lavoro. Chissà se potremmo farlo anche noi? Marco ha il brevetto da salvataggio ed è un bagnino (cioè gestisce uno stabilimento balneare sulla riviera romagnola) e io insegno aerobica e pilates, anche noi potremmo lavorare in qualche resort…Va bè, ci penseremo…o forse no. Ci godiamo la tranquillità del posto, o meglio il fatto di essere lontani anni luce dal resto del mondo, le immagini e i colori dei tramonti e delle albe, la compagnia delle altre persone che sono qui con noi e il nostro comodissimo chinchorro, non solo di notte (quasi la sera non vedevo l’ora di andare a dormire!) ma anche nel riposino del dopo pranzo quando il sole picchia molto forte e si sta meglio all’ombra cullati dalla “brisa“.
Quarto giorno del tour
Lasciamo Punta Gallina con scene da film: su una panchina isolata a monte del minuscolo molo da cui sarebbe partita la nostra lancha, con alle spalle un fantastico paesaggio, facciamo la classica foto di gruppo e noi, che la macchina fotografica ce la siamo dimenticata a Riohacha, riprendiamo la scena con la telecamera con saluti all’Italia; e poi dalla lancha in partenza salutiamo con la manina, noi e le tre ragazze argentine, i ragazzi con cui abbiamo trascorso queste giornate che non ci pensano proprio ad andarsene da Punta Gallina, e scatta la vena di tristezza…posto bellissimo e gente fantastica….a fine vacanza diremo che la Guajira è stata la nostra tappa preferita (quasi da non crederci, per una volta le isole coralline che visiteremo per ultime non sono la nostra tappa preferita! e a noi il mare piace tanto). Per fortuna il ritorno in lancha va meglio dell’andata, sempre 1 ora e mezza ma a favore di onda. Al porticciolo però non c’era Moura ad aspettarci e a riportarci al luogo da cui siamo partiti (hotel El Castillo del Mar a Riohacha), ma un altro uomo con una macchina messa malissimo, che quando ci è venuto a prendere aveva già la ruota bucata in due punti, così ci siamo dovuti fermare due volte per gonfiarla fino a raggiungere Cabo de la Vela dove rattopparla (ricordate? siamo nel deserto e per chilometri non c’è nulla), poi una volta partiti con la ruota rattoppata il motore della macchina ha dato forfait e ci siamo dovuti fermare. Per fortuna non eravamo distanti da un’area abitata, per cui la prima persona che è passata per la strada si è fermata e ci ha portato fino a Riohacha. Il fatto è che dovevamo arrivare il prima possibile a Riohacha per prendere il pullman per Cartagena, anche se a dir la verità non sapevamo nemmeno se ci sarebbe stato, anzi sembrava proprio di no perché ci avevano detto che l’ultimo sarebbe partito alle 17 e non potendo comprare i biglietti in anticipo eravamo rassegnati ad ogni situazione, anche ad aspettare nel terminal il pullman del giorno dopo. Arrivati al terminal verso le 17.00 veniamo assaliti dalle varie agenzie di pullman che ci vogliono vendere i biglietti per le varie destinazioni, io dico “Cartagena” e quello dell’Expreso Brasilia mi dice che ce n’è uno che parte alle 18; io incredula me lo faccio ripetere più di una volta. Lui me lo conferma e così partiamo per Cartagena come da programma… e anche questa volta dobbiamo dire che c’è andata bene! Per arrivare a Cartagena ci vogliono 7 ore, ma questi pullman sono comodi, il sedile si inclina molto e abbiamo visto 4-5 film in spagnolo o in inglese con sottotitoli in spagnolo, così lo impariamo meglio.
