Budapest, la città mosaico

Budapest mi ha fatto scoprire una curiosità nuova che si può provare viaggiando, non nei confronti della meraviglia, ma della realtà; in contatto con le tensioni e le pulsioni di una città che bolle in pentola e in cui ogni cosa ha una forte carica di energia che arriva dalla storia travagliata di questa città e di questo Paese
Scritto da: pannapanni
budapest, la città mosaico
Partenza il: 21/10/2017
Ritorno il: 25/10/2017
Viaggiatori: 2
Spesa: 500 €
La sensazione che Budapest mi lascia dopo avermi ospitata per quattro giorni è di confusione. Confusa dalla commistione di stili e situazioni che in questa città convivono l’uno sull’altro, e di cui il senso generale è difficile da afferrare. I Turchi hanno lasciato l’abitudine dei bagni termali, i francesi i grandi viali, gli austriaci i palazzi, i nazisti un’ombra nera la cui memoria è forte passeggiando nel vecchio ghetto; dei Russi si sente un’eco a volte nostalgico ed in tutto ciò l’origine magiara dell’Ungheria costituisce la base su cui tutti i pezzi del puzzle si incontrano. Budapest è una “Parigi dell’est”, come disse un mio amico, ma di Parigi non ha il suono. In questo viaggio non c’è poesia, non ci sono quei momenti in cui guardi davanti a te e dici “ahhhh, uau”, ma c’è molto altro. Budapest mi ha fatto scoprire una curiosità nuova che si può provare viaggiando, non nei confronti della meraviglia, ma della realtà; in contatto con le tensioni e le pulsioni di una città che bolle in pentola e in cui ogni cosa ha una forte carica di energia che arriva dalla storia travagliata di questa città e di questo Paese. Budapest è più grande di quanto mi immaginassi. Non sono riuscita a visitarla nella sua interezza e per questo sicuramente vi farò ritorno, un giorno. Nel frattempo, quello che segue è il mio suggerimento per un possibile itinerario alla scoperta della città. Ci dirigiamo verso Budapest in auto da Venezia, seguendo una strada per lo più dritta come un fuso. Non dimenticate di acquistare la vignetta prima di entrare in Slovenia (un adesivo da attaccare sul cruscotto per transitare nelle autostrade per 10 giorni) e una prima di entrare in Ungheria (uno scontrino da conservare). Il passaggio da Slovenia ad Ungheria non è per niente ovvio e ci abbiamo messo un po’ prima di capire che avevamo varcato un confine per nulla segnalato. Di fatto i confini cosa sono se non invenzioni, ma questa è un’altra storia. A farvi compagnia durante il tratto di strada ungherese è il lago Balaton, lungo più di 100km, che per la gente del posto è un po’ come il mare. A Budapest scegliamo di alloggiare in un appartamento da sogno e super economico ) nell’VIII distretto, Jozsefvàros. Zona abitata dalla vecchia classe media ormai in declino, fino a qualche anno fa questo quartiere costituiva la prima periferia di Budapest ed era famoso per essere la zona a luci rosse della città.

Oggi la Gentrification ha spazzato via buona parte di tutto ciò, del tutto la prostituzione, e la nuova linea della metro che serve Jozsefvàros ha contribuito al suo ingresso in ciò che è considerato centro di Budapest.

