Cambogia: una grande avventura
Dopo 5 anni di fidanzamento ed una breve parentesi di convivenza abbiamo finalmente coronato la nostra unione con un bellissimo matrimonio davanti all’ufficiale di stato civile del nostro comune di residenza. Una cerimonia indimenticabile! Anzi, un’intera giornata memorabile dove la nostra felicità ha raggiunto il suo apice, regalandoci un’emozione grandissima. Due giorni dopo eccoci pronti con zaino, biglietti aerei e cartine per il nostro viaggio di nozze. Destinazione? Cambogia. Un po’ insolita, mi rendo conto, per un viaggio di nozze, ma è da qualche anno che viaggiamo su e giù per l’Estremo Oriente ed una tappa in questo paese non poteva di certo mancare! A Zurigo saliamo su un boeing della Thai che ci la lascerà a Bangkok, città che adoriamo e dove ci fermeremo qualche giorno, per poi proseguire arrivando alla meta più importante del nostro lungo viaggio. – Martedì 6 agosto. Previa sveglia alle 4,30 del mattino, ci presentiamo puntualmente all’aeroporto di Bangkok muniti di biglietto aereo della Royal Phnom Penh Airways ma … Come in ogni viaggio fai da te che si rispetti l’imprevisto è sempre lì, dietro l’angolo, pronto a sconvolgerti i piani. Guardiamo il monitor per vedere qual’era il banco del check-in ma il nostro bel volo delle 7,00 a.M. Per Phnom Penh era … CANCELLATO?!?! Panico totale. Andiamo al check-in della Bangkok Airways, che poco centrava, ma nella confusione del momento che si poteva fare? Lì mi dicono che, stranamente, l’ufficio della Royal P.P.A. Era già aperto a quell’ora, e quindi di rivolgerci lì. Lascio mio marito sommerso dagli zaini e mi catapulto nell’ufficio dove una gentile signorina, visibilmente imbarazzata, si affretta ad informarmi che per noi sono già pronti due nuovi biglietti e che avrebbero al più presto provveduto ad imbarcarci su un altro volo in partenza per Phnom Penh. Che sollievo … Ritiro i biglietti, recupero il marito e gli zaini, mi ripresento al check-in ed ecco che di lì a breve veniamo imbarcati su un volo della Siem Reap Airways, che opera in collaborazione con Bangkok Airways, compagnia nuova direi, visto l’ottimo stato dell’aereo. Ci mancava solo il cellophane ad avvolgerlo ed un bel fiocco attorno che poteva essere un bel regalo di nozze. Va be, questa volta è andata bene. Ma a questo punto c’era il problema del volo di ritorno (sempre con Royal Phnom Penh etc., compagnia affidabilissima a quanto pare …) che già si insinuava malefico nella mia mente … Ci mancava solo di guastarsi la vacanza ancor prima di iniziarla. “Quando dovremo rientrare in Thai ci penseremo” mi sono detta.
Arriviamo finalmente all’aeroporto di Phnom Penh. Aeroporto? Quale scusa? In effetti il vero aeroporto è in costruzione, quindi allo stato c’è ben poco. Esperite le formalità di visto (20 USD a cranio) usciamo e troviamo il consueto “pick up service” prenotato via internet unitamente all’albergo scelto per il soggiorno a Phnom Penh. Siamo in ritardo ma ci hanno aspettato. Meno male! E’ il Dara Reang Sey Hotel, gestito da una simpatica famiglia cambogiana. La stanza è O.K., pulita, con acqua calda, aria condizionata e balcone. Al prezzo speciale per “honeymooners” di 15 dollari. Per di più di sotto hanno pure un ristorantino dove si mangia proprio bene. Giusto il tempo di abbandonare le zavorre in stanza e via, subito alla scoperta della capitale. Le prime impressioni sono un po’ contrastanti. Di città asiatiche ne abbiamo viste tante, ma questa devo dire è quella conciata proprio peggio. La sporcizia regna ovunque. Le strade asfaltate sono ben poche, le piogge in questo periodo dell’anno abbondano, quindi ogni due per tre si formano dei pantani tremendi e le buche si riempiono d’acqua. Poco male, arrotolo i pantaloni e le scarpe vorrà dire che le laverò. Le strade principali sono trafficate in prevalenza da motorini, biciclette e cyclo. Metti un piede in strada e subito sbucano da ogni angolo ragazzi che ti si affiancano chiedendoti se vuoi uno strappo in motorino. Una scelta da non credere, noi eravamo in due e loro almeno una decina … Alla fine optiamo per una sana camminata all’aria aperta ma … Sconsiglio vivamente di respirare a pieni polmoni perché ci si accorge subito che la rete fognaria di Phnom Penh lascia molto a desiderare, e le fragranze che ti circondano sono tutt’altro che gradevoli. Amen, vorrà dire che nei punti più critici dove tira aria a favore si accelera il passo e si sta momentaneamente in apnea. Giriamo per le strade e vengo subito rapita dai gruppi di bambinetti, completamente nudi, che giocano e si rincorrono sul ciglio della via. Ho un debole per i bambini, soprattutto per quelli meno fortunati, ed in ogni mio viaggio mi riempio le tasche di caramelle, lecca lecca, matitine e matitone da distribuire a tutti i bimbi che incontro. In Cambogia sarei dovuta arrivare con un container pieno … Continuiamo la nostra perlustrazione, guardiamo che merce vendono i negozi, osserviamo i ristoranti locali, cerchiamo di inquadrare subito lo stile di vita dei cambogiani, per integrarci con loro. In fin dei conti siamo loro ospiti, è giusto conoscere a fondo le loro abitudini. Sono sempre dell’idea che ogni luogo rispecchia in tutto e per tutto la gente che lo abita. La vera essenza di un paese la cogli nei gesti del suo popolo, dai volti della gente, dalla vita lungo le strade. Conosci la gente e automaticamente capisci il paese. Mi piace mischiarmi in mezzo a loro, vagabondare per i loro mercati, destare la loro curiosità.
