Colombia, el riesgo es que te quieras quedar

Due mesi zaino in spalla nel paese delle meraviglie che non ti aspetti. Da Bogotà al confine con l'Ecuador, toccando l'estrema punta Nord del continente latino-americano, passando per la costa caraibica, la valle del caffè, la musica e il folklore
Scritto da: Giulia Collura
colombia, el riesgo es que te quieras quedar
Partenza il: 02/07/2015
Ritorno il: 15/09/2015
Viaggiatori: 1
Spesa: 3000 €
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Quando dici Colombia le cose più probabili che ti verranno in mente sono: droga, narcotraffico, guerrilla, forse anche caffè e salsa… immaginate quale sia stata l’associazione di pensieri quando ho detto ad amici e parenti “vado in colombia per 2 mesi, o forse più, o forse non torno!” “Questa la ammazzano o la rapiscono” avranno pensato. Io sono voluta andare oltre gli stereotipi. Per me la Colombia aveva qualcosa di speciale. Dovevo scoprirlo e raccontarlo a tutti.

Adoro l’America Latina, ogni anno ne scopro un pezzetto e nn resto mai delusa. Quello che rende indimenticabile ogni suo posto è l’atmosfera, l’emozione, quel sussulto che non necessariamente deve sorgere di fronte a una statua o un qualunque monumento. Può essere un paesaggio, un tramonto, una città, possono essere delle persone a rendere la tua avventura indimenticabile. E so che lo sarà anche questa. so che la Colombia sarà un paese fantastico e me ne innamorerò e così Io e il mio entusiasmo prendiamo il volo!

Il mio viaggio inizia con una grinta ed un entusiasmo incredibili, sono così emozionata a salire sull’aereo che quasi ho paura di contagiare gli altri passeggeri.

Sì perché la Colombia è da anni quasi una sfida x me: qualche anno fa sfuma il lavoro dei mie sogni all’ambasciata colombiana a Bruxelles, qualche mese fa, biglietto in mano, rinuncio al volo x Bogotà x salire su quello per Phnom Penh (ancora mi chiedo perché). Ma niente, adesso bisogna andare, superare tutti i segni negativi e conquistare la Colombia.

Ed è così che io e la mia mochila (lo zaino in spalla!) sbarchiamo a Bogotà, città che mi conquista immediatamente, nonostante ai più faccia l’effetto contrario. Merito forse del mio eccessivo entusiasmo. O no, merito del popolo colombiano. Dopo neanche un’ora che sono arrivata entro in un bar per mangiare qualcosa ed il proprietario mi dice “bienvenida a Colombia, bienvenida a tu casa”. Resto quasi commossa e questo è solo un assaggio della famosa cordialità e genuinità colombiana. E io sì, già me siento en mi casa!

Incontro il mio amico Felipe, di Bogotà, conosciuto durante il mio ultimo viaggio in Brasile. Con lui conosco la Bogotà dei colombiani e per prima cosa la conosco avventurandomi da sola sul Transmilenio, alias il trasporto pubblico di Bogotà, una sorta di autobus metro. Devo arrivare al lato opposto della città, Felipe mi aspetterà alla fermata, ma io non ci sarò, perché scendo alla fermata sbagliata. Scendo e non so neanche dove sono, con il cellulare in mano cammino, cerco di chiamarlo e, incredibile ma vero x gli amanti dello stereotipo colombiano, nessuno mi deruba, anzi mi aiutano e con un piccolo sforzo riesco a trovare Felipe e ad arrivare a casa sua dove sua madre ha preparato un fantastico ajiaco, una zuppa tipica bogotana a base di pollo, patate e verdure varie!

Bogotà resterà indimenticabile soprattutto per essere stata il posto in cui sono stata derubata per la prima volta nella mia vita. Non un furto a mano armata, un semplice furto che ti può capitare a Roma, a Barcelona, a Bruxelles. Confesso, mi ha fatto un po’ impaurire e arrabbiare per la maniera stupida in cui è avvenuto, ma basta non ci penso più, è il mio secondo giorno di viaggio, un furto ci sta nel curriculum di una viaggiatrice come me e tra due giorni racconterò l’episodio con un sorriso!