verso Cartagena
Durante il viaggio in pullman ci siamo fermati ad un posto di blocco dove la polizia ci ha fatto scendere dal pullman per controllare i documenti; è una cosa che può capitare, c’è scritto addirittura sulla guida, per questo non abbiamo avuto alcun timore (comunque anche per questo è bene conoscere lo spagnolo). Apriamo parentesi: ovunque in Colombia c’è tanta polizia ma davvero tanta, ad ogni angolo e non angolo, e questa è una cosa buona perchè si vede che c’è la volontà di rendere la Colombia un paese sicuro e ci stanno riuscendo, lo vediamo perchè non abbiamo mai visto niente di strano e lo abbiamo anche chiesto ai colombiani che abbiamo conosciuto i quali ci hanno detto che sì esistono la guerriglia e i paramilitari ma stanno dove possono agire indisturbati (di fatto il narcotraffico esiste, le terre colombiane consentono di coltivare le foglie da cui si produce la cocaina, e sapete qual’è il posto dove si esporta la maggior parte della cocaina prodotta in Colombia? in Europa ovviamente!) e quindi nel fitto della foresta o in alcuni punti al confine con gli altri paesi latino-americani dove la polizia riesce ad arrivare più difficilmente. Per i colombiani questa è una realtà molto lontana e loro nemmeno se ne accorgono. Di fatto abbiamo letto che i paramilitari, che è una formazione illegale che lotta contro la guerriglia, sono nati dai corpi militari addestrati dalla Cia e inviati dagli Usa in Colombia per risolvere tensioni interne (gli Stati Uniti in qualche modo c’entrano sempre) e capiamo, parlando con i colombiani, che sono un pò come la mafia che c‘è in Italia e agiscono come la mafia, quindi in realtà per noi non è niente di nuovo, e se dobbiamo dire che la Colombia è pericolosa, prima è meglio guadare a casa nostra. Chiusa parentesi.
14/01/12
Arriviamo nel nostro hotel di Cartagena (Villa Colonial) all’1.30 del 14/01/12 e anche qui mega doccia perché anche oggi siamo “muy sucios“. Alle 8.30 Marco dorme ancora dopo una lunga nottata come quella appena trascorsa. Io sono sempre curiosa dei posti nuovi dove arriviamo, per cui mi sveglio presto, chiedo in reception se è tranquillo uscire dall’hotel da sola (meglio chiedere non sapendo), mi dicono di sì, così esco per comprare un adattatore nuovo (il nostro si è rotto durante il viaggio, anche questo capita con tanti spostamenti) e per andare al supermercato dove compro il cibo per la colazione, che prepareremo nella cucina dell’hotel a disposizione degli ospiti quando Marco si sveglierà, colazione in cui non manca mai il mango, il nostro frutto tropicale preferito. Cartagena, si legge con la “g” aspirata, è proprio una bellissima città con una parte vecchia e una parte nuova. Il primo giorno visitiamo la parte vecchia con la città muragliata perchè è circondata da mura che gli spagnoli (che all’epoca avevano conquistato Cartagena) costruissero per difenderla dagli altri conquistadores; le mura sono quasi tutte intatte, è possibile fare quasi tutto il giro della città passandovi sopra e in qua e in là ci sono anche bellissimi bar e ristoranti con vista mare. E’ una città coloniale con tutta l’influenza spagnola, sembra di essere in Spagna, vicoli stretti, balconi sporgenti con fiori e piazze piene di locali dove si raduna tanta gente. Sì, c’è tanta gente qui. E poi è proprio una città romantica, la sera molti palazzi sono illuminati e questo crea ancora più atmosfera. La sera io e Marco ci concediamo per la seconda volta una cena, come diciamo noi, “con grazia”, da una balconata di un bellissimo ristorante che sporge su di una delle principali piazze della città, con una bottiglia di vino e con musica di sottofondo cantata e suonata da due signori cubani; ma la cosa più romantica è stata vedere la dichiarazione d’amore che lui ha fatto a lei nel tavolo di fianco al nostro, lui ha fatto portare dal cameriere un mazzo di rose rosse per lei, i musicisti cubani si sono avvicinati al tavolo e le hanno cantato una canzone che ad un certo punto diceva “quieres ser la mi mujer?” cioè “vuoi diventare la mia donna?”, lui le ha donato un anello e lei si è commossa. Che scena romantica che abbiamo visto! Il secondo giorno visitiamo la parte del porto e Bocagrande, dove si trova la spiaggia di Cartagena; qui se ne vedono di tutti i colori, donne con i vestiti tradizionali con i colori della bandiera colombiana (blu, rosso e giallo) che vendono frutta portata nel cesto sopra la testa, venditori improvvisati di cappelli, occhiali, prodotti da mangiare, e avanti così all’infinito. Ritorniamo nel centro storico per pranzare nel cortile di un delizioso ristorante e per cena ceniamo su una terrazza con vista sulla Plaza Santo Domingo, la più famosa della città. Il giorno dopo compriamo i souvenir che a Cartagena sono “muy barattos” (molto economici) e prendiamo ben 17 mochillas colombiane.