In Brody Sandor Utca, la strada di casa nostra, si trova il Palazzo della Radio, davanti al quale le proteste degli studenti del 23 ottobre 1956 diedero il via ad una sollevazione della città contro la polizia segreta e lo stalinismo. Dopo il Museo Nazionale Brody Sandor Utca ci conduce in Múzeum körút, un grande stradone che passa per Kálvin tér, una piazza dove abbiamo avuto la fortuna di vedere uno spettacolo di danza verticale di Bandaloop in occasione del Contemporary Arts Festival che si tiene a Budapest in ottobre. Qui vicino si trova il Grande Mercato Coperto, inaugurato nel 1897. A Budapest vi sono diversi mercati coperti, ma questo è il più rinomato tra i turisti, che possono scegliere il proprio souvenir tra le numerose bancarelle di paprika, palinka, stoffe ed oggettini al piano superiore, mentre gli ungheresi acquistano prodotti freschi durante la loro spesa quotidiana al pianterreno. A due passi poi, il Danubio blu. Alloggiare in Jozsefvàros è una scelta tattica per chi come noi voglia essere vicino al quartiere dove si concentra la “movida” di Budapest, Erzsébetváros. Quartiere ebraico della cui storia parleremo tra non molto, Erzsébetváros è famoso per ospitare i Ruins Pub. I “pub in rovina” sono ad oggi moltissimi e si tratta di veri e propri locali che nascono all’interno di antichi palazzi in disuso. La struttura dell’edificio, su più piani, con diverse stanze e con l’onnipresente cortile interno, fa si che all’interno di ciascun Ruins Pub si sviluppino diversi bar, molteplici stanze per sedersi a chiacchierare ed un labirinto di sale e salette per concerti e feste di vario genere, il tutto in contemporanea. Nati come espressione di una controcultura negli anni 2000, andando ad impossessarsi di spazi altrimenti abbandonati, riempiti di eventi e riarredati con materiali di recupero, i Ruins Pub sono oggi una macchina da soldi del turismo di Budapest.

Bellissimi, andateci, ma non lasciatevi ingannare dal loro aspetto, nel bene e nel male. Il primo ad aprire e tutt’oggi il più conosciuto è il Szimpla Kert, in Kazinczy U. 14. Vi si accede gratuitamente, come in tutti i Ruins Pub, e all’interno si trovano diversi spazi; all’aperto, al coperto, al piano terra e al secondo piano. Tra i tanti bar, uno di nuovissima apertura serve birre in beuta e le propone in un tabellone scritto a ‘mo di tavola degli elementi chimici. Al pianterreno, una zona dove è possibile fumare il narghilè. Tra le fronde che arredano il centro del secondo piano, spunta una postazione da dj. Qui la domenica durante il giorno si svolge un mercato degli agricoltori locali. Altro Ruins Pub dove passare la serata, o almeno una parte di essa, è il FŐGÁZ. Il nome di questo posto significa “dente” e a quanto pare (non ho ancora capito bene perchè) è una sorta di presa in giro ai tantissimi dentisti che affollano le vie di Budapest. Su questo apriamo una parentesi doverosa; per quanto siate preparati non potrete non rimanere assolutamente esterrefatti dal fatto che a Budapest ci siano dei ‘negozi di dentisti’ APERTI E FREQUENTATI A QUALSIASI ORA del giorno e della notte. Ho visto padri con figli serenamente seduti in sala d’attesa, con la normalità di chi chiede un permesso al lavoro per portare il figlio a togliere il dentino da latte, con l’unica trascurabile differenza che erano le ore 2 di sabato notte. Chi mi sa spiegare tutto ciò si faccia avanti. Se di notte invece che andare dal dentista preferite andare a bere una birra e magari a fare un po’ di festa, il FŐGÁZ vi aspetta con le sue numerose sale per concerti live e dj set. A ciò sommate il fatto che non pago dei propri spazi, questo Ruins Pub si è unito con il Robot, locale al civico precedente, e l’Instant, locale al civico successivo, creando un unico, enorme e labirintico locale. Esplorandolo, passiamo da un concerto punk di una band ungherese tutta al femminile, ad una sala addobbata a modi tendone da circo in cui una musica rock molto commerciale fa danzare le persone più diverse tra