Prestate sempre e comunque molta attenzione quando vi muovete per il centro. Di notte non uscite mai a piedi, anche solo per fare brevi distanze prendete un taxi, costa niente e vi sentirete più tranquilli.

Il piccolo furto nn cambia la mia idea di Bogotà: la città mi è piaciuta, la Candelaria (centro storico) è un gioiellino (consiglio di fare il tour in bicicletta, possibilmente la domenica quando la via principale di Bogotà è chiusa al traffico), il tempo è un po’ una merda a dire il vero (grigio, un po’ freddo, puoi sperimentare le 4 stagioni in un giorno solo). Ma ci tornerò alla fine del viaggio, ho ancora dei posti da visitare, e nella top list c’è Zipaquira, a 3h da Bogotà, dove c’è la cattedrale di sale. Non so ancora che quel posto non riuscirò mai a vederlo!

El viaje sigue: seconda tappa eje cafetero, immersa tra piantagioni di caffè, valli, cascate e panorami fantastici e rilassanti. L’attrazione clou è sicuramente el Valle del Cocora, preparatevi a una bella camminata in salita che vi mozza il fiato x via dell’altitudine, ma una volta in cima il fiato ve lo mozzerà la vista di queste enormi palme e infinite distese verdi.

Decido di trascorrere due settimane in questa zona facendo la volontaria in un ostello di un piccolo paesino della regione del Quindio, non ancora invaso dal turbine dei turisti come la vicina e famosa Salento ed in grado quindi di conservare la sua autenticità ed il suo aspetto fiabesco. Il nome di questo paesino è Filandia. Merita sicuramente una visita durante il vostro tour nell’eje cafetero. E fermatevi all’hostal Bidea (italiani, superate il taboo degli ostelli per piacere! non morirete di nessuna malattia a condividere un bagno e una stanza ve lo assicuro!), gestito da una giovane coppia basco-colombiana. L’ostello è piccolo e l’atmosfera molto familiare, il fratello di uno dei proprietari e l’altra volontaria argentina sono stati un’ottima compagnia e hanno sicuramente contribuito a rendere le mie settimane estremamente divertenti! È lì che abbiamo avuto modo di apprendere quanti francesi viaggiano in colombia e vedere come tutti rispondono a uno stereotipo che non è mai stato smentito durante il viaggio e che è il clichè piu azzeccato al mondo: i francesi che viaggiano si riconoscono perché hanno la barba, lo zaino o altro accessorio/indumento della marca Quechua, e spesso viaggiano in coppia. Dopo la scoperta di questo cliché ogni francese viene squadrato dalla testa. I francesi sono una grande rivelazione nel mio viaggio, e non solo per barba y quechua…

Nei dintorni di Filandia potrete trovare cascate, sentieri, miradores, in città potrete mangiare un’ottima banbeja paisa con choripollo (proprio nella strada che dalla chiesa porta all’ostello, nel primo ristorante che incontrate) e i vegetariani – ma anche i non – potranno provare un fantastico hamburger di quinoa in un piccolo ristorante a pochi passi dal mirador della città.

Dopo due settimane nel magico mondo di filandia il cammino continua. Spesso quando viaggi è difficile lasciare posti e persone, pero el viaje sigue, y cada uno por su camino. E il mio mi riporta in città, destinazione Medellin.

Ci arrivo un po’ provata da un viaggio in bus ricco di curve e di slalom e non mi sento per niente in forma. Ma basta una lunga notte di riposo e la grande curiosità a farmi riprendere le energie ed andare alla scoperta della città!

Medellin era considerata fino a circa 10 anni fa la città piu pericolosa del mondo: sparatorie in pieno centro, gente rapita, uccisa, divieto di uscire di casa. E poi nel 2011 è stata nominata la città più innovativa del mondo, grazie al suo variegato sistema di trasporto (in primis metrocable e scale mobili per collegare le periferie della città). La città ha voluto ripulirsi dal suo passato e rilanciare gli spazi un tempo vietati con una piazza, con le statue di Botero, con dei monumenti e trasformare quello che fino a qualche anno fa era un inferno in un affascinante centro città. E questo anche grazie a noi, turisti e viaggiatori, che la invadiamo e ce ne innamoriamo.

