Cibovagando verso nord… dall’Alsazia all’Olanda and back
Quindi, le tappe sono state: Alsazia – valle della Mosella (Germania) – Olanda – Belgio – Champagne e poi di nuovo a Torino, il tutto con la nostra auto, ovviamente. E’ stato un viaggio a base culinaria, sostanzialmente. Siamo infatti partiti solo con due valigie nel bagagliaio… e siamo rientrati in Italia con le suddette valigie piazzate sui sedili posteriori poichè il bagagliaio pieno di casse di vino, dolci, formaggi e la nostra povera C4 nuova arrancava, pesantissima, su per il Monte Bianco, dove siamo stati colti dal (fugace) dubbio di aver un tantino esagerato!
Quindi, partiamo. Quest’anno niente aerei, niente corse in aeroporto con l’ansia di trovare l’immancabile coda infinita al metal detector di Malpensa, niente poltroncina claustrofobica su un volo intercontinentale pagato il meno possibile, niente triste vassoietto pieno di cibo dal gusto alquanto dubbio (sempre che il volo lo preveda), niente ansia da smarrimento bagagli…. si parte in pompa magna, il pranzo al sacco fatto a regola d’arte e la dovuta calma! Iniziamo subito con l’incolonnarci al tunnel del Monte Bianco… mentre ci facciamo la nostra oretta di coda per passare in Francia, riguardo i miei appunti e mi rendo subito conto, con immensa costernazione, che abbiamo sbagliato valico! No, bisogna essere onesti: che HO sbagliato valico… mio marito si è fidato di me che sono il navigatore ufficiale di tutti i nostri viaggi e che, fino a quel momento, avevo sempre funzionato bene. Mi imbestialisco con me stessa perché l’errore ci fa allungare il percorso di quasi due ore e così, invece delle 5 ore previste, arriviamo in Alsazia dopo 7 ore di macchina! E vabeh…. capita anche ai migliori. Fortunatamente lo Chambre d’Hote che avevo prenotato è davvero charmant, per cui mi faccio perdonare in fretta (Les Seraphins a Valff, circa 10 km da Obernai). Alloggiamo in una camera enorme, in una casa tipica alsaziana molto ben ristrutturata mantenendo il più possibile la struttura ed i materiali originali. Ci affidiamo in tutto per tutto a Thierry, il padrone di casa (era un po’ umorale…. ma diciamo che noi gli andavamo a genio, perchè con alcuni altri ospiti era proprio un po’ più ruvido) che ci dà ottimi consigli per la gestione della nostra esplorazione della regione, e sin dalla prima sera ci immergiamo in quella rilassata, morbida e golosa atmosfera francese che pregustavamo già da casa. Su consiglio di Thierry ceniamo poco distante dal B&B, a Varr, al bistrò “au Potin” dove, ovviamente, nessuno parla una parola di inglese e il padrone ci illustra pertanto il menù mimandoci tutti gli ingredienti, con tanto di grugniti per il maiale, colpi di coda per il pesce e batter d’ali per l’oca… e, cavoli, era davvero bravo! Avercelo in squadra quando giochiamo a Cranium! Segnalo che essere vegetariani in Francia non è considerato un fatto propriamente accettabile. Spesso al mio “je ne mange plus de viande” mi hanno rivolto uno sguardo che passava in poche frazioni di secondi dallo stupito, al sospettoso, al dispiaciuto (quelli che hanno pensato che fosse una scelta obbligata, magari legata a problemi di salute… altrimenti perché mai uno non dovrebbe mangiare più la carne?) per arrivare inevitabilmente ad un’espressione finale sconvolta (quando capivano che no, sto benissimo e sono sana di mente… solo che non voglio più mangiarla, ecco tutto) e alla domanda “Mais: pourquoi?”. La carne è sostanzialmente ovunque, anche dove non è indicata… per cui buona fortuna! Uno dei piatti più tipici, è la “tarte flambè” che è immancabile in ogni menù alsaziano che si rispetti e se manca c’è da preoccuparsi. Ce ne sono diverse versioni, ma quella classica consiste in una sorta di sfoglia di pane tirata sottilissima (ricorda molto vagamente la piadina) condita con una salsa a base di panna, pezzetti di pancetta e cotta in forno… semplice, ma deliziosa per aprire lo stomaco! Ma occhio perché è davvero grande e una basta per due/tre persone se deve fungere solo da antipasto. In generale la cucina alsaziana è piuttosto robusta, povera, ma saporita e il piatto principale per eccellenza è la “chocroute”, un’insalata di crauti cotti accompagnati da salsicce di vario tipo… bella impegnativa! Ci rendiamo subito conto che qui non possiamo fare come in Italia dove di solito prendiamo un antipasto a testa e poi un primo o un secondo a testa. Le porzioni sono molto abbondanti (il che giustifica i prezzi dei piatti che vanno dai 15 ai 25 €): basta un piatto principale a testa per saziarci. Ovviamente si beve riesling alsaziano e quando Alberto scopre che qui servono il vino anche solo a quarti, ma che si tratta di vino imbottigliato, che può scegliere tra un buon numero di ottime etichette, e che ci viene portato in tavola nella “pichette” ossia in una brocchetta di terracotta smaltata che lo mantiene alla temperatura perfetta, la sua gioia arriva al culmine. Di solito durante i nostri viaggi dimagriamo per il tanto camminare e il fatto che non mangiamo mai troppo… ma sin dalla prima sera capiamo che la vacanza rischia di prendere una piega pericolosa, per cui ci ripromettiamo di non esagerare con dolci ecc… La promessa durerà più o meno due giorni, spazzata miseramente via dalla nostra curiosità culinaria e dalla nostra (aimè!) invincibile golosità.
Iniziamo a scoprire l’Alsazia partendo da Colmar, splendida cittadina di cui avevamo visto così tante foto magnifiche che eravamo davvero curiosi di vederla dal vivo. In effetti Colmar è bellissima e non si può dire altro che questo, ma purtroppo, come tutti i posti che nel tempo diventano un’attrazione turistica (vedi Venezia, vedi Bruges, per citarne due) ci è parsa una cittadina ormai “senz’anima”, votata all’unica causa dell’offerta turistica per trarne il massimo guadagno. Inevitabilmente era piena di gente, piena di negozietti che vendevano paccottiglia, piena anche di tutto ciò che è tipico, come le insegne in ferro battuto o i balconi pieni di fiori o le case a graticcio dalle tinte pastello… il tutto, però, in quantità un po’ troppo massiccia; insomma, se dovessi descrivere Colmar con due aggettivi, direi bellissima e pienissima. In ogni caso non si può saltare, questo è sicuro… quanto meno per ammirare la pala d’altare di Grunewald che è davvero imperdibile!! Però c’è da dire che girovagando per l’Alsazia abbiamo scovato paesini incantevoli e genuini, anche loro con le insegne in ferro battuto, le case a colombage e splendide pasticcerie che tutto sommato ci hanno emozionati molto più di Colmar.
Per radiografare brevemente l’Alsazia si potrebbe dire che si tratta di una stretta fetta di terra addossata al confine tedesco, fatta di basse montagne che si trasformano in boschi, i quali spesso si trasformano in vigneti dove si snoda la “route de vins d’Alsace”, una strada davvero pittoresca che attraversa moltissimi paesini dai nomi tutt’altro che francesi, bensì chiaramente tedeschi, e da qualche cittadina più grande (Mulhouse, Colmar, Selestat e Strasburgo in cima, andando verso nord). Il riesling è l’imperatore indiscusso della regione e le cantine sono pressoché ovunque, di qui la felicità di Alberto che ha passato mezza vacanza a fotografare vigneti e l’altra mezza a degustare vino.
