Bosna – Hercegovina e Croazia
I perché del viaggio Perché in Bosnia se con 20 giorni di ferie puoi andare a Barcellona, Berlino, Praga, Sharm-el-Sheik o chissà dov’altro ancora? Perché lì? Ci sei già stato nei primi anni ’80, anche se eri immaturo per capire cos’era il comunismo “leggero” accanto a te. Perché vuoi andare in Bosnia? Fra l’altro un paese con questo nome non è che risulti attraente con quella condanna di nome che si porta addosso! Sbagliato! C’è qualcosa che si sedimenta nella memoria dell’uomo e vi resta decenni, vi resta una vita. E’ la memoria, e la memoria è l’uomo; perché l’uomo senza memoria non è tale.
Saranno stati gli sguardi di persone colti in attimi fuggenti dal finestrino di un pullman turistico, (attimi fuggenti ma mai fuggiti, perché da allora sono memoria); saranno stati i suoni ed i frastuoni in cui ti sei ritrovato girando per chissà quale città o paese, o forse potrebbero esser stati odori e sapori densi, forti, inebrianti e coinvolgenti di chissà quale mercato.
Si! Sarà stato proprio così! E’ stato ogni cosa di tutto questo, e tutto questo insieme; insieme all’età che avevo quando andai lì con i miei genitori (e di questo, come di tanti altri viaggi, sarò sempre loro grato per aver fatto maturare me e fatto maturare in me il desiderio di conoscere, di “vedere oltre” ciò che si vede), un’età per divertirmi ma – evidentemente – anche per cominciare ad intravedere il blu degli occhi delle donne fra il velo ed i capelli, le figure alte e dure degli uomini di Bosnia, paese di montagna; paese di confine e di passaggio, un passaggio avvenuto da sempre, un passaggio attraversato da tutti incrociando tutti.
Ogni tanto rileggo la storia della mia città, Palermo, e “vedo” passare fenici, romani , arabi, normanni, borboni, austriaci, e tanti altri ancora, e penso di trovarmi in quello che un tempo era ritenuto un crocevia di popoli. Ma poi guardo ai Balcani, rileggo i fatti della storia e penso che è quello il vero “incrocio”; è lì il centro d’Europa. Conoscere i Balcani per spiegare il come e perché dell’Europa; perché siamo qui e perché siamo così. Fu bella la Bosnia che ho visto negli anni ’80. Ed é risultata bellissima la Bosnia che ho rivisto fra Maggio e Giugno del 2003; più bella perché ora è BOSNA i HERCEGOVINA (sigla automobilistica internazionale BiH); perché l’ho rivista dopo avere rivisto me stesso; e adesso mi manca come nessun altro luogo dove sono stato in viaggio. Il percorso di viaggio Veniamo al dunque: il viaggio. Siamo in due, io e mia moglie Rita, esattamente a metà fra i trenta ed i quaranta, una ventina di giorni a disposizione (periodo 20 Maggio-10 Giugno 2003) ed un progetto maturato nei primi mesi del 2004: un viaggio nei balcani, fra islam ed occidente; un’islam da sempre mite ed un occidente da sempre altro occidente, altra Europa. Un viaggio che non fosse dato dall’andare tanto per andare da qualche parte, ma per vedere la storia, un pezzo di quella storia d’Europa che l’europa stessa (con la minuscola) ha lasciato ai margini dei suoi confini, ha voluto dimenticare nelle tragedie; ha tradito.
L’itinerario prevedeva le seguenti tappe: 1) partenza da Palermo verso Bari con sosta a Matera per un saluto ad amici di famiglia; 2) traversata Bari-Dubrovnik su traghetto Jadrolinija e sosta sulla costa dalmata meridionale per tre giorni; 3) Mostar, capoluogo dell’Erzegovina, altra sosta di tre giorni; 4) Sarajevo, mio vero obiettivo del viaggio, campo-base per visite giornaliere in Bosna, sosta di sei giorni; 5) sulla via del ritorno, alloggio in appartamento in residence sulla costa dal dalmata centrale, trovato girando sul posto a 4 chilometri da Trogir e 8 da Spalato; Sintetico resoconto dei luoghi condito da impressioni personali su luoghi, persone, cose, chiese e caffè.
Dubrovnik Sempre bellissima cittadina costiera della dalmazia meridionale, un gioiello sul mare.
Di matrice urbana chiaramente romana e con un’evidente impronta storica da centro navale di prim’ordine, merita assolutamente la cura che organismi internazionali le dedicano per mantenerla ben conservata e fruibile al turismo internazionale, vero patrimonio dell’umanità. Arrivati la mattina del giorno 22 Maggio, alle 7:30 eravamo già sbarcati dal traghetto Jadrolina ed in fila per il controllo doganale (una vera formalità); ci siamo diretti verso sud, destinazione Cavtat (pronuncia Zavtat), l’antica Epidarium, dove – fluttuando in internet – avevamo preso contatti per un alloggio in casa privata (costo per viandanti: 23 euro/die per stanza da letto, bagno e cucina in appartamento).
Il paesino si è rivelato molto bello, piccolo, silenzioso e tranquillo, dolcemente disteso sui due versanti di un istmo che si butta a mare (e che mare!), offre vero relax a chi lo elegge posto di vacanza.
E’ stato il nostro campo-base per tre giorni, periodo di tempo che abbiamo impegnato con visite a Dubrovnik, Molunat (ultimo paese croato prima della frontiera col Montenegro; a proposito sono ben accette notizie e recapiti su alloggi per fare turismo fai-da-te in Crna Gora) e Trebinie, bel paese nella Repubblica Serba di Bosnia-Erzegovina.