Medellin è un’esperienza unica e divertente. Sicuramente è una città che nn ti colpisce per la sua bellezza, ma x la sua storia, la sua atmosfera. Il chiasso regna sovrano per le strade, la città è un mercato a cielo aperto: venditori di mandarinas e limonadas, venditori di pomadas de coca y mariujana para aliviar todo tipo de dolor, chiese accanto a cui passeggiano le prostitute e ai cui lati le bancarelle vendono film porno (i colombiani peccano e usano la chiesa x redimere i propri peccati: trombo con una prostituta e poi entro in chiesa cercando di giustificarmi in pratica!), venditori di chicles, sombreros, venditori di tutto e di più!

Il pueblito paisa, una collina panoramica che altro non è che la riproduzione di un piccolo paese, non è niente di che. Ciò che vale sicuramente la pena di vedere sono las escaleras electricas, delle scale mobili costruite sulle colline in salita per raggiungere le periferie, perché l’innovazione raggiunga anche le zone più povere e tutta la popolazione ne tragga beneficio. Bellissimi i murales che costeggiano le scale e particolare la vista sulle favelas. Merita anche il giro in metro cable, il teleferico, costruito sempre con lo stesso concetto di rendere più facile l’accesso alle zone più arroccate della città.

Non si può andare via da Medellin senza aver vissuto la movida, un giro per parque lleras ed i suoi bar, una botella de aguardiente (cuidado a nn ubriacarvi), due giri di salsa e di balli latini vari (anche se come me odiate questi balli non importa, uscite!).

A due ore da Medellin sorge la coloratissima cittadina di Guatapé, famosa appunto per essere colorata e per le immagini a rilievo disegnate nei muri della città. A 5 minuti di mototaxi (mi raccomando negoziate sul prezzo, soprattutto se siete soli!) sorge la piedra punol: 740 gradini scalati sulla roccia, ma come sempre la fatica della salita (nel mio caso allietata dalla compagnia di un simpatico brasiliano, che si è rivelato molto utile soprattutto per lo scatto delle foto) è compensata dalla bellezza della natura, che non delude mai!

Lascio Medellin, con la solita tristezza nel cuore di quando si conclude una tappa. Ma so che ci tornerò dopo 10 giorni per la Feria de las Flores, evento apparentemente da non perdere.

Next stop: Caribeeeeee!

Prima tappa Santa Marta, cittadina un po’ insignificante, non particolarmente attraente ma base di tutti gli spostamenti nella zona. Mi dirigo a Taganga, piccolissima località di mare, popolata quasi interamente da backpackers, con un lungomare e una spiaggia gradevole, bancarelle, chioschi, un bel tramonto… insomma vale la pena conoscerla per decidere se odiarla o amarla. Attenzione però ai delinquenti: i numerosi backpackers attirano i ladruncoli, soprattutto di sera non addentratevi troppo in stradine buie. Potrà essere la popolazione locale stessa a mettervi in guardia e ricondurvi sulla retta via (e qui di nuovo il grande cuore dei colombiani!). Da Taganga passo subito con impazienza al must do della zona: el Parque natural Tayrona, parco naturale fantastico, con spiagge bellissime, diverse tra di loro, alcune più selvagge, altre più tranquille, altre affollate, palme, piante, scimmie, insomma di tutto di più… e il mitico panificio tra la spiaggia di Arrecife e Piscinita, con i suoi panini caldi con Arequipe (che mi sogno ancora la notte), chocolate, queso, jamon… Wow, una goduria e un bell’affare visto che cibo e drink nel parco non sono proprio regalati.

Il Parque Tayrona regala tante gioie, in termini di fauna e flora… e ancora una volta penso a come la Colombia riesca a sorprenderti ogni singolo giorno: il fatto che nessun giorno sarà mai uguale ad un altro e che accadrà sempre qualcosa che lo renderà raccontabile è davvero fantastico, è quella magia che ti regala il viaggio e ti carica di gioia ed entusiasmo. Ed è così che una serata che si preannunciava breve, con andata a letto – anzi, in amaca – alle 9, si è trasformata in una selvaggia e appassionata e divertente notte in compagnia di un francese della Corsica.

