Bianca Mongolia
Siamo arrivati qua, nell’antica capitale dell’impero di Gengish Khan.
La nera follia cinese e la rabbia sovietica hanno distrutto quasi tutto, lasciando poche rovine nel deserto.
E’ novembre ed il campo turistico è chiuso: per questo dormiremo nella gher, la tipica tenda dei nomadi mongoli.
Nel nostro accampamento le gher sono bianche. Forse nel buio spiccano, ma non me ne posso accertare perché dall’esterno sento ululati di bestie notturne, che certamente non invogliano ad uscire.
Dal foro centrale vediamo uno spicchio di cielo nero.
Bianco, nero…Qui tutto è armonia, senza contrasti.
Il mattino seguente visitiamo una famiglia di allevatori di cavalli. Il rito dell’ospitalità prevede il passaggio delle tabacchiere personali. Si prendono con la mano destra, ne si ammira la foggia, si aspira l’aroma e si passano al vicino con la mano sinistra.
Ci sono tanti bambini intorni e non hanno nulla: giocano con un corno di animale, usandolo come palla.
I loro grandi occhi scuri non hanno ancora imparato ad implorare i turisti.
Per loro rivolterò il mercatino locale in cerca di bambole e palloni.
Com’è sorpresa la venditrice…Le ho svuotato la bancarella. La spesa è stata minima, ma per lei si tratta di un notevole guadagno.
Ha annotato tutte le vendite in un quadernetto : questa sera avrà qualcosa di interessante da mostrare al marito.
Torno alla gher. Stanotte lo spicchio nero di cielo è picchiettato di stelle.
Anche nei vostri occhi, bimbi miei, si sono accese tante piccole stelle.
Sulle pietre di Karakorum la storia continua a tacere, ma nel silenzio i cuori cantano ed è un bianco canto di speranza.