A proposito di mercati. Sempre girando per Phnom Penh ci siamo imbattuti in un mercato locale di quelli dove non compreresti mai niente, neanche se fossero loro a pagarti, che vendeva prettamente cose commestibili (più o meno). La strada era un maltone pazzesco e tra la malta spuntavano ceste di frutta e verdura, ceste di serpenti, ragni dalle varie fogge, carne e dolci, un arcobaleno di bancarelle dove neanche il più temerario avrebbe comprato qualcosa da mettere sotto i denti. Però era bello stare lì con loro, tutti indaffarati a mercanteggiare, a tagliare carni e pesci, e respirare quegli odori così intensi e così diversi dai nostri. Sempre a piedi ci spingiamo al Wat Phnom, che è anche il punto più elevato della città. La leggenda legata a questo tempio ve la lascio scoprire sulla Lonely Planet, da sempre inseparabile compagna di viaggio. Inquietanti scimmiette si aggiravano furtive nei cortili del tempio… Mah … Rivolgo un saluto alla sorridente statua della cicciosa signora Penh e ritorniamo verso il centro città.
All’ora di pranzo ci fermiamo a mangiare un panino veloce in un bar per turisti sul lungo fiume, il “Rendez-Vous”, che ha chiaramente prezzi per turisti. Mi sembra una follia pagare per un panino tanto quanto pago a Milano. Sono molte le situazioni paradossali vissute nel paese. La Cambogia è molto povera, e non c’è bisogno che lo dica io, la miseria è presente ovunque, e il governo (a detta dei cambogiani) molto corrotto approfitta del turismo, sempre più in crescita, per spillare soldi a noi turisti ed intascarli, riservandone ben pochi al paese che, invece, ne avrebbe un gran bisogno. Roba da matti. Abbiamo anche tentato di cambiare dei dollari in Riel, la moneta locale, per vedere di risparmiare qualcosa, ma è stato un gran buco nell’acqua. Ad agosto il cambio era 1 USD = 3.910 Riel. Mi chiedono 1 dollaro per la tal cosa. Io dico che voglio pagare in Riel. E allora ti chiedono 4.000 Riel, prendi su e porta a casa. Sai che guadagno. Allora si va avanti coi dollari, che sono accettati ovunque. Pagato il salato conto ed andato, di conseguenza, di traverso il panino ci avviamo verso il Palazzo Reale. Ragazzi che bello!! Il Royal Palace di Bangkok è stupendo, ma anche questo proprio non scherza. Come sempre all’interno delle sale sono proibite le foto, con tanto di addetti al controllo che se per caso ti azzardi a toccarla quella macchina fotografica ti fanno saltare le mani. Peccato, però, perché è proprio tutto bello qui, e poi la Pagoda d’Argento è un vero gioiello. Ci sono addirittura dei budda con incastonati dei diamanti grossi come noci. Mi piace proprio questo posto. Usciamo e ci rituffiamo nel lungo fiume dove veniamo avvicinati da un ragazzo, chiaramente munito di mezzo motorizzato, che ci propone, per l’indomani, un giro in motorino di Phnom Penh e dintorni. Questo parlava e parlava, alla fine concordiamo prezzo e itinerario e gli diamo appuntamento per la mattina successiva al Dara Reang Sey. Ci avviciniamo al fiume, ci sediamo e ci gustiamo il tramonto sul Tonle Sap, mentre donne, bambini e ragazzi si stanno facendo il bagno sotto di noi, in quell’acqua torbida e marrone, che forse, anzi, sicuramente, è l’unica fonte d’acqua a loro accessibile. Le donne molto pudicamente si lavano coperte da un telo che le avvolge, i ragazzi ne approfittano per farsi una nuotata, i più fortunati hanno anche un cambio d’abiti puliti pronto sulla riva del fiume. Anche questa è Cambogia. Compro una coca cola. La stappo. Immergo la cannuccia. E trac … Si fionda davanti a me una bambinetta tutta sporca, con vestiti tre volte più grandi e a piedi scalzi. Non mi dice nulla, ma fissa con occhi imploranti la mia lattina. Gliela porgo ben volentieri. Venti minuti dopo era ancora lì che mi trotterellava attorno con in mano la lattina. Che tenera! Nel frattempo erano già arrivati altri bambini e alla fine a furia di dare caramelle a dx e sx le ho dovute dare pure ad un signore messo anche peggio dei bambini che non vedeva l’ora gli prestassi un po’ d’attenzione. Su quel lungo fiume ci sarei rimasta per giornate intere, perchè lì puoi vedere le varie sfaccettature del paese: vedi i bambini poverissimi, che neppure vanno a scuola, mentre badano ai fratellini più piccoli e chiedono un po’ di carità, vedi le donne che tirano avanti vendendo della frutta, qualche dolcetto o le bibite ai turisti, vedi i mutilati dalle mine, troppi a dire il vero, che si trascinano chiedendo l’elemosina, i monaci col loro passo spedito e la tunica arancio che si riparano con l’ombrello dal sole, vedi il ragazzino lustrascarpe, il venditore di palloncini, il fotografo a disposizione per la foto ricordo (ma non per noi, intendiamoci, per i cambogiani che di certo non si possono permettere la macchina fotografica), insomma assisti allo spettacolo della vita, così diversa in ogni paese, e sempre così piena di attrattiva.