Corso a parte, il Parque Tayrona è davvero affascinante e vale la pena dormirci un paio di notti. C’è un po da camminare per raggiungere le spiagge (un’ora circa dall’ingresso ad arrecife, poco meno di 2 ore x Cabo San Juan, la spiaggia piu famosa), il percorso è piano e nn è difficile, ma il caldo insopportabile lo rende abbastanza faticoso!

E poi sono anche stata punta per la prima volta da un’ape: todo pasa en Colombia (dopo il primo furto, la prima ape!)

Lascio Tayrona con molta malinconia e decido di dirigermi alla volta di un altro must do, a mio avviso, della Colombia: il deserto della Guajira e punta Gallina, il punto più anord della Colombia e di tutto il Sud America. Eh sì, dopo aver messo piede nella estrema punta Sud del Mondo, Ushuaia, non potevo lasciarmi sfuggire il punto più aNord e poter vantare con grande gioia di aver toccato i due estremi della mia amata America Latina!

Arrivare a Punta Gallina è sicuramente un’esperienza affascinante, fattibile solo con jeep. Io ho optato per un tour di due notti e tre giorni (Santa Marta e Taganga sono piene di agenzie, la tipologia di tour offerta è sempre la stessa. Il prezzo medio è 500000pesos, mi raccomando attenti a non farvi fregare, ad alcuni miei comèagni di tour è successo!), ma con qualche difficoltà in più il tragitto può essere fatto “fai da te”, ci sono delle jeep che partono da Uribia quando si riempiono.

Il viaggio comincia comodamente alle 4.30 del mattino, il simpatico Jairo mi passa a prendere e via, pronti a partire!I miei compagni di viaggio sono due ragazzi svizzeri e una coppia belga fiamminga, l’altra jeep che viaggia con noi presenta 4 ragazze spagnole e una giovane coppia di brasiliani. Poteva andare meglio ma decisamente anche peggio!!

Ore 6 del mattino delicatissima colazione a base di chorizo e arepa con queso e via carichi e satolli siamo pronti a sfrecciare per il deserto! La prima sosta la facciamo a Cabo de la Vela, con viento mucho viento! In mezzo al deserto il mare, noi e gli indigeni: tutto molto wild! Bruno, la nostra guida, ci intrattiene raccontandoci un po’ come il deserto sia stato a lungo utilizzato per il contrabbando (ci troviamo molto vicino al confine del venezuela) e come le strdae da cui noi siamo passati fino a qualche anno fa erano nelle mani dei narcotrafficanti (Bruno stesso ci confessa di essere stato spacciatore e di essere anche stato in galera). E adesso, su questi stessi percorsi, passiamo noi, senza dover temere nulla, scattando le foto più belle del nostro viaggio. WOW tutto questo mi affascina, tutta questa storia di sangue che si è trasformata in un presente di cui noi viaggiatori facciamo parte e a cui abbiamo contribuito rende la Colombia così speciale.

La giornata passa tra panorami e tramonti, cena a base di pesce cucinato dai waynu e poi dritti in amaca a dormire. L’indomani è la volta della Duna di Totoa, fantastica ma scalarla per riuscirsi poi a buttare a mare è na vera e propria faticaccia! Ma la fatica è sempre compensata dalla bellezza della natura. E così ancora un altro tramonto, ancora un’altra cena, ancora frittura: assurdo, non ne posso più, dopo un mese in Colombia il mio fegato comincia a bestemmiare! Ed è così che, toccando Punta Gallina, la sua sabbia, i suoi sassi ammassati a mo di torrette, si conclude questo altro capitolo del viaggio. E il bagaglio di esperienze, emozioni, storie si continua a riempire.

Decido di saltare a pié pari il trekking di 4 giorni alla Ciudad Perdida, la Machu Pichu della Colombia: so che mi perderò qualcosa di fantastico, ma nn ho fiducia nelle mie capacita: 4 giorni di salite e discese con quel caldo appiccicoso non posso farcela, non adesso.