16/01/12
Prendiamo l’aereo che da Cartagena ci porta a San Andres, un’isola corallina a 800 km. dalla Colombia e a soli 180 km. dal Nicaragua, dove gli abitanti sono per lo più afro-caraibici che ascoltano musica reggae e parlano un inglese incomprensibilissimo; sembra tutto un altro posto rispetto alla Colombia continentale. Ci sistemiamo al Blue Almond Hostel, è proprio il posto fatto per noi: a parte il fatto che è la sistemazione più economica che abbiamo trovato a San Andres (dai 55.000 Cop la camera matrimoniale con bagno in comune che paghiamo qui si passa a sistemazioni che hanno un costo minimo di 110.000 Cop!), l’ostello ha solo 2 camere matrimoniali e 1 camera singola, per cui al massimo ci sono 5 ospiti, per questo spesso siamo stati gli unici presenti nell’ostello, ha 2 bagni puliti che per 5 persone in tutto va più che bene, e ha una grande cucina dove Marco ha cucinato anche per i padroni di casa tre volte, e per questo l’hanno battezzato un “buen pardido“, sì, sì, anche in Italia si dice buon partito e anche in Italia si pensa questo di Marco! I padroni di casa sono Juan e Jennifer, sono molto gentili e ti fanno sentire come a casa tua: con loro siamo usciti due volte la sera per andare a bere e a ballare. Qui ci stiamo solo una notte, per poi ritornarci dopo esser stati tre giorni a Providencia, un’altra isola vicinissima a San Andres e raggiungibile solo da San Andres o in aereo o in catamarano.
17/01/12
Raggiungiamo Providencia con un aereo della Satena a eliche a 18 posti dopo un volo di 15 minuti da San Andres: così alle 8.00 arriviamo a Providencia sotto l’acqua…piove! Providencia è cara, la sistemazione più economica che abbiamo trovato (prenotando via e-mail) è la Villa de Santa Catalina a 140.000 Cop (circa € 60) in due con pernottamento, colazione e cena; il prezzo comunque non è male considerato che non ci sono molte possibilità per mangiare in giro e che i pasti sono servizi al ristorante annesso alla Villa, il Bamboo Seafood, che è uno dei migliori della zona. La Villa si trova sull’isola Santa Catalina che è collegata a Providencia da un ponte pedonale chiamato il ponte degli innamorati; per questo motivo ci vengono a prendere a Santa Isabel, a Providencia, con una barchetta a motore. Il primo giorno noleggiamo una moto per fare il giro dell’isola, vediamo la Bahia Suroeste, la Bahia Aguadulce e la Bahia Manzanillo, e ogni tanto ci fermiamo nei diversi belvedere che ci sono sull’isola per ammirare i bellissimi colori del mare, soprattutto in prossimità di Cayo Cangrejo. Alla Villa conosciamo una coppia di argentini che si fermano a Providencia per circa 2 settimane; con loro scambiamo impressioni sulla crisi che c’è in Italia e su quella che c’è in Argentina (non sono i primi a chiederci della crisi in Italia); ci chiedono cosa sta succedendo in Italia, noi diciamo che è diventato impossibile trovare lavoro, ci chiedono se anche coloro che ce l’hanno corrono il rischio di perderlo e noi rispondiamo di sì, ci chiedono se qualcosa sta cambiando, noi diciamo che qualcosa è cambiato, al governo non c’è più Berlusconi (che qui conoscono anche per chiacchiere su un suo flirt con una colombiana) e ora ci sono altre persone, ma è ancora presto per vedere cambiamenti positivi. Ci dicono che in loro ormai la crisi