Si rientra al Dara. Sono arrivati i biglietti della barca per Siem Reap che abbiamo prenotato con l’albergo: viaggio di sola andata per due = 50 dollari ?!? Tantissimo! Stasera si mangia cambogiano. Penso di aver fatto indigestione di riso fritto che mi sono ordinata in tutte le salse possibili. Col riso fritto di solito si va sul sicuro. I piatti khmer costano al massimo 2 dollari, e sono assolutamente da provare! Sera. Due passi ancora, si comprano due dolci lungo la strada (che buoni!!) si arriva al famoso “FCC – Foreign Correspondents’ Club” locale storico di Phnom Penh dal quale gli inviati di guerra scrivevano i loro articoli per le testate giornalistiche e reso ancora più famoso dal film “Urla del silenzio” che, per quanto straziante sia, invito a vedere, quanto meno a chi fosse interessato ad un viaggio in Cambogia, poi si va a dormire. Domani ci attende una lunga giornata.
– Mercoledì 7 agosto 2002.
Una delle giornate più tristi del nostro viaggio. La prima tappa è stata la scuola di belle arti e fin qui tutto bene. Ci tenevo troppo a visitarla perché è grazie a questa scuola se in Cambogia si stanno riscoprendo la meravigliose arti della civiltà khmer. Qui le ragazze imparano la danza “Apsara” ed i giovani a suonare gli strumenti musicali, rigorosamente fatti a mano, che accompagnano queste danze. Ci sono testimonianze di queste danze nelle rovine archeologiche di Angkor, quindi fanno parte del preziosissimo patrimonio culturale del paese. Pol Pot durante il suo regime aveva ordinato la distruzione di tutte le scuole e l’uccisione di tutti gli insegnanti. Voleva sradicare completamente ogni legame con il passato. Pura follia. E stato grazie ad un’unica superstite, un’insegnante di danza appunto, se si è potuta creare questa scuola e ricominciare così ad insegnare ai giovani la magia della danza e l’armonia delle musiche legate all’antichissima cultura khmer. D’obbligo una donazione per il sostentamento della scuola. Si trova in uno stabile alquanto fatiscente, vi verrà spontaneo lasciare qualcosa dopo aver visto l’ottimo lavoro che stanno facendo insegnanti e ragazzi. Se lo chiedete vi faranno assistere alle prove del balletto. Consiglio vivamente! Ora passo ai tasti dolenti.