E quindi via verso il gioiellino del Caribe: Cartagena

La città è carinissima, con i suoi balconi in legno, i fiori, i colori, quell’atmosfera caraibica che a tratti ricorda Cuba, quelle sue piccole piazzette con ristorantini e locali, riempite da artisti di strada, come la piazza de Trinidad nel quartiere di Getsemani, che dalle 7 di sera si trasforma in un teatro all’aperto. Ti siedi al lato della piazza e aspetti che qualcosa succeda: che si tatti dell’imitatore di Michael Jackson o di una palenquera (le palenqueras sono le donne tipiche del Caribe, un po grossette, con abiti colorati e con in testa una cesta di frutta) che balla, non importa.

Cartagena è la mia ultima tappa nel caribe colombiano: accidenti quante cose, quanta diversità, quanto mare, sole, quanto caldo!

Ma arriva sempre l’ora di dover continuare il viaggio, salire sull’aereo e tornare a Medellin per il weekend della Feria de las Flores. Con il senno di poi forse avrei potuto approfittare del weekend in altro modo, magari restando ancora nel caribe, ma va bene, credo nel destino e vuol dire che era destino rientrare a Medellin! Il desfile silletero (las silletas sono delle composizioni in fiori trasportate a spalla appunto su delle sillas – sedie – di legno) è stato molto bello, ma per il resto non l’ho vissuta nel modo giusto la feria, un po’ x la troppa confusione, un po’ per la stanchezza, un po’ per la mancanza della compagnia giusta x la nightlife. Era troppo tardi quando ho conosciuto i fratelli Santoy del Messico, miei compagni di avventure, di cibo e di aguardiente il giorno del desfile!

Si continua di nuovo il viaggio, adesso si va verso Sud, destinazione Cali, capitale della salsa. Ammetto che non sono molto attratta da questo posto, forse il fatto che venga identificato con la salsa, che odio, ma vado perché dopo qualche giorno inizia il festival di musica del Pacifico (x tutti: el Petronio) e incontrerò un mio amico. È un lunedi: il mio piano è quindi dormire intanto una notte a Cali x riprendermi dal viaggio notturno in bus da Medellin, poi visitare i dintorni per un paio di giorni e ritornare nella città x vedere il mio amico. Sapete com’è finita? che sono rimasta a Cali per tutta la settimana e mi sono fatta 4 delle 5 serate del festival del Petronio e come se nn bastasse non volevo ripartire più dalla città… eh sì quando viaggi i tuoi piani sono destinati sempre ad essere stravolti, in questo caso la colpa/merito è stata la buona compagnia del Tostaki, l’ostello in cui ho alloggiato. È questo quello che mancava: arrivare in ostello, scambiare 4 chiacchiere, sentire la “buena onda” della gente che ti circonda, decidere che in fondo ti puoi permettere di stare un giorno in più in loro compagnia, o forse anche due, o anche tre, o alla fine…4! L’esperienza del Petronio è stata fantastica, questa musica che ti entra dentro, quel ritmo cosi selvaggio, che ti affascina, che ti fa scoprire un po’ di storia di questo pezzo di Colombia, lacerato dal narcotraffico, dove per droga si uccide ed è per questo che solo l’odore di un po di erba durante il concerto suscita l’irritazione di tutti.

E poi conosci gente con cui entri subito in sintonia, provi il piacere e la gioia di poter scherzare come piace a te e senza problemi con un uomo, con cui vorresti continuare a ridere ancora almeno per qualche giorno in più ma ancora una volta no, il destino crudele sceglie che le strade si dividano. Questa cosa che le starde si devono separare proprio non mi va giu, che quando incontri quelle persone con cui hai un feeling speciale che sembra essersi creato da una vita e invece è solo da un giorno. Ma ognuno ha in mente il proprio itinerario, ognuno deve continuare ed arrivare alla sua meta. Sì è triste, ma il rovescio della medaglia è che in fondo nel tuo viaggio incontrerai ancora tanta gente e la curiosità di vedere quello che c’è dopo riesce a compensare la malinconia. E via quindi dalla capitale della salsa x continuare il mio itinerario: ho deciso di arrivare fino in Ecuador e proseguo quindi verso il sud della Colombia per arrivare nella città con le case in bianco: Popayan. È una città davvero carina, piccola, tutta bianca, tranquilla. Da Popayan si può prendere un bus per arrivare a Silvia, un piccolo villaggio dove il martedì c’è il mercato indigeno, con uomini e donne vestiti in abiti folcloristici. Interessante, ma in due ore “you are done” e quindi torno a Popayan a fare lo zaino x compiere un altro piccolo passo nella strada verso l’Ecuador: direzione Pasto, anzi Chachagui. Cinque ore e mezza di bus indimenticabili, con un calor que te cagas, 7 piccole galline nel sedile dietro al mio e quello di Guillherme, il ragazzo brasiliano con cui sto facendo il viaggio in bus, una pausa pranzo fatta alle 11 del mattino dopo solo un’ora e mezza di viaggio. Insomma un altro di quei viaggi in bus surreali, in cui ogni 2 x 3 salgono sul bus venditori ambulanti di tutti i tipi: dall’acqua, al manì, ai rimedi naturali, ecc.