è radicata, è una cosa normale con cui convivono, perché non c’è possibilità di miglioramento, c’è corruzione a tutti i livelli per cui a chi vuol fare bene non glielo lasciano fare; ci dicono che quando venne a galla la crisi in cui si trovava l’Argentina in una settimana il paese cambiò 6-7 presidenti perché tutti coloro che salivano al potere poi rinunciavano. Questi due ragazzi sono molto gentili, ci organizzano la “vuela de la isla” (il giro dell’isola) con il pescatore Saverio e ci regalano il biglietto di ingresso al parco dentro cui si trova Cayo Cangrejo.
18/01/12
Partiamo con la barca di Saverio, solo noi due per 100.000 Cop (circa € 43), e passiamo davanti alla Cabeza di Morgan, una roccia che sembra la testa del pirata Henry Morgan, andiamo a Cayo Santa Catalina, dove facciamo snorkeling, e a Cayo Cangrejo, che sembra una piscina naturale, ci sono colori bellissimi; poi ci fermiamo a pranzo sulla Playa Suroeste al ristorante El Divino Niño e al termine della “vuelta” Saverio ci lascia alla piccola spiaggetta su Santa Catalina vicino alla Cabeza di Morgan, qui l’acqua è calma e si fanno dei bagni piacevoli, è un buon punto per fare snorkeling, e da qui ci godiamo un bellissimo tramonto.
19/01/12
Sempre con l’aeroplanino Satena dell’andata torniamo a San Andres al Blue Almond Hostel, qui ritroviamo la nostra camera e parte delle nostre valigie lasciate lì perché sul volo Satena si possono portare solo 10 kg. a testa, quindi è stato necessario fare l’ennesimo travaso degli zaini (stavolta sembra che non ci siamo dimenticati nulla, ma a fine vacanza ci mancheranno alcune cose che da qualche parte per forza abbiamo lasciato). Noleggiamo una moto a 4 tempi per 4 giorni a 240.000 Cop (circa € 102); il casco è obbligatorio ma non lo porta nessuno e noi ci adeguiamo. Questi sono i nostri ultimi di vacanza e volutamente abbiamo scelto di trascorrerli al mare, dopo Amazzonia, parco, deserto e città. Nella costa a est ci sono le spiagge più lunghe, ma in quella dove il mare è più bello (e i colori sono davvero belli) tira molto vento ed è un po’ fastidioso; per cui trascorriamo la maggior parte del nostro tempo al West Bay che si trova sulla costa a ovest dove sono tutte rocce e non c’è spiaggia; qui per buttarsi in acqua ci sono diverse scalette, c’è uno scivolo e c’è persino un trampolino alto circa 6 mt., dal quale sono tentata a tuffarmi ma io non brillo certo di estremo coraggio, anche perché non sono capace a tuffarmi di testa e non vorrei rischiare di prendermi delle panciate, come quelle che ogni tanto si vedono qui, anzi si sentono. Ma il colore dell’acqua qui è a tratti blu profondo e a tratti turchese e dall’alto del trampolino si vede quasi il fondale; quindi vinco la mia paura, prendo coraggio, salgo sul trampolino, mi metto in posizione, mi tappo il naso e mi lascio cadere ovviamente in piedi….ce l’ho fatta! che bella emozione! tanto bella che ripeto il tuffo…anche questa è una cosa mai fatta prima…un’altra in questa magnifica vacanza delle prime volte! L’attrazione del posto sono i pesci, all’ingresso (che si paga 3.000 Cop a testa) ti danno due fette di pane per dar da mangiare ai pesci e così ne arrivano tanti e si radunano tutti in prossimità della scogliera: io in realtà non sono molto d’accordo con questa