Cinque Terre in 4 giorni
Ritengo che al mondo ci siano troppe cose da vedere per tornare due volte nello stesso posto, ma ci sono luoghi speciali che non si svelano mai totalmente, lasciando in chi li visita la voglia di rivederli e le Cinque Terre, per me, sono tra questi. Stavolta il mio compagno di viaggio è anche il mio compagno di vita, che le ha viste solo in fotografia, mentre io ho avuto l’occasione di due fugaci visite, una in battello, l’altra in treno, negli anni scorsi. Visto che siamo entrambi amanti del trekking che pratichiamo spesso e volentieri sulle Dolomiti, non può che essere questo il modo in cui le visiteremo. Ci ritagliamo quattro giorni all’inizio di giugno e partiamo.
Indice dei contenuti
Giorno 1: La Spezia e Portovenere
La Spezia, dove lasciamo l’auto al parcheggio gratuito di Piazza d’Armi, ci accoglie con un caldo soffocante. Dopo una doverosa visita al Museo Tecnico Navale (Via G. Amendola, orario 8:30/19:30, intero 5 euro, ridotto 3, pagamento solo con carte), prendiamo il bus che ci porta a
Portovenere, il più piccolo comune spezzino che dal 1997 è inserito tra i Patrimoni Mondiali dell’UNESCO. Deve il suo nome al tempio della dea Venere che sorgeva proprio dove ora si erge la Chiesa di San Pietro. Come tutte le città di mare, è stata nei secoli assalita e saccheggiata e proprio dal bisogno di difesa dalle incursioni deriva l’aspetto delle case, dette appunto case fortezza, alte e strette, con poche e strette scalinate a dividerle facilmente controllabili per raggiungere il mare. Apprezzata tra la fine dell”800 e l’inizio del ‘900 da poeti e letterati, è tuttora meta turistica molto gettonata.
Il nostro alloggio è una spaziosa e finemente arredata camera con terrazzo frontemare. Dopo esserci fatti consigliare per la cena dal simpatico e gentile padrone di casa, ci immergiamo subito nelle strette viuzze del paese dove affacciano piccoli negozi e ristorantini. Sbuchiamo di fronte all’ iconica chiesa di San Pietro, praticamente il simbolo di Portovenere, nella quale si sta celebrando un matrimonio. Nei pressi una scalinata porta alla Grotta di Byron che ci riserviamo di visitare al tramonto. Ci inerpichiamo fino al cimitero, dove due appassionati di montagna come noi non possono esimersi dal rendere omaggio al grande Valter Bonatti che qui riposa. Saliamo ancora fino ad arrivare al Castello Doria, (apertura 10:00/18:00, intero 5 euro, ridotto 3 euro) che però sta chiudendo e quindi torniamo verso il paese, dove ci concediamo in uno dei numerosi locali sul lungomare della Calata Doria. Nel frattempo si è levato un vento davvero fastidioso, tanto che alcuni ristoranti che avevano già apparecchiato all’esterno sono costretti in fretta e furia a ritirare i piatti e chiudere gli ombrelloni. Verso l’entroterra nuvoloni neri minacciano temporale, ma in realtà dopo un’ottima cena, rigorosamente a base di pesce, tutto è già passato e la sera ci regala un tramonto davvero spettacolare che ci godiamo un po’ dalla grotta, dove le onde si infrangono ruggendo, un po’ da una terrazza panoramica che guarda verso di essa.