Arriviamo a Chachagui stravolti, ma per fortuna l’ostello in mezzo al verde e alla tranquillità ci permette di rilassarci un po’. La giornata appena passata è stata dura e quella dopo lo sarà anche. Decidiamo di andare a fare una escursione alla laguna della Cocha, imperdibile secondo i più, niente di impressionante secondo me ma va bene. Come se non bastasse mi sento male nel viaggio di ritorno, un mal di pancia incredibile, fermo il colectivo, scendo e scappo in bagno. Per fortuna non riparto e mi aspettano. Purtroppo c’è un altro colectivo da prendere fino a Chachagui ma mi sento decisamente meglio e sopporto il viaggio.

Finalmente arriva il gran giorno, quello dell’attraversamento della frontiera. Non pensavo ci sarei riuscita, è stato quasi un miraggio e invece no, io Tatiana e Guillherme ce l’abbiamo fatta! Viaggio allucinante anche questo: 1 collectivo Chachagui-Pasto, un bus fino a Ipiales, a Ipiales ci fermiamo per andare al santuario – 2 taxi – un altro taxi per arrivare alla frontiera, un altro ancora per arrivare al terminal del bus e por fin bus per Otavalo, 3h e mezza… Insomma, lasciato l’ostello alle 8.30 del mattino arriviamo al successivo ostello alle sette di sera. Ostello che lascia molto a desiderare, l’unico motivo che mi riempie di gioia è che i proprietari sono colombiani e mi si apre il cuore. Eh sì. Arrivati in Ecuador la senti la differenza, l’atmosfera, la gente non sono gli stessi. La Colombia è davvero un posto speciale che ti resta nel cuore e una volta vissuta è difficile per gli altri paesi reggere il confronto. Adoro il Sud America, sono legata ad ogni paese per dei motivi diversi e li porto tutti nel mio cuore. Ma il Brasile e la Colombia ti stregano e il segreto credo sia proprio la loro gente. La Colombia mi ha ricordato molto il Brasile, molte sensazioni simili, tutte piacevoli ovviamente…

Dopo le due settimane in Ecuador, l’idea di tornare in Colombia mi emoziona e mi dà tanta energia. Ho provato un’immensa gioia appena atterrata a Bogotà: risentire le frasi tipiche dei colombiani “a la orden” y “con mucho gusto” mi ha fatto ridere davvero…

Mi trattengo a Bogotà 2 giorni. Nonostante mi sembri una città pericolosa continuo comunque a considerarla affascinante e sì, alla fine mi piace! Ma non faccio un gran che in questi due giorni, sono stanca e voglio riposarmi. Sbrigo un paio di faccende e faccio amicizia con la mia compagna di stanza venezuelana, che mi scarica addosso i problemi del suo paese, e un bello e simpatico ragazzo sudafricano: peccato non farà parte del mio bottino di viaggio, meritava proprio! E merita anche, per motivi diversi, il mercato delle pulci di Usauquén, molto carino e la gente ancora una volta, fantastica!

Arriva il momento di volare all’isola di San Andrés, paradiso nel bel mezzo del Caribe! Sono ancora una volta molto emozionata, non avevo tenuto minimamente in considerazione l’isola, ma all’aver sentito tanti viaggiatori andarci e all’aver visto le foto, e soprattutto grazie ai prezzi stracciati di Viva Colombia – la ryan air colombiana in pratica – mi sono decisa a tuffarmi anche io nello splendido mare de 7 colores.