La gita a Trebnjie (BiH) Proprio la gita a Trebinie ci è servita a prendere confidenza con il nostro vero obiettivo di viaggio che era la Bosnia. Dopo due giorni di visita a Dubrovnik decidiamo di fare una puntata in Bosnia; verso le 13:00 ci dirigiamo verso sud, carta alla mano puntiamo su Donji Brgat e dalla costa dalmata ci dirigiamo verso l’interno; il paesaggio cambia in maniera vistosa e all’abbinata verde-blu della costa croata si sostituisce dapprima la prevalenza del grigio chiaro delle colline rocciose con vegetazione dapprima bassa, per poi ritornare a veder prevalere il nuovo verde della vegetazione scomposta ed abbondante che debordava dalla strada (anch’essa malcombinata) che attraverso l’interno arrivava alla periferia (qui ortodossa) della repubblica federale di Bosna i Hercegovina.
Suggestionati dal mito-Bosnia e pertanto coinvolti emotivamente dal pensiero e dal paesaggio, che qui viaggiavano in simbiosi, pur se ampiamente in possesso delle nostre facoltà di raziocinio, devo ammettere che l’essere rimasti fra il doganiere croato e i container da cui sventolavano le bandiere della federazione di Bosnia, con passaporti e documenti dell’auto (non intestata a me) in possesso della policija bosniaca che non vedeva coincidenze fra il mio nome e quello del proprietario del veicolo (che intanto, essendo a gasolio, roboava nel silenzio delle colline deserte ed assolate), mi/ci ha messo in crisi (un patè d’animo!).Siamo stati soli, fra colline verdissime ed anonime, assolate e dal profilo incombente, con la sola compagnia del rombo del motore ed il conforto di un telefonino (unico strumento di contatto con il resto del mondo), del mio zaino con recapiti di ambasciate e tanto, tantissimo desiderio di vedere la Bosnia. Dopo una decina di minuti (ma forse è la suggestione che ha spinto in avanti le lancette mentali dell’orologio) il poliziotto bosniaco (cui avevo dato una certificazione rilasciatami dal Comune di Palermo attestante l’autorizzazione all’uso della vettura) esce dal container e ci restituisce i documenti, abbozza un sorriso e pronuncia, con tono interrogativo, il nome della città dove noi in effetti stavamo andando: Trebnije! Era questa – evidentemente – la pronuncia corretta, non la nostra dicitura Trebinie. Sretan Put (buon viaggio) Rita e Rosario.
Il pomeriggio l’abbiamo trascorso girovagando per la piccola cittadina, passando e spassando per il ponte sul fiume. Praticamente ogni città in Bosnia ha un fiume (proprio il fiume Bosna – infatti – dà il nome al paese) e dei ponti sul loro corso, ma per chi – come noi che veniamo da terre aride e prive di fiumi (a Palermo l’ultimo corso d’acqua con dignità di fiume risale all’epoca araba) – non ha dimestichezza con fiumi, ponti ed acque che scorrono silenziosamente, attraversare un ponte e guardare la gente che fa altrettanto con assoluta (ed ovvia) naturalezza è un’emozione, un’emozione data proprio da quel limite, confine naturale e rilassante che in questa terra purtroppo certa gente ha voluto confine per separare anzicchè unire. Ma queste sono storie vecchie, tristi e – soprattutto – passate, per cui non ne parliamo (ma non le dimentichiamo perchè comunque, e purtroppo, sono storia!).
La parte antica del paesino è molto caratteristica, tipiche le costruzioni in legno e pitra, particolari gli interni dei locali; abbiamo provato ad entrare in una chiesa (di cui, però, non so il nome) attratti dalle forme architettoniche che tradivano il credo ortodosso (ricordo che siamo nella Repubblica serba di Bosnia) e dalle strane movenze e percorsi dei credenti (quasi tutti giovani) presenti all’interno; purtroppo sono stato fermato all’ingresso da un tizio alto, esile e serioso (una sorta di custode, credo), che senza spiegare alcunchè e con poche parole (che in ogni caso non ho inteso) e chiari gesti mi diceva di non entrare.
Viaggiando in Bosnia ci si accorge di essere nelle zone a prevalenza serba grazie agli ampi cartelloni stradali recanti la dicitura (indicativa della considerazione che i serbi hanno di se stessi) Welcome in the srpska republic (benvenuti nella repubblica serba) ogni qualvolta si varcava il confine interno della Federazione (se navigate su internet e visitate certe pagine delle Nazioni Unite troverete la dicitura IEBL, vale a dire Inter-Entity Boundary Line, confine intrastatuale).
L’impressione generale è stata di un posto ai margini orientali di un paese (ora stato federale, con un’entità croato-musulmana ed una serba), fra un’occidente che non lo assimilava e di un oriente ancora lontano, e perciò diviso fra religioni e storie diverse, con vetrine ancora “povere” (nell’accezione occidentale del termine) ma proprio per questo affascinante per chi non cerca i luccichii del consumo ma volti, movenze, sguardi ed usi diversi dai propri; giovani dall’abbigliamento ormai marcatamente occidentale ma con quel qualcosa che non so ben definire che li rende occidentali d’oriente.
Qui siamo ancora in terra cristiana, ortodossa ma cristiana, vicini alla Serbia, che è vicina all’Albania che è vicina…; sono tutti vicini fra loro (ed a noi) e forse qualcuno ha pensato che questa vicinanza non fosse un fatto desiderabile, con la conseguenze che la cronaca del decennio trascorso ci ha mostrato! Ultimo episodio della giornata (che col senno di poi la rende alla mia memoria ancora più affascinante): al rientro verso la costa (che era ancora lontana) il fermo di una pattuglia di policija bosniaca, classico controllo puntiglioso dell’automobile (qui nessun problema dovuto ai documenti della vettura, ma la pretesa di ispezionare il fondo del portabagagli) ed il poliziotto (giovanissimo e biondissimo) che chiede: srbs? Come dire: Siete serbi? Ce la caviamo con un: No, italian turists.
Volto impassibile (chissà, forse deluso) e cenno di andare. Non esitiamo.
