Cambodia Onedollar
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05-06/08/2016 Milano / Siem Riep
Dopo venti ore di viaggio effettivo, due scali, un transfer da un’aeroporto all’altro a Bangkok, e parecchia stanchezza, arriviamo tutti e sedici a Siem Riep. L’impressione che ho del gruppo è ottima, nessuno si è lamentato di niente pur avendo appena fatto un viaggio parecchio pesante, siamo sorridenti e entusiasti di partire per questa nuova avventura. Arrivati in albergo a notte inoltrata, andiamo immediatamente in camera a dormire, domani si comincia con la prima vera giornata. Il Freemont Hotel, ci ospita fino a quando staremo qui.
07/08/2016 Siem Reap
Facciamo colazione molto presto, il sito archeologico di Angkor è molto vasto, i templi da visitare sono tanti e i tempi devono essere stretti. Dopo aver fatto conoscenza della nostra guida sul pulmino, e dopo aver percorso a piedi un tratto di strada sterrata, ci imbattiamo nella prima costruzione che ci farà vivere la magia di questo luogo. È la prima ma io sono già incantata dalla sua bellezza, è piccola ed è a ridosso del fiume Siem Reap, la forma architettonica è ormai andata quasi perduta, il colore verde del muschio ricopre pietre annerite dal tempo, ma nel contempo le sculture, delle varie divinità scolpite su di essa, risaltano senza impegno di osservazione. La giungla aiuta a creare un’atmosfera surreale, ora riesco a capire perché questo sito è stato dichiarato dall’UNESCO Patrimonio dell’Umanità, e il perché venga utilizzato come set per parecchi film. Ci aggiriamo fuori e dentro le mura della struttura mentre la nostra guida ci inizia a spiegare. Ci spostiamo da lì e ci addentriamo maggiormente nella giungla, intuiamo immediatamente cosa stiamo andando a visitare alla vista di un “pinnacolo”, già intravisto dalla costruzione precedente, che diventa sempre più imponente man mano che ci avviciniamo. Arriviamo dal retro, se così si può definire la Porta Orientale, vi è un giardino perfettamente delineato e ben curato che gira tutt’intorno all’area, è l’antico fossato che da questo lato risulta completamente asciutto. Il tempio è incredibile, enorme, la guida spiega ma credo che noi tutti siamo più rapiti dalla bellezza di ciò che si trova dinnanzi a noi, è Angkor Wat. Ci inoltriamo al suo interno, scendiamo e saliamo continuamente ripidi scalini, ci aggiriamo in mezzo a sculture di Buddha con teste mozzate (i Khmer rossi fecero danni anche a livello culturale oltre che fisico), tra minuziose immagini scolpite nella pietra…dee e scritture abbelliscono questi muri, tante piccole colonne perfettamente cesellate che nascondono lunghi corridoi alla vista, torrette a forma di fiore di loto che sovrastano sopra le nostre teste. L’acqua appena caduta dal cielo trasforma la pietra del pavimento in piccoli laghetti, dove il Tempio vanitoso si rispecchia. Dopo aver fatto una fila ordinata, saliamo dei gradini al limite dell’equilibrio e raggiungiamo il fulcro di questo tempio, la parte più importante, perché da qui si raggiungevano gli Dei, il cosiddetto Bakan. È una visione mozzafiato, ci troviamo più in alto degli alberi e la vista è a 360 gradi, siamo nel bel mezzo della giungla, la pace regna ancora sovrana da queste parti. La nostra guida ci concede tempo ma i guardiani che ci sono all’entrata delle scale no. Giustamente ci sono altri turisti che vogliono salire fin quassù, così a malincuore scendiamo verso il basso. Continuiamo a girare, corridoi scolpiti ma ormai scoloriti (dovevano essere splendidi dipinti, non che ora non lo siano!) ci raccontano di guerre passate, statue di Buddha di varie dimensioni e adornate di tutto punto si materializzano tra di noi, monaci vecchi o giovani benedicono le persone che lo vogliono cantando riti tra i turisti che fotografano. Perdiamo per pochi minuti Emilio e Noemi ma nulla ci fa perdere la tappa d’obbligo, la famosa foto di Angkor Wat che si rispecchia davanti a quella poca acqua rimasta delle vasche della Porta Occidentale. Pronti via e si riparte col pulmino, il sito è talmente vasto che non è possibile visitarlo a piedi, volendo si può girare con le bici ma l’afa è troppo opprimente mentre l’aria condizionata del pulmino dà il tempo di recuperare qualche forza.
La prossima meta è la “Grande Città” di Angkor Thom. Se l’area che delimita Angkor Wat è grande, questa è immensa, infatti visiteremo le varie architetture spostandoci con il mezzo. Ci inoltriamo al suo interno dall’entrata tenuta meglio, un esercito di teste minacciose da un lato e sorridenti dall’altro delimitano il corrimano di un ponte che passa sopra il fossato. Da lì ci dirigiamo verso il fulcro principale di Angkor Thom, il Bayon. Numerose teste scolpite nella roccia, 216 per la precisione, ci osservano da tutte le direzioni, non sono minacciose ma decisamente guardinghe. Ovunque ti giri qualcuna di loro ti guarda, ti scruta, tutte perfettamente allineate sui vari lati dei pinnacoli del tempio. La sensazione di essere circondata da qualcosa di estremamente affascinante è ancora più forte che non ad Angkor Wat, sono estasiata! Nel silenzio di questo posto il tempo passa in fretta, la guida vorrebbe già andare ma noi no. Sui sali e scendi delle scale, anche qui numerose, ci addentriamo nei cunicoli e nella frescura dei corridoi, e solo una volta stanchi di essere “osservati” decidiamo di lasciare tanta magnificenza.
