Città del Capo… In passeggino

Non è facile trovare un titolo per descrivere un viaggio in Sudafrica: troppe sono le emozioni provate, le cose da descrivere, le realtà contrastanti conosciute in pochi giorni, troppo pochi. Sull'Africa è stato scritto di tutto e un qualsiasi titolo ad effetto esiste già, da La Mia Africa, a Il mondo in un solo paese, etc. L'importante è...
Scritto da: Luca Stopiglia
città del capo... in passeggino
Partenza il: 09/03/1998
Ritorno il: 23/03/1998
Viaggiatori: fino a 6
Spesa: 1000 €
Non è facile trovare un titolo per descrivere un viaggio in Sudafrica: troppe sono le emozioni provate, le cose da descrivere, le realtà contrastanti conosciute in pochi giorni, troppo pochi. Sull’Africa è stato scritto di tutto e un qualsiasi titolo ad effetto esiste già, da La Mia Africa, a Il mondo in un solo paese, etc. L’importante è riuscire a trasferire al lettore le emozioni provate, a far capire attraverso poche righe quello che una qualsiasi persona può constatare con i propri occhi in questo meraviglioso paese. Dell’Africa io ho visto solo un puntino, per la precisione il puntino più a sud, quella Cape Town che molti dicono una delle più belle città al mondo, ma mi è bastato per ammalarmi d’Africa: la “sindrome” era già allo stato avanzato quando nel 1998 io, mia moglie Eliana e mia figlia Martina di diciotto mesi siamo sbarcati all’aeroporto di Cape Town, e la “colpa” non può che essere di quel genio della narrativa che è Wilbur Smith, che ci ha catturato nei primi anni 90 e ci ha condotto attraverso le pagine dei suoi romanzi alla scoperta di questo meraviglioso continente. Cosa ci è rimasto dell’Africa ? Ancora ora ho nelle orecchie il “rumore” del vento ascoltato nei punti più remoti in riva all’oceano atlantico, il profumo del mare, gli sconfinati silenzi della Table Bay, i rumori dei venditori che alle sei di mattina montavano il mercatino a Greenmarket Square proprio sotto il nostro Hotel, e tante altre indescrivibili sensazioni. Ma Sudafrica è sinonimo di contrasti, che la fine dell’apartheid ha modificato ma non eliminato: il non poter girare liberamente alla sera per paura di essere rapinati non è sicuramente una cosa di cui andar fieri, il girare la domenica mattina in una città spettrale dominata da barboni non è il massimo: andare in un locale alla sera e dover suonare il campanello per farsi aprire e vedere che in tutta fretta poi vengono richiuse le inferiate non è rassicurante; di contro essere alle 18 del venerdì sull’autostrada che porta verso Bloubergstrand e vedere sfrecciare giovani impiegati e signorine (rigorosamente bianchi) su auto di lusso con barca al traino che scappano dalla miseria e si tuffano nelle oasi di benessere, ti fa capire che i contrasti ci sono ancora e sono ben delineati; passare per le strade della periferia e vedere che ci sono dei nuovissimi quartieri residenziali di lusso, con tanto di mura intorno con filo spinato, sbarra al cancello di entrata e relativa guardia armata, ti dice tutto sulla realtà del posto.