Se vai in Cambogia non puoi di certo esimerti dal visitare quello che rimane quale testimonianza dell’assurdo regime di Pol Pot e dei Khmer rossi. Come puoi capire il paese e le tragedie che ha vissuto, in epoca peraltro molto recente, se non vai al Museo Tuol Sleng? Ci porta l’amico col motorino. Avevo i brividi ancor prima di entrare, già immaginando cosa avrei visto all’interno. L’attuale Museo Tuol Sleng in origine era la temutissima “S-21”, il carcere di massima sicurezza dove venivano rinchiusi i prigionieri in attesa dell’esecuzione ai campi di sterminio. Per prigionieri intendo uomini, donne, bambini, neonati … Le 14 tombe che si trovano nel cortile appena superato l’ingresso appartengono agli ultimi 14 prigionieri che sono stati torturati a morte mentre l’esercito vietnamita stava liberando la città. Fino alla fine nessuno è stato risparmiato dalla furia omicida dei khmer rossi. Durante la loro sosta nella S-21 i prigionieri venivano torturati e in alcuni casi lasciati morire incatenati a brande o ai muri, privi di ogni mezzo di sostentamento, completamene abbandonati alla fame e alla sete, in una lenta ed agghiacciante agonia che è tutta lì, documentata con foto scattate proprio dai torturatori, e quelle foto sono tante, tantissime, e mentre le guardi ti scendono i lacrimoni perchè ti rendi conto che la follia umana non ha limiti e proprio lì dove ora tu fai il turista diligente, pronto a scattare fotografie ricordo e a filmare ogni angolo, non migliaia, ma milioni di cambogiani hanno trovato la morte per mano di un branco di pazzi che credevano possibile ripartire da zero spazzando via tutto e tutti. Sentivo i miei passi echeggiare in quelle stanze vuote, mio marito era ormai avanti, io non riuscivo più a venire via, ero come paralizzata davanti a quelle pareti ricoperte di fotografie e le guardavo e riguardavo, i volti delle donne, la disperazione nei loro occhi, la paura, il terrore … Mi sono augurata che nella morte abbiano trovato quella pace che con violenza e disprezzo era stata loro tolta. Le stanze con gli strumenti di tortura sono un altro capitolo sconvolgente della storia del paese. Siamo usciti con un gran peso nel cuore. E quel triste giro non era ancora finito. A 20 km circa da Phnom Penh ci sono i campi di sterminio di Choeung Ek. I prigionieri della S-21 venivano, alla fine, condotti qui. La maggior parte di loro non immaginava che quella sarebbe stata l’ultima destinazione. Molti erano convinti di raggiungere un nuovo campo di lavoro … Non di morte. Il tragitto per raggiungere i campi fatto in motorino è abbastanza devastante, ma non so in quale altro modo si possa percorrere quella strada dissestata. All’ingresso dei campi si erge uno stupa altissimo in memoria delle vittime contenente i teschi di 8.000 cambogiani, compresi bambini, periti nei campi di sterminio e ritrovati nelle fosse comuni nel 1980 … Non servono commenti. Le fosse comuni erano lì, sotto i miei occhi. In alcuni punti sono stati lasciati lembi di vestiti ed ossa, nonchè la descrizione, per ciascuna fossa, di quante persone vi sono state ritrovate e se erano donne o bambini. Si calcola che 17.000 persone torturate nella S-21 furono poi deportate qui ed uccise brutalmente. Tutto attorno campi, verde assoluto, silenzio totale. Sento le urla di alcuni bambini che giocano lì vicino. Mi viene la pelle d’oca. Penso ad altre urla che a migliaia si sono levate qui in tempi passati … Queste cose non devono più accadere. Crimini così efferati ai danni di povere persone indifese vanno fermati. Pura utopia, lo so. Ogni giorno, nel mondo, accade qualcosa che non dovrebbe accadere. E il meccanismo nessuno riesce a fermarlo. Distolgo i miei pensieri e mi avvicino ai bambini che giocano lì vicino. Una nuova generazione sta crescendo in Cambogia. Auguro a loro ogni bene possibile.
Torniamo a Phnom Penh. La schiena a pezzi. In tre sul motorino con quella strada. Ci fermiamo al Mercato Russo per l’acquisto di un souvenir ed era già pomeriggio. Direi che per oggi basta così. Diamo 10 dollari (siamo stati generosi, anche 8 andavano bene) al ragazzo e se volete un consiglio chiarite sempre in anticipo la cifra pattuita perché se no non ve la cavate più.
– Giovedì 8 agosto 2002 Il giorno tanto atteso è arrivato! Si sta per realizzare un grande sogno e non sto più nella pelle.
Lasciamo il nostro mega zaino al Dara tanto da qui ripasseremo e partiamo notevolmente alleggeriti. Tramite l’albergo abbiamo acquistato il biglietto per la barca che ci porterà a Siem Reap (nonché quello di ritorno). 5 ore di barca, strapiena all’inverosimile. Naturalmente i cambogiani (che pagano il biglietto molto ma molto meno di noi) erano tutti seduti, noi turisti tutti in piedi. Molti alla fine si sono sistemati all’esterno, alcuni sul tetto della barca, ma va talmente veloce che pensavo volassero via! E noi abbiamo occupato i posti di qualcuno che ha preferito stare all’aria aperta. Non so se sia stato meglio stare dentro oppure fuori. All’interno l’aria condizionata era a manetta e faceva un freddo cane, fuori c’era un vento che ti portava via … Siamo rimasti comunque dentro. A mezzogiorno siamo a destinazione. La discesa dalla barca è stata sottotitolata “lo sbarco dei profughi” ma non in tono dispregiativo, intendiamoci. Un casino pazzesco, la barca continuava a vomitare gente (ma quanti eravamo su quella barca???) la riva del fiume era gremita