La mattina del giorno 25 Maggio (era Domenica; consiglio: se potete, evitate di viaggiare la domenica) lasciamo Cavtat (rimembra: in serbo-croato C=Z) con destinazione Mostar, distante 165 km, in Erzegovina; risaliamo la costa dalmata meridionale, bella ad ogni angolo, e ci lasciamo alle spalle Dubrovnik la dolce.
Sulla via d’ingresso in Bosnia-Erzegovina: Neum, Opuzen e Metkovic Neum è l’unico accesso al mare della Bosnia, nazione che dispone di una ventina di chilometri di costa sull’Adriatico (residuo dei trascorsi tempi di dominazione turco-ottomana, fascia costiera cuscinetto nelle strategie di rivalità navale fra Venezia, Ragusa-Dubrovnik e l’impero Ottomano); località che personalmente non ritengo più attraente di altre sulla lunga costa croata, ma dove constato l’ampia possibilità di scelta di strutture ricettive. Il passaggio Croazia-Bosnia-Croazia (per arrivare ed oltrepassare Neum) è assolutamente liscio, senza alcuna forma di controllo doganale (con il personale di frontiera tranquillamente adagiato in una pausa sonnolenta, direi quasi tropicale); dopo alcuni chilometri sulla Jadranska Magistrala, spina dorsale adriatica della Croazia costiera, indicata come strada nazionale numero 2 (sarebbe la E 65), arrivati a Opuzen si devia per l’interno seguendo l’indicazione di Metkovic (E 73).
Opuzen è un piccolo centro abitato sorto sullo sbocco del fiume Neretva, collocato a poca distanza da Ploce, sito poco più a nord, in un’area dai fertili campi coltivati di mandarini e agrumeti. Una posizione molto solare, unica, vicino al mare e lungo il fiume, che rende questo paesino di pochissimi abitanti una destinazione attraente per i visitatori dai diversissimi interessi. Leggo che vi arrivano gli amanti della pesca sul fiume e di uccelli acquatici, perché nei dintorni ce ne sono tantissimi, ma anche i buongustai, perché la fertile terra della zona del fiume Neretva rende ottima frutta e verdura, e il mare e il fiume danno grandi quantità di pesce. Da queste parti soggiorna anche chi preferisce una vacanza silenziosa e tranquilla perché non ci sono alberghi, e la sistemazione è disponibile presso camere e appartamenti. Noi, però, non ci siamo fermati.
Metkovic, distesa sul grande delta della Neretva, è la città di confine; sorta in terra croata beneficiando della posizione di passaggio, vive delle soste dei viaggiatori lungo la direttrice stradale che dalla costa si dirige verso l’interno dei Balcani.
N.B.: Lungo questi tratti stradali sarete perennemente ombreggiati dalle bandiere a scacchi bianco-rossi, evidente impronta della popolazione; si é fra croati, in terra cattolica (terra che negli anni ‘90, per breve tempo in un momento cruciale degli scontri militari, addirittura si autodefinì repubblica della Herceg-Bosna).
Medugorje Sulla via per Mostar avevamo programmato il passaggio ed una breve sosta a Medugorje, un tempo paesino probabilmente anonimo adesso meta di un’indescrivibile quantità di credenti cattolici per il fatto di esser stato luogo di apparizione a tre giovani del posto dell’immagine della Madonna.
Per raggiungere Medugorje si lascia la strada M17 (principale direttrice di attraversamento della Bosnia-Hercegovina) e si percorrono una quindicina di chilometri di strada interna e tuttavia piacevole da scorrere guidando (un consiglio spassionato a chi si reca in auto: attenzione ai limiti di velocità, sia in Croazia che in Bosnia) come in molti dei paesi slavo-sassoni le pattuglie sono frequenti e – soprattutto – vigili ed impietose (in compenso le multe sono molto “economiche”).
Sulla strada, scorrevole ma dal fondo non propriamente europeo (ma a Palermo non stiamo affatto meglio!), da buon meridionale non noto i cartelli stradali e becco un blocco della polizia locale (policijska stanika); gli agenti mi mostrano un bel modello di autovelox con il display che “dice” 81 e dal loro gesticolare con la mano capisco che viaggiavamo 31 km oltre il limite lì ammesso.
Unico fermato dopo esser stato sorpassato da mercedes, audi, bmw, e skoda “chiedo” (altra notazione: sia in Croazia che in Bosnia ho trovato poche persone che parlano inglese, più facile comunicare in tedesco, ma si sopravvive comunque e non si resta digiuni!) quanto fosse il costo e se potevo utilizzare il nostro caro euro: costo totale 10 EURO! Mai multa mi fu così leggera da sopportare! Conservo ancora la ricevuta di pagamento, visto che ritengo ogni aspetto del viaggio esperienza e memoria dell’uomo.
Non ero mai stato in posti sede di santuari o attrazioni per motivi religiosi, ma m’immaginavo proprio ciò che a Medugorje ho trovato: del paese originario ben poco, costruzioni nuove, ampie possibilità di alloggio e negozi, molti bazar ove la fede ha luccichii, forme e prezzi fra i più vari possibili, souvenirs e gadgets di ogni tipo per ogni gusto ed ogni tasca. La chiesa assolutamente anonima nelle forme e simile ad una qualunque altra destinata a fagocitare migliaia di fedeli intruppati dai tour operators.
Proprio a Medugorje notiamo i primi militari SFOR di stanza in Bosnia; notiamo il tricolore sulla divisa e con la scusa della classica foto-ricordo li “aggancio” e cominciamo a dialogare in generale sul paese, sul loro lavoro (sono a Mostar e per l’occasione in libera uscita domenicale per la messa). Uno di loro, non ricordo il grado ma il nome sì:Lorusso; lui mi fa: tu sei di Palermo! Sì, è vero! rispondo, meravigliato ma certo che non lavora per la Gestapo.
Lui incalza e indovina pure la via dove abitavo! A quel punto la mala fiura (per i cultori del dialetto significa torsolo di cattiva effigge, cioè brutta figura) da parte mia è fatta visto che di lui non ricordo nulla. Ma il mio concittadino mi ricorda che “quando eravamo ragazzi” abitavamo di fronte, anche se frequentavamo comitive differenti; ma sempre siculi siamo! Fatta pure la foto-ricordo.
