Bellissima Lanzarote … Peccato per il Calima
Sono le 21:48 di un lunedì sera qualunque quando lasciamo casa con le facce velate da un alito di tensione, mentre il solo Federico, nella sua ingenuità infantile, appare veramente felice … beato lui! A Faenza entriamo in autostrada e, chiacchierando, in breve raggiungiamo Bologna. Sono le 22:30 e passiamo accanto all’aeroporto Marconi, dove presumibilmente faremo ritorno.
Con il capoluogo emiliano alle spalle ci fermiamo per un rabbocco di carburante, poi torniamo a macinare chilometri e viaggiamo costantemente risalendo interminabili colonne di autotreni fin quando, alle 23:30, nei pressi di Parma, non ne incontriamo uno ribaltato sulla carreggiata. Gli passiamo accanto lentamente cercando di intuire la dinamica dell’incidente e proseguiamo, così, mezz’ora più tardi oltrepassiamo il Po e, allo stesso tempo, la soglia di un nuovo giorno.
Martedì 23 Ottobre 2001: Questa era la data prevista per la partenza e invece siamo già in viaggio da diverse ore quando, una manciata di minuti dopo la mezzanotte, arriviamo alla barriera autostradale di Milano sud e proseguiamo lungo la tangenziale ovest in direzione di Malpensa. Ci fermiamo poi per dormire, circa un’ora più tardi, all’1:08, a pochi chilometri dall’aeroporto, nella cittadina di Gallarate.
La sveglia suona alle 7:30: facciamo una veloce colazione e ci facciamo accompagnare al Terminal 1. La rampa di accesso alla zona delle partenze è preceduta da un posto di blocco: inevitabile e prevedibile misura di sicurezza adottata per contrastare la pericolosa situazione internazionale.
Scarichiamo le valigie, salutiamo i nonni e, carrello alla mano, ci mettiamo alla ricerca del banco Alpitour (nostro tour operator) al quale ci dobbiamo presentare entro le 8:50. Vaghiamo per un po’ all’interno dell’aeroporto fin quando, chiedendo informazioni, non ci rendiamo conto di un errore nella convocazione: il nostro aereo partirà, infatti, dal Terminal 2! Usciamo, saliamo su di un autobus e, poco dopo, arriviamo finalmente al terminal e al banco giusto. Tutto intorno a noi però c’è uno strano clima, manca quel brulicare di gente indaffarata a spingere carrelli stracolmi di bagagli, mancano tanti turisti e mai ci era capitato di vedere un’area gruppi così … vuota: solo la nostra fila è di una certa entità, forse perché la meta è fra quelle considerate meno a rischio.
Ci consegnano i biglietti, imbarchiamo le valigie e ci avviamo al check-in: il metal detector (probabilmente tarato in maniera diversa dal solito) suona a causa del mio orologio, ma oltre a questo nessun altro problema. Ci mettiamo in attesa, con Federico che scorrazza per un po’ in un’area giochi, mentre scambiamo quattro chiacchiere con una coppia in viaggio di nozze.
Alle 10:30 si apre la porta D1, la varchiamo e raggiungiamo il nostro aereo, un Airbus A320 della Volare Airlines (identificato come volo 8d 1232), che stacca da terra poco dopo, alle 11:15, quasi in perfetto orario, con destinazione Lanzarote. Quattro ore di viaggio ci separano dalla meta: saliamo oltre le nuvole e poco dopo appare il Mar Mediterraneo, con la costa francese nella quale spiccano Nizza prima e Marsiglia poi.
Pranziamo quando mancano ancora quasi tre ore all’atterraggio ed il problema maggiore è far passare il tempo a Federico, mentre sotto di noi c’è solo l’immensa distesa del mare. La terra riappare quando sorvoliamo l’Andalusia, con ben visibile la Sierra Nevada appena spruzzata di neve, poi torniamo sul Mediterraneo fino a raggiungere la costa nord africana.
Sorvoliamo per diverso tempo il Marocco, con il piccolo che continua a chiedere quanto tempo manchi ancora all’atterraggio, poi appare l’Oceano Atlantico, allora cominciamo a scendere verso Lanzarote attraversando grossi nuvoloni e, finalmente tocchiamo terra: lungo il tragitto abbiamo recuperato un’ora di fuso orario e sono le 14:15 locali.
Lanzarote, assieme ad altre sei isole cosiddette maggiori, appartiene politicamente alla Spagna e geograficamente all’arcipelago delle Canarie (situato a circa 100 chilometri dalle coste occidentali dell’Africa). Misura 62 chilometri di lunghezza per 20 di larghezza ed ha un aspetto desertico dettato anche dalla sua origine chiaramente vulcanica. Al nostro arrivo fa abbastanza caldo, ma tira un forte vento e questa, purtroppo, è una caratteristica del suo clima alla quale, credo, dovremo abituarci.
Mentre aspettiamo l’arrivo dei bagagli telefono a casa per far sapere del nostro arrivo e tranquillizzare tutti, poi, recuperate le valigie, ci mettiamo alla ricerca del mezzo che ci accompagnerà all’hotel. Il tutto si svolge un po’ a rilento e lasciamo l’aeroporto quasi un’ora dopo l’atterraggio: per fortuna il Beatriz Playa, nel quale trascorreremo l’intero soggiorno, si trova a soli tre chilometri di distanza e in pochi minuti lo raggiungiamo. E’ un grande complesso, con centinaia di camere, ma a prima vista ci fa una buona impressione. Sbrighiamo le rituali pratiche di consegna delle chiavi e raggiungiamo subito la stanza numero quindici, indossiamo la tenuta da spiaggia e ci precipitiamo a trascorrere un po’ di tempo in piscina. Federico non resiste a lungo e dopo pochi minuti è già in acqua con maschera e boccaglio, mentre le condizioni atmosferiche non sono quanto di meglio si possa desiderare: ci sono diverse nuvole ed il vento è fastidioso, anche se il sole, quando vien fuori, si fa sentire.