Noi abbiamo avuto la possibilità di capire il punto di vista dei bianchi, perchè siamo stati cinque giorni insieme a due guide bianche di una certa età che hanno vissuto sulla loro pelle le diatribe tra neri e bianchi degli ultimi cinquant’anni, e ci siamo resi conto che l’apartheid esiste ancora, anche se non sulla carta e non così spudorato come un tempo: bastava vedere l’atteggiamento di superiorità nei confronti di qualsiasi nero, che sia un ufficiale all’entrata di un parco o un parcheggiatore, per capire che le due culture e i due colori non si sono ancora amalgamati. Per essere più chiaro, le nostre guide, che poi sono diventati amici nostri, nonostante la nostra richiesta, non ci hanno portato in molti posti da noi richiesti dove ci sono solo neri e hanno sempre evitato di passare nelle zone delle Township, perchè al di fuori della loro logica di bianchi. Dopo il viaggio, leggendo altri libri sono riuscito ad avere un quadro più preciso della realtà e a capire a posteriori il motivi di molti atteggiamenti delle persone, atteggiamenti figli di una intricata situazione storica: da parte nostra possiamo dire di essere stati molto bene a Cape Town e di non avere avuto problemi di nessun tipo, anzi, ci siamo sempre sentiti accolti e ben visti da tutta la gente che abbiamo incontrato per strada: sarà perchè abbiamo sempre girato con Martina sul passeggino, ma tutti si sono semre dimostrati sorridenti e simpatici nei nostri confronti; abbiamo attraversato Cape Town a piedi senza problemi, e nonostante la guida Lonely Planet lo sconsigliasse, siamo andati a piedi al porto, passando per i cantieri in mezzo agli operai neri, e non ci siamo sentiti assolutamente a disagio, anzi: c’era chi per strada salutava Martina o magari ci aiutava a fare qualche gradino con il passeggino; per non parlare dell’accoglienza e dei servizi riservati ai bambini, un’altro pianeta rispetto a noi italiani…

Rivedendo le foto poi tutto torna alla mente, nei più piccoli particolari, perchè VIAGGIARE E’ PER SEMPRE, come i diamanti: ogni cosa vista e vissuta, lo è per sempre; le foto poi ti vengono in aiuto, e anche veder le espressioni dei volti serve a riportare la tua mente sul posto.

Il giorno stesso in cui siamo tornati da Parigi lo scorso Ottobre (che coincidenze !), ci è arrivata la comunicazione dall’Ambasciata del Sudafrica che la nostra guida Giuseppina è morta, e siamo rimasti male al pensiero di non poterla più rivedere: l’ultima lettera ci era arrivata a Luglio e Giuseppina ci parlava della neve a Cape Town (!), ed ora non c’è più, è rimasto solo Adriano come un puntino di riferimento dall’altra parte del mondo. Volevo dedicare queste memorie a Giuseppina, che a modo suo ha cercato di farci capire il suo paese d’adozione: ciao Giuseppina…

…Anno Domini 1998 dopo Cristo, primi di marzo, siamo alla vigilia di una grande avventura: siamo reduci da un’influenza che ci ha debilitato negli ultimi dieci giorni mettendo a rischio i nostri progetti, ma per fortuna ne usciamo in tempo e ci accingiamo a preparare i bagagli per attraversare mezzo mondo, nonostante tutti siano contro di noi: “ma dove andate con una bimba così piccola…”, “prenderete qualche malattia…”, “siete matti…”…Siamo in Aeroporto a Venezia e ci riposiamo dopo aver fatto la prima fatica: abbiamo fatto il check-in e i nostri bagagli ingombranti sono sistemati; non è facile girare il mondo con una bimba piccola, e il problema grosso è quello dei bagagli: ci saranno i pannolini in Africa ? Ci sarà del cibo adeguato per Martina ? Come sarà il nostro hotel ? E così tra mille domande le valigie si riempiono pian piano con cose che poi alla fine risulteranno inutili (come sempre siamo troppo premurosi, dovremmo osare di più !): portiamo via vasino (!), zanzariera (!), pupazzi per Martina, e così alla fine il problema è quello di portare i bagagli nei trasferimenti. Comunque fin qua ci siamo: ci prepariamo per il primo volo di Martina con le varie gocce e le precauzioni consigliate dalla pediatra, e in men che non si dica ci ritroviamo ad Heathrow a fare quattro passi per i negozi in attesa del volo per Cape Town: già facciamo le prime telefonate a casa per rassicurare i nonni che siamo ancora vivi e che Martina è tranquilla ! Alle otto circa ci imbarchiamo per Cape Town, ed il volo di dodici ore fila via liscio come l’olio, se si eccettua il fatto che il nostro posto è proprio sotto lo schermo della TV: Martina dorme per nove ore e mezza in braccio a noi !!! Atterriamo a Cape Town alle 08.30 del 9 Marzo 1998 in un atmosfera grigia: l’Africa ci accoglie con il cielo coperto, non certo come ci aspettavamo. Scendiamo con calma dall’aereo perchè siamo lenti ed ingombranti col passeggino, ma appena arriviamo alla dogana troviamo la prima sorpresa positiva: fanno passare per primi i bambini e così in un attimo siamo fuori. Prendiamo un taxi, una vecchia Datsun automatica con una donna tassista alla guida: appena partiamo inizia a piovere e così il paesaggio si confonde nell’acqua e non ci godiamo lo spettacolo; pur coi grossi limiti del nostro inglese facciamo due chiacchiere con la tassista che ci indica alcune cose da vedere, e dopo mezz’ora ci ritroviamo in centro al nostro Hotel, l’Holiday Inn Greenmarket Square. Ci sistemiamo in camera e restiamo affascinati da questo palazzo elegante trasformato in hotel, molto sobrio ma accogliente: scendiamo poi a pranzare nel bellissimo ristorante Cycle on The square, il cui personale si è comportato sempre in maniera simpatica e disponibile con noi e soprattutto con Martina. Nel frattempo ha smesso di piovere e così usciamo a fare conoscenza con la città: col super-passeggino giriamo i Company Garden e visitiamo la zona centrale della città. Nei giardini restiamo sorpresi dagli scoiattoli che ci vengono in mano e Martina si diverte a corrergli dietro; purtroppo siamo agli sgoccioli dell’estate e gran parte delle piante sono sfiorite, ma lo spettacolo è comunque discreto, anche se c’è poca gente in giro. Veniamo abbordati da un vecchio trasandato con l’occhio “guercio” che ci chiede di fare una foto con Martina e acconsentiamo, salvo poi concedergli un’elemosina per ringraziamento… Facciamo due passi fino al quartiere indiano con le casette colorate ristrutturate e poi torniamo verso il centro a vedere la zona pedonale commerciale vicino al nostro hotel. Il secondo giorno prima di andare al Waterfront decidiamo di informarci in un’agenzia turistica per una guida che parli italiano, perchè è la prima volta che giriamo con Martina e non ci fidiamo a girare da soli, e in più c’è la guida a sinistra. Nel frattempo passiamo la giornata visitando il bellissimo Waterfront, il vecchio porto tutto restaurato e diventato un mega centro commerciale di lusso. Per arrivarci attraversiamo la città a piedi e passiamo in mezzo a gente di tutti i tipi e di tutti i colori, ma è tutto OK. Appena arrivati, mentre Martina dorme nel passeggino, ci fermiamo a guardare le foche che giocano liberamente in mezzo alle barche e si spostano solo all’ultimo momento quando passano i battelli. Andiamo a visitare il bellissimo acquario Two Oceans, ma è momentaneamente chiuso per un black out, e quindi andiamo a passeggiare sui moli in mezzo a dei vecchi galeoni ristrutturati. A mezzogiorno ci fermiamo a mangiare al St. Elmo, una discreta catena di pizzerie con un ottimo servizio per i bambini: mangiamo all’aperto con i gabbiani che vengono a guadagnarsi le briciole a un metro dal nostro