Personalmente, e spero senza che le mie frasi offendano alcuno, penso che quando i luoghi della fede sono così evidentemente sovrastati dal materialismo consumistico, mi conforta pensare che ognuno di noi la fede la porta dentro e non ha alcun bisogno di mediazioni o luoghi che la rendano plateale e socialmente dimostrata.
Nel pomeriggio riprendiamo il tragitto con destinazione Mostar.
Mostar Lasciata Medugorje, e rientrati sulla strada 17, le bandiere croate a sancire la predominanza di quel popolo nella zona della federazione (cioè croato-musulmana) vanno via via diradandosi col progredire della marcia; sono sufficienti pochi chilometri per notare come il paesaggio da pianeggiante assuma progressivamente l’aspetto collinare; insomma si vede bene il passaggio dall’ambiente costiero-fluviale, ch’era stato tipico fin’oltre Metkovic, a quello che diventa progressivamente e marcatamente collinare: siamo in Erzegovina (herceg era il duca, l’autorità che governava la parte sud della regione fino alla conquista dei Turchi avvenuta nel XV secolo). Nel primo pomeriggio di Domenica 25 Maggio, dopo una tratto di strada tortuosa ma sempre bella, affascinante e – per questo – emozionante ed altamente scenografica, seguendo tornanti e pendii infine planiamo in città, entrandovi per un bel viale molto alberato e pieno di giovani in sosta nei numerosi punti di aggregazione.
Eravamo arrivati a Mostar; senza un soldo di moneta locale in tasca (valuta nazionale è il marco convertibile, Konvertible Marka, in sigla KM, con rapporto fisso di conversione verso l’euro pari a 1,95583, vale a dire 1 Euro=0,51 KM) alla ricerca dell’agenzia che ci aveva trovato l’alloggio. Senza ancora una pianta della città, girovaghiamo in auto unendo il piacere di vedere aspetti urbanistici inconsueti (retaggio di anni di comunismo titoista) e visibilmente segnati dagli esiti della recente guerra civile, accompagnati dall’ansia di dover trovare l’intermediario per l’alloggio. L’agenzia risulterà chiusa e noi, ancora sprovveduti, ripieghiamo sull’Hotel Bristol, proprio sulla Neretva; alloggio al 4° piano, proprio sotto l’ambasciata USA (bingo !!!!!!!!!!!!!). Nota per viaggiatori: ottimo albergo (ufficialmente tre stelle, per i criteri west EU ne varrebbe almeno 4), doppia a 55 euro/night.
Il paesaggio dal balcone dell’albergo è a dir poco ammaliante: affacciati sopra un palazzo ancora divelto a fare da eterno ricordo degli anni ’90, a due passi da una piccola moschea, abbiamo la vista del fiume con il suo scorrere placido nel ritmo e dal rumore soffuso, ancora molto mediterraneo; poi ancora edifici di chiara impronta austro-ungarica (l’annessione all’impero avvenne nel 1878), la piazza di Spagna (Spanski Trg) con l’edificio del liceo classico, eretto nel 1898, adesso opera di spettacolare e tetra bellezza, con il suo stile austero da un lato e con dettagli moreschi dall’altro, il tutto forato dai colpi dell’artiglieria; bellissimo e tetro al contempo! Due storie diverse nello stesso posto, nello stesso edificio, viste e vissute da genti diverse! Nella stessa città.
Ritengo Mostar, forse più che Sarajevo, la città-limite fra la cristianità d’occidente e l’islam portato dai turchi ottomani che, con successo, imperversarono in Europa nel XVI secolo, fra mediterraneo, balcani e mittel-europa (Vienna fu sfiorata dall’avanzata ottomana), fra colline e montagne; insomma, vera terra di limite. E proprio parlando (in italiano) con un commerciante del posto, rifugiatosi in Italia durante i primi anni ’90, ci è stato detto quali erano – durante la guerra – le strade della città che facevano da frontiera; la linea del fronte che attraversava la città lungo la grande via di transito, con la popolazione martoriata fra l’esigenza di comprare del cibo, prendere acqua e l’istinto di schivare i proiettili! Homo homini lupus! Venendo da Sud, prima di Mostar non si vedono moschee: è la terra della cristianità di rito latino; oltre Mostar, scopriremo nel prosieguo del viaggio, è sempre più visibile e presente l’islam nel territorio e nella cultura, nei colori e nelle forme: lo si vede dalle vallate verdi ogni tanto dominate dall’edilizia religiosa delle moschee; se ne ha conferma dall’abbigliamento (specie delle donne).
Show di cultura: attestata da documentazioni ragusane del 1469, la prima menzione di Mostar risale al 1452; conquistata dai turchi nel 1468, la città si dice derivi il proprio nome dai Mostari, guardiani del ponte e delle due torri chiamate mostare; rimase sotto il dominio ottomano fino al 1878, anno in cui passò alla monarchia austro-ungarica in quanto parte della Bosnia-Erzegovina. Il rapido sviluppo la fece diventare ben presto centro dell’Erzegovina, sede del mufti anche prima del 1592; sede del metropolita erzegovese nel 1767 e del vescovo cattolico a metà dell’ottocento. Al periodo turco risalgono il Ponte storto (kriva kuprija) sul piccolo fiume Radoboja e lo storico Ponte Vecchio (Stari Most); colpevolmente devastato dalle milizie del consiglio croato durante la guerra nel 1993 ed in fase di ricostruzione anche con l’apporto finanziario della Comunità Europea, il ponte in pietra bianca ad un arco con campata di 28,70 metri ed altezza dal fiume di 21, fu eretto nel 1566 da Hajrodin, costruttore di corte del Sultano Suleiman (dovrebbe essere riaperto nel corso della seconda metà del 2004. Invidierò chi sarà lì ! ma lo perdonerò se mi manderà una foto del nuovo vecchio).
