Valle Camonica, lassù dove nacque l’arte rupestre

Viaggio alla scoperta delle straordinarie incisioni rupestri della valle
Scritto da: ollygio
valle camonica, lassù dove nacque l'arte rupestre
Partenza il: 09/07/2018
Ritorno il: 11/07/2018
Viaggiatori: 2
Spesa: Fino a €250 €

9 – 10 – 11 Luglio 2018

La prima volta che ho sentito parlare della Valle Camonica è stato un secolo fa, quando alle scuole elementari la geografia era una materia di rilievo, quando si studiavano le provincie di ogni regione, i fiumi, i monti, i laghi e gli affluenti del Po; allora non aveva destato in me particolare interesse, poi diventata adulta ho cominciato ad appassionarmi al mondo in cui viviamo, alle bellezze artistiche, naturalistiche e culturali. E quale modo migliore per approfondire queste conoscenze se non viaggiando?

Proprio durante un viaggio in Giordania, la nostra preparatissima guida, ci ha mostrato alcune incisioni rupestri sulle pareti di roccia nel deserto del Wadi Rum e, quasi scusandosi, ha asserito che erano, però, ben poca cosa, paragonate a quelle della Valle Camonica!

Ci siamo guardati attoniti, stupiti nell’apprendere di avere un tal tesoro a casa nostra e ci siamo riproposti di andare quanto prima a visitala, ma sono passati anni, nel frattempo abbiamo visto incisioni rupestri nel deserto del Sahara, in Namibia e la Val Camonica è sempre passata in secondo piano.

Quest’anno le nostre ferie estive saranno solo a metà settembre, così utilizzando una smartbox, abbiamo deciso di fare una piccola parentesi di vacanza a luglio raggiungendo questa valle amena, meta così tante volte rinviata.

La Val Camonica si estende tra le province di Brescia e Bergamo, la strada che dalla Franciacorta sale verso nord si chiama la strada delle 3 valli, costeggia il lago d’ Iseo e raggiunge a nord il passo del Tonale. La valle è solcata dal fiume Oglio che si butta nel lago d’ Iseo, lo attraversa per poi sfociare nel Po. La valle Camonica con i suoi parchi storici è diventata patrimonio mondiale dell’UNESCO nel 1979, è il primo sito patrimonio dell’ UNESCO in Italia.

Noi abbiamo alloggiato a Borno, un piccolo paese montano con una grande strada lastricata centrale, su cui si affacciano bar, negozi di moda e sport. Le case, molte delle quali risalenti anche al XVIII secolo, sono in pietra con balconi in legno ricoperti di vasi di fiori dai colori sgargianti. La via sbocca nella piccola piazzetta del comune su cui si affaccia anche la chiesa parrocchiale dedicata a San Martino e San Giovanni. La piazza è tutta addobbata delle bandiere dei vari rioni del paese in attesa della festa patronale che si svolgerà il prossimo week end, i bar, numerosi, sono tutti deserti e sforniti di ogni mezzo di conforto, quindi non trovando altro, abbiamo pranzato con una coppa di gelato.

Il nostro hotel è il “Gabà” si trova ad un paio di chilometri dal centro del paese ed è sito in un bosco di conifere, ha l’ aspetto del tipico chalet di montagna con le stanze caratterizzate dal nome di un fiore, noi abbiamo alloggiato nella stanza “primula”.

Le stanze sono nuove, semplici ma accoglienti, i bagni sono grandi, noi abbiamo un grande terrazzo che si affaccia sulla valle.

Il gestore, molto gentile, ci ha raccomandato di non andare oggi a vedere le incisioni perché è lunedì e i parchi sono tutti chiusi.

Su suo consiglio ci siamo recati al convento dell’Annunciata che si trova a un paio di chilometri da Ossimo su di un’ altura, costruito alla fine del 400 da un francescano, ora luogo di culto e di meditazione. Sull’altare maggiore c’è un arco cinquecentesco diviso in 33 riquadri in cui sono dipinti i fatti più salienti della vita di Gesù.

Dietro l’ altare, diviso da una cancellata c’è il coro anch’esso dipinto da pittori camuni del 500; da qui si raggiunge il chiosco austero con le sue meridiane e, al piano di sopra, le stanze museo del Beato Innocenzo da Berzo che qui visse nella seconda metà dell’800, dando accoglienza a poveri e malati. Molte sono le testimonianze di grazia ricevute mediante la preghiera fatta al frate come intercessore di Dio.