Prossima tappa è la Terrazza degli Elefanti, terrazza che fungeva da gigantesca tribuna per assistere a cerimonie pubbliche o alle udienze del sovrano. È imponente, miriadi di teste di elefante la ornano negli angoli delle scale che portano al piano inferiore, mentre altrettanti elefanti, in questo caso a figura intera, sono scolpiti lungo la parete sottostante, perfettamente allineati e pronti per le parate. Quanta bellezza doveva esserci quaggiù. Subito dopo aver mangiato ci accingiamo a visitare Ta Keo, che dire… un tempio mai finito. Si dice che interruppero i lavori a causa della morte del sovrano, ma si dice anche che un fulmine che l’ho colpì fu un’ulteriore motivo di abbandono. Sta di fatto che il tempio non fu mai completato e la visita perciò risulta breve. Cerchiamo di evitare una nuvola nera che incombe minacciosa sopra le nostre teste, ma l’acquazzone lo prendiamo appena arrivati al Tempio di Ta Prohm. Personalmente sono partita per la Cambogia per vedere questo tempio, osservare da vicino la bellezza della Natura che si riprende ciò che gli appartiene, quello che è perfettamente coniugato in questo angolo di Terra. Piove, piove a dirotto, ma nulla vieta alla vista ciò che stiamo visitando, enormi radici di imponenti alberi sono perfettamente integrate all’interno della costruzione, a volte le radici stesse abbracciano le grosse pietre che nulla possono contro la loro forza, a volte sembrano seguire linee ben precise scolpendo sculture. La macchina fotografica e anche il cellulare sono fuori uso, non riesco a fare nemmeno una foto… forse questo posto me lo devo assaporare ma sopratutto imprimere bene nella mente osservandolo con gli occhi. La luce che filtra tra gli alberi e i colori, che le gocce d’acqua scesa gli stanno donando, rendono il tempio ancora più suggestivo, quasi un angolo di Paradiso. Sono felice di averlo finalmente visto, sono felice di essermelo goduto così! Ma tutto finisce…e questa prima intensa giornata finisce con una cena al ristorante Cambodian Soup Restaurant, Pub Street | Mondul 1, Svay Dangkum, a Siem Reap.
08/08/2016 Siem Reap
La sera prima abbiamo preso una decisione univoca, alzataccia per vedere l’alba ad Angkor Wat. Ci sono state due file di pensiero, chi voleva vederla da una parte e chi da un’altra, alla fine ci atteniamo alla decisione della guida. Alle quattro siamo già appostati davanti al famoso “laghetto”, è veramente buio, giriamo con le pile e con i cellulari per farci un po’ di luce alla ricerca della postazione migliore. Sentiamo voci sparse dal vento ma non vediamo nulla, man mano che albeggia il silenzio diventa cicaleccio, il sito si è riempito di turisti! Avrei preferito godermi di più da sola questo spettacolo ma così non è. Oltretutto l’alba l’abbiamo vista senza il nascere del sole, le nuvole dispettose hanno coperto tutto fino alla nostra dipartita, fino a quando veniamo via per fare colazione…che facciamo da queste parti, con il sole che ci ‘illumina’. Ci spostiamo verso Sra Srang, un immenso bacino d’acqua che veniva usato solo dal re e dalle sue consorti. L’alba probabilmente l’avremmo apprezzata di più qui, il sole che si rispecchia nelle sue acque rende tutto più affascinante rispetto a quello visto stamattina. Da lì a piedi ci muoviamo per andare a vedere il Banteay Kdei, un monastero buddhista ormai completamente in rovina. Resistono solo le mura laterali, in piedi per la sola forza di gravità o per chissà quale mistero, mentre il resto dell’edificio è sparso per terra tutto intorno a noi. Ma nulla toglie alla bellezza di questo luogo, anche qui alberi secolari si divertono a far compagnia alle pietre, le grosse radici sbucano dal terreno come serpenti in movimento. In uno dei suoi cunicoli facciamo il primo rito di preghiera. Dietro precise indicazioni, impartite da un’incantevole vecchietta, veniamo fatti genuflettere su una stuoia e a piedi scalzi, davanti a una statua del Buddha, con una bacchetta di incenso tra le mani da lei donata, lo ringraziamo per ben tre volte. Infine veniamo a nostra volta benedetti, la gentile signora mettendoci un braccialetto di fili di lana colorata al polso ci ha augurato cent’anni di vita… un po’ come i suoi! Felici di questa esperienza ci ricongiungiamo con il resto del gruppo e ci spostiamo al Prerup, questo tempio-montagna che si pensa essere stato un crematorio reale. Si sviluppa su tre altezze, le torri integre contengono all’interno un altare usato probabilmente per riti propiziatori, le stesse inoltre hanno