I paesini più famosi, più fotografati e più visitati sono Ribeauville, Riquevir, Eguisheim, Kayserberg, Obernay, ma onestamente anche gli altri meno noti sono tutti davvero graziosi e, secondo noi, quelli meno battuti sono anche quelli più affascinanti. Infatti l’afflusso di visitatori ha comportato, almeno a nostro avviso, ad una serie di storture immediatamente visibili che sono: il fatto che ormai tutte le casette tipiche sono state ristrutturate fin nei minimi dettagli e sono tutte pitturate di fresco, immacolate e, alla fine, snaturate. Il fatto che questi paesi si fanno una vera e propria guerra per contendersi il titolo di “village fleurì” dell’anno, il che sarebbe anche positivo perché indubbiamente a chi non piace vedere un borgo tutto fiorito e ben tenuto? Ma quando si esagera anche i fiori possono diventare pesanti. Quindi, quelli che sono i tratti più caratteristici dell’Alsazia, se estremizzati, finiscono per rendere certi paesi fin stucchevoli nella loro perfezione. Però non si può certo dire che l’impatto scenico non sia d’effetto e ora che l’abbiamo vista capiamo perché si dice che l’Alsazia pare uscita dritta dritta da una fiaba.
Oltre alla mania dei villaggi fioriti (fateci caso: è la prima cosa che si legge appena si entra in un paese e il numero dei quadrifogli che compare sul cartello ti dice quanto è fiorito quel villaggio… un quadrifoglio significa villaggio sfigatissimo, quattro o cinque quadrifogli significa che sarà tutto un tripudio di fiori pressoché ovunque), gli alsaziani hanno quella dei concorsi e dei premi: in più di una vetrina abbiamo trovato esposti in gran risalto riconoscimenti del tipo “medaglia d’oro per il miglior biscotto al pan pepato al concorso internazionale dei biscotti alsaziani di Sidney” (??!!). Onestamente alcuni concorsi ci lasciavano un po’ perplessi e ci chiedevamo quanti partecipanti avranno mai potuto esserci a contendersi il titolo, ma in fondo: chi siamo noi per giudicare? Davanti ad una medaglia d’oro non si discute! Sicuramente in ogni paesino non mancano le cose da fare: a parte i wine tastings, si possono percorrere sentieri incantevoli tra i vigneti, visitare piccoli musei, fare milioni di foto in quanto ogni singolo angolo è delizioso, oppure dedicarsi, come facevo io, alla ricerca dei nidi di cicogna sui campanili o sui tetti delle case. Ebbene sì, uno dei simboli dell’Alsazia è proprio la cicogna che magari può lasciare alcuni completamente indifferenti, ma a me mette una gioia nel cuore che fatico a spiegare! Queste spilungone eleganti e silenziose, che portano fortuna a coloro che se le ritrovano appollaiate sul tetto, passano spesso in volo sopra le teste dei turisti per raggiungere i loro nidi ed i loro compagni da cui non si separano per l’intera vita. Le cicogne non emettono alcun suono, ma quando comunicano tra loro sbattono i lunghissimi becchi con un rumore ritmico e sordo che, se non sai di che si tratta, nemmeno ci fai caso. Oppure, sempre per restare in tema naturalistico, si può visitare il Jardin des papillons a Hunawir (vicino a Ribeauville) e ritrovarsi d’un tratto in una serra tropicale dove volano centinaia di farfalle multicolore che, con un po’ di fortuna, vengono anche a posarsi sui visitatori… non sarà tipicamente alsaziano, ma è stata davvero un’ora bellissima perché era da tempo che volevo visitare un “farfallaio”, se così si può chiamare. E visto che mi è piaciuto parecchio e che sono caritatevole, approfitto di questo spazio per dire alla farfalla che mi si è posata in testa che la perdono per avermi fatto la cacca sui capelli appena lavati! Vedi che cose che si imparano viaggiando… lo avreste mai pensato che una creatura leggiadra come una farfalla può essere tanto prosaica? Mio marito mi stata facendo una foto per immortalare la mia gioia…. in effetti mi sentivo bella come un fiore per essere stata scelta da quella farfalla per fare una sosta… e invece non voglio immaginare perché abbia scelto proprio me per fare i suoi bisognini! Alberto non finiva più di ridere… sorprese di viaggio…
Per chi ama le automobili, a Mulhouse c’è una collezione di Bugatti e altre auto d’epoca che deve essere super interessante… e poi il castello di Haut Koenisbourg che domina la valle dalla cima di un’altissima collina (noi purtroppo non abbiamo avuto il tempo di vederli). Insomma, in Alsazia le cose da fare non mancano!!! E anche se si viaggia con i bambini ci sono davvero tante opportunità per intrattenerli, dalla collina delle scimmie a Kintzheim, ai parchi dei divertimenti. Per una panoramica, consiglio il sito http://www.tourisme-alsace.com/it/, fatto davvero bene! Noi siamo stati in Alsazia solo 3 giorni, ma credo che se ci fossimo fermati una settimana intera non avremmo avuto alcun problema a far passare il tempo… anzi! Infatti già progettiamo di tornarci.
Una delle visite più emozionanti è stata quella a Strasburgo: sapevamo che era una bella città, ma non immaginavamo tanto! Ci ha davvero conquistati, complice anche la giornata di sole che ci ha permesso di goderci al massimo la nostra crociera sui canali dalla chiatta scoperta che è stata davvero bellissima e molto interessante perché ci ha permesso di vedere la città da una prospettiva decisamente diversa (i biglietti si fanno all’imbarcadero che si trova poco distante dalla Cattedrale… prepararsi a fare la coda! Ma occhio che le casse sono due, una davanti alla quale sostano tutti, l’altra subito sotto, direttamente sull’acqua… e quella passa inosservata quindi lì si fa molto più in fretta a comprare i biglietti!). Sarà anche “turistico”, ma il giro in battello merita davvero (dura circa 1 ora) e porta fino al quartiere UE, facendo un anello attorno al centro storico. L’unica accortezza, per chi arriva in città in auto, è come regolarsi con il parcheggio: noi ci siam presi una salassata: 20 € per parcheggiare dalle 14 alle 23! Ma siamo stati stupidi perché esiste un comodissimo servizio di P+R (park and ride) che costa pochissimo e che permette di parcheggiare fuori città e di arrivare in centro con la navetta… vabeh, sarà per un’altra volta! Strasburgo è una città elegante e super godibile. Tra le tante cose da fare, a parte perdersi per le strade antiche e piene di fiori, ce n’è una che merita di essere segnalata: mangiare la “chocroute de poisson” alla Maison Kammerzel. Ora, questo ristorante è sotto gli occhi di tutti e si trova, da decenni, proprio dentro quella meravigliosa costruzione in legno che sta appollaiata ai piedi della Cattedrale a farsi fotografare dai turisti. Uno di quei posti dove non andremmo mai, sicuri di mangiare male e di essere spennati, data la posizione. E invece questo fa eccezione. Abbiamo cenato qui su consiglio di Thierry del B&B e, ancora una volta, abbiam fatto bene ad ascoltarlo, anche se appena arrivati io ho storto il naso e prima di prenotare un tavolo (è necessario!) ho preteso di vedere la sala dove avremmo cenato perché, apparentemente, era tutto fuorchè uno di quei posti che mi sconfinfera. Beh, ho dovuto ricredermi. Gli interni del ristorante sono davvero meravigliosi, sembra di fare un tuffo a fine medioevo! Soffitti a cassettoni, finestre antiche con i vetri a piombo, affreschi, luci soffuse e legno ovunque… sarà anche un’attrazione turistica, ormai, ma con che stile! E soprattutto i prezzi sono assolutamente nella media, niente affatto alti, per cui… mi sono convinta in fretta! La cena è stata molto buona, ovviamente non ci aspettavamo i fuochi d’artificio, ma c’è da dire che la chocroute de poisson diceva davvero la sua! In sostanza si tratta di un’insalata di crauti calda, ricoperta da filetti di tre tipi di pesce e letteralmente annegata in una crema di burro fuso e aglio… divina, anche se non esattamente dietetica! Tra l’altro ne basta una in due perché è una porzione molto sostanziosa e abbiamo notato che negli altri tavoli, chi ne aveva ordinata una a testa non riusciva a finirla. Inoltre dalla sala si godeva una vista eccezionale sulla piazza e sulla Cattedrale ed il servizio è stato davvero attento e professionale. Per cui non posso dire altro se non che è stata una splendida serata, conclusa con lo spettacolo di suoni e luci proiettato sulla facciata della Cattedrale, anche quello da non perdere!