Giorno 2: da Portovenere a Manarola
Il mattino seguente lasciamo la stanza di buon’ora, meta il bar dove fare una colazione che ci dia la carica per la giornata che ci attende. Giornata che si preannuncia subito tosta, visto che la partenza del sentiero è una ripida scalinata che costeggia le mura della fortezza. Per quanto l’equipaggiamento sia ridotto al minimo il peso degli zaini si fa sentire, ma è sufficiente arrivare un po’ in alto, dove l’orizzonte, si apre per dimenticarsene completamente! La vista spazia sull’Isola Palmaria, sulla costa di Lerici e fino a Capraia e all’Elba. Camminiamo in mezzo a fiori, superiamo il Rifugio Muzzerone e dopo qualche breve tratto su asfalto torniamo sul lato rivolto al mare. Si cammina sospesi tra terra e acqua, tra l’azzurro e il verde e non incontriamo anima viva fino a Campiglia, dove scambiamo due chiacchiere con una signora che stava portando a spasso il cane. Da questo piccolo borgo teniamo le indicazioni per Monesteroli e in breve ci inoltriamo in un provvidenziale bosco che ci ripara dal sole dove imbocchiamo una deviazione sulla sinistra che indica, in piccolo, Schiara. Ora, noi che proveniamo da un luogo dove la Schiara è la montagna di casa, ci possiamo forse esimere da un gemellaggio effimero con questa località? Comincia così una discesa che sembra non finire mai, tra muri a secco in precario equilibrio e scalini di pietra che mettono a dura prova le ginocchia. Sbuchiamo tra le case aggrappate su una rupe, circondate da vigneti, con i fiori alle finestre e i giardini ben curati benché, in realtà, non ci siano residenti stabili. Come dargli torto, vista l’assenza di strade e di qualsiasi servizio? Eppure qui in passato le persone vivevano e lavoravano e, soprattutto, hanno costruito mulattiere e viottoli senza l’ausilio di elicotteri o di altri mezzi moderni per il trasporto del materiale!
Passiamo in mezzo alle abitazioni e risaliamo fino alla strada sterrata che è l’accesso più vicino alla borgata e da qui, in breve, arriviamo alla Fontana di Nozzano, purtroppo in secca, risalente all’epoca napoleonica. Un cartello ci avvisa che l’accesso al mare è chiuso. Si tratta di quello di Monesteroli, di cui eravamo già informati, ma non essendo intenzionati a fare il bagno, ci assicuriamo che non vi siano impedimenti legislativi ad arrivare fino all’abitato e proseguiamo.
Pur essendo preparati a ciò che ci attendeva, arrivare di persona in cima a questa lunghissima scalinata che sembra letteralmente gettarsi in mare è una sensazione di indescrivibile. Oltre 1100 gradini che permettono di discendere lungo un crinale a un piccolo gruppo di abitazioni arrostite dal sole, appollaiate su un fazzoletto di terra. Qui ancor più che a Schiara la domanda sul motivo per cui a qualcuno sia balenata l’idea di stabilirsi lì è ancora più lecita! Non resta che prendere per buona la storia dei frati che avevano scelto quel luogo come eremo, ma ugualmente la costruzione di quella scala (su un gradino è scolpito l’anno 1910) ha dell’incredibile!
L’accesso al mare chiuso (ma la rete è già stata divelta) non ferma una coppia di ragazzi che tenendosi per mano proseguono oltre le abitazioni. Noi, facciamo dietro front e ci inerpichiamo per il ritorno sotto il sole a picco, col naso che quasi tocca i gradini davanti tanto è ripida la gradinata in alcuni tratti. Ovviamente tutte le relazioni in internet sconsigliano la risalita nelle ore più calde, ma attendere che rinfrescasse non era un’opzione praticabile. Schiviamo un po’ di fatica deviando per Fossola dopo soli 800 gradini, ma lo sconto ci verrà addebitato più tardi con gli interessi! Infatti dopo un tratto pianeggiante sospeso sul mare, dove in un paio di punti i muretti sono, ahimè, franati, un’interminabile salita, dapprima serpeggiante tra le case, poi in un fitto bosco delimitato da reti anti cinghiale ci porta al valico di Sant’Antonio. Qui sul retro della chiesetta, un piccolo punto di ristoro ci appare come un’oasi nel deserto pur se corredato da un’orda di ragazzini urlanti e relativi genitori nel pieno di una festa di fine scuola. Dopo una pausa ristoratrice, raggiungiamo in breve il Colle del Telegrafo e imbocchiamo il sentiero che ci porterà al primo borgo delle Cinque Terre: Riomaggiore. I tempi di percorrenza segnati in tabella sono un po’ troppo ottimisti e dopo una discesa che pare interminabile ci ritroviamo a percorrere un viale fiancheggiato da alte case colorate che sbocca sul mare con uno scivolo per le barche, alcune delle quali parcheggiate ordinatamente nello slargo antistante l’acqua. C’è un discreto via vai di gente, il sole picchia forte e tutti cercano un posto all’ombra dove sostare un poco. Noi scattiamo qualche foto e poi, sapendo che la “Via dell’amore”, il sentiero che collega Riomaggiore a Manarola a picco sul mare, è ancora interrotta (ma la stanno sistemando eh, abbiamo visto coi nostri occhi l’elicottero fare la spola per portare i materiali) chiediamo informazioni sul sentiero alternativo.