Altre testimonianze affascinanti del periodo islamico sono le moschee di Karadozbeg, costruita da Mehmed Karadzog, figlio di Ebu-Sadet fratello del visir dell’epoca (1557), Rusten e la moschea Koski Mehmed Pascià, datata 1617, intatta nei colori originali di decorazioni e pareti interne, dal 1993 (vero annus orribilis) è – però – priva del minareto. La visibilità delle altre confessioni si realizzò nel 1834 con l’edificazione della chiesa ortodossa (allora la più grande di Bosnia) e nel 1866 con la costruzione della chiesa cristiana e l’annessa biblioteca; entrambe su concessione delle autorità islamiche del periodo ed il consistente aiuto finanziario del sultano (Abdul Aziz nel primo caso). Poco dopo l’insediamento dei primi ebrei a Brankovac (quartiere di fronte i vecchi quartieri turchi) fu edificata la sinagoga, edificio poi ceduto nel 1952. Altra opera da vedere è il sepolcro di Sejh Mustafa Ejubovic nel quartiere di Luka (edificato nel 1831, 124 anni dopo la sua morte) mufti di Mostar per lungo tempo ed autorevole personalità del periodo a cavallo fra il 17° ed il 18° secolo; si trova di fronte la moschea di Ibrahim Aga Saric.Il vecchio Bazar Kujundziluk sul lato sinistro del fiume che scorre, a nord dello Stari Most, prende il nome dalla presenza di numerosi orefici (kujundzije) che nella zona lavorano il metallo; insieme al ponte vecchio contribuisce a definire un’ambientazione architettonica spettacolare ed unica. Per la verità colloquiando con uno di questi artigiani viene fuori che – adesso – molti dei souvenir, comunque belli ed affascinanti per forme, colori e suggestioni – vengono importati dalla Turchia; proprio l’artigiano che ci ha riferito questo è stata la persona che tanto ci ha toccato il cuore. Lui, altissimo, biondo, musulmano e slavo nei lineamenti (adesso, quando ci ripenso, posso dire che quasi sembrava un angelo dalle movenze dinoccolate), in quegli attimi di scambio di parole nella sua bottega, ci ha fatto da vera guida per capire il cuore dell’Erzegovina devastata dalla guerra; presentandoci la moglie, croata e cattolica, ci ha voluto mostrare come si può essere diversi e buoni insieme, ed insieme per la vita. Ma altri, tanti altri, evidentemente, nel recente passato non l’hanno pensata allo stesso modo. Dispiace tantissimo non essere in grado di ricordare il suo nome, anche se in fondo con mia moglie non scorderemo mai, assolutamente mai, quei momenti di grande umanità; e se un giorno torneremo saremo sicuramente attratti dall’andare a ritrovarlo, e lo riconosceremo come si può riconoscere il volto e i modi di un buono. Divagazioni personali a parte, a Mostar si trovano il bagno turco (banja, in serbo-croato), costruito nel 16° secolo, nella sponda destra del fiume nel bazar Prijecka, è una delle rare strutture ancora conservatesi ed in uso fino al 1992, e la casa turca (in Biscevica corner) è la casa Kajtaz, deliziosa struttura privata tipica di epoca ed usanze musulmane con aree separate per uomini e donne, con alti muri perimetrali per evitare gli sguardi indiscreti e tentacolari su donne e ragazze lì dimoranti, che risale al 1635.Dicevo prima della piazza di Spagna: è dominata dal bellissimo edificio del Liceo classico, costruito nel 1898 su progetto dell’architetto Blazek; sedetevi su di una delle panchine ai margini della piazza e godrete della bellissima facciata dell’edificio arricchita di elementi moreschi, adesso martoriati ed avviliti – ma non sviliti – dai segni della guerra. Passeggiata istruttiva per vedere e capire gli orrori della guerra può essere quella lungo il Bulevar Kolodvorska, strada che – come detto prima – segnò il confine di guerra, delimitata da edifici ancora in parte neri dei fumi che li incendiarono e dagli scheletri visibili in cemento. Non è una passeggiata per soliti turisti, né tantomeno si tratta di considerare la guerra come souvenir, ma è utile per avere elementi in più per considerare a quali risultati può portare il nonsenso umano. Su indicazione di un commerciante (sfuggito alla guerra rifugiandosi in Italia) ci rechiamo a Blagaj, cittadina appena fuori Mostar, 15 chilometri in direzione sud-est; lungo la strada si passa di fronte l’aeroporto, ove notiamo pattuglie di militari canadesi intente a sminare l’area verde circostante la struttura, che – comunque – è assolutamente agibile, funzionante e sicura. Con la scusa di vedere la casa turca posta sotto il monte gusteremo del buon pesce a pochi centimetri (ripeto centimetri!) dallo scorrere di un placido fiume; merita vedere la casa, e merita anche fare attenzione alle dinamiche dei due giovani coniugi che vi abitano, discendenti dei turchi del tempo ottomano; lui solito slavo, alto, biondo e lei musulmana osservante, al punto che appena entrati, con viso rivolto al selciato, si rifugia immediatamente all’interno della casa, dietro la tenda che separa l’ingresso dalla cucina, obbediente alle indicazioni del marito con cui – intanto – contrattiamo l’acquisto di qualche quadro di chiara matrice islamica. Scene da carpire con lo sguardo senza eccedere per il dovuto rispetto verso le differenze; altro ricordo dell’islam balcanico.
Annotazione di cronaca: il cameriere al ristorante non capiva nulla di inglese (cosa cui eravamo ormai abituati) e non capiva nulla anche del menù che ci aveva portato, visto che ci ha subissato il tavolo di ogni cibaria non richiesta; ma grazie alla bontà del cambio il colpo è stato veramente leggero. Blagaj vale la pena di una gita, per la casa turca, per un pranzo e per una sana passeggiata sulla riva del fiume.