Dal sagrato della chiesa parte una strada che costeggia il crinale del monte da cui si gode un bellissimo panorama della valle, con l’Oglio che la solca e in lontananza la punta più a nord del lago d’ Iseo; da qui partono una serie di sentieri tra le vigne in un percorso tra rocce incise dell’età del bronzo e del ferro ma, se non ci fossero stati i cartelli esplicativi sarebbe stato quasi impossibile individuarle.

È stata una piacevole passeggiata tra i boschi, le vigne e i campi coltivati a mais nero spinoso, un’antica varietà di mais autoctona, riscoperta e ricoltivata negli ultimi anni, che dà una farina punteggiata di nero, e che noi, da buoni buongustai, non abbiamo mancato di acquistare per assaggiarla.

Siamo ritornati a fondo valle, abbiamo raggiunto Breno, quindi Bienno, uno dei borghi più belli d’Italia, una cittadina che grazie all’abbondanza di boschi e corsi d’acqua ha sviluppato una fiorente economia basata sulla lavorazione del ferro e il commercio degli oggetti realizzati fin dall’ anno 1000. È una cittadina medioevale, il cui centro storico conserva ancora l’ architettura tipica, con case in pietra, cortili con terrazzi con soffitti ad arco, corti interne, torri di guardia, mura di cinta, stradine strette ed irte che portano alla parte del paese denominata il castello. Lassù, in antichità sorgeva il maniero con tanto di cappella, poi il castello è andato in rovina e gli abitanti erano troppi per la piccola cappella, così nel 600 è stata sostituita con l’attuale cattedrale di San Faustino e Giovita.

Bellissima anche la cinquecentesca chiesa di Santa Maria Annunziata, di origine francescana con la facciata adornata da un importante rosone e con affreschi dell’epoca all’ interno.

Bienno, celebre per le sue fucine dove si fondeva e lavorava il ferro, è un paese pieno di fontane che servivano a far girare i mulini, molti gli angoli in cui fanno bella mostra di sé utensili forgiati a mano.

C’è inoltre un mulino ancora funzionante e un museo che narra la storia della metallurgia della valle, ma oggi, essendo lunedì, è tutto chiuso.

La cena, nel nostro hotel non è un granché… Sembra il menù di una mensa aziendale, con 2 primi e 2 secondi a scelta… il tutto molto leggero e con poca fantasia ma, vista l’ età media degli ospiti, è capibile!

Sembra molto un hotel dove gli anziani vanno trascorrere i classici 15 giorni in montagna per sfuggire alla calura delle città.

Dopo cena abbiamo fatto 4 passi per il centro di Borno, ma i locali erano tutti pressoché deserti così per evitare di andare a letto all’imbrunire siamo arrivati fino a Lovere, sul lago d’Iseo. Abbiamo passeggiato sul lungolago illuminato dalla luna e dalle luci di Monte Isola, l’ isola all’ interno del lago che è la più grande isola lacustre d’Europa, mentre i cigni nuotavano incuranti del passaggio dei turisti.

La centrale piazza XIII Martiri è tutta una luce proiettata sulle facciate dei palazzi che la circondano, ci siamo fermati per un drink e poi di nuovo su per la tortuosa strada fino a Breno.

La mattina seguente, dopo un’ottima colazione fatta di spremute, torte e biscotti casalinghi abbiamo raggiunto Capo di Ponte, il paese in cui si trovano i maggiori parchi archeologici nella valle, infatti la Valcamonica conta ben 8 parchi con graffiti e incisioni.

Il più celebre e il più ricco è sicuramente quello di Naquane. Alla biglietteria ci consegnano una mappa con tutti i punti di maggior interesse e il percorso consigliato. Il parco, in quanto patrimonio dell’UNESCO è tenuto benissimo, il percorso si snoda su sentieri lastricati in un bosco dai pini altissimi, tutto attorno l’erba tagliata all’inglese.

Davanti ad ogni masso c’è il cartello esplicativo del periodo, della tecnica utilizzata e, soprattutto il soggetto o i soggetti che sono rappresentati sono ingranditi da rendere più agevole l’ individuarli. Molte sono le immagini di uomini, alcuni a cavallo, cervi, cani, sacerdoti o stregoni con copricapi piumati, capanne, immagini di caccia o di lotta, coltelli… Tutti incisi e poi picchettati sulla roccia, risalenti tra il Neolitico (V-IV millennio a.C.) e l’età del Ferro (I millennio a.C). Immagini che sembrano scaturire dalla matita di un bambino che si approccia per la prima volta al disegno.