di gente urlante con cartelli di alberghi e nomi di turisti e tutti chiamavano tutti, i bambini che si intrufolavano dappertutto, i bagagli che volavano in aria, sciami di motorini arrivavano a ritirare i turisti, mi veniva fin da ridere anche se da ridere c’era ben poco. Che confusione pazzesca! Tramite l’albergo di Phnom Penh avevamo già prenotato due notti a Siem Reap sempre a prezzo speciale all’hotel Freedom, in posizione strategica per arrivare … Siiiiii!! Proprio al sito archeologico di Angkor, una delle tante meraviglie del mondo. Si arriva in albergo ma non si può perdere tempo. Il taxi che ci è venuto a prendere alla barca ci propone, ad un prezzo super, di accompagnarci per la restante parte della giornata alle rovine, e di buon grado accettiamo! Per fortuna, tra l’altro, perchè ancora prima di arrivare ad Angkor Wat inizia a scendere un diluvio che te lo raccomando. Ma fa lo stesso. Nulla può offuscare la bellezza e la magnificenza di questo famosissimo sito archeologico osannato in tutto il mondo. Infilo un mega impermeabile, il taxista mi da pure l’ombrello, accendo la video camera, ma come faccio? Ho troppa roba in mano. No dai che riesco, raggiungo il giusto equilibrio e via. Sono senza parole, estasiata, non riesco neppure a descrivere la gioia provata in quel momento. Ho visto una miriade di foto di questo sito, letto articoli, reportage, ed ora sono qui, proprio ad Angkor, e sto per entrare in uno dei luoghi più affascinanti e misteriosi della terra. Non riesco neppure ad immaginare quale può essere stato il primo pensiero di quell’esploratore francese che, nella seconda metà del 1800 si è trovato di fronte “la città della giungla” e rientrato in patria la decantò a tutto il mondo. Ed il miracolo di questa città incantata si compie ogni giorno, quando arrivano i turisti e tutti rimangono sorpresi e a bocca aperta di fronte a tanta maestosità. Sto percorrendo l’ingresso principale che mi condurrà all’interno di Angkor Wat, il più vasto dei monumenti di Angkor e sicuramente tra i più spettacolari. Sono incredula di fronte a tanta bellezza. E non finisco di ripetermi che è proprio valsa la pena arrivare sin qui! Il sito è molto ben conservato, mi aggiro tra le rovine, intanto ha smesso di piovere e sono troppo felice. Sto vivendo il mio sogno! Abbiamo trascorso circa tre giorni tra queste rovine, per godercele fino in fondo. Il pass che ti permette l’ingresso per 3 giorni costa 40 dollari a testa, ma vi assicuro che questi sono i soldi meglio spesi.
Angkor Wat, Angkor Thom, il Bayon (quello con tutti i faccioni scolpiti per intenderci), Phnom Bakheng, Preah Khan, Ta Keo, Baphuon, la Terrazza degli Elefanti, e ancora il Ta Prohm .. E qui mi fermo perché del Ta Prohm ho un ricordo molto particolare. Per chi avesse visto delle foto del sito archeologico, questo è il tempio lasciato completamente in balia della giungla ed è un’esperienza penso unica al mondo poterlo visitare. Perché alberi secolari hanno, con le loro gigantesche radici, in parte ricoperto i templi creando un suggestivo abbraccio tra natura e rovine. E’ pazzesca la forza della natura, ed è quasi surreale l’atmosfera che si è creata in questo sito. La luce che filtra dagli alberi crea poi un gioco di colori, luci ed ombre che rende il tutto ancora più suggestivo. Mi sono sentita per un momento l’Indiana Jones della situazione, mi sembrava di essere sul set di un film, protagonista assoluta di una fiaba d’altri tempi, ho scattato foto a raffica, filmato anche gli angoli più nascosti perché poi, a casa, ogni volta che riguarderò queste immagini, voglio essere in grado di riprovare quell’emozione così grande vissuta tra le braccia del Ta Prohm! Potrei continuare ancora con vari nomi di altri templi ma non è necessario. Se vi affidate a qualcuno del posto, munito di macchina o motorino, vi porterà di certo a visitare tutti i templi. Chiaro che col motorino vi costa di meno… E’ molto bello anche il Banteay Srei, che si trova al di fuori del circuito dei siti citati, noi siamo arrivati anche lì in motorino senza problemi, tempo permettendo chiaramente. Eccoci giunti a sabato 10 agosto, il giorno in cui ci scadeva il pass per l’ingresso ad Angkor. Tutto O.K. 2 giorni già sono già sufficienti per girare comodamente e senza fretta tutto il sito archeologico, quindi eravamo più che soddisfatti della nostra visita che ci aveva permesso di vedere tutte le più belle attrazioni di Angkor. Ora porto con me un grande ricordo di questa meravigliosa esperienza e la consapevolezza di essere stata tra i fortunati visitatori di una delle più grandi meraviglie del mondo! Ritorniamo al mondo reale e a Siem Reap. Terminata la visita di Angkor si è fatto un salto al War Museum, niente di che sinceramente. Se a qualcuno interessa capire bene il flagello costituito dalle mine qui ci sono vari esemplari di mine, strumenti di guerra e varie testimonianze fotografiche di persone saltate per aria sulle mine. Si può fare un’offerta per sostenere le vittime e le loro famiglie. Un particolare che salta all’occhio subito è la condizione degli ospedali all’interno dei quali sono state scattate alcune delle foto esposte. C’è da augurarsi di non averne mai bisogno … Usciamo di lì con la consapevolezza che se non verranno sminate al più presto le zone del paese dove ancora esistono mine (e non sono poche) molte altre foto si aggiungeranno nel War Museum.