Abbiamo lasciato l’Alsazia sotto la pioggia, dirigendoci verso i Vosgi. Qui il paesaggio diventa boscoso, nei paesini i fiori non mancano, ma senza quegli eccessi che abbiam visto più a sud e le case, sempre a colombage, diventano bianche, ma non per questo meno graziose. Visto il tempo, abbiamo deciso di dedicarci ad una visita un po’ particolare e alle 14 eravamo in fila all’imbocco del Fort di Shoenenbourg (http://www.lignemaginot.com/ – controllare gli orari!), pronti a scendere sotto terra a 12 gradi centigradi per un paio d’ore (mamma che freddo!!). La visita a questo tratto della mitica Linea Maginot è un’esperienza da fare, anche se non si è poi così appassionati di storia bellica (e noi non lo siamo). Si scende circa 5 piani sotto terra e si visitano sia la parte in cui vivevano i soldati, quindi le cucine, la sala macchine, i dormitori, l’infermeria e gli uffici, sia il tunnel di circa 2km che porta alle casematte da cui i francesi si difesero strenuamente dagli attacchi tedeschi finchè, purtroppo, non ebbero altra scelta se non quella di arrendersi. La visita non è guidata, ma basta seguire i numeri lungo il percorso. Ci sono comunque un paio di guide là sotto e, se si riesce a scovarle (noi ne abbiam trovata una!), sono ben liete di rispondere alle domande dei visitatori. Qua e là c’è qualche breve pannello esplicativo, ma non dice gran che, mentre ci sarebbero infinite cose da raccontare! La nostra visita è durata due ore ed è stata profondamente toccante. Dentro al tunnel tutto è rimasto com’era, dagli sgabelli ai telefoni, alle bende per avvolgere le ferite, alle casse di munizioni. Riesce difficile immaginare che un posto così umido e vuoto potesse apparire più o meno come un formicaio umano, pieno di soldati che vivevano per mesi come talpe, gli uni sugli altri, in nome della libertà. E riflettere sul fatto che erano persone normali, persone giovani, persone come noi, che avevano i nostri stessi bisogni e i nostri stessi sogni, fa davvero effetto. La Linea Maginot, creduta inespugnabile così come il Titanic era creduto inaffondabile, è stata uno dei più grandi e dispendiosi flop bellici d’Europa ed ora parte di quelle infinite gallerie di collegamento sono state vendute all’asta ai contadini locali per ricavarne magazzini e cantine… ma resta in ogni caso un pezzo della nostra storia e ritengo che sia una visita da non perdere, soprattutto se si hanno al seguito bambini nell’età giusta per capire cos’è stata la guerra. In fondo ormai restano pochissimi nonni in grado di raccontarcelo ed è giusto non dimenticare tutti quei giovani uomini che hanno dato la vita per permetterci di vivere in pace (che sembra retorico, ma quando sei là sotto, con quel silenzio sordo che ti schiaccia il petto, ti rendi conto che non lo è affatto…).
Per rinfrancarci dal freddo, dalla pioggia e dal velo di tristezza che la Linea Maginot ci aveva messo addosso, ci siamo divisi un “kugelhopf”, il dolce alsaziano per antonomasia… una vera delizia! Lo si vede ovunque in Alsazia e si tratta di una sorta di sofficissima brioche al burro dalla caratteristica forma a budino. Vista così potrebbe anche non ispirare troppo, in fondo sembra fatta di pane, ma diffidate della prima impressione perché è strepitosa!!! Anche qui il burro si spreca, ma in fondo siamo in Francia e poi il burro francese è diverso dal nostro, è davvero ottimo. La leggenda vuole che siano stati addirittura i Re Magi a regalare la ricetta di questo dolce ad un pasticcere alsaziano… o più realisticamente è stata l’influenza della pasticceria austriaca su quella francese… ma c’è anche chi narra che da una fetta di kugelhopf bagnata nel rum sia nato il babà napoletano… si come sia: bisogna provarlo! Addolciti dal Kugelhopf (peccato averne preso solo uno!) ci mettiamo alla guida verso la Germania, direzione Valle della Mosella, culla del riesling tedesco.
Ora, sfido i più a sapere che cavolo sia la Valle della Mosella. Nemmeno io lo saprei se non fosse che il mio adorato marito (ormai si sarà capito) è appassionatissimo di vini e quindi lui sognava di andarci da un sacco di tempo. Gli stessi tedeschi, in gran parte, ignorano di avere all’interno del loro territorio un luogo così mozzafiato… pare incredibile, ma quando dicevamo ai tedeschi che abbiamo incontrato durante nostro viaggio che avevamo visitato la Mosella, restavano un po’ perplessi, come a dire “boh… ah, sì, so che si trova da qualche parte in Renania…”. Comunque, al di là del vino, chi ama la natura, gli spazi aperti, i panorami verdeggianti, la bicicletta e la tranquillità, la Valle della Mosella è un luogo in-can-ta-to. A dire il vero non sembra nemmeno di trovarsi in Germania, ma pare piuttosto una prosecuzione ideale della Francia (i tedeschi non me ne vogliano!), con i suoi ristorantini eleganti, e i paesini tirati a lucido dalle case antiche e sobrie con i tetti in ardesia e tanti, tanti fiori. La sorte (o il navigatore?) ci fa un regalo, facendoci entrare nella Valle della Mosella da Leiwen. Lasciamo l’autostrada, prendiamo la provinciale, zigzaghiamo tra i boschi chiedendoci dove cavolo sia sta Mosella e poi, all’improvviso, dietro una curva in cima ad una collina gli alberi finiscono e si apre un panorama che ci lascia letteralmente a bocca aperta: wow! Piove ancora, ma non importa perché proprio davanti al paesino di Leiwen il fiume Mosella fa un’immensa ansa blu, solcata dalle chiatte bianche che navigano placide, i vigneti che scendono ripidissimamente fino a pochi metri dall’acqua, i paesini che rompono il verde smeraldo che si estende a 360 gradi attorno a noi, brillante per la pioggia. Alberto me lo diceva che questa zona era molto bella, ma onestamente non immaginavo tanto… è stato amore a prima vista! (Se volete vedere l’ansa di Leiwen, impostate sul navigatore l’hotel Zummethof che si trova in posizione panoramica. Sebbene stando a bordo fiume si vedono panorami stupendi, salire in alto fa cambiare completamente la prospettiva d’insieme e si resta senza fiato!). Ci dirigiamo verso Brauneberg, un paesello minuscolo nei pressi di Bernkastel-Kues, dove ci aspetta la nostra doppia con colazione al Weingut Gehlen Cornelius. Ci accorgiamo che tutt’attorno a noi è un continuo “Weingut” e ne deduciamo che significhi vigneto o cantina o qualcosa del genere visto che nessuno dei due sa il tedesco e che a nessuno dei due è venuto in mente di comprare almeno un frasario tedesco, pur sapendo che qui, tendenzialmente, si parla solo tedesco. La Mosella, infatti è una zona frequentata soprattutto da turisti tedeschi, tendenzialmente benestanti e tendenzialmente in pensione. In effetti in giro non c’è sta gran gioventù e ci rendiamo conto che nel nostro hotel siamo i più giovani. Di stranieri ce ne sono davvero pochi… credo siano tutti a pochi km da qui, lungo la Valle del Reno, famosa per i suoi castelli e il suo charme di fine ‘800. La nostra sistemazione al Weingut Gehlen Cornelius è davvero eccellente: stanza enorme, immacolata, con balconcino che dà su un vigneto, ottima colazione e soprattutto ogni cosa è organizzata come un orologio svizzero, secondo la proverbiale precisione tedesca (che ogni tanto fa proprio piacere! È bello rilassarsi sapendo che basta seguire le regole, come fanno tutti!).