Nel tardo pomeriggio rientro alla base-Mostar e solito, irresistibile giro nei quartieri musulmani, velati d’ombre, neon e musiche marcatamente orientaleggianti (giuro che quando ci penso mi risuonano nella mente!), cena in localino e struscio digestivo. In definitiva tre giorni in una città semplicemente affascinante, da non perdere; unico rimorso – se così si può dire – non aver minimamente vagato per i quartieri ovest, crisitani, per vedere ciò che è oltre le guide e i soliti percorsi. E’ un impegno per un ritorno.
Sulla via per Sarajevo Se lasciare Mostar è stato difficile (devo ammettere che siamo stati tentati di restare, ma se avessimo ceduto saremmo rimasti a vita!) è pur vero che ci ha invogliato il desiderio fortissimo di vedere (per me si è trattato di un ritorno) Sarajevo.
Comincio dai ricordi della cronaca che avevo nella memoria: telegiornali serali che riferiscono e mostrano macchine che procedono a zig-zag a velocità impazzita su un viale, il viale dei cecchini (pazi snajper!), per evitare pallottole e granate serbe dalle colline.
Eravamo arrivati e percorrevamo un largo viale (tre corsie quasi autostradali per lato, svincoli per zone piene di palazzoni) che la ragione non capiva ma la memoria (dopo aver sbagliato svincolo ed averlo ripercorso per qualche chilometro) conosceva già: era il viale dei cecchini, ricordo atroce; veramente indescrivibile come reagisce l’epidermide ai ricordi! Comunque eravamo arrivati; eravamo a Sarajevo, il vero obiettivo (neanche celato) del viaggio.
Avendo la macchina avevamo scelto (sempre tramite contatto e-mail, e sempre con occhio attento al portafoglio) alloggio in un albergo (l’Hotel Delminium) appena fuori la città vera e propria; cinque/sei chilometri in una zona a metà fra il rurale e l’urbana, fra sterrati e tratti d’asfalto malmesso (la zona si chiama Stup-Bare) comunque ben collegata con bus e tramvaj con il centro; comunque anche questo veramente un buon albergo (sempre per viandanti esigenti: doppia a 55 euro al giorno, e colazioni gustose in una sala ristorante vellutata in maniera moderna e coinvolgente).
Arrivo in albergo, cambio vestiti e via in città! A questo punto ammetto di dover precisare una cosa. Per conoscere Sarajevo si deve andare; quanto riferirò non riuscirà mai a rendere il bagaglio di voci e rumori, colori e sensazioni, sguardi, movenze e atteggiamenti. Null’altro che l’esperienza può portare alla conoscenza. Ma il desiderio di far partecipare anche altri alle nostre emozioni è il motivo di queste pagine.
Arriviamo in centro; vettura da posteggiare (stessi problemi in tutte le città d’Europa!) e quei ricordi del decennio andato che ti rendono prevenuto.
Giro per il centro; disperata ricerca di aree di sosta “tranquille“ e senza divieti; nervosismo; saliamo per una collina, posteggiamo fra un ufficio postale ed una biblioteca; qui chiedo – o meglio – tento di chiedere in inglese alla signora che vi lavora se la sosta è regolare.Niente! nulla solo gesti e frasi in slavo.
Esco dal locale, vedo tre adolescenti zaino in spalla e ritento in plain english:Can we park our car here? Coro di risposte da tre bocche sorridenti come solo 12-14enni possono essere:Yes! Era fatta!Dovevamo solamente scarpinare giù dalla collina verso il cuore di Sarajevo e cominciare a sniffarne l’aria. Scendiamo per bei viali alberati e planiamo nella Stari Grad:eravamo arrivati nella città vecchia.
Piccola sosta-pranzo in un locale all’aperto, fra giovani in abbigliamento fra il consueto ed il velato (le ragazze con il velo qui hanno un fascino indimenticabile) con la global-pizza e solita coca.Costo irrisorio.
Iniziamo le “vasche” alla scoperta dei vicoli.
Tralascio la descrizione dei posti, perchè sono tanti, per cui si viene a Sarajevo; ribadisco e preciso solamente che si tratta di quelle città con un fascino particolare, inconsueto; è vero che le forme e le sembianze dell’islam oramai le abbiamo anche nel nostro occidente, ma qui – nei balkani – assumono un fascino evocativo; si ammantano di storia e memoria, di movenze diverse ed ammalianti.
A Sarajevo non si va come si può andare a Barcellona, Vienna o Praga; fra l’altro – come regola generale – credo che non abbia molto senso andare se non ci si appassiona alla storia ed alle culture (e specifico: culture) specie le altre, non tanto la propria.
Qui mi fermo per la mia incapacità di rendere tramite narrazione l’insieme delle sensazioni vissute. Rendo solamente qualche dettaglio per il budget di cui dotarsi.
Pioggerella fastidiosa, necessità di ombrello, grida per strada di immigrati (kosovari o macedoni, secondo quello che dicono i sarajevesi) che vendono ombrelli no-logo. Loro strillano: tri marke; il costo – quindi – è di 1,5 EURO (prendete nota:ho scritto 1,5 euro; l’ombrello è ancora perfettamente funzionante dopo un anno, e “vive” a Palermo).
Pasto per due persone seduti in locali tipici (bosanski kuca=cucina bosniaca) con portata di carne, birra, coca, contorno: raramente oltre i 6/8 euro a persona (ma a Praga, nelle tipiche Hospoda, c’è di meglio ed a meno, molto meno, lo assicuro!) Questi sono stati, nel 2003, i livelli di costo affrontati durante la permanenza nella bellissima Bosna i Hercegovina.
La costa dalmata centrale (Trogir, Spalato, Sebenico e Zara) Lasciamo Sarajevo compiendo lo stesso errore nel viaggiare di Domenica, ma ormai eravamo experienced, non è stato un problema). Ovviamente munito sin da casa di cd musicali non sono riuscito a non lasciarmi trascinare da Miss Sarajevo e le altre sonorità degli U2, miei compagni di giovinezza e teatro sonoro della nostra via di ritorno e dell’intero viaggio.