Per tirarci un po’ su col morale ci facciamo portare a “Les Chantiers Ecoles”, un’altra ottima scuola dove giovani provenienti da famiglie molto povere possono imparare la lavorazione del legno e della pietra. Entriamo nel laboratorio e all’istante rimango folgorata dalla bellezza dei lavori che stanno ultimando i ragazzi. Mi avvicino ad ognuno di loro e tutti sorridono orgogliosi di fronte alla videocamera mostrando i loro capolavori. Anche qui, come alla scuola di belle arti di Phnom Penh, stanno cercando di riportare in auge la cultura khmer, praticamente annullata e cancellata in tutto il paese dai khmer rossi. Solo per questo la scuola meriterebbe una visita. Di fronte al laboratorio c’è anche un bellissimo negozio che vende i manufatti, ma i prezzi sono un po’ esosi. Però se proprio avete dei dollari da spendere qui si trovano dei pezzi di rara bellezza, introvabili nel resto del paese (a parte le solite imitazione che niente hanno a che vedere), quindi forse varrebbe la pena di acquistare qui, tanto più che vedi con i tuoi occhi il lavoro di precisione e abilità che sta dietro, quindi vedete voi. L’ultima parte della giornata l’abbiamo trascorsa al villaggio galleggiante vietnamita (lo si vede quando si arriva con la barca da Phnom Penh), dove abbiamo noleggiato una barca e siamo arrivati sino al grande lago Tonle Sap.
Un altro giorno volge al termine. Stasera si cena al nostro locale preferito che straconsiglio assolutamente: Haway Restaurant, che è anche una guesthouse. Come riferimento potete prendere la Mom’s guesthouse e il famoso ristorante Bayon, che si trovano nello stesso vicolo, a pochi metri di distanza dall’Haway. Si andava qui per colazione e cena, si mangia benissimo, anche pizza e pasta volendo, ed il servizio è impeccabile. Il locale infatti è sempre pieno di turisti.
– Domenica 11.8.2002.
Che si fa oggi? Decidiamo di cercare un volo per raggiungere Battambang, città da poco aperta al turismo ed ora completamente sicura. Ci sarebbe anche la barca, ma stavolta ci concediamo un piccolo lusso. Allora, evitando accuratamente la temutissima Royal Phnom Penh Airways, prendiamo un cyclo ed andiamo all’ufficio della Bangkok Airways. Niente. Non hanno il volo per Battambang. Allora entriamo in un’agenzia viaggi e ci propongono un volo della President Airlines (??) per l’indomani a 30 dollari a testa. Aggiudicato. (Ma da dove sbuca la President Airlines?? Staremo a vedere …). Cerchiamo allora di risolvere l’altro problema: sono finiti i soldi. Bisogna trovare una banca. Benissimo, peccato che fosse giustamente domenica… Chiediamo in giro e ci indicano lo sportello di una banca aperto anche la domenica nei pressi del Vecchio Mercato. Ci fiondiamo lì, dimenticando ovviamente il passaporto in albergo. E allora per ovviare al problema di andare e tornare ci siamo noleggiati un motorino ma … Anche lì ci voleva il passaporto. Ragazzi che storia. Alla fine il motorino ce l’hanno dato a patto che io rimanessi presso il noleggiatore come pegno in attesa che mio marito tornasse col passaporto. Va bene, che problema c’è, farò compagnia al tipo del noleggio.
Col passaporto tutto si è risolto, il motorino ce lo lascia fino alle 6 della sera, alla banca abbiamo ottenuto, con passaporto e carta di credito, un anticipo di contante così si poteva tornare all’agenzia per l’acquisto dei biglietti aerei. Ma era già l’ora di pranzo, gli uffici erano chiusi e noi non avevamo per niente fame, perché all’Haway Restaurant ci eravamo abbuffati per colazione. Inforchiamo il motorino, usciamo da Siem Reap, ad andiamo a girare per le campagne, alla ricerca di quello che ero certa avrei trovato. Non prima di aver messo nello zaino una borsa piena di caramelle.