Più tardi vado a concordare il noleggio di un’auto per i prossimi giorni e al ritorno andiamo a fare una passeggiata sul lungomare di Puerto del Carmen: ci godiamo un bel tramonto, ma l’aria che tira è fin troppo fresca e dobbiamo coprirci. Alla fine si fa tardi e dobbiamo far le corse per non lasciarci sfuggire l’ora di cena.
La serata che segue non è delle migliori: siamo stanchi dopo il viaggio e non usciamo dall’hotel, tanto più che il freddo (inaspettato) non ci invita a farlo, poi non conosciamo nessuno e non restiamo soddisfatti dall’odierno spettacolo messo in piedi dall’animazione, così ci ritiriamo in camera per riposare, visto che domani prenderà il via la visita vera e propria di Lanzarote … una bella e indimenticabile visita … speriamo! Mercoledì 24 Ottobre 2001: La sveglia suona alle 7:30 e mi alzo per guardar fuori dalla finestra: il sole non è ancora sorto completamente, tanto che mi viene il dubbio di aver sbagliato a programmare la suoneria, ma è la realtà, così torno a passare un altro po’ di tempo fra le lenzuola. Ci leviamo da letto quasi un’ora più tardi e andiamo a far colazione, la più classica delle colazioni a buffet, che richiede tempo per essere consumata, soprattutto se si vogliono (giustamente) soddisfare tutte le curiosità del piccolo. Così mi alzo da tavola con un po’ di anticipo, rispetto a Sabrina e Federico, per andare alla reception, dove mi attende la funzionaria della Faycan per la consegna dell’auto a noleggio.
Ci vuole tempo per riempire e firmare tutti i moduli ma finalmente, intorno alle 10:00, partiamo, a bordo della nostra Clio grigia (targata GC 9840 CF), in direzione del capoluogo Arrecife, alla cui periferia ci fermiamo per fare alcuni acquisti, poi proseguiamo verso nord, lungo la strada che corre nell’interno, fra scenari di desolante bellezza, in un paesaggio roccioso e desertico, fino a raggiungere l’abitato di Guatiza, prima tappa del nostro itinerario.
L’intera isola di Lanzarote deve tantissimo a César Manrique, un’artista che ha contribuito in maniera determinante a preservarne il patrimonio naturalistico e culturale. Amico di Picasso e di Mirò, nella seconda metà del secolo scorso, mise a disposizione dell’amata terra d’origine il suo estro e la sua genialità, disseminando l’isola di opere in sintonia con il territorio ed evitando, in qualche modo, quello scempio edilizio che caratterizza alcune delle altre isole canariche.
Una di queste opere si trova proprio a Guatiza, ed è il Jardin des Cactus: un giardino botanico all’interno del quale si possono osservare oltre mille specie di cactus provenienti da ogni parte del mondo, e già di per sé l’argomento della visita stuzzica la nostra curiosità. Ma è soprattutto l’ambientazione architettonica ad esaltare la bellezza delle piante, disseminate con criterio tra le rocce sistemate meticolosamente in ordine sparso, perché nulla sembra lasciato al caso o fuori posto in quel caos studiato con geniale lucidità a tavolino. Il tutto è poi inserito in uno straordinario contesto ambientale, all’interno di un cratere e ai piedi di un vecchio mulino a vento minuziosamente restaurato e riportato a nuova vita.
Vaghiamo per il giardino osservando sbalorditi le piante che, sviluppandosi in un clima per loro ideale, raggiungono dimensioni davvero ragguardevoli, soprattutto se paragonate a quelle che siamo abituati a vedere in Italia, poi accontentiamo il piccolo che con insistenza ci chiedeva già da tempo di poter visitare il mulino.
Terminata la visita proviamo a metterci alla ricerca di una spiaggia: splende il sole, ma soffia un forte vento che abbassa notevolmente la temperatura e non sarà facile trovare un posto bello e riparato.
Proseguiamo verso nord e arriviamo fin quasi all’estremità dell’isola poi, poco prima del paesino di Orzola, svoltiamo a destra scendendo al mare lungo una strada sterrata. Arriviamo così nella spiaggia del Caleton Blanco, una bella spiaggia di sabbia bianca che spicca incredibilmente fra le vulcaniche rocce, nere come la pece. E’ abbastanza protetta e lì ci fermiamo, anche se il vento sembra essere una caratteristica costante del luogo, in considerazione del fatto che, in prossimità del mare, si trovino, sparsi ovunque, dei cerchi di pietre costruiti proprio per ripararsi. Così ci sistemiamo all’interno di uno di questi, visto che, nel frattempo, in cielo si sono accumulate anche diverse nuvole.
Vado subito con Federico a sentire l’acqua dell’oceano … freschina! … giusta per bagnarsi i piedi, o poco più. Pranziamo all’interno del cerchio di pietre poi, quando vien fuori il sole, usciamo allo scoperto, perché fa subito un gran caldo e si finisce per sudare. Resteremo al Caleton Blanco per il resto della giornata: nonostante qualche residuo di catrame nascosto fra la sabbia che ci imbratta tutti i piedi ed un fastidioso via vai di nuvole, tutto sommato, si sta benone e la pace è assicurata.
Nel pomeriggio consumo anche, in compagnia di Federico, un breve bagno nelle acque dell’oceano che, forse per un’azione inconscia di autoconvincimento, sembrano meno fredde che in mattinata, poi, quando finalmente il sole vien fuori prepotentemente, poco dopo le 16:00, purtroppo, raccogliamo tutte le nostre cose e rientriamo al Beatriz dove, alle 17:00, ci attende il brIefing dell’addetta Alpitour. E’ una disdetta, ma forse così riusciremo ad avere qualche informazione utile in più per visitare l’isola.
Rimango solo io alla riunione, mentre Sabrina e Federico vanno in piscina … ed era meglio ci andassi anch’io: la ragazza è a dir poco sprovveduta e forse potevo dargli io qualche consiglio! Alla fine, per niente soddisfatto, me ne vado e raggiungo gli altri: il piccolo ha fatto un bagno e Sabrina ha preso un po’ di sole, ma comincia a far sera e saliamo in camera a depositare gli zaini per ridiscendere subito e fare una breve passeggiata sul lungomare prima di cena.