Che si fa nella Mosella? Beh, un sacco di cose oltre ad assaggiare il riesling, ovviamente, ma l’unica che proprio non si può NON fare è affittare una bicicletta e godersi gli infiniti Km di piste ciclabili che corrono lungo tutto il fiume. Approfittiamo pertanto del sole che, fortunatamente, è spuntato, e ci fermiamo lungo la strada, a Losnich ad affittare due bicilette in un bike rental dove si parla inglese. Immaginavamo già di vederci rifilare due scassoni ad un prezzo folle (quanto siamo abituati male in Italia!) e invece l’efficienza tedesca ci coglie piacevolmente di sorpresa: per 12 € a testa affittiamo due belle bici per tutto il giorno, con tanto di mappe della ciclabile, pompa super tecnologica per le gomme, kit di primo soccorso, aggeggi per far sì che i pantaloni non finiscano della catena, borsa porta oggetti e lucchetti. La ragazza del bike rental ci dice di riportargliela entro le 18 che poi chiude… ci dice anche che ci sarebbe da versare 50 € di caparra… ma alla fine non ce li fa versare e ci dice di tenere la bici quanto vogliamo, anche oltre l’orario di chiusura, basta che al nostro ritorno la lasciamo sul retro. Inutile fare ovvie considerazioni: un posto così, con un retro pieno zeppo di bici nuovissime parcheggiate senza lucchetto, quanto durerebbe da noi? Una settimana? Due giorni? (Povera Italia… sob!). Scorrazziamo lungo la Mosella felici come bambini la mattina di Natale, fermandoci di tanto in tanto ad ingozzarci di more dolcissime: è pieno di rovi carichi di more mature e nessuno, dico nessuno le raccoglie!! Credevamo di tenere le bici solo per qualche ora e invece non vorremmo più scendere poiché ogni tratto della ciclabile è diverso da quello precedente: uno attraversa un paesino, l’altro un vigneto, l’altro corre a bordo fiume, nell’altro devi fare lo slalom tra le anatre e i cigni. Quando la fame inizia a farsi snetire, ci fermiamo a Bernkastel-Kues per pranzare con qualcosa di salato comprato in una panetteria. Qui ci sorprende un temporale, per cui ne approfittiamo per entrare in una vineria e farci una degustazione di riesling… ah, che dura che è la vita qui in Mosella! Lungo il corso del fiume c’è un’ottima rete di trasporti pubblici e sia sui traghetti che sugli autobus si possono portare le bicilette… per cui si può serenamente partire in autobus e rientrare in bici, così da percorrere ogni giorno un tratto diverso della ciclabile. Noi purtroppo abbiamo potuto apprezzare il panorama su due ruote solo un giorno perché poi la pioggia ha ricominciato a cadere e ci ha tenuto un’antipatica compagnia fino all’Olanda… e oltre! La Valle della Mosella è punteggiata da castelli, soprattutto ruderi, ma sempre disposti in posizione panoramica sulle colline attorno al fiume, per cui meritano tutti una deviazione. I più visitati sono quello di Cochem e quello di Burg Eltz. Noi abbiamo optato per quest’ultimo, dove si arriva percorrendo un facile sentiero nel bosco di circa un’oretta. Non abbiamo visitato gli interni del castello perché non ci sono sembrati particolarmente interessanti e fin troppo ristrutturati (con conseguente effetto-Disneyland), ma il castello, visto da fuori, era senz’altro molto, molto fotogenico. Come dicevo, qui l’inglese non è propriamente di casa. Per cui al ristorante ci andava del bello e del buono per cercare di decifrare il menù cercando di scansare la carne. Quando alzavamo le spalle affranti davanti alle domande della camerierona pettoruta che ci voleva servire, lei ci ripeteva la stessa domanda in tedesco alzando il tono della voce, così da farci capire meglio, ma il risultato non cambiava: booooohhh??? L’unica parola che Alberto sapeva era “troken” il che ci assicurava quantomeno di bere vino secco e non dolce durante la cena, ma non andavamo tanto più in là di quello. Per fortuna siamo stati soccorsi da una coppia di inglesi gentilissimi che sapevano un po’ di tedesco e che ci hanno letteralmente tradotto il menù, altrimenti avremmo ordinato a caso visto che lì, a quanto pareva, nessuno brillava al gioco dei mimi come in Alsazia! Abbiamo poi scoperto che, al di là delle trattorie di paese che sono aperte tutta la settimana, ci sono dei piccoli ristorantini eleganti che aprono solo da venerdì a domenica e che di solito sono all’interno di qualche weingut, per cui l’ultima sera abbiamo cenato a Brauneberg, in un posticino molto grazioso, il “Weingut Heinrich Kriebs”, dove fortunatamente uno chef spagnolo si è adoperato per tradurci il menù. Qui abbiamo cenato davvero molto bene, con filetto di luccio io e filetto di manzo Alberto, finalmente liberi dagli snitzel, dalle salsine e dalle patate fritte!
Trascorsi 3 giorni bellissimi, abbiamo salutato la Valle della Mosella col rimpianto di dover partire poiché ci saremmo fermati qui volentieri anche un’intera settimana a rilassarci e pedalare in santa pace! Ci torneremo di sicuro perché si tratta di un angolo incantato d’Europa e, visto che non è poi così conosciuto, è un’ideale meta di vacanza.
Lasciata la Mosella (sigh…), ci siamo immessi su una trafficatissima autostrada tedesca dove le auto ci sfrecciavano a tutta velocità sia a destra che a sinistra… fortunatamente il traffico è diventato più gestibile non appena entrati in Olanda dove la nostra prima tappa è stata Utrecht. Poco dopo il cartello “Olanda” hanno iniziato a spuntare le biciclette ed il paesaggio si è subito ingentilito. Siamo arrivati ad Utrecht verso ora di cena e abbiamo avuto modo di goderci il tramonto passeggiando per il centro cittadino, tranquillo e pieno di studenti e localini. Ovviamente l’impatto con l’Olanda è stato subito molto positivo, peccato solo che qui tutti i negozi chiudano prestissimo e alle 18 le città si svuotano ed i paesi sono già deserti… certo che per un italiano è una cosa inimmaginabile, specialmente d’estate, e abbiamo fatto fatica ad abituarci all’idea di trovare tutto chiuso quando, nella nostra testa, la “sera” sarebbe iniziata non prima delle 20! Credevamo che ad Amsterdam fosse diverso e invece anche là i negozi chiudono prestissimo, magari non proprio alle 18, ma poco ci manca! Stessa cosa per i musei, ecco perché non siamo riusciti a vederne nemmeno uno! Dopo la notte ad Utrecht ci siamo spostati a nord di Amsterdam, precisamente ad Oosthuizen dove avevo prenotato un B&B trovato su Airbnb. Si trattava di un B&B in una vecchia chiesa ristrutturata ad abitazione e l’idea mi aveva parecchio intrigata, inoltre era situato in un’ottima posizione a circa mezzora da Amsterdam e nelle vicinanze di tanti paesini caratteristici che avremmo potuto raggiungere facilmente in bicicletta. Purtroppo il tempo è stato inclemente e la bicicletta non l’abbiamo mai presa poiché la pioggia era sempre dietro l’angolo… ci siamo rassegnati a fare tutte le escursioni in auto ed è stato un vero peccato poiché i panorami erano incantevoli! Il B&B era decisamente particolare. Si trovava in posizione piuttosto isolata, nel mezzo di pascoli verdissimi e circondato da piccoli canali, poco lontano da quello che una volta era il mare e che oggi è considerato un lago poiché è stato chiuso da una diga, poco lontano anche da un mulino a vento ancora in funzione. Però… ecco, pur sapendo che si trattava di una vecchia chiesa, non avrei mai immaginato