Passiamo attraverso piccoli villaggi di capanne, salutiamo la gente che lavora nei campi, schiviamo i carri trainati dai buoi, scateniamo l’ira di alcuni cani che abbaiano come matti ed ecco che si affacciano i primi occhi curiosi … Spuntano come funghi da ogni angolo, ti guardano sorpresi e appena vedono che hai qualcosa per loro urlano saltano ridono si inchinano ti ringraziano poi arriva la famiglia e avanti … I bambini cambogiani mi hanno fatto troppa tenerezza, li avrei fotografati, abbracciati, presi in braccio uno per uno, ma sono sempre così tanti che poi non capisci più niente e stai solo attenta a dare a tutti la stessa quantità di dolci e a non dimenticare nessuno di loro. L’unica volta (per fortuna l’unica!!!) che non avevo caramelle a sufficienza un bambinetto ha iniziato a piangere come un disperato ed io ci sono stata malissimo. Stavo per mettermi a piangere anch’ìo. Poveri tatoni, come puoi rimanere indifferente di fronte a questi sfortunati bambini. Li vedi giocare lungo le strade con giocattoli “fai da te”, costruiti alla vai che vai bene, non hanno neppure i palloni per giocare a calcio. Li fanno appallottolando la carta, e il risultato è tutt’altro che rotondo. Ma io ero munita anche di palloncini gonfiabili, quindi ho dato il mio piccolo contributo. Anzi, mi sono proprio divertita, perché quando si trattava di gonfiarli non tutti riuscivano (io per prima) e ci pelavamo tutti dal ridere. Questa è la Cambogia che cercavo, il contatto con la gente autentica e semplice, con la gente che ti sorride e ti saluta, coi i bambini che ti rincorrono felici, dove l’atmosfera genuina ricorda quella di tempi ormai passati. Finiti i viveri si fa marcia indietro e si ritorna a Siem Reap. Acquistiamo i biglietti per Battambang, facciamo un salto al mercato per l’acquisto di alcuni souvenir per amici e parenti e, visto il repentino cambiamento del tempo, lasciamo giusto in tempo il motorino prima dell’arrivo di una pioggia torrenziale. Si torna in albergo, che nel frattempo abbiamo cambiato perché al Freedom non c’era più posto. Siamo ora all’Angkor Shapir Hotel, che costa 25 dollari a notte, ed è il più bell’albergo di tutta la vacanza. Soprattutto perché ha sempre l’acqua calda! – Lunedì 12 agosto 2002.
Si parte per Battambang. L’aereo della President Airlines era chiaramente molto piccolo, ed il volo di soli 20 minuti. Neanche il tempo di scendere dal macinino che subito abbiamo trovato i nostri nuovi drivers con motorino (6 dollari a motorino per tutto il giorno, è chiaro che qui le cose costano meno) che ci hanno anche portato in un albergo dove loro chiaramente avevano la commissione e che a noi andava benissimo perché era in centro città, aveva la camera enorme, acqua calda, aria condizionata e TV satellitare a soli 12 dollari!?! Un vero affare! Ci fermiamo qui, al Royal Hotel, mentre i due ragazzi conosciuti in aeroporto ci aspettano di sotto. Non c’è tempo da perdere, stiamo qui solo un giorno quindi si parte subito con i motorini alla volta del tempio Phnom Sampeau, a circa 26 km. Da Battambang. Ed eccolo lì, abbarbicato su una collina … già ad Angkor a furia di salire, scendere e sudare mio marito si è preso la bronchite, quando ha visto l’ennesimo sentiero bello ripido da fare ha detto sconsolato “non ce la posso fare”: Poco male, vado io. E invece alla fine siamo saliti tutti e due insieme al mio driver, che ci ha voluto seguire ed aveva ben ragione. Ci sono ancora dei cannoni, che testimoniano quanto questa collina fosse usata come base di difesa da parte delle truppe del governo per fronteggiare i khmer rossi, e dall’alto si gode un bellissimo panorama delle campagne circostanti e della montagna del coccodrillo. La nota triste del luogo sono i campi di sterminio situati in due grotte alquanto nascoste che si raggiungono attraverso tortuosi sentieri e che, senza il nostro amico, non avremmo mai trovato. Anche qui mucchi di ossa e teschi portano alla luce ancora una volta la triste storia della Cambogia. La cosa più macabra è che, guardando verso l’alto in una delle grotte, si scorge una buca a cielo aperto nella quale venivano fatte cadere le vittime prese a bastonate. Qui hanno trovato la morte tutti gli insegnanti, i professori ed i maestri del paese. Nel nome di un regime assurdo che voleva, in questo modo, sradicare completamente la cultura, le arti e l’intelligenza stessa delle persone che non avrebbero mai più potuto studiare ed apprendere. Pare che in soli tre giorni abbiano perso la vita qui ben 600 persone. E’ all’interno di questa grotta che il nostro amico ci confida di aver perso il padre per mano dei khmer rossi e la conseguente vita infame e di stenti che lui e la sua famiglia sono stati costretti a fare per sopravvivere nella giungla e scampare alla furia omicida di quei folli. Lo ascolto, e mentre parla e descrive con dovizia di particolari le brutalità che hanno vissuto mi sembra di percepire l’orrore di quei giorni, un malessere generale mi assale e per tutto il giorno guarderò quel giovane ragazzo, già padre di una bimba, che si sta rifacendo una vita parlando bene inglese e procacciando turisti, con