una forma molto simile a un comignolo, sicuramente avvenivano qui le cremazioni. La vista dall’ultimo terrazzamento è piacevole, una leggera brezza si fa sentire all’ombra delle torri e ci aiuta a riprenderci dalla calura del posto, riusciamo a trovare la voglia di fare foto di rito, lo stesso viene effettuato da una figura femminile giapponese completamente coperta dalla testa ai piedi, non sappiamo come faccia considerato il fatto che noi soffriamo in pantaloncini e t-shirt! Prossima meta di questa lunga maratona è il Baray Orientale, per meglio dire quello che rimane di un vasto bacino ormai asciutto, e il Mebon Orientale, il tempio hindu che si potrebbe dedicare agli elefanti. Quattro meravigliose statue ben conservate fanno da guardiano ai quattro angoli della base della struttura, in una in particolare si scorgono ancora gli elementi decorativi. È di altezza modesta, i piani da cui è formato sono solo due, perciò siamo veloci nel visitarlo e nel muoverci verso il tempio buddhista di Preah Neak Poan. Per visitarlo attraversiamo una lunghissima passerella in legno in mezzo alla desolazione, una volta vi era una baray che ora è diventato una gigantesca palude, rami e alberi spezzati galleggiano in mezzo a una melma ormai quasi asciutta, sembra che un tornado sia passato da queste parti. Vi sono mucche decisamente smunte che mangiano la poca erba rimasta, di contro splendidi bambini dormono pacifici sulle amache affisse sui rami degli alberi. La passeggiata ci porta fino al piccolo tempio che emerge al centro di quattro vasche, ormai asciutte anche queste, più che un tempio ha l’aria di essere un’enorme fontana. L’elemento di spicco maggiore è sicuramente la parte centrale, quella dove sorge il complesso di dimensioni più grandi. Una volta vi si trovavano quattro statue, ora ne è rimasta solo una, quella con le sembianze di un cavallo equestre, simbolo di una leggenda che qui si racconta. Riattraversiamo la passerella e ci spostiamo da questo paesaggio dall’atmosfera surreale, chiacchieriamo in mezzo alla giungla attraversando piccoli ponti, camminando su terreni rossicci e bagnati dalla pioggia, giocando con bambini che si divertono con le liane degli alberi che usano come altalena. Ci dirigiamo verso il tempio buddhista di Ta Som, un tempio di modeste dimensioni con un’unica prelibatezza. Nessuno si accorge che passando all’interno di un cunicolo del tempio si passa sotto l’incavo della base di un albero, che una volta usciti si erge maestoso sopra le nostre teste. Fantastico! Con il caldo che ci uccide ci spostiamo al prossimo tempio, il Prea Khan, il più vasto come dimensioni di Angkor. Tanti lunghi corridoi di pietre sconnesse immettono in altrettante piccole stanze, i sassi sono ricoperti dal verde del muschio che l’acqua, scesa anche ora, aiuta a formarsi. Anche qui grossi alberi tengono compagnia al tempio, due di essi sono talmente intrecciati tra loro che sembrano volersi dire che “si vogliono bene e rimarranno eternamente abbracciati”, ve ne sono alcuni le cui radici non toccano neanche terra ma si limitano a guardare il cielo. Una meravigliosa e sorridente signora anziana ci augura altri cento di questi giorni. Stanchi, felicemente stanchi, ci accingiamo a visitare l’ultimo dei templi, stavolta prendiamo il pulmino per raggiungere il Banteay Srei, il tempio dedicato a Shiva. Iniziamo sotto un enorme acquazzone, decidiamo pertanto di fermarci ognuno sotto a un riparo improvvisato. L’acqua smette di scendere, riusciamo così ad addentrarci al suo interno e ci accorgiamo che è diverso rispetto agli altri visti finora, grazie alla pietra con cui è stato costruito i toni non sono più quelli cupi del grigio ma sono di un brillante color rosa. Si sviluppa in lunghezza ed è perfettamente conservato, al centro vi si trovano tre torri riccamente decorate, in verità tutto è molto ricco: bassorilievi, scritte, statue e lavorazioni perfettamente cesellate ricoprono l’intera area. Ed è ancora più incantevole visto da una certa distanza, ora che lo stiamo lasciando, attraverso la nebbiolina che si è formata nel frattempo grazie alla pioggia che ha smesso di scendere copiosa e ai raggi del sole che si stanno infiltrando tra i rami degli alberi. Lo trovo un perfetto finale di una magnifica ma intensa “full immersion” di due giorni. Cena superba al Marum, Between Wat Polanka & Catholic Church, #8A, B Phum Slor Kram, preparata dai ragazzi di una scuola alberghiera, e massaggio ai piedi rilassante ci fanno salutare Siem Reap.
