Cairo, Alessandria, oasi, deserti e dromedari: viaggio nell’Egitto alternativo che arriva alle radici della cultura araba

Gennaio 2025. Le feste natalizie sono finite, passate con parenti ed amici. Ora abbiamo voglia di qualche giorno tutto per noi. L’attrazione verso paesi affascinanti ci chiama ancora una volta a cercare una meta particolare e così, nonostante ci fossimo già stati diverse volte, l’Egitto ci è rimbalzato nella mente così intensamente che abbiamo cercato subito dei voli. Ma niente spiagge affacciate su un mare cristallino, placide navigazioni lungo uno dei fiumi più belli del mondo o frettolose full immersion di gruppo nell’archeologia. La nostra destinazione è Il Cairo. Vogliamo fare base lì e muoverci nella zona, prendendoci il tempo per gustare quello che più ci piace. Decidiamo per quattro notti nella zona di Giza e quattro notti in pieno Cairo, con l’intermezzo di una notte chissà dove.
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Diario di viaggio in Egitto
Giorno 0 – Arrivo a Giza
È buio pesto. Dall’aeroporto, dopo aver percorso ampie e deserte strade a cinque corsie, il taxi si inoltra nella periferia di Giza, città nota per la presenza della Necropoli dell’Antico Egitto che ospita le Piramidi e la Sfinge. Giza si trova sulla sponda occidentale del Nilo che taglia in due la Grande Cairo, una megalopoli di oltre ventuno milioni di abitanti. Ad est del fiume c’è Il Cairo. Il taxi procede sicuro tra strette stradine semi sterrate avvolte in una luce giallastra ed un inconfondibile odore di stalla. Destinazione uno dei vari Hotel Pyramids View impossibili da riconoscere tra le case malandate, se non fosse per sgangherate insegne. Un sonnolento addetto alla reception ci da il benvenuto sbadigliando come un ippopotamo e ci informa che la camera da noi scelta non è disponibile in quanto i fuochi artificiali di capodanno hanno danneggiato l’impianto elettrico dell’albergo. Alle due di notte non hai troppa voglia di ridergli in faccia e così accettiamo di farci spostare in un albergo adiacente. Prima di farci vedere la camera, ci offre un tè sulla terrazza dalla quale si vedono le sagome delle Piramidi, vicinissime ed illuminate dalla notte di una città che non sarà mai buia. Occhi e cuore si spalancano ed addolciscono la vista della camera in cui dormiremo almeno stanotte, un buco così piccolo che per girare intorno al letto dobbiamo camminare di profilo, calandoci perfettamente nelle usanze degli antichi Egizi. Ma almeno la Wi-Fi funziona e ci permette di cercare e trovare un altro albergo.
Giorno 1 – Grande Piramide di Cheope
L’indomani di buon’ora, lasciato il nostro confortevole nido, ci avviamo a piedi verso il nuovo alloggio. La luce del giorno scopre dove siamo ed il motivo del forte odore di stalla. Ci troviamo immediatamente all’esterno della piana che ospita Piramidi e Sfinge e centinaia di dromedari e cavalli vengono tenuti qui durante la notte per poi rientrare al mattino nell’area archeologica. Il pianeta turismo si sta svegliando, con mille conduttori di animali e venditori di souvenir pronti a guadagnarsi la pagnotta stressando orde di visitatori. Lo slalom tra milioni di defezioni animalesche è divertente e coreografico e non ci disturba più di tanto. Questo mondo va accettato così com’è e se non fosse tale noi non saremmo qui. La caccia al tesoro del nuovo albergo si fa interessante. Niente e nessuno ci indica dove si trovi, eppure dev’essere qui. Anche se è così bello parlare con la gente, un po’ in inglese e un po’ a gesti, siamo costretti a passare al piano B. In una microscopica botteguccia acquistiamo una scheda dati che inseriamo nel cellulare e l’Egitto diventa a portata di informazioni. Ma nonostante il web ci aiuti e restringa moltissimo la ricerca, il misterioso albergo è introvabile. Solo ritornando alla cordialità delle persone e al passaparola tra i gestori dei negozietti, capiamo di essere proprio di fronte al nostro albergo che non si chiama più come indicato da Booking ma in un altro modo. Ecco svelato il mistero.