tavolo. Nel pomeriggio torniamo a visitare l’acquario, uno dei più belli al mondo e facciamo il giro due volte, ammirando una miriade di pesci, toccando con mano le razze e mettendo il naso a 10 cm dagli squali lunghi 3 metri !!! Visitiamo poi l’African Art and Craft Market, con bellissimi oggetti artigianali in vendita, e poi ci tuffiamo nei negozi del centro commerciale che vendono di tutto: rispetto ai nostri negozi, è un paradiso di colori !!! E’ un peccato non poter spendere tanti soldi: compriamo comunque degli animaletti in plastica inediti per Martina ed un secchiello (in previsione di una gita in spiaggia che però poi non faremo mai), oltre ad altre cose da portare a casa su commissione. Passeggiando per il porto incrociamo una scolaresca di bambini neri piccoli che si tengono per mano attraverso un lungo lenzuolo arrotolato a mo’ di corda e passeggiano con le maestre: stupendi, impossibile non fotografarli…

Al termine della giornata ripassiamo per l’agenzia che ci conferma le guide per il giorno dopo e ci accordiamo su tutto. La mattina dopo puntuali arrivano a prenderci Adriano e Giuseppina e facciamo conoscenza: ci aspettavamo due persone giovani, ed invece ci troviamo con una simpatica coppia di anziani, lei italiana che vive da anni in Sudafrica e lui puro boero. La giornata è grigia e quindi partiamo per un giro delle baie in macchina in direzione di Seal Island: passiamo per Sea Point, Camps Bays, Clifton, Llandudno, con sullo sfondo The Twelve Apostholes e ci dirigiamo a Hout Bay, dove c’è la barca che porta all’Isola delle Foche. Il mare è mosso e Giuseppina ci sconsiglia di uscire in mare, ma dal molo il mare sembra tranquillo e così decidiamo di avventurarci con la Circe Lunches. L’inizio è molto tranquillo, ma appena usciamo dal porto per girare intorno al Sentinel (il Picco che sovrasta Hout Bay) le onde si alzano e nonostante la perizia del comandante la barca sale e scende su onde di 2 metri: Eliana e Martina restano sedute in cabina, mentre io affronto le onde e filmo lo spettacolo; arrivati all’isola il comandante si avvicina a distanza di sicurezza e si riesce a fotografare ed ammirare questa colonia di foche che se ne sta spaparanzata sulle roccie indifferente ai flash dei turisti. Il rientro non è meno traumatico dell’uscita dal porto e così quando arriviamo in porto andiamo subito alla ricerca di un the caldo… La seconda tappa è il santuario ornitologico “World of Bird”, disperso in mezzo alla vegetazione di Hout Bay (da soli non lo avremmo mai trovato !!!). Entriamo con l’immancabile passeggino e camminiamo dentro alle voliere in mezzo a giganteschi gufi, a ibis di tutti i tipi, a pavoni e ogni genere di uccelli che incutono un discreto timore. Solo le aquile ed alcuni rapaci sono chiusi in gabbia, il resto degli uccelli vola sopra le teste dei visitatori spaventati. Le voliere sono divise per ambiente e sono collegate da porte che si chiudono automaticamente grazie a un sistema di pesi che tiene le porte chiuse: più di qualche volta ci troviamo a passare sotto un gufo di oltre sessanta cm appollaiato sullo stipite della porta. A metà visita ci fermiamo per andare a mangiare e ci accordiamo per tornare nel pomeriggio: Adriano e Giuseppina ci accompagnano in una pizzeria poco lontana e insieme si mangia e si fa meglio la conoscenza. Dopo pranzo torniamo alle voliere e proseguiamo la nostra visita in tranquillità, con Martina che dorme nel passeggino sotto il suo pareo. Terminata la visita ci dirigiamo verso Groot Constantia, una delle prime e più importanti aziende vinicole nel caratteristico stile olandese, che visitiamo solo da fuori; poi andiamo al Rhodes Memorial dal quale si ha una bella vista sulla città e ce ne torniamo in albergo.