In effetti ci aspettavano ancora una settimana di sole, mare, costa variamente dipinta delle tonalità marine, belle mete da raggiungere, ma dentro di me (mia moglie – giustamente – si riteneva ancora in vacanza) non riuscivo a pensare se non a ciò che ormai era stato:una settimana a Saraj; porterò sempre dentro me il ricordo di due Lei: mia moglie e Sarajevo, insieme con me.
Ripercorso a ritroso l’asse dorsale bosniaco Sarajevo-Mostar, arrivati a Metkovic, risaliamo verso nord costeggiando una delle più bei tratti di costa del Mediterraneo; attraversiamo paesini solari che invitano a soste prolungate; da sud risalendo verso Trogir incontriamo Trsteno, Slano, Makarska (sostetevi, noi vi abbiamo puntato da Spalato con una gita giornaliera, la spiaggia merita), Omis (simpatico porto-canale, siamo ritornati anche qui da Spalato dopo aver fatto una gita all’interno), e il tratto costiero dei Kastela vicino Spalato (12 fortezze con borghi sviluppatisi attorno ad essi in funzione anti-ottomana).Scegliamo come base un alloggio in appartamento all’interno del Residence Belvedere, ancora poco affollato (qualche targa ungherese, polacca e della repubblica ceca):siamo a Seget Donji, zona costiera a neanche due chilometri da Trogir. Se Dubrovnik è un gioiello Trogir è un vero Bijoux, isoletta di terra a far da ponte fra la costa e l’isola di Ciovo su cui quasi si adagia. Silenziosa malgrado il traffico veicolare, storicamente preziosa e impreziosita d’arte in vari edifici, piazze, chiese, colonne e porte; rilassante la sera.
Da questa base, per nove giorni abbiamo alternato gite giornaliere e passeggiate sulla costa. Le puntate sono state a Zara (Zadar) e – di ritorno – Sebenico (Sibenik), centri della costa centrale dalmata. A Zara, posteggiato ai margini del porto-canale abbiamo” girato in lungo e in largo il nucleo storico racchiuso nell’isoletta raggiunta dal ponte che parte dallo stesso porto, vagando tutt’attorno la Chiesa di S.Donato e la Piazza delle Erbe (in allestimento per la visita papale); cittadina piacevole da ammirare, elegante nelle vestigia e, noto, anche nelle donne e ragazze che vi si incontrano, le più belle slave viste nel viaggio, fatto – questo – confermato anche da mia moglie. A Sebenico, ben più piccola, dedichiamo le ore dal mezzo pomeriggio in poi, che trascorriamo salendo e scendendo per le viuzze che dalla costa salgono verso la Loggia Vecchia e la Cattedrale di S.Jakov; in sosta su una panchina odoriamo ed “estirpiamo” qualche ciuffo di lavanda profumatissima.
Un’altra giornata è stata dedicata alla gita al parco nazionale Krka (provate a pronunciare!); gita piacevole e parco a dir poco meraviglioso (forse per noi del sud Italia gioca molto la carenza di vaste zone intensamente boschive e lacustri); un viaggio nel viaggio che merita sicuramente dedicarvi una giornata (il nostro – fra l’altro – è stato un ripiego non potendo visitare il parco dei laghi di Plitvice, più a nord ed eccessivamente distante); al parco Krka si arriva da Selenico addentrandosi in direzione Knin (strada 11-2) e giunti a Lozovac puntando a Skradin, simpatico e rilassante borgo già all’interno del parco, da cui partono dei piccoli traghetti che portano alla prima delle sette vasche d’acqua in materiale tufaceo poste variamente digradanti verso la foce del corso d’acqua a margine di Selenico; spettacolari le cascate (buk) che si formano e piacevoli i bagni ammessi in alcune delle piscine naturali che si sono formate. All’interno del parco, oltre agli interessi alle bio-particolarità del posto, si possono apprezzare la visite alle antiche costruzioni della gente del luogo, guidati dalla disponibilità dei figuranti in costume tipico.
Notizie utili Carta stradale e turistica del T.C.I. Di Slovenia, Croatia, Serbia e Montenegro, Macedonia e Bosnia-Erzegovina, costo alla Feltrinelli di Palermo 7 Euro.
Guide turistiche:per la Croazia non mancano le alternative, noi abbiamo utilizzato la guida TCI; per la Bosnia non sono riuscito a trovare niente se non il materiale fornito dall’Ambasciata cui ho aggiunto un collage di informazioni acquisite tramite web.Personalmente consiglio di contattare, fra l’altro, il Consolato Generale di Bosnia ed Erzegovina di Milano, in Via F. Filzi n°19, recapito telefonico 02-66982707, che – ho potuto constatare – su richiesta invia la Guida Turistica del paese, sia su carta che in formato CD-ROM.
Tempo e temperature:Uggioso allo sbarco a Dubrovnik (22 Maggio 2003), e nuvolo per due giorni, poi soleggiato per un’intera settimana, salvo due giornate di brevi e leggere piogge mattutine a Sarajevo; soleggiato tendente al caldo a Tuzla e Blagaj, uggioso/piovigginoso a Foca, Goradze; mattina freschetto (metro di giudizio Palermo), serate piacevoli (camicia e felpa in cotone). Sulla costa dalmata centrale (eravamo già a Giugno) caldo in varie gradazioni: dal piacevole tepore mattutino al caldo delle zone verdi interne (gita al parco Krka), delle città di Zara, Spalato e Selenico. Valuta, cambi e pagamenti: già detto della Bosnia (cambio fisso €/Konvertible Marka 1 a 1,95583; in pratica tutti i commercianti, albergatori, bar, locali e benzinai cambiavano 2 KM per Euro), in Croazia il cambio è rimesso alle quotazioni del mercato; nel periodo del viaggio 1 Euro quotava circa 7,30-7,50 Kune croate (Kn) e raramente si poteva pagare direttamente in Euro;in entrambi i paesi diffuse carte di pagamento e prelievo.