09/08/2016 – Siem Reap / Battambang
Ci muoviamo presto, abbiamo una lunga “crociera” che ci aspetta. Otto ore di navigazione, attraversando il lago Tonlè Sap e il fiume Siem Reap, ci aiutano a raggiungere Battambang in giornata. Partiamo da, come si suol dire, “un posto sperduto nel nulla”, tante case su palafitta emergono dal terreno lungo le rive del lago, sono divertenti e colorate, così come sono dipinte con colori sgargianti le numerose barche attraccate nel porticciolo dove ci troviamo. Carichiamo i bagagli sul tetto della nostra imbarcazione celeste e, entusiasti di ciò che ci aspetta, iniziamo l’avventura insieme a due mocciosetti e al loro silenzioso padre. La navigazione ci porta ad attraversare immediatamente il meraviglioso villaggio galleggiante di Chong Kneas. Barche ben allineate lungo la sponda salutano il nostro lieve passaggio. C’è la scuola, la chiesa cattolica e la moschea, la drogheria, il ristorante per le cerimonie, infinite “abitazioni” con terrazze rigogliose di fiori e “abitazioni” dove il cane fa compagnia al padrone che riposa sull’amaca. Veniamo superati da barchette a motore che sfrecciano come schegge impazzite da ogni dove, sono guidate da: uomini con interi gruppi famigliari, ragazzi dispettosi che si divertono a zigzagare per ‘spruzzarci’ d’acqua, donne di diverse età ma tutte altere sotto il loro cappello di paglia. In mezzo al lago insorge il primo problema. All’inizio della navigazione, prima di fluire nel lago, una ricca vegetazione faceva da tappeto verde e molte foglie si sono incastrate nell’elica della nostra imbarcazione, facendoci fermare del tutto. Ma niente panico… uno dei due fratellini, con destrezza e agilità, fuoriesce dalla barca, tira su l’elica, la ripulisce dalle erbacce e ci permette di ripartire. Bravissimo il nostro cucciolo! Durante la navigazione facciamo amicizia con i piccoli aiuto-skipper, giochiamo, ridiamo, scherziamo, facciamo merenda e godiamo pure dei massaggi al collo, che ci fanno “a tradimento”, per ricevere una piccola mancia. La barca ora scivola rumorosa lungo il fiume, alterniamo momenti dove incontriamo parecchi villaggi galleggianti..alcuni sono più piccoli mentre altri più numerosi, a momenti di sola natura ( alberi ricoperti da “ragnatele fatte di radici” non li avevo mai visti), il fiume stesso ci procura qualche problema perché spesso si restringe e ci complica le manovre di attraversamento. Più di una volta il cucciolo più grande dovrà aiutare il padre, con un lungo bastone di legno, a prendere le curve senza farci finire in mezzo alle frasche. La navigazione si interrompe a un certo punto perché un bar galleggiante, sbucato dal nulla, si materializza davanti ai nostri occhi, attracchiamo perciò per dare respiro al nostro Capitano. All’interno del locale c’è gente che sta mangiando nell’unico tavolo presente, preferisco non guardare nei piatti, i miei compagni mi hanno detto di cose poco gradevoli per il mio palato, ma tanto gradite ai bimbi presenti. Noi preferiamo farci tagliare al momento dell’ananas fresca che ci viene servita in maniera simpatica, come un gelato con lo stecco, e devo dire che ce la stiamo gustando. La gita in barca all’inizio è divertente ma ora, dopo più di sei ore, inizia a pesare, tra l’altro da poco il sole ci ha salutato, sembra stia arrivando la solita scrosciata di pioggia. E infatti in men che non si dica ci ritroviamo ad accatastare tutti i bagagli al centro della barca, coperti con delle cerate, e a sganciare finti finestrini di plastica, tutto per cercare di ripararci dal monsone che si sta scatenando. Navighiamo ma fuori non si vede nulla, il vento e la pioggia sono terribili, alla fine il Capitano decide di sbarcarci prima del previsto. Ci ritroviamo così nel bel mezzo del nulla, è un finto crocevia, delimitato da un lato da un piccolo mercato di quattro bancarelle, da dove arriva una puzza nauseante… stanno lavorando frattaglie di non so cosa! Non essendo questo il punto di attracco concordato non sappiamo come arrivare in città, ma il mondo a volte è bello per la grande solidarietà umana, così veniamo immediatamente aiutati dalla gente presente e in un attimo due tuc tuc e una macchina, che riempiamo più del dovuto, si materializzano davanti ai nostri occhi. Arriviamo dopo varie peripezie e svariati km…e dire che volevamo farcela a piedi!… a Battambang, nel nostro albergo, Star Hotel, 12 St. Lark A, Group. Preakmohatep, molto spartano ma sufficiente per dormirci una notte. Cena così così in un posto chic, White Rose in St 2, City Centre, passeggiata per le vie buie e silenziose della città ci aiutano a farci compagnia prima di andare a nanna.