Concludiamo la serata in compagnia di un piccolo spettacolo messo in scena dal cast dell’animazione, poi torniamo in camera a riposare: nonostante mi stiano crescendo i sintomi di un fastidioso raffreddore, nonostante il vento e quell’inutile brIefing, tutto sommato, è stata una buona giornata e fiduciosi aspettiamo la prossima.
Giovedì 25 Ottobre 2001: Al suonar della sveglia comincio a tossire e a starnutire, mentre un’odiosa sensazione di malessere sale a pervadermi tutto il corpo … sono un relitto umano, prossimo alla rottamazione, ma non ho la febbre, almeno credo, quindi stringo i denti e cerco di tener duro. Proseguiamo, naturalmente, nella normale visita di Lanzarote e scendiamo a far colazione, ma ci dilunghiamo un po’ troppo, così quando ci mettiamo in strada, diretti nuovamente a nord, sono da poco passate le 10:00.
Ci lasciamo alle spalle Arrecife e arriviamo a Guatiza, dove si trova il Jardin des Cactus e dove ci fermiamo per fare una piccola spesa, quindi continuiamo a seguire il nastro d’asfalto che arriva fin sull’estrema punta settentrionale e saliamo, fra incredibili scenari, al cosiddetto Mirador del Rio: un punto panoramico situato su di un’altura che domina questa parte dell’isola. Si trova a quasi cinquecento metri d’altezza e solo ieri era fra le nuvole, oggi, invece, il cielo è completamente sgombro anche se, purtroppo, un leggero velo di foschia avvolge ogni cosa in lontananza guastandoci un po’ la festa.
Al termine della strada si trovano un parcheggio ed un locale, quest’ultimo impeccabilmente progettato da Manrique e costruito, mimetizzato fra le rocce, a picco sul mare.
Dalla terrazza panoramica si gode di uno spettacolo davvero mozzafiato, con la vista che spazia sullo stretto braccio di mare (il Rio) che divide Lanzarote dalla piccola isola di Graciosa, e più lontano sugli scogli vulcanici di Montaña Clara e Alegranza.
A lungo restiamo a guardare cercando di riempirci quanto più possibile gli occhi di tanta meraviglia e solo lo scalpitare di Federico, che chiede con insistenza di proseguire nella visita, ci convince a lasciare, controvoglia, il posto.
Percorriamo in auto la strada che corre lungo il crinale dell’isola, fra stupendi scorci panoramici, poi scendiamo verso una sorta di conca naturale in fondo alla quale si trova Haria: la città delle palme. E’ una zona particolarmente protetta dai venti che soffiano costantemente per quasi tutto l’anno e forse per questo motivo è anche la più “verde” di Lanzarote, disseminata com’è di piante ad alto fusto ma, soprattutto, di palme, appunto, che unite all’arido paesaggio e alle bianche case degli abitanti danno vita ad un quadro d’insieme particolarmente suggestivo, che ci fa sentire, ancor più che geograficamente, nell’Africa Sahariana.
Ci lasciamo alle spalle anche Haria e affrontiamo i tornanti che salgono di nuovo allo spartiacque naturale dell’isola. Lo percorriamo per un lungo tratto e raggiungiamo la cittadina di Teguise, l’antica capitale, che visiteremo in un’altra occasione, poi scendiamo al mare in direzione della costa occidentale e arriviamo a Cala Famara.
La spiaggia è una delle più grandi di Lanzarote, ma è anche quella, forse, più esposta alla furia dei venti. Il dio Eolo però, oggi, sembra essersi preso una giornata di ferie e occasione migliore non poteva capitarci, infatti si sta benone: soffia una gradevole brezza ed il posto è magnifico, contornato com’è da uno splendido paesaggio desertico e da severe montagne, con la spiaggia, dalla sabbia scura, costantemente battuta dalle onde. Onde che oggi sono, probabilmente, più piccole del solito, visto che Famara è considerata un paradiso dei surfisti. Facciamo anche un piccolo bagno così, a proprio causa di un’onda dispettosa, finisco col perdere gli occhiali da sole che portavo incautamente in testa … peccato, vuol dire che li comprerò nuovi, del resto non avevano un grande valore.
Nelle ore centrali della giornata il sole si fa sentire esprimendo tutta la sua forza, e non scherza davvero! Pranziamo quindi all’ombra della tenda, con davanti agli occhi alcuni ragazzi impegnati a ripassare i fondamentali del serf, viste le tranquille condizioni del mare, mentre in lontananza s’intravede l’isola di Graciosa e la spiaggia è tutto fuorché affollata, così, intorno a noi, regna la pace assoluta e la sensazione di libertà che si prova è impareggiabile e concreta. Il tempo non può far altro che trascorrere piacevolmente e ci muoviamo da Famara solo intorno alle 18:00, quando riordiniamo il nostro equipaggiamento balneare e ci prepariamo a far ritorno al Beatriz.
Giunti all’hotel saliamo in camera a depositare gli zaini prima di recarci sul lungomare di Puerto del Carmen a ricomprare gli occhiali persi, poi, più tardi, ci rechiamo a cena.
E’ stata una bellissima ed intensa giornata che, però, ha lasciato il segno, così non resistiamo a lungo nel proseguimento della serata: siamo stanchi e ben presto ci ritiriamo nei nostri “appartamenti” per consumare un meritato riposo.
Venerdì 26 Ottobre 2001: Finalmente affrontiamo i preparativi con maggior sollecitudine e già alle 9:30 siamo pronti per partire. Ci avventuriamo, per la prima volta, nel sud dell’isola, non prima, però, di essere transitati nella sua parte centrale per visitare quella particolarissima zona agricola che si chiama La Geria.