Questa forma d’arte ci è indispensabile per capire la vita quotidiana dei nostri primitivi progenitori che non avevano altro modo per comunicare con i posteri, visto che non esisteva ancora alcun tipo di scrittura.

Tra queste primitive sculture ci sono anche qualche scritta, risalente all’ epoca romana, tempo in cui i camuni vennero conquistati.

Alcune rocce sono di notevoli dimensioni, come la Roccia 1, che ha una straordinaria ricchezza e varietà di figure incise, circa un migliaio. Sono presenti molte figure di animali, uomini armati, telai verticali a pesi, palette, edifici, coppelle e un labirinto.

La “scena del villaggio” della roccia 35, rappresenta alcuni edifici che si sovrappongono a precedenti scene di caccia al cervo e sembrano mostrare un villaggio con le sue attività. Alcune figure presentano una particolare valenza artistica, come la famosa raffigurazione del sacerdote che corre della roccia 35. In alcuni casi abbiamo vere e proprie raffigurazioni divine, come nel caso della Roccia 70, dove una figura di grandi dimensioni,rispetto a quella degli uomini mortali, dalle evidenti corna di cervo.

Mentre passeggiavamo estasiati in questo angolo di parco abitato millenni fa dal fiero popolo dei camuni, dove ogni pietra è stata calpestata dai nostri progenitori, il cielo ha cominciato ad incupirsi e in men che non si dica ha cominciato a piovere a dirotto. Per fortuna avevamo con noi le mantelle ma sulle pietre, rese lucide dalla pioggia era ancorano più difficile scorgere i graffiti.

Verso mezzogiorno abbiamo lasciato il parco e ci siamo diretti al centro d’informazione turistica per un consiglio su come trascorrere il pomeriggio.

L’impiegata è stata gentilissima e molto disponibile, ci ha consigliato di visitare un altro dei numerosi parchi della valle, quello di Seradina-Bedolina e quello dei massi di Cemmo.

In quel momento splendeva il sole ma abbiamo messo in atto anche un piano B per un eventuale altro acquazzone: essendo noi appassionati di vino, la ragazza ci ha consigliato di visitare una piccola cantina ma con vini di pregio, abbiamo inoltre chiesto una carta dei sentieri perché domani ci piacerebbe andare a camminare un po’ in montagna, visto che è più di un anno che non lo facciamo.

Usciti dall’ufficio, abbiamo lasciato l’abitato di Capo di Ponte, abbiamo parcheggiato nei pressi del cimitero. Il parco è collocato sul versante idrografico destro del fiume Oglio, raccoglie al proprio interno rocce incise principalmente a cavallo dell’Età del Bronzo (2000 a.C) e dell’Età del Ferro (1000 a.C).. All’ingresso ci è stata consegnata una carta con i vari sentieri e i siti di maggior rilievo.

Questo essendo un parco minore rispetto a quello di Naquane è pressoché deserto, abbiamo incontrato solo un’altra visitatrice che sembrava più una podista che una turista interessata alla storia del luogo. Anche nel parco di Seradina-Bedolina i sentieri sono ben segnati, i cartelli esaustivi ma le incisioni forse meno rappresentative, la più celebre di queste rocce è la n° 12 che ha un’ampia superficie, in pendenza, mostra una combinazione di temi che la rendono unica nel panorama dell’età del Ferro locale, ci sono scene di caccia di cacciatori a cavallo, molto rari in quest’epoca, scene di aratura con bovidi aggiogati e anche una scena erotica.

Dal parco di Seradina ci si inerpica su per un irto sentiero in parte nel bosco e in parte aperto sul panorama della valle sottostante, fino a raggiungere Bedolina. Qui si trovano grafiti a forma di rettangolo con al centro puntini o linee che, probabilmente, erano una sorta di carta topografica del territorio, i cui vari elementi compositivi indicherebbero le varie destinazioni degli appezzamenti (zone abitate, campi coltivati o terreni a pascolo, sentieri e altre strutture costruite dall’uomo), mentre la scelta stessa della superficie rocciosa da incidere, in molti casi sagomata in forme che ricordano vagamente porzioni del territorio circostante, avvalorerebbe la volontà di riprodurre e sacralizzare lo spazio “civile” frequentato dall’uomo; quassù, su una di queste rocce, è inciso uno splendido esemplare di rosa camuna, oggi divenuto simbolo della regione Lombardia.

All’uscita del parco c’è un piccolo museo dei calchi delle incisioni camune più rappresentative fatte il secolo scorso da uno storico della zona, oggi però questa tecnica è proibita perché si rischia di rovinarle irrimediabilmente.