di dormire a quattro passi da un cimitero! Mio marito, quando se n’è accorto, mi ha solo lanciato un’occhiata eloquente cui ho risposto con il mio più innocente sorriso: e che ne potevo sapere che avremmo avuto le lapidi in giardino?? Mica c’era scritto sul sito! Dalla nostra stanza in mansarda, quindi, godevamo di un meraviglioso colpo d’occhio che partiva dalle tombe (anche piuttosto recenti e con tanto di fiori e fotografie dei defunti) e arrivava al mare. Ma, superato il primo momento di perplessità, ci siamo resi conto che eravamo stati fortunati: c’erano altri quattro ragazzi tedeschi ospiti del B&B che avevano al stanza che dava esattamente sul cimitero! Vabeh che era piccolo, una ventina di tombe o poco più, però svegliarsi al mattino ed affacciarsi su un cimitero non è proprio per tutti, ecco. Al di là di ciò, la stanza era molto grande e pulita, sebbene un po’ umida. Le parti comuni invece, tipo la sala/cucina dove facevamo colazione, erano piuttosto disordinate e non proprio pulitissime, anche grazie ad un paio di gatti e ad un bellissimo golden retriver che lasciavano il loro pelo ovunque. Quindi, non lo consiglio, anche se noi non ce lo dimenticheremo! Alberto lo chiamava la “casa della famiglia Addams” e in effetti, quando arrivavamo lì alla sera, nel buio, col vento e la pioggia e il portone di ingresso che cigolava sui cardini e ti immetteva nell’ex navata centrale dell’ex chiesa dalle cui vetrate filtrava una luce fioca… beh, non potevo dargli torto! In ogni caso la padrona di casa è stata molto gentile (non assomigliava a Mortissia, era la classica olandesona bionda) e ci ha consigliato di andare ad Amsterdam in auto, parcheggiando al “park and ride” di Zeeburg che costava pochissimo ed era ottimamente collegato al centro da un tram veloce. Raggiungendo Amsterdam, ci siamo resi conto che la viabilità olandese è molto particolare, apparentemente incasinatissima in prossimità dei grandi centri urbani, ma nello stesso tempo super scorrevole… certo che senza navigatore non so se ce l’avremmo fatta! Ad un primo sguardo pare un vero intrico di viadotti, sottopassi e uscite che si aggrovigliano uno sull’altro, ma poi ti rendi conto che tutto ha una logica, ossia quella di evitare imbottigliamenti… forse con un po’ di allenamento avremmo imparato a destreggiarci, ma non ne abbiamo avuto il tempo! Al park and ride, sotto un acquazzone terribile, abbiamo avuto il primo impatto con la super organizzata capitale olandese. In effetti quel parcheggio funziona a meraviglia e menomale che c’è, perché abbiamo letto che parcheggiare in città può costare anche 40€ per 24 ore! E ci crediamo perché ad Utrecht abbiamo speso circa 10€ per la sola serata. Quindi W il park and ride di Zeeburg(5€ per il biglietto A/R del tram + parcheggio gratis perché era domenica!)!. La nostra visita ad Amsterdam è iniziata con un assaggio del celeberrimo formaggio olandese, di cui tanto si legge su ogni sito dedicato all’Olanda, insieme ai tulipani, alle dighe e agli zoccoli. Ora, il formaggio olandese è rotondo, e fin qui… si tratta di una sorta di caciotta che oggi è prodotta in 6-7 gusti: naturale, pesto, pepe ecc… ed è sicuramente buono. Però, lì per lì, credevamo che ogni caseificio producesse un diverso tipo di formaggio e invece siamo rimasti un po’ interdetti nello scoprire che in tutta l’Olanda si mangia lo stesso identico formaggio, con la stessa forma, al massimo con sapori diversi. Ma come?? Un Paese che è tutto un pascolo, pieno di mucche e pecore a perdita d’occhio… e a nessuno è venuto in mente di inventare un formaggio diverso?? A quanto pare, a parte un formaggio blu (intendo, uno di quelli tipo gorgonzola) tipico di Delft e qualche formaggio spalmabile, la scelta si ferma qui. Immagino che ci siano delle ragioni storiche, ma ammetto di non aver chiesto ragguagli! Altra cosa che ci colpisce tantissimo della capitale è il vero e proprio groviglio di biciclette parcheggiate in massa fuori dalla stazione centrale… mai viste tante tutte insieme! Come sarebbe poetico se si circolasse in bici ovunque e soprattutto a Torino… lo so che da noi ci sono le colline con cui fare i conti (e soprattutto mancano le ciclabili), però sarebbe davvero salutare fare come gli olandesi, soprattutto per mantenersi in forma. In ogni caso, spesso ci è capitato di guardare nei canali e vederci dentro delle biciclette a mollo. Infatti pare che ogni anno la città faccia riesumare dai canali migliaia di biciclette cadute in acqua per errore o buttate dentro da qualcuno per fare dispetto a qualcun altro! Purtroppo la pioggia non ha reso particolarmente piacevole la nostra visita di Amsterdam e dovevamo fare dentro e fuori dai negozi per ripararci alla meglio, nonostante gli ombrelli e gli impermeabili. Non siamo così riusciti ad organizzare bene il tempo a disposizione, il che significa che non abbiamo visto il celeberrimo Museo di Van Gogh (prenotate su internet, altrimenti è quasi impossibile entrare!), il che però non è un grave problema, anzi… è un motivo in più per tornare! Girando e rigirando per la città, siamo inevitabilmente finiti nel quartiere a luci rosse, della cui esistenza ci siamo ricordati quando abbiamo iniziato a trovarci davanti sex shops e affini… è strano come da una strada all’altra una città possa cambiare faccia così in fretta! Non c’erano molte ragazze in vetrina, non so se ciò significasse che erano impegnate o che altro, ma mi aspettavo delle “vetrine” più grandi e invece ho scoperto che si tratta di porte a vetri minuscole e buie, sovrastate dall’immancabile neon dalla luce rossa, appunto. Purtroppo in questa zona non circolano i migliori soggetti e questo sicuramente non giova all’immagine della città, anche se la nota liberalità degli olandesi fa sì che anche questo quartiere si armonizzi perfettamente con il contesto di canali, biciclette, ponti e case d’epoca… il che forse poteva succedere solo ad Amsterdam! Altra tappa imprescindibile è il mercato dei fiori (che io credevo si tenesse su delle barche! Anche qui mi sono dovuta ricredere perché si tratta di normalissimi negozietti lungo il canale) dove abbiamo acquistato splendidi tulipani mai visti prima d’ora, come l’“ice cream”, ossia un tulipano che all’esterno ha dei normalissimi petali lisci e fucsia, ma che quando si apre rivela dei petali candidi e frastagliati, così che finisce per sembrare una coppa di gelato alla panna! Per riposarci dalla giornata a piedi e sotto la pioggia, ci siamo concessi una merenda indimenticabile da Winkel 43, zona di Noordemarkt. E’ un localino assolutamente anonimo a vederlo da fuori, salvo per il bel dehor all’aperto da sfruttare in una giornata di sole (sigh…!), ma la sua specialità è la torta di mele e, credeteci, una visita ad Amsterdam che si rispetti non può prescindere da una merenda qui!! La torta era semplicemente favolosa, perfetta, dolce al punto giusto e con la giusta dose di cannella che esaltava a meraviglia il sapore delle mele e della frolla… ok, non era dietetica, è ovvio, però quanto era buona!! Abbiamo iniziato pudicamente con una fetta in due dicendoci “tra poco ceneremo…”, ma arrivati all’ultima briciola ci siamo guardati, abbiam guardato il cameriere e ne abbiamo ordinata un’altra, stavolta senza vergogna!