Alloggi:a Cavtat, in casa privata al costo di 23 € al giorno; fluttuando sul web si trovano in abbondanza stanze (sobe) e appartamenti (apartmani); ovvia prudenza con le aspettative da foto; economiche le soluzioni; a Mostar, contattata l’agenzia FortunaTradeTours (www.Fortuna.Ba e fortuna@cob.Net.Ba, proprietario tal Mili Bijavica, ricorda l’Italia dove si rifugiò durante gli anni ‘90) che ci aveva trovato un appartamento, l’abbiamo trovata chiusa (ah, la Domenica in viaggio!), ripieghiamo sull’Hotel Bristol (no web site, telefono ++387 36 500 100) costo della matrimoniale (dvokrevetna soba) 55 € ; a Sarajevo (per la precisione siamo a Stup-Bare, Ilidza; per chi non ha mezzi propri è a due chilometri dal Bulevar Mese Selimovica, il famoso viale dei cecchini, dove passano vari tram per il centro) Hotel Delminium (www.Delminium.Co.Ba e info@delminium.Co.Ba) sempre la matrimoniale a 70 €. Prezzi già sulla via del recupero post-bellico, ma è bene precisare che è difficile trovare capitali europee con simili costi, soprattutto se si tiene conto del livello veramente buono degli alberghi, fra l’altro in pieno centro i costi in hotel sono in tutto e per tutto europei. Infine sulla costa dalmata centrale optiamo per un appartamento in un residence (Vranjica Belvedere, a 4 km da Trogir) con mirabile panorama a 36 €.
In definitiva, in due con auto a gasolio (5500 km percosi da Palermo e ritorno) il budget è stato di 2000 euro, che non sono pochi certamente, ma che hanno finanziato 20 (ripeto: 20) giorni di meravigliosa esperienza.
Viaggiare, traffico, multe e carburante: nel periodo provato (Maggio-Giugno 2003) traffico assai limitato, ovvio incremento in piena estate, pertanto regolatevi sulla base del buon senso specialmente considerando che nelle zone percorse non esistono autostrade ma solo statali, a tratti anche larghe, ma pur sempre statali; manto stradale buono in Croazia, e nelle grandi vie di transito in Bosnia; internandosi in Bosnia l’asfalto non è dissimile da quello di Palermo! Altro consiglio:se incrociate veicoli che vi lampeggiano con i fari abbaglianti significa che state andando incontro ad un posto di blocco di polizia (abitudine scoperta in Croazia, dopo avere ricevuto tre “avvisi di garanzia” incrociando autovetture in senso contrario).Capitolo multe:ne abbiamo beccate due, entrambe in Bosnia per eccesso di velocità (81 e 82 Km/h, 31 e 32 oltre i limiti secondo l’autovelox che non vedeva le BMW e le Mercedes che mi fumavano), importi irrisori per noi (10 euro ciascuna! Se non ci credete vi mando per e-mail le copie, le conservo ancora).Carburante:ricordo sin da bambino si diceva che erano “sporchi”:confermo;al ritorno di sbarco ad Ancona il lampeggio della spia del filtro gasolio mi ha imposto il cambio dello stesso filtro, colpa dell’ultimo “pieno” visto che per i venti giorni precedenti non avevamo avuto alcuna noia.
Lingua:per il turista pensavo l’inglese, che pure è capito e timidamente parlato, ma se conoscete il tedesco è meglio (da quest’aspetto, si comprende come i balcani – ma non solo questa zona d’Europa – siano stati e siano ancora sotto una grande pressione commerciale tedesca); comunque con buona volontà (che non dovrebbe mancare a chi in genere viaggia),spirito di osservazione e passione (meglio se c’è) ci si intriga alla parlata locale (chi è stato in altri paesi slavi noterà similitudini).Prima della partenza, su una bancarella a Palermo, casualmente avevo trovato il dizionario Italiano-Serbo/Croato:tre euro il costo del fato! Avvertenza: nella Bosnia di mezzo (quella croato-musulmana, per intenderci) noterete strane variazioni alle stesse parole (esempio:i Kafa/Kavana per caffè, et similia), nei territori della Repubblica Serba, specie se limitrofi alla Serbia-Montenegro, ma non solo lì, la passione per la linguistica è assolutamente necessaria per destreggiarsi col cirillico, oltre che con le ulteriori variazioni dal croato. Se riuscite a trovare il numero 6/2003 della rivista Limes (titolo: Il Nostro Oriente) grazie ad uno degli articoli avrete un’infarinatura della babele linguistica artatamente creata (altro aspetto della guerra), oltre che bellissimi saggi sul pianeta balcani.
Emergenze sanitarie:in Croazia è ammesso il mod.E111 (assistenza all’estero per le situazioni di urgenza ed emergenza sanitaria) rilasciato dagli Uffici di Medicina di Base delle ASL, non altrettanto in Bosnia (regolatevi come meglio credete senza sopravvalutare rischi inesistenti). Sicurezza-paese e luoghi comuni: assolutamente normale agli occhi del turista; visibili militari delle truppe SFOR (Stabilizatio FORce) di varia nazionalità, anche italiani (e se chiedete i più candidi ammetteranno che adesso sono in viaggio-premio ben retribuito! In un paese che ha “solo” problemi politici, ma non di criminalità quotidiana),in ogni caso e malgrado quel nome chiuso e le vicende del decennio passato, se vi piace viaggiare con gli occhi e con la mente, e se preferite destinazioni alternative e (ancora) poco frequentate non esitate assolutamente:partite! In ultimo, se di utilità per piantine urbane, consigli e quant’altro, mi potete contattare: Rosario, roxapa@katamail.Com Ciao e Bei Viaggi a tutti emandatemi qualche foto per farmi morire di…Ammirazione!