Discreta reception e gentile receptionist ci fanno sperare di averci azzeccato. Beh, anche se la scala interna è proporzionalmente sempre più sgangherata salendo tre piani, la nostra camera è ampia, luminosa, pulita quanto basta e con un balconcino affacciato sulla sottostante via gremita di gente, animali, carretti, macchine ed autobus, dal quale si gode una spettacolare vista sulle Piramidi, ancora più vicine. Cosa vorremmo di meglio? Prendiamo confidenza col posto tra negozi di souvenir, piccoli locali, fruttivendoli, panettieri, poliziotti, rivendite di alimentari. Mangiamo qualcosa al volo, accostandoci alla cucina locale con la stessa curiosità che ci ha portati qui e nel pomeriggio entriamo nella necropoli dalla porta delle Piramidi per un primo incontro. Credo ci siano innumerevoli modi di accostarsi a certi luoghi che appartengono al passato. Curiosità, fascino, notorietà o anche solo perchè-mi-ci-hanno-portato. L’egittologia è sempre stata una delle mie passioni. Ho letto molti libri e testi anche antichi, terribilmente noiosi per i più ma non per me. Durante i nostri passati viaggi in Egitto l’avevo coltivata ed arricchita tra tanti siti archeologici anche poco visitati dal turismo, ma non ero mai riuscito ad entrare nella Grande Piramide di Cheope, una delle Sette Meraviglie del Mondo Antico.
Stavolta non volevo farmela sfuggire quindi filiamo dritti alla biglietteria e ci mettiamo ordinatamente in coda. Quanta emozione infilarmi finalmente all’interno di quelle gallerie, apoteosi di una capacità progettuale e costruttiva di un’opera eterna che non si sa ancora ne come ne quando sia stata realizzata. E non mi interessa condividerne lo spazio con centinaia di turisti indifferenti che pensano solo a farsi inutili selfie dentro e fuori la Piramide. In quei momenti c’ero solo io, Paola e milioni di tonnellate di pietra intorno a noi, ferme lì da oltre 4500 anni. Saliamo il Cunicolo Ascendente, uno stretto corridoio da percorrere chinati dribblando chi sta scendendo, poi la Grande Galleria, alta, imponente, con una doppia scala, ed infine sbuchiamo in una spoglia camera con un semplice sarcofago. Nient’altro che pietra ma tutto terribilmente suggestivo. Assolto con impagabile soddisfazione l’impegno che mi ero ripromesso, giriamo pigramente sulle sabbie polverose della piana, immersi tra millenni di storia. Non abbiamo fretta di correre a visitare tutto. Domani dedicheremo l’intera giornata alla necropoli. Con calma ci avviamo all’uscita e ci ributtiamo nel colorito caos della città, portando con me una Kefiah, la tradizionale sciarpa araba, acquistata da una giovane donna proprio ai piedi della Grande Piramide. In una piccola bottega sotto l’albergo prendiamo qualche stuzzichino e birra locale analcolica, che sa di tante cose tranne che di birra. Saliamo sulla terrazza proprio sopra la nostra camera. L’aria è tiepida, piena di profumi, odori e polvere. I richiami dei Muezzin si mescolano ai suoni del giorno che sta finendo. Sotto di noi il brulichio della gente, i clacson delle macchine, le grida dei bambini che giocano. E lì, cosi vicine che sembra di poterle toccare, le Piramidi con la loro immobilità impassibile alla frenesia di una metropoli. Le immani sagome stanno sfumando nella luce del tramonto prima di accendersi dei colori dello spettacolo Suoni & Luci. Dove poter gustare un aperitivo migliore?
Giorno 2 – Necropoli di Giza, Nuovo Museo Egizio
L’area della Necropoli di Giza è davvero enorme. Girarla a piedi fa percorrere chilometri ma abbiamo tempo e voglia di stancare i nostri piedi. Entriamo dalla vicina porta della Grande Sfinge. Il flusso di marea del turismo di gruppo non ha ancora invaso il sito. Nell’antico Egitto l’iconica figura dal corpo leonino e testa umana rappresentava la protezione dell’eterno riposo dei Faraoni. Ve ne sono migliaia in tutto il Paese, ma qui a Giza ha raggiunto la massima espressione. Rivolta verso est, protegge la Piramide di Chefren di cui pare abbia raffigurato il volto. In passato ci si poteva avvicinare alla statua fino a toccarla, ma da qualche anno è stata circondata da un recinto che permette solo di ammirarla da lontano. La Sfinge emana un fascino tutto suo, nonostante le sproporzionate zampe anteriori ed il volto del presunto Faraone deturpato dai Mamelucchi nel XIV secolo per ragioni mistico-religiose legate all’Islam. L’atmosfera che si respira insieme alla polvere, rende coreografici e non fastidiosi i venditori di pacchiani souvenir ed i conduttori di carretti, cavalli e dromedari che ci propongono di visitare il sito più comodamente che a piedi, anche se non credo che selle e basti possano essere così confortevoli. Rifiutiamo con cortesia strappando qualche sorriso a chi ci riconosce subito come italiani (chissà perché) ed iniziamo un lungo peregrinare che a fine giornata avrebbe fatto scaricare le batterie di un contapassi. Saliamo al Tempio in Valle e alla piramide, trovandola chiusa ai visitatori. Ci basta camminare e osservare quanto ci sia lì attorno, dettagli normalmente invisibili agli occhi del turismo calamitati dall’imponenza della piramide. Ci lasciamo trasportare dal tempo. Ovunque dalla sabbia spuntano pietre scolpite con magnifici geroglifici, tra i suoni rauchi e lamentosi dei dromedari. Arrivati alla piramide di Micerino, la più piccola delle tre ma con l’interno forse più interessante, dato che l’accesso stranamente non è affollato decidiamo di entrare anche se l’avevamo già visitata in passato. Corridoi e sale sono articolati e terribilmente bassi ed afosi, ma sempre molto intriganti. In breve ci troviamo a metà pomeriggio senza essercene nemmeno accorti ed avendo saltato anche il pranzo.
