Cambogia: non solo Angkor 2
Viaggio lunghetto, ma appena ci rendiamo conto di essere passati dai 5 gradi Italiani ai 37 gradi cambogiani, ci sentiamo subito meglio e ci scordiamo della faticaccia del viaggio. Usciamo dal piccolo aeroporto e ci facciamo portare al nostro hotel.
Giusto il tempo per una rinfrescata ed un riposino e partiamo alla scoperta della nostra prima tappa. Siem Reap. Ci dirigiamo verso Siratha st dove si trova il centro della cittadina: passeggiamo per la movimentata Pub Street, costeggiamo Siem Reap River per qualche isolato e ci perdiamo per le vivacissime bancarelle dei vari mercati notturni del centro turistico, passando dall’Angkor Night Market, al Moon Night Market, all’Old Market fino all’ Art Center Market appena al di la del fiume.
Presi da un attacco di fame ci lasciamo catturare da uno dei localini di “The Alles st,” dove integriamo i liquidi ed i sali persi dal caldo con qualche birra Angkor alla modica cifra di 0.50 $ al bicchiere.
A mano a mano che cala la sera le viette del centro si popolano di turisti, di bancarelle piene di frutta dove preparano frappe dai gusti esotici, bar improvvisati dalle luci fluorescenti e da colonne di motorini e tuk tuk che accompagnano ed attendono i clienti per i vari spostamenti.
Anche noi ci facciamo convincere da uno dei ridondanti “tuk tuk Sir” per farci accompagnare a casa, così conosciamo Boui un ragazzo cambogiano di circa 30 anni.
Come tutti i driver di tuk tuk, Boui esibendo tanto di mappe e di fotografie, si rende disponibile per l’indomani ad accompagnarci a visitare i Templi di Angkor. Conquistati dalla sua simpatia e dal suo sorriso smagliante, ci facciamo convincere, così gli diamo appuntamento per il mattino seguente.
Più preciso di un orologio svizzero alle 9 in punto il nostro guidatore è davanti all’hotel.
Districarsi nel traffico cittadino ci sembra veramente un’impresa da eroi. I semafori sono quasi inesistenti e quando il nostro driver si ferma all’unico incrocio semaforico lungo il nostro tragitto, si gira verso di noi imbarazzato e sorridendo si scusa per essersi fermato dicendo: “SORRY, Red” e scuote la testa in segno di disapprovazione.
Deve considerarlo come uno strumento alquanto bizzarro soprattutto se si considera il loro “codice” stradale: i mezzi escono contemporaneamente da tutte le direzioni, passando sia da destra che da sinistra per poi immettersi tranquillamente nel corretto senso di marcia.
Inizialmente non è facile capire come facciano a non scontrarsi, ma piano piano si comprende che le loro regole sono basilari ma fondamentali: – precedenza al più grosso (camion/bus vincono su auto; auto vince su tuk tuk, tuk tuk vince su motorini e motorini vincono su biciclette); – schivare, schivare, schivare.
E i pedoni? – buttarsi e farsi schivare. Lungo il percorso ci fermiamo a comprare i biglietti d’entrata. Le offerte sono molto allettanti (3 giorni 40$ o 7 giorni 60$), ma il nostro programma di viaggio ci limita nella scelta, così comperiamo il biglietto per un unico giorno di visita al prezzo di 20$.
Prima fermata: Angkor Wat
L’imponenza di questo edificio è veramente sorprendente. Ammettendo la nostra scarsa conoscenza della cultura e dell’architettura Kmer, ci limitiamo a passeggiare per i numerosi corridoi dell’edificio principale ammirando e fotografando le varie sculture e le raffigurazioni sulle pareti. E’ impossibile non riconoscere la bellezza e comprendere l’importanza ed il valore di questa opera.
Terminato il nostro girovagare raggiungiamo il nostro driver e ripartiamo per la tappa successiva.
Seconda fermata: Angkor Thom
Nonostante questa costruzione venga menzionata meno rispetto all’Angkor Wat, a nostro parere, questo edificio è più suggestivo rispetto al primo. I volti scolpiti nella roccia ci lasciano senza fiato; i bassorilievi incisi sul muro perimetrale raccontano scene e vicende di vita passata che ricordano storie e tragedie anche recenti.