Purtroppo l’impatto con il Viajero hostel è un po traumatico: la receptionist non è molto simpatica né gentile, la federa del cuscino non esiste, l’aria condizionata fa un rumore pazzesco e non riesco a dormire. A rincarare la delusione è stata la visita ai posti chiave dell’isola, Jhonny Key e Aquario, due fazzoletti di spiaggia con dozzine di persone ammassate che non ti permettono di godere dell’oggettiva bellezza dei colori del mare. Purtroppo non sono riuscita ad andare alla vicina isola di Providencia, vero Paradiso terrestre, ma nn mi sono organizzata per tempo (ci si arriva solo in piccoli aerei o catamarani che però partono solo in determinati giorni). E mi è sfuggito anche Cayo Bolivar, questa volta però a causa del vento eccessivo che ha fatto annullare tutte le imbarcazioni. Ma a grande sorpresa, a compensare queste delusioni ci sono state le persone conosciute: Andrés de Colombia, Marc de Barcelona, Sebastian de Suiza, las chicas de Bogotà e i Brasiliani Ricardo, Bernardo e Gustavo. Gite sull’sola insieme e su una macchina da golf o in barca per fare snorkeling (sconsigliata vivamente se soffrite come me il mal di mare perché poi non vi godete un cavolo!), serata a base di cuba libre sulla spiaggia e conclusa con un déja-vu di una ragazza un po’ ubriaca che ha vomitato! Sì, alla fine mi sono proprio divertita e mi dispiace un po’ partire ma è arrivato il momento di aprire l’ultimo capitolo dell’avventura colombiana, il ritorno al Caribe per il mio ultimo weekend colombiano! X andare a Santa Marta vivo un’altra fantastica avventura, una di quelle che, un po’ come il furto, non può mancare nel curriculum di un viaggiatore: perdere un areo e dover comprare un biglietto nuovo sedutastante in aereoporto. Il mio volo per Bogotà parte con 4 ore di ritardo, che significa che la mia coincidenza x Santa Marta è fottuta. Un simpatico poliziotto mi accompagna al desk Avianca x comprare il mio nuovo biglietto, non proprio ad un prezzo conveniente, ma meglio non pensarci, era già deciso che nell’ultimo weekend mi sarei concessa qualche spesa in più (ecco magari speravo in una spesa diversa al comprare un doppio biglietto aereo!). Forse con il senno di poi avrei potuto rinunciare a questa gita, ma ormai è fatta e arrivo stremata a Taganga alle 22.00. Ad accogliermi il mio amico Paco, che mi prepara la cena e mi accompagna nella mia stanza con aria condizionata. La giornata del Venerdi è un disastro meteorologico: temporale in piena regola, tuoni, lampi da far paura. La sgangherata Taganga diventa ancora più sgangherata: acqua, terra, strade allagate. E vabbé, mi riprendo un po’ con l’ottimo pollo alla maracuja preparato da Paco e poi la giornata prosegue tranquilla. Il mio ultimo sabato colombiano è stato all’insegna del cuba libre e della musica elettronica, una serata che senza accorgemene è finita alle 5 di mattina, giusto il tempo di fare una doccia y ya es la hora de despegar hacia Bogotà!

E ancora una volta, senza accorgermene è domenica e l’indomani ho il volo x tornare a casa: è arrivato il giorno di rientrare, così, all’improvviso! Lo avevo totalmente rimosso, e poi quando all’improvviso ci penso non ci posso credere: “domani torno a casa”. Mi viene da piangere, sono triste, passo in rassegna nella mia testa tutti i momenti vissuti in questi due mesi e mezzo, le persone conosciute, le avventure vissute, i posti visti. L’idea di tornare non mi piace. “Acà es tu casa, las puertas estan abiertas para cuando vuelvas”. Così vado via, con queste parole che riassumono ancora una volta la Colombia e la sua gente. Colombia es como casa. Lo so. Ciao ciao Colombia. La tristezza che ho nel cuore non si può descrivere. Ma sento che tornerò, dovrò tornare. Adesso che sono in Europa parlo della Colombia con gli occhi che mi brillano. Qualcuno è sorpreso, sempre perr quella storia del cliché con cui ho iniziato il racconto. Qualcun altro se n’è innamorato solo sentendone parlare. Magari lo farete anche voi 😉

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