Beh, ormai siamo caldi quindi perché non andare al Nuovo Museo Egizio? Sulla mappa di Google non sembra così vicino ma vorrai mica prendere un taxi? Di fatto, camminando per chilometri arricchiti dalla roulette russa dell’attraversamento di grosse strade trafficate, arriviamo al GEM, il Great Egyptian Museum. Destinato a diventare il più grande museo egizio del mondo, non è ancora del tutto completato. È sproporzionatamente grande e moderno, richiesto da un ringiovanimento della città voluto dal Governo. Le sale sono tanto grandi ed organizzate quanto asettiche. Rimanendo all’interno del complesso, si trovano negozi, locali e ristoranti. Bello sì, ma sconfitto a mani basse dal fascino del vecchio Museo in centro al Cairo. E non so quanto la nuova sala dedicata a Tutankamon potrà restituire l’emozione che sprigionano i suoi tesori nella vecchia sede. Si è fatta sera. Col servizio Uber rientriamo in albergo. I nostri piedi ringraziano sentitamente. Aperitivo sul balcone? Perché no.
Giorno 3 – Oasi del Fayoum
Oggi si parte per il primo giro fuori città. Usciamo in auto con non poca fatica da Giza nonostante l’esperienza del nostro tassista e ci portiamo verso l’Oasi del Fayoum, un centinaio di chilometri a sudovest del Cairo e a circa trenta chilometri dalle acque del Nilo cui è collegata da un canale artificiale. L’Oasi era frequentata già all’epoca dei Faraoni in quanto il suo clima fresco e la presenza di acqua e vegetazione ne facevano il luogo ideale per sottrarsi al caldo torrido del deserto. Prima tappa il Wadi al-Hitan, la Valle delle Balene. La strada si inoltra in una zona desolata dai colori ocra. A ridosso del Qarat Gahannam, la Montagna dell’Inferno così chiamata perché la luce del tramonto la colora di un rosso intenso, si apre un’ampia vallata costellata da centinaia di scheletri fossili di antichi cetacei estinti, progenitori delle odierne balene, lunghi fino ad oltre venti metri e risalenti a quaranta milioni di anni fa, riemersi dagli antichi fondali marini. Ve l’ho detto che la paleontologia è un’altra delle materie che più mi hanno affascinato? Non mi sono perso nemmeno un film della saga di Jurassic Park. Seconda tappa il Wadi el-Rayan, ancora più a sudovest, un’area protetta visitata dalle migrazioni di diverse specie di uccelli dove, in un paesaggio desertico con dune di sabbia, si trovano sorgenti sulfuree e due laghi artificiali collegati da una cascata, la più grande d’Egitto. Il lago più ampio viene chiamato Lago Magico perché le sue acque, considerate curative, cambiano colore a seconda della luce del sole e della stagione. L’intermezzo fuori dal caos della città ci ha offerto l’opportunità di apprezzare un primo assaggio dell’Egitto alternativo che stavamo cercando. Il viaggio si sta facendo sempre più bello.