Ci sediamo a pochi passi da uno di questi capolavori e ci fermiamo ad ammirare la precisione di ogni singolo tratto… un’opera veramente incredibile.
Forse il nostro ammirare si è protratto un po più del previsto in quanto il nostro driver ne ha approfittato per fare un pisolino sul tuk tuk. Con un po di fatica riusciamo a svegliarlo… Lui si alza di scatto e con un sorriso ed un sorry, ci porta in un chiosco nei paraggi per farci mangiare qualcosa.
Terminato il pranzo continuiamo la nostra escursione passando per i templi minori di Thommanom e Chau Say Tevoda, poi per Ta Keo fino a fermarci nuovamente per l’altrettanto suggestivo tempio di Ta Prohm. Anche questo è un sito molto conosciuto, non solo per la sua bellezza, ma anche per essere stato il set di alcune scene del film Tomb Rider con Angelina Jolie.
Si tratta di un sito lasciato quasi completamente in balia della natura: i vari edifici sono un tutt’uno con la vegetazione circostante ed i rami e le radici degli alberi sembrano voler abbracciare ogni singolo mattone. Un vero intreccio tra le abilità umane e la forza della natura. Ultimo scorcio al tempio di Banteay Kdei, poi il nostro driver ci riaccompagna all’hotel e ci saluta con un altro dei suoi meravigliosi sorrisi.
Anche il giorno seguente lo trascorriamo a Siem Reap, ma consapevoli del fatto che la Cambogia non è solo Angkor, decidiamo di bighellonare per le vie del centro carpendo le abitudini e le usanze della domenica mattina cambogiana. Facciamo un salto alla Chiesa Cattolica per donare dei vestiti portati dall’Italia per i bambini più sfortunati: l’emozione della piccola suora che ci accoglie è indescrivibile;
Passeggiamo per i giardini di Royal Park dove incrociamo coppie di novelli sposi che si fanno fotografare nelle pose più bizzarre;
Entriamo ed usciamo dai mercati del centro per acquistare qualche ricordino;
Ammiriamo i dipinti sulle pareti del Wat Bo ed infine ci sediamo su una panchina sul lungofiume dalle acque quasi stagnanti e limacciose.
Sulla riva sta giocando un gruppetto di bambini dalle età più disparate (dai 4 ai 10 anni): Le bimbe hanno i capelli sciolti e tutti arruffati; i loro abitini sono sporchi e sdruciti; i loro piedini sono scalzi; girano per le strade della città con dei grossi sacchi dell’immondizia neri e vivono raccogliendo lattine e bottiglie di plastica vuote coi quali, magari, riescono a raccimolare qualche soldino che permetterà loro e alle loro famiglie di mangiare qualcosa.
Si rincorrono e si tuffano nell’acqua solo come i bambini sanno fare, ma non dimenticano il loro lavoro e tra una spinta ed una risata raccolgono dei pezzi di polistirolo impigliati sulla riva del fiume.
Mentre le persone del posto sembra non si accorgano di nulla e proseguono le loro faccende quotidiane, alcuni turisti si fermano a scattare delle foto e se ne vanno … noi, nell’assistere all’intera scena, proviamo un senso di tristezza indescrivibile. Ci sconvolge l’indifferenza dei passanti, ma nello stesso tempo ci rendiamo conto della forza di queste piccole creature che riescono, nonostante tutto, ad avere ancora voglia di giocare e continuano a sorridere.
Battambang
È lunedì ed il nostro programma di viaggio fai da te prevede una piccola sosta nella città di Battambang. Decidiamo di arrivarci via fiume.
Nonostante il viaggio sia un po lungo (circa 8 ore di navigazione in quanto è il periodo secco ed in alcuni tratti il fiume è molto basso e la long-tail boat si incaglia facilmente) è una esperienza veramente unica che ti permette di conoscere un’altra faccia di questo paese.