Ovviamente l’olanda non è solo Amsterdam. Siamo stati ad Edam, famosa per il mercato del formaggio, Monnickendam, un minuscolo villaggio che si snoda attorno al porticciolo (delizioso perché era il meno battuto dai turisti!! È diventato subito il “nostro” paesino del cuore… molto romantico, davvero!), Volendam, più grande, ma con una bella passeggiata lungo il porto con tanti negozietti e ristorantini, nonché chioschi che vendono i tipici panini con il pesce fritto… non che sia strepitoso al palato, ma bisogna mangiarlo! In particolare, ad Edam abbiamo avuto la fortuna di assistere al mercato del formaggio, che, di fatto, consiste nella rievocazione storica di quello che una volta era il “rituale commerciale” della vendita del formaggio olandese. I formaggi arrivano in barca lungo il canale e sono poi portati a spalla, su una sorta di amache di legno (che avranno sicuramente un nome più tecnico…) al centro della piazza dove si trova il peso pubblico e qui vengono battuti all’asta. Ovviamente oggi il formaggio è già tutto venduto e l’asta è una finzione fatta apposta per i turisti, ma non possiamo non dire che non fosse ben fatta! Abbiamo notato che gli olandesi mettono davvero un sacco di entusiasmo in questo genere di cose… devono essere molto attaccati alle loro tradizioni e sono lieti di mostrarle agli stranieri. Siamo anche stati a visitare Marken, altro paesino di pescatori collegato alla terra ferma da una lunga striscia di terra e diventato una vera e propria attrazione turistica, visto che anche solo per parcheggiare qui serve un permesso: in sostanza si arriva, si paga alla guardiola e si entra. E’ diverso dagli altri in quanto qui le case non sono in muratura, ma solo in legno, costruite su palafitte e impermeabilizzate con la pece per proteggerle dalla furia del mare, quantomeno finchè una grandissima fetta di quel mare è stato “addomesticato” e trasformato in un immenso lago grazie alla costruzione di dighe che impedivano così ai villaggi costieri di essere spazzati letteralmente via dalle mareggiate. Siamo anche stati a vedere i mulini a vento allo Zaanse Schans… il sito è molto bello, però sicuramente meno scenografico del sito di Kinderdijk … però merita di sicuro una visita. L’ultimo mattino, sempre sotto la pioggia (che palleee!!) abbiamo puntato su Enkhuizen per visitare il museo all’aperto di Zuiderzee. Di solito questo genere di ricostruzioni “per gite scolastiche” non sono proprio nella nostra top ten, ma la padrona del B&B ci ha detto che era molto ben fatto e ce lo ha consigliato, per cui ci siamo fidati ed abbiamo speso 15€ a testa, più il parcheggio, sperando che la pioggia ci desse tregua. La visita funziona così: si arriva al sito, si attende il traghetto e si viene trasportati in questo paese di pescatori che è stato ricostruito con precisione e coerenza storica quasi maniacale, copiando gli edifici più significativi dei vari paesini di cui ho scritto prima oppure, in alcuni casi, addirittura trasportando qui via mare le case antiche originali. Lo scopo è quello di non far dimenticare alla ricca e moderna Olanda dove affondano le sue radici, non perdere traccia di quegli anni difficilissimi a cavallo tra ‘800 e ‘900 in cui vivere nell’Olanda del Nord, lungo la costa, significava soffrire il freddo, temere il mare e faticare davvero immensamente per ogni cosa, dall’allevare il bestiame a coltivare un orto o pescare e affumicare le aringhe. Pensavamo di ritrovarci in una specie di Disneyland e invece, fortunatamente, il villaggio ricostruito era davvero affascinante. Si poteva curiosare ovunque, dalle casette al mulino, alle botteghe dove alcuni anziani artigiani battevano il ferro o intrecciavano canestri e poi vendevano i loro manufatti. In alcune casette c’erano anziane signore vestite da contadine, con tanto di zoccoli ai piedi, che spiegavano volentieri com’era vivere in quelle casine anguste, senza servizi igienici, prendendo l’acqua dal pozzo e cucinando su fornelletti a petrolio davvero maleodoranti. Nelle case dei commercianti le cose erano diverse e lo si notava dai tappeti per terra, dalle stoviglie decorate, dal pianoforte nell’angolo… ma c’era una cosa che accomunava le case di tutti: i letti negli armadi della sala! E’ una cosa che abbiamo visto solo qui in Olanda e immagino che la ragione di questa tradizione fosse dovuta alla necessità di ripararsi il più possibile dal vento: i letti venivano letteralmente costruiti dentro gli armadi… di giorno le imposte erano chiuse, pertanto non si vedevano e poi alla notte si apriva l’armadio e… si dormiva! Non male come idea, però! Si dormiva vicino al focolare, e non si necessitava della camera da letto! Oltre al museo all’aperto, poco lontano si trova il museo vero e proprio, dove sono conservate molte barche (la parte più affascinante!), costumi tipici come le classiche cuffiette delle ragazze olandesi, meravigliosamente ricamate, nonché filmati molto toccanti che illustrano quella che era la vita in questo angoletto di mondo. Ne è valsa davvero la pena, ma bisogna considerare che per fare una visita non troppo approfondita ci va circa mezza giornata, non di meno.
Abbiamo cenato per due sere consecutive a Monnickendam in una sorta di pub locale, il “de Koperen Vis” che sia affaccia proprio sul molo… atmosfera molto rilassata, luci soffuse e un ottimo menù che comprendeva molte portate di pesce e soprattutto delle patate fritte eccezionali!!! A volte ci viene ancora voglia di tornarci… peccato che rispetto a Torino sia un po’ fuori mano!! Non potevamo certo lasciare l’Olanda senza visitare il celeberrimo sito Unesco dei mulini di Kinderdijk. In effetti è un luogo incredibilmente suggestivo in quanto i mulini sorgono in una zona completamente agricola e per alcuni km si vedono solo canali, mulini, erba e cielo! All’entrata si possono affittare le biciclette per un nonnulla e si può pertanto visitare il sito con la bici che è di sicuro il mezzo più divertente e “tipico” (e soprattutto, visto che i mulini si snodano lungo una strada di alcuni km e che, mentre i primi sono i più affollati, quelli da metà in poi sono meno battuti e quindi più suggestivi). Alcuni mulini sono aperti e si possono visitare (a pagamento), ma noi non ci siamo riusciti, sempre per il solito motivo: in Olanda chiude tutto alle 17!!
La nostra ultima tappa olandese è stata la cittadina di Delft, che vanta un centro storico raccolto e molto affascinante. Qui nacque Jan Vermeer, che dipinse, tra gli altri, “ragazza col turbante”, meglio nota come “la ragazza con l’orecchino di perla” che però è conservato a l’Aia, dove non siamo stati. Anche qui abbiamo dormito in un B&B trovato con Airbnb. La stanza era carina e anche abbastanza pulita, ma il bagno era al piano di sotto e lo sapevamo. Lo abbiamo scelto perché gli hotel nel centro storico di Delft si contano sulla punta delle dita e costano quanto basta… noi invece abbiamo spese 55€ con colazione! Però resta la solita questione: è diverso stare in un B&B dove c’è un gestore che lo fa di mestiere e che quindi sa come prendersi cura dei suoi ospiti piuttosto che stare in un Airbnb dove c’è un padrone di casa che ha bisogno di arrotondare… insomma, la professionalità che ti attende è ben diversa. In ogni caso, per una notte è andato benissimo! Delft è anche famosa per le tipiche ceramiche blu: sulla piazza principale (stupenda!) affacciano alcuni negozi dove è possibile acquistarle, ma appena entrati si resta un po’ storditi in quanto i prezzi vanno da pochi euro (la “tipica” ceramica blu made in China) a centinaia di euro (quella artigianale, ovviamente!)… ma la differenza si vede e quindi, se si cerca qualcosa di autentico è meglio prepararsi a spendere parecchio! Anche Delft è una città universitaria. Ovunque sfrecciano biciclette condotte da studenti e un po’ dappertutto ci sono locali per studenti o dove si festeggia qualcosa… sicuramente da non dimenticare se si ha ancora la possibilità di fare l’Erasmus (io l’ho fatto in Spagna, ma anche qui non mi sarebbe dispiaciuto, col senno di poi!!). Abbiamo cenato in un ristorante con i controfiocchi: lo “Spijshuis De Dis” che affaccia sulla caratteristica piazzetta dietro la cattedrale. Finalmente siamo riusciti a mangiare le celeberrime cozze e ne abbiamo fatta una scorpacciata che ha davvero tolto la voglia! Che dire: una cena tipica e deliziosa in un locale antico con un’atmosfera assolutamente perfetta per concludere una romantica serata a Delft e lasciare l’Olanda con il migliore dei ricordi (consigliatissssimo, ma è meglio prenotare perché molto conosciuto!). Sappiamo bene che in Olanda ci sarebbero ancora un’infinità di cose da fare e da vedere, ma il nostro viaggio ha tappe ben precise e, sin dalla partenza, sapevamo che molti posti li avremmo solo “annusati” e di certo non approfonditi… per cui anche qui torneremo in quanto l’Olanda, per quanto piccola, è grande abbastanza da meritare un’intera settimana di tour e non certo 4 giorni!