Giorno 4 – Deserto Occidentale, Bahariya, el Beyda
Si parte presto stamattina. Abbiamo preso un tour di due giorni verso il Deserto Occidentale. Una macchina ci porterà all’oasi di Bahariya a circa trecentocinquanta chilometri a sud del Cairo. La strada è scorrevole. Arriviamo dopo oltre quattro ore ad un punto di incontro dove saliamo su una grossa Toyota con un altro autista e riprendiamo a viaggiare. Intorno a noi iniziano a scorrere piane desertiche, dune e rilievi di un intenso colore scuro. È il Sahara el Beyda, meglio noto a noi europei come il Deserto Nero, così chiamato per la pietra lavica che lo ricopre a perdita d’occhio, depositatasi a seguito di antiche eruzioni vulcaniche. La 4×4 scivola sicura sulle scie sabbiose che si inoltrano nella piana, salendo su colline panoramiche e scendendo lungo ripide tracce, fino a raggiungere la Crystal Mountain, una collina ricoperta di cristalli di quarzo che brillano al sole. I tempi purtroppo stretti ci fanno lasciare la zona e spostarci verso il Deserto Bianco, l’immensa arida area che si estende verso la Libia. Fino a 5000 anni fa qui viveva la tipica fauna della savana africana tra fiumi, laghi e sorgenti sotterranee, oggi le uniche rimaste a nutrire poche oasi rigogliose. Quando l’acqua scomparve, in un paesaggio di un bianco abbagliante emersero enormi monoliti di arenaria che il vento ed il tempo hanno modellato in strane forme lasciate alla fantasia degli uomini. Mentre ci spostiamo da un dromedario ad un pollo, da un fungo ad un melone, il sole sta calando. Le ombre si allungano ed il colore delle rocce passa dal bianco brillante al rosa, al crema, all’arancio, al marrone dorato arrivando fino al blu alla luce della luna. Zigzagando tra queste sculture naturali, arriviamo ad una bianca e solitaria tenda, il rifugio per la notte. Accendiamo un fuoco. Il nostro organizzatissimo autista, aiutato da Paola, in breve prepara un’ottima cena con verdure, zuppa, carne alla brace, frutta e dolce. Prima di andare a dormire ci soffermiamo intorno al fuoco finché le ultime braci non rischiarano più la sabbia. Fa freddo. Il cielo è terso e regala un’impressionante carosello di stelle. La notte passa dormendo vestiti su un sottile materassino posato su stuoie, imbacuccati dentro sacchi a pelo sotto pesanti coperte sintetiche. Ma è la notte più bella di tutto il viaggio.
Giorno 5 – Monte dei Morti
Nel freddo intenso dell’alba il tè preparato dall’autista fuma come una locomotiva scaldandoci le ossa intorpidite dal freddo e dal duro giaciglio. I dolci confezionati sembrano i migliori croissant di una pasticceria ed i resti della cena assomigliano ad un ricco buffet. Ripresa la Toyota ripartiamo alla ricerca di altre strane formazioni. Il programma è stretto e non ci consente di visitare i tanti luoghi interessanti di questo Deserto. Lasciamo quindi ad un futuro e certo ritorno le sepolture egizie del Monte dei Morti, la Piscina di Cleopatra nell’oasi di Siwa, il Tempio di Amon ed il Museo dei reperti ritrovati nella Valle delle Mummie. Le quasi cinque ore per tornare al Cairo ci servono per fissare nella mente ciò che abbiamo visto, per sonnecchiare (io regolarmente mi addormento in macchina), per tentare di parlare con l’autista tramite Google Traduttore, per stupirci del traffico pazzesco della capitale e per raggiungere il nuovo albergo proprio in centro. La sera passeggiamo nei dintorni lungo vie affollate di gente e macchine. La sagoma del vecchio Museo Egizio è oscurata dalle luci dei tanti negozi, molti dei quali di stampo europeo. Oltre piazza Tahir raggiungiamo uno dei quattro ponti che attraversano il Nilo e portano sull’Isola Gezira. Alberghi pluristellati si accalcano nella zona, contrasto forte con l’oscura calma del Nilo che qui scorre da innumerevoli secoli.
