Cala Gonone è un’isola (ma non lo sa)

Se, come me, amate le immersioni subacquee, Gonone è ben fornita di diving ben attrezzati. Gli azzurri fondali del golfo di Orosei sono ricchi di relitti, di grotte, di pareti e di reef adatti ad ogni brevetto, dal primo grado al subacqueo tecnico. Preferite dedicarvi alla scalata? Anche nel vostro caso, le pareti che si arrampicano sugli alti monte che abbracciano il paese vi offriranno indimenticabili emozioni. Se questi sport non fanno per voi, potete noleggiare un kayak e raggiungere una delle tante spiagge che si trovano a portata di… remo. Oppure imbarcarvi per una piccola crociera nel golfo e visitare la celebre grotta del Bue Marino dove vi racconteranno tutto sulla foca monaca che, un tempo, abitava queste coste. Le guide ben preparate, vi sottolineeranno la speranza di vederla, prima o poi, riaffiorare dalle acque del golfo, assieme alle balene che, di tanto in tanto, continuano ancora a far capolino.
Ma queste sono cose che trovate su una qualsiasi guida. Andiamo invece alla ricerca di qualche storia. Già, Quelle storie che mi piacciono perlomeno quanto mi piace il mare e che cerco sempre in tutti i miei viaggi. E quella che vi voglio raccontare è quella dei ponzesi e delle panchine.
Ma che lingua è questa?
Non so voi, ma io, in lingua sarda, non so dire neppure le parolacce. Questo è un bene perché da queste parti tutti mi ritengono una persona educata, ma quella volta, passeggiando sul lungomare dell’Acqua Dolce che chiude il paese a settentrione, si capiva subito che la gente parlava un dialetto che mi suonava come una specie di napoletano. E così ho scoperto che a Cala Gonone c’è una folta colonia di ponzesi. Le cronache raccontano che si sono stabiliti qui sin dall’inizio del ‘900. Sono loro che hanno colonizzato questa isola paese, facendo quello che a nessun sardo sarebbe mai saltato in mente di fare: costruirsi una casa con le finestre sul mare e vivere di pesca. I sardi, come ci ha spiegato Marcello Fois nel suo “in Sardegna non c’è il mare”, non vanno molto d’accordo col continente azzurro. Sarà perché tutto quello che è sbarcato ha portato con sé solo rogne, piraterie ed invasioni, o perché le terre vicine alla costa erano le più insalubri e malariche.
E questo spiega anche il mistero delle panchine. Già. Le panchine. Parlo delle panchine comunali, quelle messe apposta perché la gente ci si sieda per fare due chiacchiere ed ammirare il paesaggio. Ebbene, a Cala Gonone erano tutte rivolte verso i monti! La prima volta che le ho viste, non credevo ai miei occhi. Ho anche provato a smuoverle, pensando ad uno scherzo. No, no. Erano tutte ben imbullonate al suolo e tutte davano coscientemente le spalle al mare. L’amministrazione di Dorgali deve essere convinta che i viaggiatori preferiscano guardare la strada, il via vai delle auto o le belanti greggi che zampettano in lontananza sui monti, piuttosto che tuffare gli occhi ed il cuore nell’azzurra distesa marina!
Ma non è tutta la verità quella che vi sto raccontando. Una panchina che guarda verso il mare, una sola, l’ho trovata. Ma non è una di quelle eleganti, targate “assessorato al turismo”. È una sgangherata panchina di vimini di colore rosso acceso, mezza divorata dalla salsedine e dalle piogge. L’ha sistemata sulla strada una famiglia di pescatori ponzesi. Quando sono a terra, vanno a sedersi là, che più vicini all’acqua non si può. Cuciono le loro reti mentre ascoltano in silenzio le onde come il loro eterno sciabordio potessero narrare la storia dei loro nonni salpati, oltre un secolo fa, da quell’altra isola che sta proprio dall’altra parte del mare.