In un paesaggio surreale, fra picchi vulcanici e terreni neri come l’inchiostro, al fondo di piccole buche scavate metodicamente dalla mano dell’uomo e protette da muretti di pietre a secco, crescono le sparute viti dalle quali si ricava il vino di Lanzarote. E’ a dir poco incredibile l’essere riusciti ad ottenere qualcosa da una terra e da un clima così difficili ed avari al tempo stesso, ma la metodologia applicata, dopo secoli di esperienze, ha dato i giusti frutti. Le piante crescono al riparo dal vento sul fondo delle buche e traggono sostentamento dalla terra lavica che ha, fra l’altro, la proprietà di trattenere l’umidità dell’aria nelle ore notturne: in questo modo nascono quei pregiati chicchi d’uva che rendono unico questo posto. Alcune tipiche fattorie, che spiccano tinteggiate di bianco in mezzo ad un paesaggio agreste del tutto insolito, vendono il prodotto della loro vendemmia e avremmo volentieri comprato alcune bottiglie di vino, ma abbiamo rimandato l’acquisto perché non ci sembrava il caso di lasciarle nel caldo dell’auto per l’intera giornata.
Torniamo così a percorrere la strada che si avventura verso il sud dell’isola e arriviamo nel delizioso paesino di Yaiza, tutto di case basse e rigorosamente bianche, attorniate da palme e buganvillee. Ne percorriamo a piedi le vie centrali, silenziose, linde e ordinatissime, fra le quali spicca una semplice ma incantevole piazzetta su cui si affacciano gli edifici più caratteristici, oltre alla chiesa dal tipico campanile a vela.
Scattiamo qualche foto e proseguiamo nel nostro itinerario fino a raggiungere l’abitato di Playa Blanca, sull’estrema punta meridionale di Lanzarote, dal cui porto salpano i traghetti che approdano, dopo meno di un’ora di navigazione, alla dirimpettaia isola di Fuerteventura che s’intravede all’orizzonte: dicono sia bella, ma quella è una storia che, forse, racconteremo in un’altra occasione.
Oltrepassiamo la cittadina, nella quale, a colpo d’occhio, si nota una grandiosa espansione edilizia, e ci avventuriamo a sud-est, verso quel lembo di terra che si protende nell’Oceano Atlantico, dove dovrebbero trovarsi le migliori spiagge di Lanzarote. Tutta la zona è un’area protetta e per questo motivo oltrepassiamo una sorta di checkpoint, in corrispondenza del quale ci viene chiesto un piccolo obolo, poi proseguiamo lungo un percorso sterrato che ci porta, in breve, a raggiungere un parcheggio in prossimità di Playa Papagayo.
La spiaggia è nota come la più bella dell’isola e si capisce subito, arrivando dall’alto, che appartiene ad una categoria superiore: è una perfetta mezzaluna di sabbia chiara incastonata fra le rocce, in un paesaggio tanto scarno ed essenziale quanto straordinariamente affascinante nella sua cruda nudità terrena, in contrasto con la cristallina trasparenza ed i magnifici colori del mare … Non abbiamo dubbi: scendiamo alla spiaggia, piazziamo la tenda a pochi metri dal bagnasciuga e ci sistemiamo a dovere perché passeremo a Playa Papagayo tutto il resto della giornata. Con l’aiuto di Federico costruisco un castello, poi insieme facciamo un bagno, mentre Sabrina ci guarda da riva: non c’è che dire, per lei l’acqua dell’Atlantico è decisamente troppo fredda e più dei piedi non riesce proprio a bagnarsi. Vuol dire che dovrà “accontentarsi” di fare solo bagni di sole, di quel bellissimo sole che oggi splende più che mai, alto in cielo, e che scotta davvero nelle ore più calde della giornata.
Il pomeriggio lo passiamo in completo relax, giocando spensieratamente e sfamando branchi di pesci che, per niente intimoriti, vengono a prendere il cibo dalle mani nude, poi ne catturiamo alcuni fra i più piccoli, così Federico si diverte un mondo a trasformare un buco nella sabbia in un piccolo ed improvvisato acquario. Alla fine liberiamo tutti i malcapitati, mentre il tempo vola ed il disco solare che “pochi istanti” prima era quasi allo zenit ora è in prossimità della linea che delimita l’orizzonte. La spiaggia si è praticamente svuotata e la temperatura è ottimale: si sta benissimo e ci godiamo il posto in compagnia di pochi intimi e di alcuni gabbiani, che ne stanno prendendo possesso mentre pazientemente setacciano la sabbia alla ricerca di qualche residuo di cibo.
Siamo quasi dispiaciuti di lasciare Playa Papagayo, ma ormai è il tramonto e dobbiamo andare, infatti arriviamo a Puerto del Carmen col buio e passiamo ad imbucare le cartoline prima di rientrare all’hotel e prepararci per la cena.
Scendiamo al ristorante e nel buffet notiamo i soliti cartellini che usano mettere di fianco ad ogni pietanza arrecante il nome della stessa, ma con le minestre continuano a fare una gran confusione: passi che un paio di giorni fa chiamavano maccheroni una sorta di tagliatelle, ma questa sera sono riusciti a scambiare dei semplici fusilli per dei tortellini! … imperdonabile!!! … ci vien da ridere e per niente indignati li assaggiamo! Dopo mangiato passiamo un po’ di tempo seduti al bar a sorseggiare un caffè espresso e a giocare a “Forza 4”, un classico gioco da tavolo che cerchiamo di far capire anche al piccolo, poi, naturalmente, torniamo in camera a riposare, sognando, forse, di trascorrere tante altre giornate belle come quella appena conclusa.
Sabato 27 Ottobre 2001: Se il buon giorno si vede dal mattino vorrà dire che anche quella che va ad iniziare sarà una splendida giornata: non soffia un alito di vento ed il sole splende dominando, incontrastato, il cielo. Per questo motivo modifichiamo il programma, che prevedeva una visita ad Arrecife, capoluogo dell’isola, per andare a nord, dove, abitualmente, il dio Eolo la fa da padrone.
Oltrepassiamo Guatiza, con il suo Jardin des Cactus, e arriviamo, dopo una manciata di chilometri, alla Cueva de Los Verdes: una grotta di origine vulcanica formatasi in seguito all’eruzione del vicino vulcano Corona. Prende il nome direttamente da quello di una famiglia che, per sfuggire proprio alla furia delle mon-tagne di fuoco, un giorno decise di vivere al suo interno. Negli anni successivi (XVI – XVII secolo) servì poi da riparo contro i pirati, che periodicamente assalivano l’isola.