E così eccoci in auto verso il Belgio. Stando al copione avremmo dovuto puntare dritti su Bruges e poi prendere il treno per andare a Bruxelles. Però purtroppo me ne dimentico e faccio puntare Alberto dritto sulla capitale… il che sembra un particolare trascurabile, ma ci rendiamo conto dell’errore madornale quando ci ritroviamo imbottigliati sulla circonvallazione cittadina: che traffico nero! Il traffico non ci molla fino al centro della città, tanto che, disperati, buttiamo l’auto nel primo parcheggio a pagamento che troviamo (chissà dove cavolo siamo??) e poi prendiamo la metro. Se ci fossimo attenuti al piano, avremmo risparmiato un bel po’ stress… Tanto più che lo stesso problema si ripresenterà anche per uscire dalla città! Traffico a parte, Bruxelles ci piace. Tutti ci avevano detto che è una brutta città, dove non c’è nulla da vedere a parte la meravigliosa piazza centrale, nota, e meritatamente, come “il più bel salotto d’Europa”. Forse non nutrivamo alcuna aspettativa verso la città, e magari è proprio per questo che ci ha colpiti: era incasinata, cosmopolita, piuttosto francesizzante, nello stesso tempo moderna eppure antica… un vero mix di ogni cosa! Eclettica, senza ombra di dubbio. Certo, non possiamo dire che sia “bella” o elegante in senso assoluto, ma nell’insieme è davvero interessante e meriterebbe di essere conosciuta in modo approfondito poiché ci ha dato l’impressione di essere una di quelle metropoli che non si possono capire a prima vista… vanno gustate morso dopo morso. Noi purtroppo non avevamo il tempo per morderla più di tanto, per cui ci siamo limitati ad ammirare la fantastica piazza, abbiamo lasciato il cuore negli splendidi negozi di cioccolato (più belli di qualunque gioielleria!) e abbiamo curiosato dentro alcuni caffè antichi che ci ricordavano tanto le eleganti atmosfere triestine e torinesi di inizio secolo.
A Bruxelles ci siamo concessi il nostro primo waffel preso ad un chioschetto lungo una delle vie principali… era favoloso, anche se tutt’altro che dietetico! Verso sera siamo ripartiti alla volta di Bruges, dove avevamo prenotato il B&B Brughia, un angoletto assolutamente delizioso in una tranquilla via del centro storico. La signora che ci accoglie ci consiglia di parcheggiare l’auto alla stazione, visto che staremo qui un paio di giorni, che è sicuramente la soluzione più comoda ed economica… infatti per parcheggiare a Bruges spendiamo davvero pochissimo! Ottimo consiglio. La prima sera giriamo la cittadina in lungo ed in largo, felici di essere finalmente arrivati qui, in uno dei luoghi più romantici d’Europa. Fa un bel freddo-umido che rovina un tantino l’atmosfera, ma siamo fiduciosi: sicuramente domani splenderà un sole a palla e noi ci godremo Bruges in tutta calma e serenità! Ovviamente le cose sono andate un po’ diversamente… e ci siamo svegliati sotto la pioggia (chi lo avrebbe mai immaginato??!! Certo che abbiamo proprio scelto l’estate giusta x visitare il nord Europa… Vabeh che volevamo evitare il caldo, però non volevamo nemmeno assiderarci ad agosto!!! La giusta via di mezzo era ciò che cercavamo… uffi!). Abbiamo pertanto deciso di iniziare dai musei, almeno per stare al coperto, visto che Bruges è un vero e proprio scrigno di opere d’arte meravigliose. Abbiamo visitato il Groeningmuseum, poi ci siamo recati all’Ospedale di San Giovanni, ora convertito in pinacoteca, la cui visita però è stata davvero interessantissima, non solo per la celeberrima Madonna del Cancellire Rolin di Jan van Eyck, ma anche perché conserva tutta una serie (inquietante) di strumenti chirurgici medievali che andavano dai trapani per aprire il cranio a pompette per gli interventi agli occhi, che solo a guardarle ti si accapponava la pelle, ai manuali di anatomia medievali…
Al pomeriggio siamo andati a scoprire “come nasce” la birra all’unico birrificio locale che si trova in Walplein e si chiama Zot. La visita è stata molto interessante e alla fine abbiamo assaggiato la birra nella loro brasserie. E qui, chiacchierando con il personale, ci è stato chiaramente detto che se volevamo comprare la loro birra ad un prezzo ragionevole (ossia alla metà!!) bastava recarsi al supermercato… e così abbiam fatto, prima di partire: al supermercato, infatti, costava pochissimo e ce ne siamo presi due casse intere, così da averne sia per noi che per gli amici! A Bruges abbiamo visto negozia bellissimi e non mi sarebbe dispiaciuto affatto fermarmi a fare un po’ di shopping, se non fosse che il poco tempo a disposizione doveva, giustamente, essere dedicato alla cultura… peccato! Quanto all’aspetto gastronomico, Bruges risente ovviamente del turismo sfrenato che ha condannato il centro storico a prezzi molto elevati e ad un’offerta non particolarmente allettante… comunque noi ci siamo trovati bene in un posticino dove servivano principalmente insalate che si chiama “Salade folle” in Walplein, la zona vicina al beghinaggio. Poco distante da qui abbiamo anche scovato la sala da tè (Bruges è piena di sale da tè!!) “Detavernier” dove ci siamo riparati dal freddo e dalla pioggia assaporando un ottimo waffle artigianale con gelato e cioccolato belga fuso… a volte nella vita la felicità costa davvero poco! A consuntivo la mitica Bruges, che tanto sognavamo di vedere, pur essendoci piaciuta molto, non ci è rimasta nel cuore quanto avevamo immaginato. E’ bellissima, non si può negare, ma diciamo che se fosse stata deserta sarebbe stata più bella! Insomma, con tutti quelle comitive, quelle code ai monumenti e quel brulicare di gente per le strade centrali, non è stata certo così romantica come ce l’eravamo immaginata… anche se sicuramente la pioggia ci ha messo del suo. In ogni caso resta il fatto che Bruges è un piccolo gioiello e non può essere visitata in giornata, bisogna dormire qui almeno una notte… anche perché la cittadina dà il meglio di sé al calar del sole quando improvvisamente si spopola e, finalmente silenziosa, offre tutto il suo innegabile fascino ai pochi che sono rimasti ad ammirarla.
Partiamo da Bruges alla volta di Gand, ma non riusciamo nemmeno ad avvicinarci al centro in quanto in città c’è una specie di fiera ed il traffico è tutto bloccato. Peccato perché la signora del B&B ci ha detto che è anche più bella di Bruges…. Sarà per un’altra volta. Ci dirigiamo quindi verso la nostra prossima ed ultima tappa, ossia lo Champagne e rivarchiamo il confine francese da nord, entrando nella regione Nord-Passo-di-Calais, direzione Lille.