10/08/2016 Battambang / Sihanokville
Tra le tante cose decise prima di partire il Bamboo Train era stato messo in “poi vediamo se farlo…”, e il poi è arrivato volendolo fare. Perciò, come spesso accade in questo viaggio, ci svegliamo prestissimo senza nemmeno fare colazione, la giornata già pregna di cose da fare si è ulteriormente riempita. Visitiamo velocemente Battambang guardandola dal pulmino, osserviamo le splendide case coloniali che si sviluppano lungo il fiume Siem Reap, la piccola villetta bianca sede residenziale del Governatore, e un piccolo supermercato dove fare un po’ di spesa visto che ci aspetta un lungo tragitto per arrivare al mare. Ma dicevamo del Bamboo Train. È una vecchia e scassata linea ferroviaria che serviva a portare la gente, ma soprattutto la merce, da un posto all’altro del paese, solo che ormai è in disuso per questo tipo di servizio e viene utilizzata ad uso esclusivo dei turisti. Sta per sparire, probabilmente noi saremo tra gli ultimi ad usarla, ed è un vero peccato perché è divertentissima! Si viaggia su quadrati di legno, su cui sono appoggiati quattro cuscini, su cui sono appoggiate le natiche di quattro ‘sventurate’ persone, il tutto funziona perché vi è un motorino gestito da un guidatore che accelera o diminuisce a seconda di cosa incontra lungo il percorso. Il percorso… dunque… si è immersi nel verde della campagna cambogiana, a volte si incontrano villaggi, a volte mucche che pascolano a due cm dal nostro viso, a volte gente che cammina lungo i binari, a volte è solo e puro divertimento. Alla fine della corsa di andata andiamo a visitare quella che viene definita una fabbrica di mattoni, in verità altro non è che un capannone ubicato in mezzo al verde, dove i mattoni vengono fatti ancora a mano utilizzando un vecchissimo macchinario di legno e cotti in forni molto artigianali. Insomma, un ritorno al passato. Ritorniamo sui nostri passi, il villaggio di Kompong Luong ci attende. Questo villaggio di pescatori, sorto in mezzo al lago, ci lascia a bocca aperta… c’è chi si farà parecchie domande una volta lasciato. Perché vivere così? Perché non è nella nostra cultura vivere su delle barche, vivere sperando di pescare qualcosa, vivere con quel tanto che basta per sopravvivere, vivere giocando su una barca come stanno facendo i bambini qua adesso, vivere sposandosi e festeggiando su una barca, vivere andando a fare compere su una barca. L’impatto è notevole, giriamo tra le varie “vie” formate dalle barche stesse, raccogliamo parecchia spazzatura che naviga sul fondo del lago Tonlè Sap, sorridiamo e salutiamo i bambini che si tuffano felici da una barca “oratorio“, anche qui la chiesa convive in armonia con la moschea, c’è una donna che da il latte a un gattino dal biberon e ci sono parecchi cani sdraiati sui terrazzini delle barche più grandi…si vive in pace quaggiù. Forse c’è molta povertà, ma in quale città della Terra non vi è? Rientriamo sulla terraferma, un lungo viaggio verso il mare ci attende. Dopo tanti, tantissimi, parecchi chilometri e dopo tanta, tantissima, parecchia stanchezza arriviamo a Sihanokville, senza aver mangiato, senza aver riposato e con i primi sentori che alcuni compagni si stanno ammalando, andiamo a dormire al Beach Road Hotel, Krong Preah. La struttura si sviluppa su due piani ed è a ferro di cavallo, al cui centro si trova la piscina all’aperto, le stanze sono pulite e grandi con un bel bagno moderno.
11/08/2016 Sihanokville
Il monsone si sta abbattendo sopra le nostre teste, per rallegrarmi un attimo mi alzo e vado a fare una colazione ricca e abbondante… ne ho bisogno, ieri abbiamo decisamente saltato tutto ciò che prevedeva la parola “cibo”! E siccome un’isola simile a quella di Robinson Crusoe ci sta attendendo, non mi interessa se starò male in barca, voglio partire con la pancia piena. A poco, a poco i miei compagni mi raggiungono, ma con loro si aggiungono anche le cattive notizie. Quattro di noi non stanno bene, chi ha la febbre, chi ha problemi intestinali e chi tutte e due le cose. L’isola la vedo lontana, molto lontana, e infatti all’unanimità prendiamo una decisione drastica. Non ce la sentiamo di far muovere delle persone prive di forze, neppure di prendere una barca con il monsone in atto, con il rischio di rimanere sull’isola, perché la situazione nel frattempo sta peggiorando. Perciò cambiamo programma e decidiamo di rimanere in terraferma, anticipando la partenza per la capitale Phonm Phen al giorno dopo. Le ammalate stanno in camera, il resto del gruppo si sparpaglia a seconda delle proprie esigenze. Io e alcuni compagni decidiamo di andare a vedere il mare, visto che il tempo regge e ci sta donando un momento di tregua. Ci dirigiamo verso la spiaggia e una volta giunti un senso di pace ci sommerge, mettiamo i piedi nell’acqua, è incredibilmente calda e per nulla agitato, prendiamo una decisione, forse folle ma… “Siamo qui, almeno un bagno dobbiamo farlo!”. E nella nostra follia ci seguono tutti, tranne gli ammalati. Sotto una pioggia battente e gelida, ha iniziato nuovamente a scendere copiosa, ci tuffiamo in acqua felici come bambini e godiamo di questo attimo di “libertà”. Foto e video in acqua fatti con la GoPro rimarranno negli annali storici dei miei viaggi. Sembriamo degli sfollati per come siamo vestiti mentre ci dirigiamo verso l‘albergo, parei – kway e hawaianas sono tutt’uno sul nostro corpo, ma ci ridiamo sopra talmente siamo rilassati e contenti. Visto che il tempo e la voglia lo consentono decidiamo, dopo aver mangiato in albergo e esserci cambiati, di gironzolare per le vie di questa cittadina, iniziando a fare i primi regali e spese pazze dandoci consigli uno con l’altro. In un battibaleno giunge la sera, mangiamo tutti assieme in un tipico pub inglese, Sambo Steak House, Serendipity Beach Street (502), ottimo cibo e musica perfetta e una volta finito, prima di andare tra le braccia di Morfeo e non avendo voglia di rientrare in albergo, ci spostiamo in un locale con terrazza che da sul mare, il Raksa Bar, giusto per farci un’ultima bevuta e una chiacchierata finale.