Scendendo verso il paese dal Santuario di Montenero, l’avevo notata quella striscia dritta che tagliava in verticale il promontorio, ma pensavo fosse una linea tagliafuoco o qualcosa di simile. Invece no, è proprio la via che dovremo percorre noi, la cosiddetta “Via Beccara”. Una lunga serie di scalini, ripida e priva di ombra ci porta ad una discesa spacca ginocchia che ha comunque il pregio di terminare proprio nei pressi del nostro alloggio per la notte. Riusciamo tramite l’app a prenotare due posti nel locale “must” di Manarola, il “Nessun Dorma” dove dopo un’attesa nemmeno tanto lunga passata a fotografare il paese da questa location straordinaria, ci godiamo la meritata cena prima di riposare finalmente le nostre stanche membra.
Giorno 3: da Manarola a Monterosso
Il secondo giorno di cammino si prospetta meno arduo del precedente per cui al mattino possiamo permetterci di prendercela un po’ più comoda. Anche il sentiero ufficiale che collega Manarola a Corniglia è chiuso e la via alternativa prevede il passaggio per l’abitato di Volastra. Percorriamo quindi la mulattiera che dai primi anni del 900 fino al ’73, anno di costruzione della strada carrozzabile, permetteva il collegamento tra i due paesi. Neanche a dirlo, anche qui i gradini sono infiniti, ma fortunatamente la pendenza non è eccessiva e all’arrivo in paese un provvidenziale minimarket fornisce il giusto ristoro.
Usciti dal paesino, imbocchiamo il sentiero per Corniglia che passa attraverso vigneti e frutteti con meravigliosi scorci sulla costa e sul mare azzurro. Il borgo ci appare alla vista ancora da lontano, con le case che sembrano accatastate le une sulle altre abbarbicate su di uno sperone roccioso. Incominciamo ad incontrare parecchie persone nel senso opposto al nostro, anche se apparentemente non tutte sembrano consapevoli dell’ambiente in cui si trovano. In alcuni tratti l’incrocio risulta piuttosto disagevole, il sentiero corre su esili cornici tra i muretti, ma con un po’ di pazienza e gentilezza si passa tranquillamente.
Una discesa piuttosto dolce, rispetto allo standard delle precedenti, ci scodella in paese, a pochi metri dalla Chiesa di san Pietro. Proseguiamo verso il centro già piuttosto animato di turisti, ma fortunatamente non così tanto da rendere il passaggio tra le strette viuzze un percorso ad ostacoli. Corniglia è l’unica delle Cinque Terre a non avere i piedi nell’acqua. Per arrivare al mare bisogna percorrere una scalinata che porta ad un piccolo imbarcadero, ma la spiaggia è invece situata nei pressi della stazione, 200 gradini più in basso percorrendo la cosiddetta “Lardarina”. (ma per i più pigri esiste la navetta)
Ci mangiamo un’ottima focaccia con lo sguardo rivolto al mare sul punto panoramico sopra l’Oratorio dei Disciplinati dove alcuni ragazzini giocano a pallone. Prima di riprendere il cammino, comperiamo un po’ di frutta e riempiamo le borracce, torniamo verso la chiesa di san Pietro dove sul muro di una stretta via troviamo i cartelli con le indicazioni per Vernazza.
Stavolta il sentiero è quello ufficiale, il “Sentiero Azzurro” ed è a pagamento. (7,50 euro o Cinque Terre Card). Questi soldi vengono reinvestiti dal Parco nella manutenzione dei sentieri che è davvero un lavoro immane! Mostriamo al punto di controllo le nostre card fatte online al mattino e ci inseriamo nel flusso di persone che inizia a farsi consistente, anche se non fastidioso. Il sentiero prosegue a saliscendi con bellissimi scorci panoramici tra viti, fichidindia e un profluvio di fiori. Vernazza ci appare tra le fronde degli alberi con la Torre Doria che svetta sulle case colorate. Il borgo ha il privilegio di una piccola spiaggia alla quale fa la guardia la bella Chiesa di Santa Margherita d’Antiochia. Ci prendiamo il tempo per una meritata birra seduti sotto una grande apertura naturale nella roccia che mette in comunicazione il paese col mare sul lato a sud. Poi, passando dietro la chiesa, imbocchiamo l’ultimo tratto di sentiero, pure questo a pagamento, che ci porterà a Monterosso.