loro; sbuchiamo poi nel cortile centrale dove alberi pieni di lucine ricreano l’atmosfera di una foresta incantata; attraversiamo poi quella che dev’essere la sala principale per chi vuole ballare sulle note del dj della serata, sotto nuvole di pixel luminosi e statue di angeli, per tuffarci al piano interrato. Qui ad attiraci è una stanza, un tunnel a dire il vero, illuminato con luci verdi, in cui rimbombava una musica che secondo me ai Prodigy sarebbe piaciuta molto. Per una lista completa dei Ruins Pub, che aprono e chiudono come funghi, vi consiglio di visitare questo sito web (https://ruinpubs.com/) in cui, oltre ad una descrizione di principali ruins pub della città, potete consultare anche il calendario degli eventi in programma. Io chiudo questo argomento consigliandovene uno che non è sulla lista e che si presenta come un piccolo bar nel sottoscala, ma che mi è stato detto essere molto più Ruins Pub di tanti altri per aver conservato lo spirito con cui questi luoghi sono nati, che sicuramente non può piacere ad ai più, ma che se avete i miei gusti non potete saltare. Si chiama Vitulla, in trip advisor è bollato come sporchissimo, quando vi avvicinate al bancone si girano tutti per vedere chi siete; provate pure ad ordinare una birra scegliendola tra le diverse proposte, ma tanto il barista vi darà una bionda media alla spina, non spiaccicando una parola e aggiungendo un bicchierino di palinka. Voi, che non avete capito nulla, prendete le vostre birre e trovate posto in un tavolino. Chiacchierando, noterete il cameriere che sta passando davanti a voi sforzandosi di fare finta di niente (senza riuscirci), guarda il vostro tavolo, scuote la testa, torna verso il bancone; Prende quel bicchierino di palinka che voi avete lasciato li e ve lo riporta. Questa volta, vi guarda, vi strizza l’occhio e voi lo bevete tutto d’un fiato. Quando ormai è giorno e i Ruins Pub chiudono potete passeggiare per Erzsébetváros incontrando moltissimi negozi di artigianato e design, librerie, posti particolari dove fermarvi a mangiare un boccone. Questo spirito giovane e frizzante popola un quartiere dalla storia antica e dolorosa, quella della comunità ebraica di Budapest. Il fatto che gli ebrei a Budapest fossero e siano molti è testimoniato dalla presenza di diverse sinagoghe in città. Una di esse è conosciuta come la sinagoga di Dohány utca ed è la seconda sinagoga più grande al mondo, dopo il Temple Emanu-El di New York. Visitandola, potrete aggregarvi gratuitamente ad una delle tante guide che vi condurranno alla scoperta di questo luogo in molte lingue diverse. Nella parte esterna vi è un giardino, isolato dalla strada esterna, in cui regna una pace assoluta. Sotto alle aiuole verdi dove oggi crescono lentamente pigri alberi vi sono 24 fosse comuni che custodiscono ciò che resta di 7.000 ebrei uccisi dalla fame, dal freddo e dalle malattie, intrappolati senza via di uscita nel loro ghetto, quando la Seconda Guerra Mondiale imperversava nel mondo al di fuori. Qui, sono stati trovati dai Russi quando hanno liberato la città. All’interno, la sinagoga risplende della luce che entra attraverso le finestre. La guida ci spiega perchè la pianta di questa sinagoga richiama quella delle chiese cristiane, chi sono gli ebrei neolog e molto altro, impossibile da riassumere in questa sede. Ma voi tenete a mente che vale veramente la pena di accodarsi ad una guida ed ascoltare la storia di questo luogo; ciò vi aiuterà a saperne di più anche della storia di Budapest- senza conoscerla almeno in parte, non capirete questa città. In Erzsébetváros ci sono molti altri luoghi storici da visitare, per i quali non abbiamo avuto abbastanza tempo. Due ultimi appunti però li voglio lasciare. Il primo è una piccola curiosità; al n.11 di Király utca c’è un lungo passaggio di 200 metri che sbuca al n.16 di Dob Utca. Si tratta di un passaggio che, prima dell’Olocausto, collegava ben sette cortili. Oggi ospita diversi bar. Le due strade citate valgono la pena di essere percorse.