Giorno 6 – Necropoli di Saqqara, Alessandria d’Egitto
La strada costeggia un rettilineo canale dove acque immobili trasportano piccole barche e rifiuti. Gli effetti benefici della presenza dell’acqua si vedono chiaramente. La vegetazione è rigogliosa con campi coltivati intervallati da modeste abitazioni. La gente sta iniziando la giornata e i bambini vanno a scuola con pesanti zainetti sulle spalle che non impediscono loro di giocare e rincorrersi. Stiamo andando verso la necropoli di Saqqara, sulla sponda occidentale del Nilo a circa trenta chilometri a sud del Cairo, dove ebbe inizio l’ascesa architettonica delle sepolture faraoniche che passarono dalle semplici mastabe alle gigantesche piramidi. Torniamo qui perché siamo legati alla Piramide a gradoni del Faraone Djoser che contraddistingue questo luogo, unica nel suo genere in tutto l’Egitto. Nell’attesa che il sito apra, facciamo colazione con il nostro autista odierno in un piccolo bar a due passi dall’ingresso mentre un uomo chiuso dentro pesanti abiti logori passa con una piccola carovana di quattro ossuti bufali. Appena entriamo, la sagoma della strana piramide riempie lo sguardo. Non so perché ci faccia questo effetto, ma ogni volta vorremmo stare ore ad ammirarla. L’area è la più antica necropoli d’Egitto con sepolture che risalgono agli albori della fondazione del Regno, da semplici bassi edifici ai primi accenni di piccole piramidi.
Superato il possente muro di cinta della piramide, si aprono diversi ingressi a tombe minori riservate a dignitari, visir e funzionari. Un custode ci invita a visitarne una. Con il suo bel mazzo di chiavi in tasca, apre la grata di accesso e ci fa varcare la soglia di un mondo fermo da millenni, un piccolo santuario che sovrasta una semplice camera sotterranea, la tomba vera e propria. Meravigliose incisioni ricoprono le pareti interne, conservate intatte anche nei colori originali. Migliaia di geroglifici raccontano l’esistenza terrena seppur breve del defunto, ma senza esagerare come per i Faraoni. Qui niente vittorie schiaccianti sui nemici, gesta eroiche, ricchezza, potenti divinità ad accompagnare o accogliere il defunto nell’Aldilà, ma solo momenti di lavoro e di svago, attività domestiche e familiari. La meraviglia di osservare il fine lavoro di cesello degli antichi Egizi si arricchisce dall’emozione che ispirano queste scene di vita vissuta, la cui semplicità ha regalato ai posteri la vera realtà quotidiana di un mondo scomparso. Dopo aver vagato con la mente e fisicamente tra altre sepolture, raggiungiamo l’ingresso del Serapeo, il complesso tombale sotterraneo dei tori Api, scelti alla nascita, adorati in vita ed imbalsamati dopo la morte. Un sorvegliante ci conduce lungo una ripida discesa che porta al cuore della montagna. Prende le solite chiavi che ha nella tasca della sua jellaba, la tipica tunica, e apre a grandi mandate il cancello d’ingresso al sito. L’interno, completamente buio, si accende a settori ad ogni scatto degli interruttori elettrici azionati dall’uomo, rivelando progressivamente lunghe gallerie su cui si aprono grandi nicchie. Camminiamo stupiti tra monolitici sarcofaghi in granito pesanti decine di tonnellate, chiedendoci come possano essere stati realizzati e trasportati qui. Il guardiano parla un inglese molto semplice. Ci dice che nel labirintico percorso vi sono le sepolture di ventiquattro tori sacri. Quando gli chiedo di scrivere qualcosa col dito sulla polvere, ci dice con imbarazzo di essere analfabeta. L’unica cosa che sa scrivere è la sua firma, una X. Noi siamo molto più imbarazzati di lui.
Lasciamo a malincuore il Serapeo e Saqqara per raggiungere Alessandria d’Egitto, duecentotrenta chilometri più a nord. La strada è scorrevole, almeno finché non si arriva in città. Alessandria è la seconda città d’Egitto, distesa sulle sponde del Mediterraneo. La sua storia inizia con Alessandro Magno, passa dai greci, ai romani, ai bizantini, ai persiani, agli arabi, ai francesi, agli inglesi. Distrutta da un antico maremoto, è stata ricostruita in virtù della sua posizione strategica e del suo grande porto commerciale e militare. Moltissime le vestigia architettoniche che l’hanno arricchita. Le più famose sono il Faro, considerato una delle Sette Meraviglie del Mondo, distrutto da un terremoto, e la Biblioteca, anch’essa andata persa a seguito di incendi e devastazioni. La città è tra le peggiori che abbiamo mai visitato. Sporca, trasandata, trascurata, persino fatiscente. Solo quando si raggiunge il mare si apre una città diversa, ariosa e luminosa. Sostiamo per pranzo in un locale tanto unto quanto apprezzabile per la cucina di pesce e crostacei. Nel pomeriggio non ci resta molto tempo. Andiamo subito alla Fortezza di Qaitbay, la Cittadella di Alessandria, simbolo di orgoglio nazionale egiziano costruita dai mamelucchi nel XV secolo sulle rive del Mediterraneo sulle rovine del grande Faro. Direi che la visita alla fortezza vale da sola lo sbatti per arrivare qui. Rientrando poi verso il Cairo, facciamo una breve sosta alla Nuova Bibliotheca Alexandrina nata con l’ambizioso progetto di rievocare l’antica Biblioteca. Quando rientriamo in albergo, dopo esserci persi nell’infernale traffico del centro città, è ormai buio.