Durante la navigazione (che si svolge per la prima parte sul lago Tonlé Sap e per la seconda parte sul fiume Sangkhae River) si attraversano circa una decina di villaggi galleggianti. Si tratta di veri e propri villaggi costruiti sull’acqua dove al posto delle tradizionali strade asfaltate, scorrono corridoi d’acqua e dove per spostarsi non vengono usate auto, moto o biciclette, ma imbarcazioni. Questi agglomerati sono di varie dimensioni e sono più o meno attrezzati: nei più grandi ci sono strutture galleggianti adibite a chiese, altre a scuole ed altre ancora a piccoli market.
Le case, per la maggior parte, sono costruite in legno, ma non mancano strutture in lamiera, pannelli, o stracci. Una cosa, però li accomuna: appena il rumore della barca si fa sentire, i bambini interrompono qualsiasi attività stiano facendo e corrono verso la riva alzando il braccio in segno di saluto e gridare forte “Helloooooo”.
A parte qualche eccezione (soprattutto avvicinandosi alla città di Battambang dove le capanne sono circondate da cumuli di immondizia) a mio parere (opinione non condivisa da mio marito) non è corretto parlare di assoluta povertà di queste popolazioni. Si tratta di persone che hanno fatto del lago e del fiume la loro casa e cercano di sfruttare al meglio tutte le risorse che l’ambiente può offrire: con quell’acqua si lavano, cucinano, si spostano e si procurano il cibo. Una vita per nulla facile se si considera che il livello delle acque varia notevolmente a seconda delle stagioni pertanto oltre ad uno spirito di adattamento incredibile, la manutenzione delle strutture deve essere costante.
Se si vuole parlare dell’immondizia, invece, il discorso è differente: sarebbe da ipocriti affermare di non essersi imbattuti in cumuli di rifiuti. La si trova nelle strade, nei fiumi, nel lago ed anche nel mare. In questo caso, però, il problema è molto più ampio: nonostante molte organizzazioni internazionali stiano già lavorando con programmi scolastici diretti a promuovere la protezione dell’ambiente, è necessario un intervento più incisivo sia strutturale che educativo anche da parte del governo.
Sistemati i bagagli in hotel, consci del poco tempo di luce che ci rimane per visitare la cittadina, prendiamo un tuk tuk e ci facciamo portare bambù train.
Si tratta di una linea di binari storti che parte dalla zona di O Dambong e si dirige per 7 Km verso Phnom Penh. Il trenino è una struttura in legno coperta da stecche di bambù, il tutto appoggiato su due bilancieri collegati da una cinghia ad un piccolo motore a scoppio.
L’intero viaggio (andata, sosta e ritorno) dura circa un paio di ore, ma la particolarità dell’escursione sta nell’incrociare un treno proveniente dal senso opposto: in questo caso il treno con meno passeggeri a bordo viene rapidamente smontato e spostato al lato dei binari per far passare l’altro treno. Salutata anche Battambang il nostro viaggio prosegue a bordo di un minivan verso la capitale.
Phnom Penh
Arrivati alla stazione degli autobus troviamo un gruppo di tuk tuk in attesa.
Anche qui la regola dei driver di tuk tuk non cambia così Dunna (un cambogiano di circa 50 anni) si prenota per essere il nostro accompagnatore per il giorno seguente.
Appena il tempo per una rinfrescata e iniziamo la visita della città: Monumento dell’indipendenza, statua di Norodom Sihanuok, monumento dell’amicizia tra Vietnam e Cambogia, Wat Bothum, Palazzo Reale fino ad arrivare alla riva del Fiume Tonlè Sap dove rimaniamo piacevolmente colpiti dalla moltitudine di persone presenti. Ci sono bambini che giocano a palla, monaci che passeggiano, gente che corre, altri che fanno stretching e gruppi di persone che seguono lezioni di aerobica. Una vera palestra a cielo aperto. Non mancano, purtroppo, giovani mamme con i loro piccoli in braccio o uomini mutilati che chiedono l’elemosina ai bordi delle strade, o bambini che domandano un dollaro per un braccialetto colorato fatto da loro con una abilità e velocità strabiliante.
Giunta l’ora di cena, da buoni italiani ci concediamo un’ottima pizza alla pizzeria da Luigi nella st. 208.