La cavità si dipana nelle viscere della terra per circa sette chilometri, ma la visita guidata ci consentirà di esplorarne meno di due. Scendiamo così lungo una ripida scalinata ed in breve ci ritroviamo all’interno di una contorta galleria lungo la quale scorreva, in un tempo geologicamente recente, un fiume di lava incandescente, che, strada facendo, lasciò impresse sulle pareti le indelebili impronte del suo passaggio. Restiamo sotto terra per quasi un’ora, seguendo un percorso a tratti suggestivo e affascinante, lungo il quale spicca un sorprendente laghetto che, per effetto di un’incredibile illusione ottica, sembra essere un grande buco. L’illusione si dissolve poi, fra lo stupore generale, quando la guida lancia un sasso che, muovendo l’acqua, riporta tutti alla realtà.
Soddisfatti torniamo all’aria aperta, e fa un gran caldo quando percorriamo il brevissimo tratto di strada che ci porta al Jameos del Agua, un’altra grotta di origine vulcanica facente parte dello stesso complesso. In questo caso però è intervenuta la mano dell’uomo a modificarla profondamente, e quale mano se non quella dell’onnipresente Manrique! Scendiamo anche in questo caso lungo una scalinata per giungere all’interno di una depressione del terreno, dove si trova la cosiddetta piscina tropicale, ombreggiata da grandi palme e fiancheggiata da un’originale auditorium che sprofonda nella roccia lavica: nel Jameos del Agua la simbiosi arte-natura di Manrique si può dire che raggiunga quasi la perfezione. C’è anche un laghetto sotterraneo alimentato dall’oceano, nel quale vive una specie di granchio albino cieco, unico al mondo: ce ne sono tantissimi e si dice che porti fortuna vederli … per dir la verità a noi non tanta, infatti, mentre stiamo completando la visita dei locali che sovrastano la grotta, Federico comincia a tenersi un orecchio e dice di aver male … è la solita stra-maledetta otite! Usciamo e raggiungiamo la vicina spiaggia de La Caleta, ma non facciamo neppure in tempo a sistemarci: il piccolo continua a lamentarsi, quindi torniamo sui nostri passi e facciamo rotta sul Beatriz.
Arriviamo all’hotel mezz’ora più tardi, mentre Federico si è addormentato sul sedile posteriore dell’auto. Lo portiamo di peso in camera e subito dopo si sveglia, così gli somministriamo l’antibiotico che, a titolo precauzionale, teniamo sempre in valigia. Pranziamo poi, con i nostri panini, nel terrazzo della camera, mentre la situazione sembra evolvere positivamente, tanto che pensiamo di tornare al più presto in spiaggia.
Poco prima delle 15:00 siamo di nuovo a La Caleta, per riprendere il programma della giornata esattamente dal punto in cui l’avevamo lasciato qualche ora prima. Ci guardiamo finalmente intorno: la spiaggia, bianchissima, spicca fra le nere rocce che la delimitano ed il mare, azzurro e trasparente, è piatto come un bigliardo. Federico sta decisamente meglio e insieme scaviamo un buco nella sabbia, lo riempiamo d’acqua, poi andiamo a caccia di pesciolini nelle pozze circostanti. Facciamo anche un bagno: il mare è bellissimo e mai avrei immaginato che il cupo Oceano Atlantico potesse arrivare a tanto. L’acqua è addirittura “caldina” e ci prova anche Sabrina, ma non va oltre il ginocchio.
Restiamo in spiaggia fin quasi al tramonto e cerchiamo di goderci quanto più possibile il luogo, visto che questa notte tornerà in vigore l’orario solare e da domani avremo a disposizione un’ora in meno di luce. La giornata volge ormai al termine e, nonostante l’orecchio di Federico, anche questa è stata una bella giornata, così rientriamo (per la seconda volta) al Beatriz mentre scendono, inesorabili, le ombre della sera. Una sera che scivola via tranquilla: dopo cena ci sediamo al bar per un caffè, facciamo qualche partitella a “Forza 4” ed infine, tanto per cambiare, ci ritiriamo in camera.
Domenica 28 Ottobre 2001: Ci svegliamo un po’ prima del solito così da recuperare un po’ del sole che perderemo col cambio d’orario. E’ domenica ed è anche giorno di mercato a Teguise, antica capitale dell’isola, e lì andiamo.
All’ingresso della cittadina seguiamo le indicazioni di un posteggiatore, che a grandi gesti ci fa cenno di entrare in un piazzale sterrato ubicato nella prima periferia. Ingenui abbocchiamo e parcheggiamo l’auto, per poi accorgerci, seguendo la strada per il centro, che c’erano tante altre opportunità di parcheggio molto più agevoli, ma ormai poco importa, siamo caduti nel tranello e non ci resta che camminare. Il tragitto è lungo e mi carico sulle spalle Federico, onde evitare lamentele ancor prima di cominciare la visita.
Strada facendo notiamo, in lontananza, i due ragazzi in viaggio di nozze che avevamo conosciuto a Malpensa, li rincorriamo per salutarli, e una volta raggiunti scambiamo con loro un po’ di parole e qualche impressione. Mentre lo stiamo facendo, a causa di un pozzetto tutt’altro che in quota, inciampo e finisco per terra, e con me Federico, che se ne stava tranquillamente seduto nelle alte sfere: per lui solo tanta paura, per me un ginocchio scorticato (l’ultima volta era toccato a Sabrina al Lago d’Orta ed ora abbiamo pareggiato i conti … 1 a 1 e palla al centro).
Vaghiamo per il mercato percorrendo le tipiche stradine di Teguise, brulicanti di turisti e fiancheggiate da case rigorosamente tinteggiate di bianco, osserviamo la piazza, dominata dal caratteristico campanile della chiesa di Nuestra Señora de Guadalupe, e facciamo qualche acquisto, poi, intorno alle 11:30, lasciamo il paese e prendiamo la via del mare.