Giorno 7 – Il Cairo
Oggi vogliamo dedicarci unicamente al Cairo. Ci sono tante cose da vedere e che non abbiamo mai potuto vedere nei precedenti viaggi. Per spostarci da un luogo all’altro ci affideremo ai nostri piedi e ad Uber. Ci facciamo portare alla zona Copta della città, uno dei luoghi più importanti visitati dalla Sacra Famiglia. Prima tappa The Hanging Church, la Chiesa Sospesa o Chiesa della Vergine Maria, costruita sulle mura della Fortezza romana di Babilonia del IV secolo a.C., uno dei più antichi siti religiosi cristiani in Egitto. Alle spalle della chiesa, in un giardino ombreggiato, si trova la sinagoga di Ben Ezra, la più antica sinagoga del Cairo, nata nel IX secolo d.C. come chiesa cristiana e venduta successivamente agli ebrei per poter pagare le tasse imposte dai governanti musulmani di quel tempo. Dopo un’occhiata alla Chiesa rupestre di San Simone ci spostiamo nella Vecchia Cairo presso la Moschea Amr Ibn Al-Aas. Dopo la morte del profeta Maometto nel 632 d.C., l’Islam si stava diffondendo ed arrivò nell’Egitto copto nel 640 d.C. con il generale musulmano Amr Ibn Al-Aas cui fu dedicata la moschea. Oggi non è rimasto nulla della struttura originaria costruita con mattoni di fango, tronchi e foglie di palma, ma è ancora il sito della più antica moschea d’Egitto e dell’intero continente africano. Passiamo poi alla Moschea Ibn-Tulun del IX secolo d.C. la più grande moschea del Cairo, eretta su un enorme area circondata da un recinto allo scopo di mantenere la città a distanza. Il suo minareto a spirale la rende unica nel suo genere. La vicina Moschea del Sultano Hassan è un’enorme complesso mamelucco del XIV secolo d.C. edificato sul sito conosciuto come souk Al Khayl o mercato dei cavalli. La Moschea, progettata più come madrasa (scuola coranica) che luogo di preghiera, è uno dei monumenti più preziosi del mondo islamico. Sull’enorme corte centrale si affacciano le aule e gli alloggi per studenti e personale. La costruzione della moschea fu finanziata con i beni delle vittime dell’epidemia di peste che colpì il Cairo nel 1348, provocando l’odio da parte della popolazione nei confronti del Sultano, tanto da assassinarlo due anni prima che la moschea venisse ultimata.
La Cittadella del Cairo è una tappa immancabile. È una fortificazione del XII secolo d.C. realizzata da Ṣalāḥ al-Dīn come protezione contro i Crociati. Fu costruita su un promontorio nel centro del Cairo con un’ingegnosa rete di approvvigionamento idrico. Circondata da mura sempre più rinforzate ed allargate per inserirvi cannoni per contrastare l’invasione napoleonica, la Cittadella ospita la Moschea ottocentesca di Muhammad Alì Pascià, nota anche come la Moschea di Alabastro per i rivestimenti delle pareti, costruita in stile ottomano con una coppia di minareti alti oltre 80 metri, una torre con l’orologio che non ha mai funzionato donato dal re di Francia in cambio dell’obelisco di Luxor, una grande cupola affiancata da altre due cupole minori ed un grande cortile con una fontana per le abluzioni. Nel frattempo si è fatto tardo pomeriggio. Decidiamo di rientrare in albergo attraversando parte dell’enorme Khan el-Khalili, il mercato secondo per dimensioni solo al Grande Bazar di Istanbul. Inimmaginabile lasciare il Cairo senza averlo visto. Si trova nel cuore della città, in una zona fortificata dall’aspetto medievale, dove si respira la magnificenza dell’arte mamelucca. Nato nel XIV secolo come caravanserraglio, oggi è un labirinto di vicoli dove si possono trovare tessuti, pelli, alimentari e cibo tradizionale egiziano, spezie, gioielli e profumi, lampade colorate, tele, oggetti di artigianato, strumenti musicali, manufatti in rame e ogni tipo di souvenir, oltre ad antichi locali per bere tè e caffè e fumare la shisha. Purtroppo è anche ricordato per gli attacchi terroristici del 2005 e del 2009 che provocarono decine di vittime e feriti. La tecnica per visitare il mercato è entrare da dove ti capita, girare a caso senza nemmeno tentare di orientarti (tanto non ci riesci nemmeno con Google Maps) e quando sei stanco cominciare a chiedere ai venditori dov’è l’uscita più vicina. Non serve la padronanza della lingua inglese. A loro basta guardarti in faccia e vedere come sei cotto per capire cosa stai cercando. Una volta fuori prendi il primo taxi che capita, contratti il prezzo e ti fai portare in albergo. Detto fatto.