Il secondo giorno, giovedì, dopo una veloce spesa da Pick and Pay, consigliatici dalle guide, passiamo un’attimo per casa loro a Three Anchor Bay, dalla quale si ha un’ottima vista su Robben Island: partiamo quindi alla volta di Cape Point, con obiettivo la Riserva naturale del Capo di Buona Speranza: per strada ammiriamo per la seconda volta le spiagge incontaminate e i nostri ciceroni ci fanno vedere un relitto di una nave giapponese colata a picco poco tempo prima vicino ad Hout Bay. Ci fermiamo sul Chapman Peak Drive, una delle strade panoramiche più belle al mondo, per la foto di rito in mezzo ad americani e giapponesi, e ascoltiamo per la prima volta il suono del vento in mezzo alla natura. Da qui si ha un’ottima vista su Hout Bay e sul Sentinel, e si vedono le distese di sabbia a metà collina, a testimonianza di dove arrivava il mare nella preistoria. Ripartiamo quindi per Cape Point e per strada incrociamo alcuni villaggi abusivi sorti dal nulla creati dai neri che dalle campagne confluiscono verso le città: prima di arrivare al parcheggio della Riserva mi accorgo che a duecento metri ci sono degli animali e ci fermiamo a guardare giù per la valle: sono degli eland che pascolano tranquilli. Arrivati al parcheggio restiamo delusi quando veniamo a sapere che fino a pochi minuti prima c’erano dei babbuini, ma che erano stati scacciati perchè disturbavano. Saliamo con la funicolare fino al Faro dal quale si ha un’ottima vista sull’oceano e sui gorghi che le correnti formano, e poi, mentre Eliana e Martina si riposano, io scendo a vedere più da vicino la punta estrema, ammirando i nidi dei cormorani sulle roccie. Pranziamo poi in uno splendido ristorante con la vista su entrambi gli oceani (in teoria Oceano Atlantico e Indiano si incontrano proprio qui, anche se la punta più bassa è a Cape Agulhas). Dopo pranzo andiamo al Capo di Buona Speranza per la foto di rito con gli scogli e le onde sullo sfondo e incontriamo un vecchio struzzo malato che passeggia. Uscendo dal Parco poi sono in allerta alla ricerca di animali, perchè mi sembra strano non riuscire a vedere neanche una springbok: per fortuna intravedo un gruppo di babbuini che si mimetizzano in mezzo al fynbos e poi dopo pochi metri intravedo le corna di due springbok che pascolano tranquilli, e così ci fermiamo ad ammirarli (sono costretto a svegliare Martina che si era assopita, per non fargli perdere lo spettacolare incontro). Usciamo quindi dalla riserva e dopo un chilometro ci fermiamo perchè la strada è bloccata da un gruppo di babbuini che cerca cibo: tutte le macchine si fermano e appena una giovane coppia apre un finestrino, un maschio si catapulta dentro e non vuole più uscire (i babbuini sono animali che possono diventare pericolosi, anche se la gente spesso non se ne rende conto). Adriano gli spiega come fare a scacciarlo e dopo questo teatrino improvvisato ripartiamo in direzione Simon’s Town, per visitare “The Boulders”. Arrivati sul posto Martina dorme e la lasciamo in macchina con “nonno” Adriano, mentre io ed Eliana scendiamo in spiaggia in mezzo alla colonia di pinguini Jackass: stupendo, ce ne sono che nuotano, che giocano, che covano le uova; fanno un verso molto simile ad un asino che raglia e riusciamo anche a toccarli… Il tutto nel loro ambiente naturale in riva all’Oceano. Dopo un po’ Martina si sveglia e così portiamo anche lei a vedere lo spettacolo e la riprendiamo in alcune bellissime foto tra i pinguini. La prossima tappa è Muizenberg, ma quando vi arriviamo tira un’aria incredibile, e scendo solo io un attimo a fare qualche foto sulla caratteristica spiaggia con le casette coloratissime: ormai è tardi e ci buttiamo in mezzo al traffico per rientrare in albergo.