Ora, perché Lille? Che ci sarà mai a Lille di così indimenticabile da farci dormire una notte qui? E chi lo sa?? Noi no di certo… era solo una tappa strategica nella costruzione dell’itinerario! Quindi arriviamo nella periferia di Lille, al B&B “La maison du Sarte”, senza la minima aspettativa. Ci sistemiamo nella nostra bella stanza (unico particolare: il bagno è stato ricavato dietro al letto… e non c’è una porta a separarlo dalla stanza! Quindi sì, la privacy è rispettata e poi noi siamo ormai sposati da qualche anno per cui ne abbiamo condivise tante… ma resta il fatto che un gabinetto senza porta può indubbiamente rendere il soggiorno meno romantico del previsto!! Paese che vai…). Nel pomeriggio ci dedichiamo pertanto al centro storico di Lille e ci rendiamo subito conto che è semplicemente bellissimo!! La città ci conquista immediatamente: è elegante e sobria, forse un po’ fredda nell’insieme, ma animata da una popolazione multietnica che la riscalda… in poche parole è affascinante e rude nello stesso tempo. Ricorda un po’ Torino prima che la imbellettassero per le Olimpiadi invernali del 2006… Va sempre così, no? Sogni Bruge una vita e poi senti che non c’è verso di fartela entrare nel cuore… passi da Lille che fino a ieri nemmeno sapevi esistesse e bang! colpiti e affondati. La prima cosa che facciamo (si vede che ne siamo attratti pur inconsapevolmente) è scovare una pasticceria antichissima, tutta specchi, boiserie fine ottocento e stucchi dorati: “Meert”, una vera delizia per gli occhi e per il palato. Ci mettiamo pazientemente in coda (tanto fuori, immaginate un po’ che tempo che fa??!) chiediamo qual è la specialità de la maison e una commessa sorridente ci dice “mais, la gofre!”. Non sappiamo bene di che si tratti, ma fa lo stesso, se è la specialità mica possiamo perdercela! Ci vediamo rifilare, per una cifra esorbitante, una cialda ripiena di crema alla vaniglia che, lì per lì, ci lascia alquanto perplessi… ma poi l’assaggiamo ed è davvero strepitosa. Menomale che questa pasticceria ha aperto un negozio anche a Parigi, così prima o poi potremo ripassare a provare i loro dolci, visto che Lille è un tantinello fuori mano! Purtroppo dedicare un solo pomeriggio a Lille è davvero un nonnulla, ma chi se lo immaginava che ci sarebbe piaciuta tanto? Non ci sono grandi opera d’arte, ma è l’atmosfera della città che merita di essere respirata e goduta con la dovuta calma. Lille non è turistica. Un po’ come Torino, pare che si sia risvegliata da poco da un torpore che la teneva alla larga dai circuiti turistici e che solo ora stia scoprendo che può anche aprirsi al mondo… noi la capiamo: quando sei così a nord, in un angolo, in un Paese che vanta città che fanno sognare i turisti di tutto il globo, rischi di restare per sempre una Cenerentola in attesa di andare ad un ballo che non arriva mai. Per Torino il ballo sono state le Olimpiadi e per Lille il fatto di essere stata Città della cultura nel 2004… ma per queste città “d’angolo” aprirsi al turismo è sempre dura… forse è proprio in questo che sta il loro fascino: non vengono snaturate! Per cena ci rechiamo in una strada piena di ristorantini “tipici” (mah… magari ormai non più così tipici, ma sicuramente scenografici!), Rue de Gand, e per colpo di fortuna troviamo un tavolo libero al ristorante “Chez la vieille”, un locale talmente pieno di gente, di tavoli, di candele, di cose, di arredi, di luppolo appeso al soffitto, di soprammobili, da diventare splendido! La cucina è quella tipica del nord, bella pesante, fritta, condita di salse e salsette, ma sicuramente piacevole per il palato! E i costi? Bassissimi… i più bassi trovati finora! I tavoli sono talmente vicini, per non dire appiccicati, che finiamo col fare amicizia con una coppia di signori bretoni che è seduta accanto a noi e che ci traduce il menù… a fine serata ci scambiamo gli indirizzi email e la promessa di vederci in Bretagna o a Torino (per ora ci scriviamo e chissà che la manterremo! Lille può fare anche questo…). Non sappiamo come ci riescano, ma nonostante il caos, le cameriere sono tutte gentili e sorridenti e non esitano a consigliarci cosa mangiare e a spiegarci i piatti. Scopriamo che, a quanto pare, la gente di Nord-Passo-di Calais è famosa per la sua giovialità e gentilezza, anche se non te l’aspetteresti in una regione tanto fredda! Scopriamo anche, chiacchierando con vari francesi durante il nostro viaggio, che i marsigliesi e in generale quelli della Costa Azzurra sono additati come falsi e presuntuosi… non piacciono proprio a nessuno! Boh… noi ci asteniamo perché non siamo mai stati né a Marsiglia, né in Costa Azzurra quel tanto che basta da notare questi dettagli.
E ora ultima tappa: lo Champagne! Inutile dire che Alberto non sta più nella pelle dalla gioia: per lui tutto il resto del viaggio si sarebbe potuto anche saltare perché la vera punta di diamante della vacanza per lui è qui, in questo spicchio di Francia che sta tra Reims ed Epernay. Chi non è mai stato in Champagne, sappia che non è affatto come se lo potrebbe immaginare. Voglio dire che quando pensi allo Champagne ti immagini la grandeur, colline meravigliose, relais da urlo, ristoranti sofisticati, spa lussuose, eccetera eccetera… E invece no, è tutto l’opposto. Certo, le colline ci sono e ci sono anche i vigneti, km e km di vigneti perfettamente addomesticati e votati alla produzione fino all’ultima minuscola zolla di terra… ma finito qui. I paesini che attraversiamo non sono affatto caratteristici, se non per il fatto che c’è una cantina attaccata all’altra e che tutte vendono champagne al pubblico, basta fermarsi, entrare, assaggiare e acquistare. Qui non si accapigliano di certo per vincere il concorso dei “villaggi fioriti”, anzi… i paesi sono tutti piuttosto anonimi e desolanti. Non troviamo in giro quasi nessun ristorante, a parte ad Epernay e a Reims, ma anche qui non aspettatevi niente di eccezionale. Diciamo che, in generale, non sembra il Chianti e nemmeno le Langhe, ma sembra più che altro un’immensa industria agricola a cielo aperto. Alloggiamo in un minuscolo e delizioso chambre d’hote a Mailly Champagne, il “B&B No8”, gestito da Andy, un signore inglese che si è trasferito qui anni or sono. Andy si rivela subito un ottimo padrone di casa e ci dà consigli decisamente ottimi per organizzare la nostra visita delle cantine e dei dintorni. Partiamo da Epernay dove visitiamo la cantina simbolo della cittadina: De Castellane. 10€ a testa per visita guidata de la cave + degustazione finale di un calice di champagne base, senza bisogno di prenotare. La visita è davvero ben fatta e le guide spiegano molto bene come viene prodotto lo champagne… il calice finale non è un gran che e un po’ ci dispiace: non sapevamo ancora che avremmo degustato talmente tanto champagne (anche alle 10 del mattino!) da farcelo quasi venire a noia! Tutte le degustazioni nelle grandi maisons sono a pagamento (e sono anche belle care…), ma qui si viene anche per visitare queste cantine incredibili: chilometri interi di tunnel scavati sotto terra, dei veri e propri caveau naturali per conservare l’oro “petillante” francese… e che umide e fredde che sono! Abbiamo visitato anche Pomery e dopo un’ora sotto terra non ne potevo più… Alberto invece era felice come un bambino e, secondo me, avesse potuto ci avrebbe anche dormito! Ovviamente non potevamo non andare a visitare la piccola abbazia dove il leggendario Dom Perignon inventò lo champagne, quindi eccoci a Hautvillers, un pesino più grazioso degli altri (quando si dice “vincere facile”…). Ad Epernay abbiamo cenato per due sere di seguito al ristorante “La cave a Champagne” (nome peraltro originalissimo!) dove abbiamo cenato abbastanza bene e speso il giusto, ma sicuramente non ci è rimasto alcun particolare ricordo culinario legato a questa terra. Siamo anche stati a vedere lo spettacolo di Suoni e Luci lungo l’Avenue de Champagne… pensavamo che non fosse niente di che e invece ci siamo ricreduti perché è stato addirittura più bello di quello che abbiamo visto a Strasburgo! Come abbiamo detto all’inizio del nostro diario di viaggio, siamo tornati a casa con il baule carico di casse di vino e birra… e le valigie sul sedile posteriore poiché nel bagagliaio non stava più nulla!! Ma non si può certo tirarsi indietro davanti a bottiglie di ottimo champagne a 15€… almeno adesso per un paio d’anni siamo a posto, poi si vedrà!
Il ritorno a Torino è finalmente allietato dal sole che splende caldissimo sulle Alpi francesi… non ci par vero che siamo dovuti arrivare al Monte Bianco per trovare finalmente il cielo sereno! Ma a questo punto è sorta la preoccupazione che il cioccolato belga che avevamo acquistato per amici e parenti finisse miseramente sciolto, per cui abbiam fatto un’ultima fugace sosta a Chamonix e poi siamo tornati a casa dopo un viaggio di diverse ore.
In conclusione quest’anno non è stata un’estate dalle emozioni forti, ma è stato un viaggio fatto di paesaggi molto diversi tra loro e di scorci che meritavano di essere ammirati. Non dimenticheremo l’opulenza di fiori e fioriere dei villaggi alsaziani, l’umidissima e silenziosa discesa alla Linea Maginot, i vigneti a strapiombo lungo gli argini della placida Mosella e la splendida gita in bicicletta lungo il corso fiume, né le campagne olandesi piatte ed infinite, punteggiate da pecore e mucche a perdita d’occhio, la splendida ed elegantissima piazza centrale di Bruxelles, il favoloso cioccolato che ci tentava ad ogni passo, l’atmosfera di Lille, o le ore passate a sentire sciogliere sulla lingua le “cremose” bollicine del vino più famoso del mondo. Insomma, è stata un’estate fatta di sensazioni e continue sollecitazioni dei sensi… un viaggio rilassante che ci ha fatto scoprire e mettere a confronto luoghi molto diversi tra loro, ognuno dei quali ci ha regalato emozioni delicate che conserveremo a lungo nei nostri pensieri.