Giorno 8 – Birqash
Ultimo giorno in Egitto. Che peccato. Ma di certo non lo sprecheremo. Contattato Uber, arriva un’auto tutta bella pulita con un cortese autista vestito a festa. Se sapesse dove ci sta portando ci lascerebbe lì. Usciamo dalla città ancora un po’ addormentata perché oggi è venerdi. Destinazione il villaggio di Birqash, ad una trentina di chilometri a nordovest del Cairo. L’autista non parla una parola di inglese e Google Traduttore fa gli straordinari. Poco dopo iniziano strade secondarie e sconnesse e l’autista ci guarda in modo dubbioso. È ora di spiegargli cosa siamo venuti a fare lì. A Birqash si tiene il Souq al-Gamaal, il più grande mercato di dromedari dell’Africa mediterranea. Vi si trovano centinaia di capi che arrivano dopo aver attraversato il deserto provenienti da Libia, Somalia e Sudan. Inutile dire che l’autista è incredulo ma la cosa ci fa sorridere tutti. Strani gli italiani, vero? Però ci rendiamo conto che se ci facessimo lasciare lì, come faremmo a ritornare indietro? Gli proponiamo così di portarci fino al mercato, aspettarci e riportarci al Cairo e lui accetta volentieri i venti euro che gli sventolo sotto il naso dato che per portarci qui ne avevamo spesi poco più di cinque. La sua macchina inizia ad incipriarsi come una vamp mentre incrociamo pick-up scassati con dromedari legati nel cassone. Dopo una decina di chilometri ecco il mercato, un’esplosione di grida, polvere e colori. Si tiene il venerdi e la domenica all’interno di un vasto cortile recintato su cui si affacciano diversi cortili laterali. C’è così tanta folla di uomini e dromedari che se tirassi in alto una moneta non cadrebbe a terra. Mentre ci avviciniamo all’ingresso, diversi uomini ci chiedono da dove veniamo. Italia? Benvenuti in Egitto.
È vero che siamo gli unici turisti, ma come hanno fatto a capire che non siamo egiziani? Boh. Comunque sono tutti cortesi e sorridenti, anche il giovanotto che ci chiede 400 pounds (circa 7,50 euro) per l’ingresso, rilasciandoci persino la ricevuta. L’autista approfitta del fatto di non esserci mai stato e decide di non restare ad aspettarci in macchina ed entra con noi. Beh grazie, visto che immediatamente un uomo ci restituisce 200 pounds. Potrei tenervi a leggere un’ora tentando di raccontare cosa succede in quel mercato. Sappiate che le aste di vendita avvengono a suon di urla animalesche sia dei venditori che dei compratori che dei dromedari. Tutti gli uomini impugnano lunghi bastoni tipo canne di bambù. Gli animali vengono percossi su schiena, collo e muso e finita la vendita caricati a legnate sui pick-up. Una delle zampe anteriori è legata strettamente ad U per impedire loro di muoversi ma ogni tanto qualcuno si libera e corre all’impazzata tra la gente, i furgoni ed i carretti che vendono tutto il necessario alla macellazione, rincorso dal proprietario che anziché calmarlo lo bastona. Diciamo che non è proprio uno spettacolo edificante e se si è un po’ sensibili è meglio evitarlo. Ho chiesto all’autista il perché di tanta violenza. Ha risposto che è costume, l’unico modo che la gente conosce per condurre le trattative. In tutto quel casino Paola è l’unica donna insieme ad altre due donne egiziane, ma non si sente a disagio. Circondati da centinaia di uomini che nemmeno si accorgono di noi da tanto sono impegnati o che ci sorridono cordialmente, un’ora dopo risaliamo su una macchina che ha cambiato colore per la polvere, così come noi e l’autista ancora perplesso. Il viaggio di ritorno passa ridendo e chiacchierando con lui sempre con Google Traduttore. Quando gli diciamo che grazie a due italiani un po’ strani avrà qualcosa di nuovo da raccontare alla sua famiglia, ci risponde che è vero ma oggi ha anche guadagnato due amici. Rientrati al Cairo ci facciamo lasciare ad Al-Qarafa, la Città dei Morti, il più antico cimitero musulmano d’Egitto. La sua peculiarità è che viene utilizzato come luogo di sepoltura ma di fatto è abitato da una vasta comunità. Pare che circa un milione di egiziani vivano tra tombe, piccoli mausolei e moschee. Il cimitero si estende per circa una decina di chilometri quadrati ed è suddiviso in quartieri dove i sepolcri sono stati trasformati in piccoli cortili, gli alloggi pertinenti ristrutturati in dimore o gli edifici privati si mescolano ai loculi.