Qui conosciamo alcuni italiani da anni residenti a Phnom Penh che ci danno qualche dritta per evitare problemi e contrattempi in città:
– evitare di camminare in vie scure ed isolate;
– tenere zainetti e borsette stretti a se in quanto gli scippi, purtroppo, sono frequenti. Ci raccontano come è cambiata la capitale negli ultimi 20 anni: ci spiegano che sono state riparate strade, migliorato l’impianto fognario e costruiti palazzi e grattacieli, ma nonostante questa apparenza di benessere, purtroppo, le condizioni di vita della popolazione non sono molto migliorate tanto è vero che quasi il 70 % della stessa si trova sotto la soglia di povertà.
Inoltre, nonostante si tratti di un popolo molto giovane (anche a causa delle terribili vicende politiche che lo hanno contraddistinto, l’età media dei cambogiano si aggira intorno ai 23 anni) e l’istruzione elementare sia obbligatoria, non tutti i bambini hanno la possibilità di frequentare la scuola in quanto, per aiutare le famiglie, anche i giovanissimi, spesso, sono costretti a lavorare. Altre volte, poi, le poche ore di lezione previste non sono sufficienti per allontanare i ragazzini dai pericoli delle strade e dello sfruttamento.
Il giorno seguente con il nostro driver Dunna raggiungiamo il campo di sterminio di Choeung Ek. Anche se prima di partire ci eravamo informati circa la storia di questo paese, la visita a questo luogo ci lascia completamente inermi di fronte alle testimonianze dei sopravvissuti alla follia di Pol Pot e dei Kmer rossi.
Non si può descrivere la sensazione di angoscia che si prova camminando in mezzo alle numerose fosse comuni scoperte, ma è una esperienza che deve essere affrontata per capire la sofferenza di questo popolo e per non dimenticare. Per rincarare ulteriormente la dose di amarezza, ci facciamo portare anche al museo di Tuol Sleng.
Questo edificio originariamente era un liceo, ma nel 1975 con l’arrivo dei Kmer rossi e di Pol Pot fu dapprima adibito a carcere di massima sicurezza con il nome di S21 e successivamente come il principale centro di detenzione e tortura i tutto il paese. Qui vengono esposte le immagini dei crimini commessi dai fedelissimi di Pol Pot nei confronti dei loro stessi compatrioti e vengono raccontate le testimonianze dei pochi sopravvisuti (solo 7 sulle circa 17.000 persone imprigionate)a questo inferno.
Terminata la visita a questi luoghi terribili, ti accorgi di guardare ogni volto con occhi diversi: Ti chiedi come gli anziani abbiano avuto la forza e la fortuna di sopravvivere a tutto quell’orrore e ti domandi come possa questo popolo così sfortunato e tradito da tutto quello in cui hanno creduto, sorridere ancora con tanta facilità.
Salutata anche la capitale con tutte le sue sofferenze e contraddizioni, proseguiamo il nostro viaggio verso la costa meridionale.
Sihanoukville e Koh Rong
Qui i nostri unici obiettivi sono spostarci da una spiaggia all’altra e riposare il più possibile.
Come punto di appoggio sciegliamo il centro di Serendipity e noleggiamo un motorino per gli spostamenti: le spiagge di Sokha Beach, Otres Beach e di Ko Toi sull’isola di Koh Rong meritano veramente di essere viste: la sabbia è talmente bianca e pura che sembra di camminare sulla neve… si riesce persino a sentire lo scricchiolio dei passi.
Solo per completezza, sia per Sihanoukville che per Koh Rong (soprattutto nelle zone di Serendipity e nel porto di Ko Toi), consigliamo, prima di prenotare per più giorni una stanza di hotel, di fare una prova di una notte in quanto i locali che fanno musica fino a tardi sono numerosi.
Purtroppo la nostra vacanza volge al termine, ma faremo sicuramente fatica a dimenticare i volti di questo popolo segnati da tanta sofferenza ma pieni di voglia di ricominciare e che, per quanto possibile, ti donano ciò che di più bello possiedono: il loro sorriso.