prassi, perché mi hanno insegnato a non dar da mangiare agli animali, tanto più che non credo che il pane sia molto indicato per i pesci. C’è da dire che, a parte i pesci che si avvicinano perché gli viene lanciato il pane, facendo snorkeling non se ne vedono tanti. Andiamo all’Ojo Soplador, che è un buco nella scogliera: in lontananza sembra non aver nulla di speciale, poi ti avvicini, guardi dentro il buco e quando l’onda si scaglia contro la scogliera e l’acqua arriva al buco, tutto questo crea una fortissima corrente d’aria da far raddrizzare i capelli! La cosa è molto buffa, soprattutto la foto che Marco mi ha fatto in questo frangente. Per i nostri pranzi scegliamo spesso il ristorante Fisherman Place nel centro di San Andres vicino alla pista dell’aeroporto. Così dopo 23 giorni in Colombia arriva il 23/01/12, ovvero il giorno della partenza: volo Lan San Andres-Bogotà 14.34-16.34 in ritardo di più di un’ora; voli Iberia Bogotà-Madrid 20.10-12.00 del 24/01/12 e il 24/01/12 Madrid-Bologna 15.50-18.05.
Impressioni finali: i colombiani sono gente molto cordiale: viaggiando come abbiamo fatto noi, un pò in aereo, un pò in pullman, un po’ in tour, si viene a contatto con la gente del posto e, come già detto, in Colombia in questo momento è periodo di vacanza e ci sono molti colombiani in giro per tutto il paese, colombiani che gentilmente ti chiedono “de donde son ustedes?”, di dove siete? quando gli dici “de Italia”, tutti dicono “waw”. I colombiani che abbiamo incontrato sono stati super gentili: alcuni ci hanno invitato a pranzo con loro, altri ci hanno regalato il mango coltivato nella loro terra, per non parlare di Maria, Liliana e Maurizio che hanno trascorso con noi la vigilia del compleanno di Marco con due bottigline di aguardiente, mai dimenticheremo le risate di quella serata!
Questo viaggio in Colombia è stato fantastico, anzi direi “muy rico“, come dicono qui pronunciandolo con 3R “muy rrrrico“, e non nella sua accezione di ricchezza di denaro ma di tante diverse esperienze; effettivamente siamo passati dalla.foresta amazzonica con il Rio delle Amazzoni e i delfini rosa, al deserto e mare con gli indigeni wayuu della Guajira, al parco tropicale con belle spiagge a Tayrona, alla incantevole città coloniale di Cartagena e alle isole caraibiche con il bellissimo mare turchese di San Andres e Providencia. Davvero non c’è espressione più azzeccata per descrivere questo viaggio: Muy Rico. Per questo torniamo a casa entusiasti! Perché è stato un viaggio alla continua ricerca di qualcosa e l’abbiamo sempre trovato, per cui siamo pienamente soddisfatti! Non tristi della nostra partenza ma contenti delle bellissime esperienze vissute e delle bellissime immagini che rimarranno per sempre in noi!
A chi ci legge diciamo: andateci, andateci e andateci! Fatela diventare la vostra prossima destinazione e non fatevela mancare per nessuna ragione al mondo! Non lasciatevi intimorire da chi vi dice che è pericoloso: durante il nostro viaggio non ci siamo mai sentiti in pericolo, sì è vero c’è tanta polizia ma non abbiamo mai assistito ad alcun episodio in cui sia dovuta intervenire e noi abbiamo girato tanto (almeno questa è stata la nostra esperienza).
A questo punto vi salutiamo come si usa in Colombia: que vos vaya bien! che vi vada bene!