Ci avviamo verso la costa occidentale dell’isola e raggiungiamo la spiaggia de La Santa, che però non ci soddisfa, deturpata com’è da un orrendo intervento edilizio, così ci spostiamo, rimanendo nella stessa zona, più a nord, verso Playa Famara. Balnearmente parlando questa non è la parte migliore di Lanzarote e finiamo per arrivare a Playa de San Juan, che non è niente di eccezionale ma è tardi e dobbiamo comunque fermarci per pranzare.
Nel pomeriggio, però, scende la marea e si formano alcune piscine nelle quali l’acqua è calma, trasparente ed invitante … non male, in più il panorama è accattivante, con le severe scogliere di Playa Famara a far da sipario naturale, con l’isola di Graciosa all’orizzonte e con alcuni serfisti ad esibirsi di fronte a noi.
Il tempo trascorre piacevole: prendiamo il sole e passeggiamo sul bagnasciuga, mentre Federico gioca a costruire dighe sui rivoli d’acqua originati dalla marea, e in men che non si dica si fa sera (un’ora in meno si fa sentire).
Poco prima delle 18:00 lasciamo la spiaggia e sulla via del ritorno ci fermiamo alla periferia dell’abitato di San Bartolomè per vedere il Monumento al Campesino, un’opera di Manrique realizzata in onore di tutti i contadini di Lanzarote (i campesinos appunto), per l’intraprendenza e l’ingegnosità con cui sono riusciti a rendere fertile una terra per natura così ostile.
Arriviamo al Beatriz e ci prepariamo a trascorrere un’altra serata purtroppo non dissimile dalle precedenti. Gli italiani scarseggiano veramente e non siamo riusciti a socializzare con nessuno all’interno dell’hotel, quindi, dopo cena, la storia è sempre la stessa: un caffè al tavolo, qualche partitella e poi … poi andiamo in camera e mettiamo la parola fine ad un’altra piacevole giornata.
Lunedì 29 Ottobre 2001: Ci aspetta un’intensa mattinata: alle 9:00 partiamo dall’hotel in direzione sud e, dopo un paio di soste per far rifornimento di cibo, transitiamo nel paese di Yaiza ed imbocchiamo la strada che arriva nella costa sud-occidentale a El Golfo, dove un antico cratere vulcanico si è spento proprio in riva al mare.
Parcheggiamo l’auto e a piedi ci avventuriamo lungo la costa seguendo un sentiero che porta a vedere quel fantastico spettacolo della natura. Ignoriamo un cartello e scendiamo all’interno del cratere camminando su di un terreno dalle incredibili tonalità rossastre: sembra di essere in un paesaggio alieno, non per niente il luogo è stato scelto come set naturale per girarvi alcune scene di famosi film, fra cui “Guerre stellari”.
Una spiaggia nera, costantemente battuta dalle onde dell’oceano, separa il mare dalle acque di un piccolo lago, alle cui spalle si trova, ben definita, la mezzaluna di rocce identificabile come l’originario cono vulcanico. Doveva fare davvero un gran caldo, dove noi ora stiamo camminando, nell’epoca in cui la zona era in piena attività, e lo scontro fra gli elementi, probabilmente, diede vita ad uno spettacolo primordiale.
Restiamo per un po’ ad osservare il risultato di quell’evento, scattiamo qualche foto e poi torniamo a scalare il bordo del cratere per raggiungere l’auto e proseguire nell’itinerario. Lungo il percorso, però, Federico cade, e anche lui si scortica un ginocchio, scoppia così una piccola tragedia e a fatica riusciamo a convincerlo di salire in macchina, mentre sul suo viso scorrono ancora le lacrime.
A pochi chilometri di distanza si trova un’altra bellezza naturale: Los Hervideros, che è un piccolo sistema di grotte ed anfratti nei quali s’insinua rumorosamente il mare. Si è formato in conseguenza di un’eruzione vulcanica e si è plasmato nel corso dei secoli grazie alla costante erosione delle onde, che qui s’infrangono con enorme potenza. Il luogo si può visitare percorrendo suggestivi sentierini che si avventurano tra le rocce vulcaniche, i quali, fra l’altro, hanno il potere di resuscitare il piccolo, distogliendolo momentaneamente dal pensiero del ginocchio infortunato.
Proseguendo lungo la costa si incontra poi il cosiddetto Ponte del Diavolo: un piccolo arco di roccia attraverso il quale schiumano rumorosamente le onde dell’oceano.
Prima di mezzogiorno facciamo ancora una piccola sosta alla nerissima Playa de Janubio, per raccogliere un piccolo ma significativo campione di sabbia in ricordo di questa incredibile isola. Alle sue spalle, fra l’altro, si trovano le vecchie saline di Lanzarote che, viste dall’alto, sono una fantastica tavolozza di colori sullo sfondo del nero panorama circostante.
Abbiamo fatto il pieno di paesaggi vulcanici e, ormai a metà giornata, ci dirigiamo verso una spiaggia nella quale rilassarci. Torniamo sull’estrema punta sud-orientale dell’isola, oltrepassiamo Playa Blanca e giungiamo nella zona di spiagge del Papagayo, percorriamo il lungo sterrato e arriviamo a Playa de Puerto Muelas. E’ l’ultima della serie, ubicata in quel tratto di costa che guarda il continente africano, ed è molto bella, quasi quanto la sua più nota sorella.
Sistemiamo il nostro “accampamento” e finalmente pranziamo: la giornata è splendida e niente riuscirà a farci andar via da questo posto fin tanto che il sole splenderà alto in cielo.
Il mare è calmo e l’acqua ha un colore meraviglioso, infatti non sembra di essere in mezzo all’Atlantico, ma forse su di un’isola della Grecia. Passiamo l’intero pomeriggio ad alternare bagni di sole e di acqua cristallina, mentre Federico gioca con un bimbo probabilmente inglese o tedesco, o forse, ancora, americano … non importa, sembra divertirsi e questo è l’importante.
Alle 17:00 lasciamo la spiaggia e saliamo, su di un’altura, al paese di Femes, da dove si vede un bel tramonto, poi, col buio, rientriamo al Beatriz.