Il secondo consiglio è che in questa zona si trova Spinoza, un ristorante dove potrete gustare piatti della cucina magiara ed ebraica accompagnati dalle note di un musicista che suona il pianoforte. Per ora siamo sempre stati a Pest, la sponda sinistra del Danubio, ma è tempo di attraversare il fiume e di passare a Buda, la sponda destra. Purtroppo il tempo è tiranno e non abbiamo avuto modo di esplorare a dovere questa parte della città. Da buoni turisti ci siamo limitati all’indispensabile ossia il Var, la zona del castello, e ad una sosta alle terme. Ma andiamo con ordine. Attraversiamo il Danubio percorrendo a piedi il Ponte delle Catene che nel 1849 fu il primo collegamento permanente tra Buda e Pest, allora due città distinte. Lo percorriamo a piedi e così facendo ci rendiamo conto di quanto ampio sia il letto del fiume che scorre sotto di noi. La giornata non è delle migliori, è molto nuvolosa e tira vento, quindi una volta raggiunta la sponda destra del fiume la cosa migliore da fare è pranzare e scaldarci un po’. Desiderio esaudito a pieni voti da “Meat Boutique“, a due passi dal Ponte delle Catene. Il ristorante è meraviglioso, arredato con cura e gusto, emana vibrazioni rilassanti. Camerieri impeccabili e cucina squisita. Qui abbiamo assaggiato un gulash preparato secondo la tradizione ungherese, cioè sotto forma di zuppa, e una vellutata di zucca con gamberoni, latte di cocco e ananas. Un azzardo ben riuscito che mi ha ricordato la cucina thai. Ricaricati da questo bellissimo ristorante, prendiamo la funicolare e andiamo alla scoperta del Var. Si tratta di una sorta di quartiere arroccato su una piccola collina, all’interno del quale si possono visitare numerose attrazioni quali il Castello di Buda, il Museo di storia naturale, un labirinto, il Museo di storia Militare, la casa di Houdini, numerose chiese e il meraviglioso Bastione dei Pescatori, dal quale si gode di un ampio panorama sulla città. Passeggiare nel Var è molto piacevole, seppur totalmente turistico. Siamo immersi in comitive di persone con kway, ombrellino e macchina fotografica. L’atmosfera e di un ordine e di una pulizia svizzere. Vicino al Bastione dei Pescatori, in una piazzetta in cui si conclude il nostro giro, c’è uno Starbucks in cui decidiamo di entrare perché io non ci vado da anni ed il mio ragazzo non ci ha mai messo piede. Scavo nella mia memoria ricordandomi che l’unica cosa che ho sempre preso è il frappuccino al caramello e così, entusiasta, ne ordino due. Ho scoperto troppo tardi l’informazione che nella mia memoria mancava, e cioè che il frappuccino è freddo. Così, con i nostri bibitoni ghiacciati in mano, salutiamo il Var sotto al cielo nuvoloso e ci incamminiamo verso il fiume con la pioggia che inizia a cadere. Quale la direzione perfetta per questo clima? Ma è ovvio, le terme!

A Budapest ci sono tantissime terme, che non sono solo un luogo di relax come le nostre spa, bensì sono un luogo di incontro e socializzazione (abitudine che costituisce uno dei lasciti della dominazione turca). Le più famose in assoluto sono i Bagni Széchenyi; si trovano a nord est del centro cittadino, all’interno del Városliget, un parco di cui parleremo più avanti. Sono enormi, gialle e conosciute per le foto che circolano in rete che immortalano gli ungheresi mentre giocano a scacchi immersi nella grande piscina esterna. Troppo distanti da noi e poco adatte all’ugiosissima giornata, scegliamo di andare ai Gellért gyógyfürdő, lungo il Danubio, a pochi ponti di distanza dal Quartiere del Var. Accolti in sale meravigliose in stile Art Nouveau, mi sono chiesta se il film di Wes Anderson “Gran Budapest Hotel” centrasse qualcosa con questo posto. Non mi sono ancora data una risposta, ma l’atmosfera evocata mi sembrava la stessa. Ampio ingresso finemente decorato, arredato con statue e palme. Paghiamo, ci concediamo il lusso di un camerino privato dove lasciamo le nostre cose e ci addentriamo in un corridoio piastrellato di azzurro che si snoda come un labirinto sotto alla