Dopo pochi minuti di cammino l’immagine forse più iconica di Vernazza ci appare in tutto il suo splendore e davvero non possiamo esimerci dallo scattare decine di foto.
Il fondo del sentiero è piuttosto sabbioso, il passaggio della gente solleva nuvole di polvere perché anche qui, come in gran parte d’ Italia, non piove da tanti giorni. Si segue il fianco delle colline superando una valle quasi nel suo fondo e scendendo, per l’ultimo tratto, lungo gli immancabili e ripidi scalini. Giunti a Monterosso ci dirigiamo immediatamente al nostro alloggio dove il simpatico proprietario in breve ci elenca tutto quello che non ci possiamo perdere e i migliori posti dove mangiare. Oggi abbiamo tempo, siamo appena a metà pomeriggio, quindi dopo esserci rinfrescati c’è tutto il tempo per esplorare il paese in lungo, in largo e, non paghi di due giorni di scarpinata, soprattutto in alto. Ci spingiamo infatti fino alla Chiesa dei Cappuccini e al vecchio cimitero sorto sulle rovine di un castello, ridiscendiamo passando nei pressi di un’azienda agricola con agriturismo e ci dilettiamo nella lettura dei menù dei vari ristoranti e nel curiosare tra le piccole botteghe. L’aperitivo lo sorseggiamo all’Enoteca da Eliseo, dove un cartello annuncia che i tavoli all’aperto sono da condividere ed infatti con l’occasione scambiamo qualche parola con una giovane coppia di americani. Ceniamo a base di pesce in uno dei ristoranti che ci sono stati consigliati e poi, per facilitare la digestione, passeggiamo ancora fin dopo il tramonto che ci godiamo dagli scogli. Nonostante la stanchezza continuiamo a gironzolare tra i ristoranti pieni di turisti inebriandoci di profumi e ci sediamo per alcuni minuti su di una panchina ad ascoltare i discorsi degli anziani del posto.
4° giorno: Monterosso e rientro
Il mattino della partenza mi alzo di buon’ora per scattare qualche foto in una Monterosso popolata solamente dai netturbini e dai fornai. Mi godo il fresco del mattino e mi riempio occhi e naso di colori e profumi. Sosto qualche minuto in compagnia di un bel gattone ad osservare lo sciabordio delle onde e un po’ mi dispiace di non aver avuto il tempo per un bel bagno in quell’acqua trasparente.
Il ritorno decidiamo di farlo col battello ( per info: www.navigazionegolfodeipoeti.it) per ammirare le Cinque Terre anche dal mare. Non si può non rimanere stupefatti nell’osservare con quanta caparbietà l’uomo abbia trovato il modo di vivere in luoghi apparentemente inospitali creando dei gioielli che il mondo intero ci invidia. Scendiamo dal battello a Riomaggiore da qui prenderemo il treno per La Spezia. È domenica e rispetto a due giorni prima, il target delle persone è cambiato: non più famiglie o amici che gironzolano senza fretta, ma gruppi organizzati che sciamano affannati a conquistarsi il punto panoramico per la foto, coi minuti contati e la pretesa di passare per primi ovunque.
Durante questa traversata abbiamo visto il vero volto delle Cinque Terre e la fatica di chi in questi luoghi trae sostentamento dalla terra, una terra fragile che meriterebbe molto più rispetto. Da anni si parla di un numero chiuso, non credo sia la soluzione esatta, bisognerebbe puntare forse su un turismo più consapevole, di qualità invece che di quantità.
Alcuni consigli per chi volesse intraprendere un trekking in queste zone: prediligere, se possibile, mesi meno caldi come aprile, maggio, settembre e ottobre. Portare riserve d’acqua, fuori dai centri abitati questa è difficilmente reperibile. Informarsi bene sui sentieri da percorrere, specialmente sui dislivelli: nonostante l’esplicito divieto di percorrerli indossando sandali o infradito, abbiamo incontrato molte persone con ai piedi tali calzature, in costume da bagno, o con palloni da mare o materassini al posto dello zaino. La segnaletica è sempre presente anche se talvolta le tempistiche riportate non sono precise. Le Card del Parco, anche plurigiornaliere, oltre a permettere il passaggio in tutti i sentieri offrono anche altri vantaggi consultabili sul sito www.parconazionale5terre.it
Probabilmente tornerò ancora, ma stavolta dedicherò un’intera giornata ad ognuno degli incantevoli borghi.