Dopo cena cerchiamo di evitare le solite partitelle a “Forza 4” e prima di salire in camera ci concediamo una breve passeggiata sul lungomare di Puerto del Carmen, ma non c’è vita e anche questo, purtroppo, è un epilogo non troppo entusiasmante.
Martedì 30 Ottobre 2001: Ci prepariamo a partire con sollecitudine: abbiamo un appuntamento con l’imbarcazione che salperà dal paesino di Orzola, nel nord di Lanzarote, alle 10:00 in punto, per l’isola di Graciosa.
Già prima delle 9:00 siamo in strada, ma ci fermiamo a far rifornimento, poi torniamo all’hotel per dare lo sciroppo a Federico e il tempo comincia a stringere. A Guatiza facciamo un’altra sosta, per la spesa, poi ci lanciamo a 120 chilometri orari lungo la strada costiera e arriviamo ad Orzola un minuto prima delle 10:00. Parcheggiamo l’auto e, di corsa, raggiungiamo l’imbarcazione che ha già i motori accesi, saliamo a bordo e tiriamo un respiro di sollievo. Nella fretta però mi accorgo di aver lasciato la borsa con il materiale fotografico in macchina: faccio un’altra corsa a perdifiato e risalgo a bordo quando, ormai, stanno togliendo gli ormeggi.
Servono venti minuti di navigazione per attraversare El Rio, lo stretto braccio di mare che divide Graciosa da Lanzarote e sull’isola, che ha una superficie di poco inferiore ai 28 chilometri quadrati, si trova un solo paese e non ci sono strade asfaltate, il più grosso dilemma è dunque la scelta del mezzo più adatto per visitarla. Si potrebbe affittare un fuoristrada con autista, ma finirebbe per farci fare un veloce giro turistico e noi vorremmo anche fermarci al mare, allora, quando sbarchiamo a Caleta del Sebo, ci mettiamo in fila per noleggiare due biciclette, di cui una, naturalmente, col seggiolino per il piccolo.
Inforchiamo i nostri nuovi mezzi ed imbocchiamo la strada sterrata che taglia l’isola per raggiungere la spiaggia più nota (Playa de Las Concas), ma in salita, con gli zaini e Federico come zavorra è impossibile continuare, finiremmo per passare l’intera giornata a pedalare e non è proprio il caso.
Torniamo indietro e decidiamo, seguendo la linea costiera, di andare a Playa Francesa, forse scenograficamente meno bella, ma col mare più calmo e, sicuramente, più facile da raggiungere. Il percorso si rivela comunque duro e a tratti dobbiamo spingere la bicicletta sulla sabbia, così alla fine siamo fradici di sudore, ma il luogo ci ripaga ampiamente della fatica fatta. Di fronte a noi c’è una bellissima spiaggia dalla sabbia soffice e bianca, con un mare cristallino che la lambisce e più lontano, sulla destra, la conica sagoma della Montaña Amarilla, a ricordarci che siamo su di una terra di origine vulcanica.
Facciamo subito un bagno e poi mangiamo all’ombra della tenda. Si sta divinamente e a lungo restiamo a crogiolarci al sole nel silenzio e nella pace più assoluta: in spiaggia siamo solo noi tre più altre quattro persone, tutti nudisti. Peccato solo per qualche residuo di catrame e, soprattutto, perché dovremo lasciare il posto entro le 15:00, per riuscire a prendere l’ultimo traghetto.
Nel primo pomeriggio alcune nuvole dispettose coprono il cielo e ci tolgono così l’incombenza di dover lasciare la spiaggia con rammarico. Percorriamo a ritroso tutta l’accidentata strada che ci divide da Caleta del Sebo e quando arriviamo siamo di nuovo in un bagno di sudore, ci fermiamo allora in un bar a cercare refrigerio e a dissetarci, aspettando l’ora di salire sull’imbarcazione che ci riporterà a Lanzarote.
Puntuale il traghetto si stacca dal molo e prende il largo, mentre a noi restano i magnifici ricordi di Playa Francesa ed il rammarico di non aver potuto visitare tutta l’isola. Intanto una folata di vento stacca il cappellino dalla testa di Federico che se ne vola via e finisce in mare … chissà se incontrerà i miei occhiali ? Quando arriviamo ad Orzola il sole è dietro ad una spessa coltre di nubi e non ci resta che rientrare, con calma, al Beatriz e quindi, con altrettanta calma, prepararci per la serata, purtroppo la solita squallida e insignificante serata, sempre in con-trasto con la bella giornata appena conclusa.
Mercoledì 31 Ottobre 2001: E’ una giornata “grigia e mui ventosa” quando ci alziamo e guardiamo fuori dalla finestra. Ottimisticamente indossiamo il costume e ci spalmiamo la crema solare, ma dubito che ne avremo bisogno.
Ci rechiamo a Tahiche, nell’interno dell’isola, per visitare la Foundacion César Manrique: l’originalissima casa dell’architetto lanzarotegno che ha ideato l’intero piano urbanistico dell’isola. Dall’anno della sua morte, in seguito ad un tragico incidente automobilistico, avvenuto nel 1992, la sua casa, costruita su di una colata lavica, è stata trasformata in un vero e proprio museo, al cui interno si possono visitare i vari locali situati a livelli diversi e realizzati sfruttando le naturali depressioni del terreno. Vi sono anche quadri suoi e di artisti famosi dell’epoca, oltre agli schizzi originali dei lavori realizzati durante la sua lunga carriera.
Il tutto si è rivelato estremamente interessante e quando usciamo il parcheggio attiguo alla Foundacion è stracolmo di auto, con tutti i turisti evidentemente impegnati nelle visite alternative alla spiaggia. Noi ci spostiamo di qualche chilometro e raggiungiamo la cittadina di Teguise per salire al piccolo e scenografico Castillo de Guanapay, costruito nel XVI secolo alla sommità di un vulcano spento e a dominio del paesaggio circostante.
Soffia un fortissimo vento e ci rifugiamo dentro al maniero per visitare il museo dell’emigrazione canarica che si trova al suo interno. Federico è contento di poter scorrazzare per le scale e gli ambienti del castello, così passiamo un altro po’ di tempo al riparo dalle intemperie, poi torniamo in macchina e ci dirigiamo verso il nord dell’isola.