piscina principale. L’aria si fa sempre meno ossigenata man mano che ci si avvicina alle stanze più calde. Sbuchiamo in un meraviglioso salone dominato da una piscina dedicata al nuoto: sott’acqua fari colorati creano giochi di luce; a bordo vasca delle colonne di marmo sostengono il piano superiore dedicato agli sdrai. Oltre alla stanza principale, nelle Gellért gyógyfürdő ci sono altri due spazi in ognuno dei quali si trovano due vasche termali con temperature diverse, dai 28 fino ai 40 gradi. Poichè più piccole, in esse l’aria è più carica di vapore, è più densa e si respira con una leggera fatica in più. Usciamo da qui rigenerati, rilassati. Mi infilo il cappello e mi riavvio per la città sotto una pioggia battente, di cui non mi curo più. Attraversiamo di nuovo il Danubio a piedi e mentre sono sospesa su di esso mi sembra che in questa giornata, con questo tempo, in questo punto del mondo sia tutto esattamente come dovrebbe essere. Altro ‘giorno’ altra corsa, ricominciamo una nuova giornata a Budapest. Questa volta ci dedichiamo ad una diversa zona della città; Terézvàros e il Vàrosliget. Per raggiungere il secondo, un grande parco, attraversiamo il primo, quartiere centrale di Pest. Oggi è il 23 ottobre, festa nazionale ungherese; tutto è un po’ chiuso, un po’ dormiente, il cielo non si è rasserenato e ancora un po’ piove, un po’ no. Ma le pozzanghere sui marciapiedi non fanno altro che riflettere le luci di Terézvàros, quartiere in cui si trovano il Teatro dell’Opera, quello dell’Operetta, l’Accademia Musicale Ferenc Liszt e qualche vetrina di grandi marchi d’alta moda. Qui una tappa obbligatoria è a Menza, il ristorante che più mi è piaciuto in questo viaggio. Grande e accogliente, il locale si divide in due spazi arredati in modo strepitoso in stile anni ’70. I coperti sono molti, ma in qualche modo non si perde la sensazione di intimità che non può che rendere più piacevole pranzare qui.

Una cosa che ancora non abbiamo detto è che a Budapest i prezzi di molti ristoranti sono convenienti, se paragonati a posti italiani dello stesso livello. Questo più passa il tempo meno è vero, perché la differenza si sta appianando, ma per ora è ancora possibile approfittare di ciò e mangiare in ristoranti veramente speciali a prezzi per noi modici. Da Menza scegliamo di ordinare uno dei piatti tipici della cucina ungherese, la Schnitzel, ossia una fetta di vitello impanata e fritta nello strutto che ricorda la nazionale cotoletta alla milanese. In effetti vi è anche una disputa sull’origine di questo piatto che a Budapest è giunto sotto la dominazione austriaca. Fu il generale austriaco Josef Radetzky a portare in patria la ricetta della cotoletta dopo la sua permanenza in Lombardia, o furono i milanesi a copiare questo piatto importato nella loro città osservando la Wiener Schnitzel preparata dai cuochi dei reggimenti occupanti? Ai posteri l’ardua sentenza, noi intanto ce la pappiamo. Con la panza piena prendiamo la linea 1 della metropolitana per percorrere nel sottosuolo Andrassy Utca, un vialone che ricorda i boulevard parigini e che punta dritto dritto a Hősök tere, cioè Piazza degli Eroi, dietro la quale comincia il Városliget, parco cittadino al cui interno ci sono veramente, ma veramente tantissime cose. Partiamo dal principio, quando dalla banchina allunghiamo il passo e saliamo in Metropolitana. Non stiamo salendo su una metro qualsiasi, stiamo salendo sulla M1, la Földalatti, risalente al 1896, la seconda più antica del mondo dopo quella di Londra e dichiarata Patrimonio dell’Umanità nel 2002. Quando scendiamo ci troviamo già nel Városliget, il primo parco pubblico del mondo (gli Ungheresi vanno forte con i primati storici). All’interno dei suoi cento ettari si trovano moltissime strutture ed attrazioni: lo Zoo, il Giardino Botanico, i Bagni Széchenyi di cui abbiamo già parlato, il Museo dei Trasporti e quello delle Belle Arti. Inoltre qui si trova la Statua dell’Anonimo scrittore toccando la penna del quale si dice si possa diventare dei grandi