A poche centinaia di metri dall’ uscita del parco si trova su uno sperone di roccia a picco sul

Fiume, la chiesa paleocristiana di San Siro, che apre per mano di alcuni volontari solo durante il weekend.

Ci siamo fermati ancora nel grande prato dove sono disseminati 4 grandi massi incisi, i massi di Cemmo e poi abbiamo deliziato le nostre papille con la visita della cantina Concarena

Il proprietario, un ragazzo poco più che trentenne, laureato in filosofia, che si è appassionato all’ enologia da pochi anni, ci ha accolto calorosamente, ci ha mostrato i vigneti per lo più tutti vicino a casa di riesling, chardonnay, merlot, pinot nero, marzemino. Ci ha descritto il suo modo di coltivare la vite, le difficoltà di adattamento di un vitigno piuttosto che l’altro; ci ha raccontato i suoi progetti, il primo dei quali produrre un metodo classico padosè, una “bollicina” che resterà sui lieviti per almeno tre anni a cui seguirà un affinamento in bottiglia per almeno un anno, un progetto davvero ambizioso!

Abbiamo quindi assaggiato il riesling, il rosso che è 85% di marzemino e 15 % di merlot e quindi i vari “esprimenti” con le uve attaccate dalle muffe nobili o da un invecchiamento in barrique esausta.

Abbiamo acquistato quello che ci permettevano i nostri pochi contanti perché non ha il pos per le carte di credito poi siamo rientrati in hotel per la cena che era pressoché uguale a quella di ieri.

Il cielo si è rifatto nero, nero abbiamo deciso di fare 2 passi a Breno, cittadina caratteristica con i ruderi di un castello che lo sovrasta ma, si è rivelato peggio che Borno, pochissimi bar aperti, quasi tutti vuoti, è vero che è martedì sera, piove e fa freddo, ma abbiamo fatto ben presto a rintanarci sotto le coperte.

L’acquazzone è durato pressoché tutta la notte, quindi i buoni propositi di andare a camminare sono sfumati perché, anche se stamane il tempo pare sereno ci sono pozzanghere e pantani ovunque. Dopo la colazione abbiamo deciso di visitare la parte romana della valle: a Cividate Camuno c’è un anfiteatro con adiacente teatro e parte di un palazzo nobiliare di epoca romana. Poco più a nord del paese ci sono i resti del tempio di Minerva e, dopo aver camminato un bel po’ nella campagna, abbiamo scoperto essere visitabile solo durante il weekend.

Ci siamo avviati verso casa, ci siamo nuovamente fermati a Lovere, abbiamo passeggiato per le strette stradine che salgono verso la cima della collina, siamo giunti nella piccola graziosa piazza del Comune sovrastata dalla torre delle ore con l’affresco quattrocentesco del Leone di San Marco, mentre sulla cima c’è l’imponente chiesa delle 2 Sante Loversi costruita nei primi decenni del 900.

Abbiamo mangiato un’insalata baciati dal tiepido sole di fronte al lago increspato dal vento, poi siamo stati attratti da una mostra del pittore viaggiatore Odiprandi all’interno del palazzo-museo Tadini.

Abbiamo visitato questa casa acquistata dal conte Tadini come casa di villeggiatura e poi come luogo in cui esporre le opere d’arte che collezionava sistemandole in ordine cronologico o di soggetti; ci sono stanze dedicate a quadri, arazzi, porcellane e l’ultimo piano è interamente dedicato alle opere di Odiprandi che negli anni 20 ha viaggiato soprattutto nell’Africa del Nord con un mezzo dotato di un cassone dietro che conteneva un letto e una cucina e che è esposto nell’atrio del palazzo. Una sorta di progenitore del camper.

Nella cappella della villa c’è una scultura del Canova, scolpita per la tomba del figlio del conte morto poco più che ventenne.

Ultima tappa della nostra breve, interessantissima vacanza, la Chiesa di San Maria in Valvendra, sorta nel 1500 fuori dal centro abitato di Lovere, ancora oggi la chiesa più grande della provincia di Brescia, con un interno decorato con stucchi, affreschi dai colori accesi. Un tripudio di splendore e ricchezza.

Penso che la Valle Camonica sia ben di più di quello che ho appena descritto, chissà quanti altri angoli incantevoli nasconde, ma ho voluto esprimere queste poche impressioni per far sì che il turismo raggiunga anche questi luoghi che, specialmente noi italiani, conosciamo poco e che vale assolutamente visitare.



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