12/08/2016 Sihanokville / Phonm Phen
Fatta la colazione, sentiti i vari bollettini medici (caso vuole tra di noi abbiamo due brave dottoresse), ci accingiamo a partire. Vista la situazione, nel frattempo si sono aggiunti ulteriori compagni alla lista “ammalati”, decido in maniera simpatica di mettere sul pulmino un pareo tra noi sani e gli ammalati, e tra risate e prese in giro ci dirigiamo verso la Capitale. Per dare respiro al viaggio, di per se’ molto lungo, e alle nostre compagne malaticce, ci fermiamo a vedere alcune cascate che si trovano all’interno del Kirirom Natural Park. Mai avremmo pensato che sarebbe stato un viaggio così difficile, le persone ammalate peggiorano perciò li facciamo riposare all’interno del Resort vKirirom Pine Resort Preach Soramarith-Kosamak National Park, che si trova fortunatamente da queste parti. Noi altri invece proseguiamo alla “ricerca perduta” della nostra meta, e dopo aver sbagliato strada, chiesto indicazioni più volte a diverse persone, comprato ghirlande meravigliose fatte di fiori colorate e fatto un pipi-stop in un mmm…?… boh, finalmente troviamo la strada. Decidiamo di comune accordo di farci un tratto di percorso a piedi, anche se…e sembra farlo apposta…la pioggia battente ci sta facendo compagnia da che siamo scesi dal pulmino. Percorriamo lo sterrato che ci porta alle cascate calpestando questa terra rossa, a tratti resa scivolosa dal contatto con l’acqua, e dal verde intenso della splendida vegetazione che si innalza tutt’intorno a noi, il silenzio del luogo invece lo vado a cercare io, mi distanzio dagli altri per godermi un momento di solitudine. A un tratto arriviamo a quello che sembra essere un villaggio, si scorgono qua e là bungalow fatti di legno, sono su palafitta e completamente aperti sui lati, su alcuni bastoni sono appesi a ‘ prender aria’ tanti tappeti dai mille colori. All’inizio sono pochi ma man mano che avanziamo danno vita a un villaggio, e che villaggio… è…. è…. sono senza parole! Chissà perché mi fa venire in mente un film che vedevo da piccola, “Brigadoon”, un villaggio che compariva dalla nebbia ogni 100 anni… piccolo, delizioso, allegro, dove gli abitanti sono gentili e sorridenti. Davanti agli occhi ho tutto ciò! Si sviluppa lungo le linee della cascata, perché alla fine una piccola cascata c’è ma sfugge dinnanzi a tanta bellezza, ed è un continuo sali-scendi… siamo pur sempre in montagna, ogni bungalow prenda vita grazie alle persone che vi alloggiano al suo interno, a volte sono intere famiglie che si stanno godendo un po’ di svago. C’è chi mangia comodamente seduto sui sopra citati tappeti colorati, c’è chi dorme o riposa beato sulle amache appese in un angolo di ogni singola costruzione, chi ride chiacchierando con il resto dei commensali, chi fa il bagno giocando nelle pozze che si sono formate lungo il percorso dell’acqua, ci sono bambini dai mille sorrisi completamente bagnati… ho davanti agli occhi l‘immagine di una bimba immersa nell’acqua, con in testa una coroncina di fiori, che si fa spruzzare da due amichetti. Quanta gioia in questa scena! Giro guardandomi intorno ma stando ben attenta a dove metto i piedi, cammino su pietre sconnesse e pantano, a un certo punto vengo fermata da una famiglia composta da adulti e bambini, stanno banchettando, saluto e dal saluto si passa alla cortesia, mi chiedono se voglio aggregarmi a loro, ringrazio ma declino l’invito. Una piccola timida commensale non demorde, vuole una foto con me, mi si avvicina timorosa con il cellulare della mamma, facciamo un “selfi” dando il via a un proprio e vero album di foto, foto fatta con gli altri bambini e gli altri commensali. Saluto andando via con un sorriso sul volto, la straordinaria bellezza del viaggiare è questa “Conoscere, comprendere e capire ciò che si sta andando a visitare”. Seguo il sentiero e sbuco davanti a un piccolo laghetto dalle acque cristalline, è circondato da bungalow vuoti e dal silenzio del luogo, visto che qua non c‘è nessuno. Mi soffermo ad ammirare, vengo via perché richiamata dagli altri, dobbiamo tornare, ci sono compagni che ci aspettano e che non stanno bene. Perciò velocemente e con tanta tristezza nel cuore, nel dover abbandonare tutto ciò, torniamo sul pulmino e raggiungiamo le donzelle. Ci fermiamo a pranzare nel Resort…ottimo servizio e buon cibo abbondante…poi tra vari pit-stop e parecchie ore di viaggio giungiamo finalmente a Phonm Phen, all’Asia Hotel, No. 170 Monivong blvd.