scrittori (ci ho dato una bella lustrata). Sempre all’interno del parco, si trova il Castello Vajdahunyad, costruito come quasi tutto il parco in occasione dei festeggiamenti del Millennio. E non del millennio inteso come anno 2000, bensì come anno 1896, millennio della fondazione dell’Ungheria secondo la tradizione. Il Castello è una ricostruzione che fonde insieme i diversi stili architettonici del regno ungherese. La forte presenza di richiami ai manieri transilvani unita al fatto che ci troviamo qui sul calar del sole conferisce a questo posto un’atmosfera che sta a cavallo tra il conte Dracula e la scuola di Hogwarts di Harry Potter. Ma noi siamo qui per un motivo ben preciso e cioè per vedere uno spettacolo nel famoso circo permanente di Budapest, anch’esso situato all’interno del Városliget. Oggi lo spettacolo delle 16.00 di questo giorno di festa nazionale, il Fővárosi Nagycirkusz è pieno zeppo di bambini. In cartellone è prevista Lúdas Matyi, la messa in scena cioè di una storia del folklore ungherese e che si svolge tra animali da cortile, acrobati snodati, un protagonista che sembra uscito da Disney Channel e da una serie di personaggi che interpretano i cattivi vestiti da SS naziste. Per l’ultimo giorno la nostra metà è il quartiere Lipótváros, che costituisce parte del nucleo originario di Pest. Nel diciannovesimo secolo diventa il cuore politico ed economico della città ed infatti è qui che trova sede ancor oggi il Palazzo del Palamento. Dovrei forse dire il maestoso palazzo del Parlamento, ma neanche così riuscirei a darvi l’idea di quanto sia enorme questo edificio. Westminster gli spiccia casa. Sito in Lajos Kossuth Ter, l’Országház si affaccia sul Danubio. L’edificazione comincia nel 1885 e l’inaugurazione, seppur ad edificio non ancora completo, risale al 1896 in occasione (ancora una volta) dei festeggiamenti del millennio. In cifre, sono 100.000 le persone coinvolte nei lavori, 40 milioni i mattoni utilizzati, mezzo milione i chili di pietre preziose e 40 quelli di oro. La sua maestosità si ammira al meglio dalla sponda sinistra del fiume. Insieme a Lipótváros è Belvaros a costituire la seconda parte dell’originario nucleo di Pest. In questa zona potrete trovare le vie dei negozi e dello shopping. Noi, che siamo amici stretti, quasi confidenti, di coltello e forchetta, non ci siamo fatti sfuggire l’opportunità di mangiare in un ristorante stellato Michelin ad un tasso di cambio decisamente più abbordabile rispetto all’Italia. Che io non sia abituata all’ambiente il cameriere l’ha capito subito quando, intento a posare il mio elegante piatto, si è trovato le mie due mani che l’afferravano sorridendogli. E invece no, lui giustamente non l’ha mollato perchè la sua missione è posarlo fino al contatto con la tovaglia. Ma, se a galateo scarseggio, a mostrare gioia nel mangiare non deludo mai. Al Borkonyha ho assaggiato dei piatti veramente bellissimi, come questo cervo che non sembra altro che un tronco di un albero posato nel bosco da cui proviene. Con un sole che finalmente vince le nuvole e con una città che si risveglia dai suoi giorni di vacanza e riparte con il suo quotidiano noi ce ne andiamo. Il miglior saluto che si possa dare a Budapest è una visita a Memento Park, un luogo in cui sono state raccolte tutte le statue risalenti agli anni del comunismo sovietico di Budapest. Qui si comprende perfettamente quella sensazione che si ha mentre si attraversa Budapest, mentre si incrociano strade e volti, quel presentimento di un non-so-che, quella presenza che non si rivela e che non è altro che il forte fortissimo eco non di una ma di tante storie che sono passate per di qua, ma che non si riescono veramente a lasciar andare; e a loro si resta ancorati con una sfumatura di nostalgia, con una punta di malinconia. Con queste stesse sensazioni e con la certezza che qui ci sia ancora molto da capire ci rimettiamo in viaggio e puntiamo verso casa, lasciandoci la città alle spalle.

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