Il terzo giorno (venerdì) finalmente saliamo sulla Table Mountain: è una giornata stupenda e la vista è incredibile; mentre siamo in coda per prendere la modernissima funivia (che ruota a 360° mentre sale per dare un panorama completo) c’è un solo gruppo che si fa notare tra la folla: italiani, anzi, romani de roma…Arrivati in cima facciamo subito conoscenza con gli iraci, delle procavie che si dice lontani parenti degli elefanti (!!!): se ne stanno sulle rocce a prendere il sole a debita distanza dalla gente, alla quale si avvicinano solo in cerca di cibo. Dalla cima si ha un’eccezionale vista sulla Table bay, sul City Bowl, sul promontorio del Capo (si vede anche il faro) e su Robben Island. Ci facciamo una bella passeggiata sull’altipiano piatto in mezzo al caratteristico fynbos alla ricerca di qualche animale sui pendii, ma non siamo fortunati. Scesi al parcheggio ci dirigiamo ai Kirstenbosch Botanical Garden e vi arriviamo ad ora di pranzo, e così andiamo subito a mangiare al ristorante interno (con Martina non possiamo essere molto elastici con gli orari dei pranzi); dopo pranzo ci facciamo una passeggiata nello stupendo giardino, ma purtroppo l’autunno si avvicina e gran parte delle specie sono sfiorite: si può solo immaginare cosa deve essere in piena primavera !!! Incontriamo una donnola di sfuggita e molti colibrì e altri uccelli coloratissimi sulle piante: dopo un po’ Martina prende sonno ed Eliana si sistema su una panca a farsi una dormitina, mentre io proseguo la mia visita del parco; quando Martina si sveglia si fa un po di corsette sui prati e poi le porto a visitare le zone più interessanti. Ci dirigiamo poi verso la Table Bay e andiamo a Bloubergstrand, nella spiaggia da cui vengono fatte le foto più belle sulla Table Mountain: la vista è stupenda, con Robben Island davanti e sullo sfondo la Table Mountain con Signal Hill, il Lion Peak e il Devil’s Peak ai lati. Facciamo alcune foto e filmiamo i gabbiani che si lasciano trasportare dal vento finchè Martina fa colazione: poi camminiamo sulla spiaggia e prendiamo un po’ di sabbia colorata (sarà la prima della nostra futura collezione) e una spugna come ricordo. E’ venerdì sera e tornando all’albergo vediamo una marea di bianchi con auto sportive e barche al traino che vanno a trascorrere il week-end fuori dalla città: non si contano i vecchi “Maggioloni” della Volkswagen !!! Sabato mattina prima di partire di fronte all’albergo ci fermiamo ad applaudire un coro di bambini di una scuola che canta al mercatino per raccogliere fondi; tappa odierna è la zona dei vigneti e il Tygerberg Zoo. Per strada uscendo da Cape Town incrociamo molti accampamenti abusivi sorti dal nulla e vediamo il villaggio Olimpico in costruzione (Cape Town era una delle candidate per il 2004). Visitiamo subito il Tygerberg Zoo, molto semplice e non tenuto benissimo, ma con animali bellissimi ed in buona forma: e così ammiriamo molti felini (leoni, tigri, leopardi,ghepardi, pantere), molte scimmie (stupendi gli scimpanzè), iene di varie specie, avvoltoi, tartarughe giganti, avvoltoi liberi, varie specie di ungulati (stupendo un piccolo dik), orsi, lupi, un coccodrillo… Per pranzare ci dirigiamo allo Spier, una delle cantine più belle della zona, con laghetto per la pesca e vari servizi, tra cui la visita delle cantine e la degustazione dei prodotti: Adriano ormai si è innamorato di Martina e gli regala delle ghiande che trova per terra come portafortuna (per loro sono simbolo di prosperità). Dopo un ottimo pranzetto andiamo a visitare il Cheetah Conservation Found all’interno della fattoria: abbiamo così l’opportunità di entrare in gabbia con una delle responsabili del progetto e possiamo tranquillamente accarezzare la femmina di ghepardo che “ronfa”. Un’esperienza incredibile !!! Poi i cuccioli nella gabbia a fianco impazziscono quando vedono Martina e saltano sulla rete perchè vorrebbero giocare, ma non essendo ancora “giudiziosi” ci sconsigliano di farla avvicinare. Finita la visita facciamo un giretto per Stellenbosch, che sonnecchia sotto una caldo afoso in una giornata splendida, e passiamo davanti al famoso negozio “Oom Samie se Winkel”, uno dei primi aperti nella zona. Torniamo poi al Tygerberg Zoo a completare la visita interrotta all’ora di pranzo e Martina, che nel tragitto si è appisolata, resta in macchina all’ombra con Adriano e Giuseppina. Alla sera decidiamo di andare a mangiare fuori e ci dirgiamo presso la “Antica Osteria”, gestita da due italiani di Dolo (VE), con i quali si chiacchiera del più e del meno: purtroppo all’ora del conto sono gli unici che ci infinocchiano senza farsi problemi…

Domenica mattina sembra di essere in una città fantasma: i negozi in centro sono tutti chiusi e sprangati e per strada ci sono solo barboni che dormono per terra e tipi poco raccomandabili che vagabondano; tutti la gente è andata fuori città a godersi la magnifica giornata. Obiettivo di oggi è andare al West Coast National Park a Langebaan: imbocchiamo la N7 (una strada tutta dritta che conduce in Namibia e costeggia l’Oceano Atlantico) e impariamo che è usanza per che chi sta davanti, quando un’auto più veloce sta per arrivare dietro, spostarsi di lato e lasciar passare, con tanto di ringraziamento con quattro freccie di chi sorpassa. Per strada, soprattutto fuori di Cape Town, ci sono dei grandi cartelloni macabri che danno le statistiche sui morti in incidenti stradali (dopo l’Aids è uno dei problemi del Sudafrica) !!! Dopo un monotono viaggio di oltre un’ora arriviamo ai cancelli del parco ed entriamo: purtroppo non siamo fortunati, e probabilmente andiamo anche nei posti sbagliati, e così non riusciamo a vedere animali (che secondo le guide sono abbondanti, anche se il periodo non è dei migliori), se si eccettua un duiker che ci attraversa la strada, molti struzzi e alcune tartarughine sui margini della strada. Dopo aver vagabondato per le strade deserte, usciamo dal parco per andare a mangiare nella laguna di Saldanha Bay: mangiamo (bene) in un ristorante gestito da austriaci e poi andiamo a fare una passeggiata sulla laguna: tira un forte vento e quindi dopo un po’ di corse sulla spiaggia con Martina ritorniamo verso la macchina. Rientriamo nel West Coast Park e giriamo nel vuoto assoluto alla ricerca di animali e ad un certo punto Giuseppina si fa prendere dall’ansia e dice che non ci basterà la benzina: così nonostante il nostro (leggero) disappunto ritorniamo verso Cape Town e per consolazione ci portano a Signal Hill, dove facciamo le foto ricordo con loro e ammiriamo il bellissimo panorama sulla città e sulla Table Bay. Abbiamo il tempo per assistere ad una troupe televisiva che gira una pubblicità prima di rientrare in albergo, dove ci salutiamo con Adriano e Giuseppina.

Lunedì mattina siamo di nuovo per conto nostro e decidiamo di andare sul Waterfront a completare la visita: sempre con le foche che giocano in mare e con la stupenda Table Mountain sullo sfondo, giriamo per i moli; purtroppo il sole va e viene e ne approffittiamo per fare un giro a negozi (tra l’altro passiamo davanti al Planet Hollywood che dopo un paio di mesi verrà fatto saltare in aria con un attentato); poi andiamo ad informarci per fare il giro in elicottero sulla penisola, ma le condizioni meteo non sono un granchè e lo rimandiamo (salvo poi pentirci di non averlo fatto !!!). Portiamo Martina sulle giostre e passiamo praticamente tutta la giornata sulla zona del Waterfront (troviamo tra l’altro un bellissimo Koekerboom, gli alberi che sembrano capovolti, con le radici al posto dei rami), e poi rientrando in autobus andiamo a visitare le vie commerciali del centro. Martedì mattina piove e quindi ci attardiamo in camera e ne approffittiamo per riposarci; usciamo a metà mattinata e ci limitiamo a girare i bei Musei del centro e i giardini, rimandando al giorno dopo i programmi più impegnativi.