13/08/2016 Phonm Phen
Nulla da dire sulle camere, pulite e grandi, ma la colazione è disastrosa, tutta a base cinese, mangio qualcosa solo perché sono a digiuno dal pranzo. Oggi il gruppo si divide, chi se la prende con comodo e chi invece preferisce muoversi più celermente, io faccio parte del secondo. Per prima cosa decidiamo di andare a vedere il campo di concentramento, che dista parecchi km fuori Phonm Phen, Choeung Ek Memorial. E’ un ex-frutteto e cimitero cinese, ma ora è più noto come “Campo della Morte” o “Killing Fields”, in cui il regime dei Khmer Rossi giustiziò migliaia di persone nell’arco di quattro anni. Ci vengono date delle audio guide per seguire meglio, man mano che avanziamo all’interno del sito, ciò che avvenne in questo luogo. Tristezza, amarezza e lacrime e ciò che mi accompagnano lungo l’infinito, perché pieno di dolore, percorso. Davanti a un albero, con miliardi di braccialetti colorati appesi al tronco, alcune lacrime scendono sul mio volto, su di esso venivano ammazzati in maniera spietata i bambini. Appena entri nel sito un mausoleo attrae l’attenzione, e’ una stupa buddhista, all’interno vi è una teca che si sviluppa su tutta l’altezza della costruzione le cui pareti sono in plexiglas, la teca è occupata da più di 5.000 teschi. Molti si può notare che sono stati lesionati o sfondati. Il silenzio e il magone hanno la meglio in questo luogo sacro. Lasciamo sotto un insolito temporale il Memorial per avviarci al Palazzo Reale. Dobbiamo sbrigarci, orari ben precisi limitano la visita, e regole molto rigide sul vestiario… noi donzelle siamo un tantino scoperte… ci allungano i tempi. Riusciamo a passare i controlli delle guardie del Palazzo ed entriamo in un’altro mondo rispetto a quello visto stamattina, le costruzioni sono meravigliose e di incalcolabile valore architettonico, vi si trova parecchio oro e tanto bianco, tetti finemente lavorati e colorati, statue ornamentali ovunque e giardini perfettamente curati! È un complesso formato da 9 edifici e copre un’area di più di 6 ettari, i più notevoli sono la Sala del trono, il Padiglione di Napoleone III, Padiglione Phochani, Pavilion Chanchhaya e naturalmente la Pagoda d’argento. Ci impieghiamo qualche ora a visitarlo tutto poi la fame si fa sentire, così ci avviamo verso il bar molto occidentale dove sta pranzando il resto del gruppo, il locale è il Costa Coffee, Samdach Preah Thoamak Lekhet Ouk St. (184), si affaccia sul fiume Mekong, così mangiamo godendoci lo spettacolo di questo immenso fiume. Sazi, alcuni di noi decidono di incamminarsi lungo la sua promenade, a passo lento facciamo una passeggiata fino all’albergo, visto che non dista molto da dove ci troviamo. Il lungofiume è vitale, la gente lo invade mostrando diverse attitudini, c’è chi chiacchiera, chi passeggia con la famiglia, chi fa sport diversi tra loro (la Cambogia mi ha colpito sotto questo punto di vista, ci sono attrezzi per fare esercizi ginnici messi qua e là ad uso di tutti), chi vende cibo da asporto, e ci sono pure fedeli che si spingono per entrare all’interno di un piccolo tempio buddhista per ricevere una benedizione. Dopo varie peripezie per tornare in albergo, ci sembrava facile ma ci siamo persi parecchie volte, e aver superato mercati di ogni tipo (abbigliamento – pesce e carne – frutta e verdura con tappeti messi a terra per dare possibilità di mangiare sul posto) ci riuniamo per andare a cena tutti assieme al Friends the Restaurant, #215 Street 13, locale in apparenza sudamericano ma con un menù cambogiano… molto carino con buon cibo. Alcuni compagni ci mettono a conoscenza del fatto che l’indomani vogliono tornare al mare, io declino l’invito, preferisco visitare bene e con calma la Capitale.