La Città dei Morti risale al VII secolo d.C. durante la conquista islamica del paese. Oggi è un immenso patrimonio storico, architettonico e culturale egiziano. Passeggiamo tra le strette vie e le tombe dove i bambini giocano, le donne cuciono e gli uomini oziano. Essendo venerdi c’è un particolare movimento. Alcuni ragazzini, incuriositi dalla nostra presenza, ci circondano e ci tempestano di domande, un po’ in inglese un po’ a gesti. Abbiamo calamitato la loro attenzione almeno finché arriva un uomo con un carretto a distribuire una sorta di minestra contenuta in sacchetti di plastica dai quali, praticando un piccolo foro con i denti, i ragazzini aspirano il cibo. L’arrivo di Uber ci toglie dall’imbarazzo di rifiutare l’offerta di assaggiare la minestra. Visto che è ora di pranzo e che anche noi abbiamo un certo languorino, ci facciamo portare al parco pubblico di Al-Azhar, aperto nel 2005. All’ingresso ci viene chiesto di pagare 100 pounds a testa (circa 1,4 euro) ma per la macchina fotografica dovremmo pagarne 500 (poco più di 9 euro). Solo quando li assicuriamo di non usarla, ci fanno entrare senza pagare. Se il problema era fare fotografie, i cellulari non fanno lo stesso? Il parco è molto bello e frequentato per il giorno di festa. Giardini, aiuole, vialetti, terrazze panoramiche ed un lussuoso ristorante rallegrano la visita. Prendiamo due happy meal da un furgone-bar e ci sediamo su una panchina sorseggiando due Coca Cola e mangiando due hamburger che non sono poi così male, osservando le famiglie che hanno portato al parco i figli per farli giocare. Una cosa spicca su tutto. Come in nessun altro Paese islamico che abbiamo visitato, e non sono pochi, qui in Egitto la percentuale di donne in abiti musulmani è altissima, soprattutto col niqab che copre tutto il corpo ma lascia scoperti gli occhi e le mani o con il più integralista burka. E Allah non me ne voglia se ho sbagliato qualcosa. Dopo la pausa al parco, sempre col buon Uber torniamo al Khan El-Khalili. Entriamo da una delle tre porte di accesso rimaste, la Bab Zuwayla dal nome di una tribù di guerrieri berbera del Deserto Occidentale, inconfondibile per la presenza di due alte torri che possono essere scalate tramite una ripida e strettissima scala a chiocciola interna. Giunti alla sommità e vinte le vertigini, si può ammirare un panorama spettacolare sulla Cairo Vecchia e su tutto il mercato. Anticamente era il luogo di esecuzioni capitali dove venivano appese le teste dei criminali e le gabbie con i condannati in attesa della morte per inedia. Vogliamo assaporare questi ultimi momenti del nostro viaggio. Ci lasciamo trasportare nei vicoli, curiosi e attenti se mai trovassimo qualcosa in vendita che ci colpisca. Ed accade. In un microscopico negozietto di roba vecchia, vediamo una sorta di piatto metallico a forma di mela con incisioni concentriche su tutta la superficie. Il venditore è un ragazzo che non parla inglese e si fa aiutare da un amico più istruito. Capiamo che i simboli sul piatto sono i 99 nomi ed attributi divini di Allah. Ora è su un mobile della nostra casa. Con fatica e cordiali sorrisi, ci viene indicata l’uscita dal suq attraverso la Bāb al-Futūḥ, ossia la Porta della Vittoria, dove ci attende un caos incredibile. Il buon Uber fatica a trovarci nel casino che c’è ma alla fine, pur ingabbiato nel traffico, riesce a portarci in albergo.
Il viaggio è terminato. Una bellissima esperienza, almeno per noi, che ci spingerà di sicuro a ritornare in Egitto per scoprire altri luoghi speciali come quelli che abbiamo visto.