Mercoledì andiamo a visitare il Castle of Good Hope, il primo insediamento europeo a Cape Town, e passeggiamo sopra le mura e all’interno del bel edificio (tra l’altro anche qui era in allestimeno un set fotografico):poi ci dirigiamo al Waterfront per mangiare e fare spese, ma dopo mangiato ci accorgiamo che Martina ha la febbre e così rientriamo di corsa in albergo. Alla sera vengono inaspettatamente a trovarci Adriano e Giuseppina che portano un regalo a Martina e uno a noi, e ci congediamo ufficialmente con la speranza di poterci rivedere in futuro.

Giovedì è l’ultimo giorno: Martina sta meglio ma non ci fidiamo a portarla tanto fuori, perchè ci attende un volo di dodici ore; faccio un giro per il bellissimo mercatino di Greenmarket Square davanti all’hotel a fare un po’ di acquisti e poi ci prepariamo per il volo di rientro. Alla sera arriva un taxi a prenderci e nonostante un traffico infernale per uscire dal centro, arriviamo per tempo all’aeroporto e ci accingiamo a dare il nostro arrivederci all’Africa. Martina sta bene e quindi siamo fiduciosi per il volo per Londra. Alle 20.55 saliamo in Aereo, e dopo un po’ di trambusto per cambiare i posti (chiediamo di essere spostati più indietro, lontani dallo schermo video) ci sistemiamo per la nottata in aereo: durante il volo Eliana porta Martina in bagno e dopo un po’ sento uno stewart che chiama “nappies” e viene verso di me; estraggo dai bagagli un pannolino e lo porgo al gentile stewart che lo porta a Martina: certo non è da tutti poter dire di averla fatta in quota sopra l’Africa !!! Il viaggio prosegue in maniera tranquilla e Martina dorme per ben undici delle tredici ore di volo !!! Alle 06.30 atterriamo a Heathrow, e abbiamo gli ultimi tre giorni da passare a Londra, ma questa è già un’altra storia…

…Alla fine cosa ci è rimasto: sicuramente dei bellissimi ricordi e delle amicizie importanti, anche se dall’altra parte del pianeta. Con Adriano e Giuseppina ci siamo sentiti abbastanza spesso e grazie anche a loro sono riuscito ad organizzare un viaggio di cinquemila chilometri “fai da te” per due amici che hanno girato per diciotto giorni da Cape Town a Durban senza nessun problema. Sono sempre stati molto gentili con noi e tramite amici ci hanno mandato un paio di volte dei bellissimi regali sia per noi che per Martina. Viaggiare è anche questo: conoscere la gente e diventare amici, pur nella diversità delle culture. Ora purtroppo Giuseppina non c’è più, ma chissà che un giorno si avveri il mio sogno di portare Martina e Matteo a conoscere meglio questo bellissimo paese e a ritrovare “nonno” Adriano… Sicuramente si è rafforzato in me il “Mal d’Africa”, anche se giace assopito sotto le ceneri della “penuria economica”. Ma sono sicuro che un giorno o l’altro avremo anche noi la possibilità di riassaporare i profumi dell’Africa, di “ascolatare i silenzi” in riva all’Oceano, di ammirare la splendida natura Africana, di constatare con i nostri occhi che un nuovo clima di pace e di collaborazione si è instaurato tra bianchi e neri per il bene di questo grande e meraviglioso continente ………Forse però ci vorrà del tempo.



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