14/08/2016 Phonm Phen
Ci mettiamo alla ricerca di un posto dove poter fare una colazione decente, dopo vari giri intorno all’albergo troviamo il True Coffe Shop in Preah Monivong Blvd (93), molto occidentale, iniziamo la giornata di oggi sicuramente in maniera più deliziosa rispetto a quella di ieri. Insieme ai compagni rimasti in città e ai reduci dalle varie malattie, che non ci lasciano tregua, andiamo a visitare l’altro sito importante di questo paese, l’edificio scolastico diventato prigione sotto il regime di Pol Pot, lo Tuol Sleng Genocide Museum. Sarà che l’aria oggi è pesante, grazie all’umidità che non ci dà tregua, sarà che a questo punto del viaggio siamo molto stanchi, sarà che certe cose non le comprendo, ma ogni tanto sentiamo l‘esigenza di uscire fuori dalle celle/aule scolastiche a prendere aria. L’atmosfera in alcune è veramente pesante, il pavimento nero in alcuni punti ci suggerisce che le torture afflitte all’interno di questi edifici fu al limite, se non di più, della sopportazione. I letti in ferro, lasciati apposta all’interno delle stanze, con gli strumenti di tortura fanno venire tristezza o forse rabbia. Ancor di più guardando le tante foto, oserei dire intere pareti tappezzate di foto, documentate all’epoca dagli aguzzini stessi, delle persone che qui morirono. Magone, angoscia, rabbia, urla silenziose sono ciò che provo! Un cartello con decine di regole assurde da rispettare, insieme a celle talmente piccole che anche un bambino avrebbe fatto fatica a starci, sono un ricordo che mi porto appresso tutt’ora. Dopo più di un’ora finiamo la visita dei tre edifici che compongono la struttura, la pace del giardino è la cosa più bella all’interno di questo luogo. Da lì ci spostiamo per andare a visitare il Mercato Russo, a discapito di quello meno bello e più occidentale del Mercato Centrale. È una bolgia dantesca, vi sono cunicoli stretti al limite dell’angusto, è stracolmo di gente, di cicaleccio, di mercanzia colorata, e pur avendo tutti gli stand un piccolo ventilatore la mancanza d’aria è tanta, al limite dello svenimento. Dopo aver contrattato su tutto ciò che ognuno di noi ha poi comperato, usciamo per andarci a rifocillare in un McDonalds lì vicino per recuperare forze. Dopodiché, per concludere la fase “visite culturali“, ci dirigiamo alla volta del fiume Mekong per fare la crociera serale, il traffico per arrivare fino a qua è peggio di qualsiasi città visitata finora, molliamo i tuc tuc al volo e “tutti assieme appassionatamente“ corriamo velocemente verso la barca indicata, che aveva già mollato gli ormeggi ma che molto carinamente torna a prenderci. Così insieme a tanti giovani monaci buddhisti, riposiamo un’oretta la mente e le membra gustandoci la visuale delle mille luci della Capitale che si riflettono sulle rive del fiume. È l’ultima cena tutti assieme e la decisione è ricaduta su un raffinato ristorante lungo le sponde del fiume, il Bopha Phnom Penh Titanic Restaurant, Sisowath Quay, cena non all’altezza delle altre fatte finora ma pur sempre buona.
15-16/08/2016 Phonm Phen/ Milano
Ultimo giorno, per la precisione ultima mezza giornata in Cambogia e poi si riparte. Colazione la facciamo quasi tutti assieme poi ci dividiamo, chi ha fatto mare fa quello che abbiamo fatto noi ieri, mentre ‘noi altri’ ci dirigiamo verso due isolette, che si trovano un po’ fuori dalla Capitale ma che ci servono per andare a visitare alcune fabbriche che lavorano la seta. Il tragitto con il tuc tuc, lo stesso che ci ha scorrazzato in questi tre gg, è abbastanza lungo ma i tempi sono calcolati alla perfezione per essere in tempo all’albergo e finire le valigie per prepararsi al ritorno. Dopo svariati km, dove la vita frenetica di Phonm Phen c’è scivolata davanti, arriviamo all’imbarcadero che altro non è se non una piccola chiatta dove vengono caricate persone, macchine, moto e il nostro piccolo mezzo. Una volta sbarcati, il nostro “tuctucman” si dirige immediatamente lungo l’unica stradina presente, ma solo facendo tutto il giro di questo fantastico isolotto, dove in questo caso la vita rurale la fa da padrone, viene a sapere… presumo, a fatto tutto lui!… che una fabbrica da visitare si trova esattamente sull’altra. Non importa se non riusciremo a vederla, già solo l’aver fatto il giro su questa ne è valsa la pena venire fin qui, mille sorrisi e mille saluti della popolazione locale ci hanno accompagnato finora. Ci proviamo comunque, attraversiamo un ponte che collega le due isole, e sbarchiamo sulla seconda, dove la vastità di campi agricoli, animali e nient’altro e qui presente. Arriviamo finalmente alla fabbrica, è immersa nel verde e nel silenzio, non c’è nessuno a visitarla, siamo i soli…anche il tuctucman viene con noi…ed è un vero peccato. La “fabbrica” non è una propria e vera struttura, è composta da tante piccole casette di legno su palafitta, nella parte sottostante vi lavorano mentre in quella soprastante vengono usate per dormirci. Quello che presumo essere il Capo si avvicina e ci introduce, facendoci vedere i vari passaggi della lavorazione, nel meraviglioso mondo della seta: partiamo prendendo in mano uno dei vari bachi che si trovano all’interno di un cesto in bambù, e finiamo osservando ammirati le mani delle signore del posto che lavorando, attraverso l’uso di telai di legno, minuziosamente e velocemente creano delle sciarpe di seta dai mille colori. Non potevamo chiedere di meglio come finale per questo viaggio. Torniamo all’albergo con sciarpe da regalare, e torniamo dai nostri compagni consapevoli che un lunghissimo viaggio di ritorno ci aspetta.