un occhio di riguardo. Più lo osservo e più lo ammiro per la forza ed il coraggio. Mi racconta tutto della bimba, mi fa un sacco di domande sull’Italia e sul nostro matrimonio, è smanioso di conoscere e di scoprire attraverso di noi il nostro lontano paese. La conversazione prosegue a pranzo, dove abbiamo mangiato del riso con verdure in un baracchino vicino al tempio spendendo praticamente niente. Non mancheranno momenti di grande ilarità come la fermata presso un gigantesco albero carico di pipistrelli addormentati. I due ragazzi le hanno provate tutte, alla fine hanno acceso un fuoco ed ecco che i pipistrelli si sono svegliati all’istante e si sono messi a svolazzare a centinaia sopra le nostre teste. Non ho mai visto una quantità tale di toponi con le ali! Il pomeriggio l’abbiamo trascorso scorrazzando in motorino per i villaggi della zona. Vi confido una cosa: la gente più bella, ospitale, sorridente e gentile di tutta la Cambogia l’ho incontrata qui. Conducono una vita molto semplice, vivono in capanne, in un contesto di rara bellezza, non hanno ancora dimestichezza con i turisti ma solo grande curiosità. Nessuno, e dico nessuno si è avvicinato chiedendo dei soldi. A loro non gliene importa niente, e li ho apprezzati anche per questo. Non so quante volte ci siamo fermati a lasciare caramelle e lecca lecca e non vi dico quanti magnifici sorrisi ho ricevuto in cambio. Che bello questo giro peccato che, improvvisamente, il cielo sia diventato nero come il carbone e sia scesa una quantità d’acqua incredibile. Il classico acquazzone tropicale, solo che se ti becca mentre sei in mezzo alle campagne in motorino sei spacciato. Abbiamo trovato riparo sotto un pergolato di paglia, noi quattro ed altri due signori carichi di polli! Pioveva a dirotto, ma dalla strada ad un certo punto arrivano delle voci, poi delle grida festose ed ecco che dalle campagne sbuca un gruppetto di bambini, completamente nudi, che si mettono a fare il bagno saltellando sotto quel diluvio universale. Ero come ipnotizzata di fronte a quella scena così lontana dalle nostre realtà e ringraziavo di essere lì, ero felice di vivere quell’esperienza, di essere anche io bagnata fradicia e infreddolita, e di poter partecipare alla gioia di quei bambini per quel dono dal cielo. Uno di loro tremante di freddo si è avvicinato al capanno e mi guardava con occhi così belli che non ho resistito e gli ho donato un quaderno e dei pennarelli, scampati per fortuna al nubifragio. Non dimenticherò mai il suo sguardo, passato dall’incredulità allo stupore, alla meraviglia, ed infine ad una felicità incontenibile. Non so quante volte si è inchinato ringraziando ancora e poi ancora. Non ho una sua foto, pioveva troppo forte purtroppo, e non avevo la macchina a portata di mano, ma il suo viso e quegli occhi così intensi me li porto nel cuore. Perché è questa la Cambogia che voglia ricordare e che sto cercando di raccontare a chi vorrà leggere il diario di questo grande viaggio. Mentre pian piano cessava di piovere siamo risaliti sui motorini e siamo tornati in città. Andiamo all’albergo ad asciugarci, poi usciamo per costatare che a Battambang alle 6 di sera chiude tutto. Non c’è nulla, solo una piccola città immersa nelle quiete. Facciamo un giro a piedi ed anche qui, pur essendo in città, incontriamo tanti cambogiani che ci salutano e ci sorridono, tanti bambini che ci chiamano ed io sono felice, lo ammetto, sono troppo felice. E pensare che qui, fino a pochi anni fa non ci potevi mettere piede perché è proprio in queste zone che si sono rifugiati gli ultimi khmer rossi. Ora è tutto O.K., puoi girare tranquillo e sicuro, e fare degli incontri fantastici! La mattina dopo purtroppo ci aspettava la barca che ci avrebbe riportato a Siem Reap, dove abbiamo trascorso la notte, ed il giorno successivo un’altra barca da Siem Reap ci avrebbe ricondotto a Phnom Penh. Ma prima di rientrare a Phnom Penh una nuova avventura ci attendeva. La barca in questione si è rotta. Il motore si è incagliato a causa dell’acqua troppo bassa e siamo rimasti fermi per ore perché non si riusciva a venirne fuori. Ed anche lì si è vissuta un’esperienza che difficilmente qui da noi si sarebbe verificata. Dalle sponde del fiume sono iniziate a partire delle piccole barche che pian piano si sono avvicinate e tutti gli uomini sono scesi in acqua, effettivamente molto bassa, e dato che l’unione fa la forza tutti insieme hanno iniziato a spingere, chi a braccia, chi aiutandosi con la propria barca a motore, mentre sulla riva si stavano radunando tutte le donne ed i bambini incuriositi dall’evento. Purtroppo non è stato sufficiente e si è dovuto attendere un aliscafo che è poi riuscito a trainarci riportandoci a Phnom Penh. Lì ci aspettava un volo per Bangkok ed un successivo volo per Krabi, con destinazione finale Phi Phi Island, ma questa è decisamente un’altra storia. Il mio lungo racconto di viaggio finisce qui. Chissà mai che non sia riuscita a convincere qualcuno ad andare alla scoperta di questo meraviglioso paese!! Andateci subito però, perché le cose, si sa, cambiano molto in fretta … Vi abbraccio. Simona