Raggiungiamo l’abitato di Guinate dove, nelle vicinanze, si trova il Guinate Tropical Park, una sorta di giardino zoologico. Pranziamo in macchina poi entriamo nel parco, mentre il cielo è sempre più grigio ed il vento alza grandi quantità di polvere. Osserviamo (purtroppo in gabbia) numerosi animali esotici (solo scimmie ed uccelli, ma soprattutto pappagalli), poi andiamo a vedere, per la felicità del piccolo, un simpatico spettacolo di pappagalli ammaestrati e, mentre cade qualche goccia di pioggia, concludiamo la visita che, tutto sommato, è stata carina, ma soprattutto ci è servita a passare il tempo.
Sono le 15:00 e prendiamo la strada del Beatriz, non disdegnando una sosta ad Arrecife per fare quattro passi all’interno di un centro commerciale, poi, una volta giunti all’hotel, concludiamo la giornata giocando a mini-golf, di nuovo per la gioia di Federico che, probabilmente, oggi è stato quello che si è divertito più di tutti.
Prima di rientrare in camera chiediamo all’addetta dell’autonoleggio che tempo farà domani: storce un po’ il naso e dice che è il Calima, il vento dell’Africa, e che durerà almeno tre o quattro giorni … è solo un parere personale e speriamo si sbagli, ma tanto basta a deprimere Sabrina che diventa intrattabile.
Dopo cena, invece, riusciamo finalmente a scambiare qualche parola con due ragazze italiane, poi assistiamo ad un simpatico spettacolo di clown, che fa riapparire sul nostro viso qualche salutare sorriso.
Giovedì 1 Novembre 2001: Suona la sveglia, mi alzo e scosto le tende: sembra un’altra giornata grigia e ventosa, con il Calima a farla da padrone, allora torno fra le lenzuola e cerco di riprendere sonno. Più tardi, svogliati, andiamo a far colazione e quando lasciamo l’hotel, fra il grigiore generale, il riverbero del sole sembra voler fare capolino fra le nuvole.
Coraggiosamente decido di andare al mare verso il sud dell’isola. Arriviamo così a Playa Papagayo, mentre un cielo velato lascia filtrare qualche timido raggio di sole: la spiaggia è riparata e lì, probabilmente, ci fermeremo per l’intera giornata. Tutto sommato, viste le premesse, si sta bene, dobbiamo lottare con una miriade di mosche inferocite, ma almeno il bimbo può giocare con la sabbia e solo Sabrina, un po’ raffreddata, è completamente intonata alle condizioni del tempo.
Scambiamo quattro chiacchiere con una famiglia valdostana residente in Lussemburgo, alla quale appartengono due bambini che giocano per tutto il tempo con Federico, fino a quando, nel primo pomeriggio, non se ne vanno e ci lasciano di nuovo soli, a lottare con le mosche e a catturare i pochi raggi di sole che ogni tanto riescono a filtrare.
Alle 17:00 lasciamo la spiaggia e prima di rientrare all’hotel passiamo da La Geria a comprare qualche bottiglia di vino.
Dopo cena assistiamo ad uno show ed è incredibile: all’inizio del viaggio trascorrevamo delle belle giornate e delle squallide serate, ora, invece, sta quasi succedendo il contrario … intanto in cielo sono riapparse le stelle e per domani si riaccende un lumicino di speranza.
Venerdì 2 Novembre 2001: Ci sono ancora nuvole in cielo, ma sono in maggioranza gli sprazzi azzurri e questo ci lascia ben sperare. Invece andiamo a far colazione e, nel frattempo, le nuvole prendono il sopravvento. Decidiamo allora di andare ad Arrecife per visitare un paio di castelli.
Il capoluogo isolano è una città moderna, costituita da un agglomerato di anonimi palazzoni, ma sul lungomare, edificato nel 1574 a difesa del vecchio porto, si trova il caratteristico Castillo de San Gabriel, fronteggiato da due grossi cannoni, sui quali Federico non può fare a meno di salire. Al suo interno si trova anche un piccolo museo archeologico, ma non riteniamo opportuno visitarlo. Più avanti, lungo la costa e quasi nella periferia della città, si trova poi il Castillo de San Josè, costruito nel 1771 in uno stile molto simile al precedente. Ospita un museo di arte moderna, troppo moderna per i nostri gusti, ed in breve completiamo la visita.
A questo punto della giornata partiamo alla disperata ricerca di un po’ di sole. Non sembra tirare tanto vento e proviamo ad andare nel nord dell’isola, ma ci rendiamo conto, strada facendo, che invece soffia, teso e sempre più forte. Invertiamo la rotta e andiamo a sud, mentre il cielo è sempre più grigio, come il volto di Sabrina, ed in prossimità di Puerto del Carmen cade anche qualche goccia di pioggia.
Arriviamo a Playa Papagayo: il tempo è decisamente brutto, ma non piove e l’insenatura è protetta dal vento, così andiamo in spiaggia, almeno Federico potrà giocare con la sabbia. Pranziamo e rimaniamo a Playa Papagayo fino alle 16:00 senza vedere un solo raggio di sole, quindi, sconsolati, raccogliamo tutte le nostre cose e torniamo al Beatriz, facciamo qualche partitella a mini-golf e poi andiamo a cena.
Più tardi, come al solito da un paio di sere a questa parte, ci affidiamo allo staff dell’animazione: c’è la mini disco e al penultimo tentativo riusciamo a convincere Federico a fare il trenino, poi assistiamo ad un gioco che metteva in competizione uomini e donne (vinto nettamente da queste ultime) e chiacchieriamo con due ragazze italiane (Carla ed Enrica), di un paese poco sopra ad Aosta (è incredibile, non abbiamo mai incontrato valdostani in giro per il mondo ed in questo viaggio è già la seconda volta!). Alla fine ce ne andiamo in camera con la speranza, domani, di rivedere il sole, almeno nell’ultimo giorno di vacanza a Lanzarote.
Sabato 3 Novembre 2001: Niente da fare, nemmeno per l’ultimo giorno: nuvole, nuvole e ancora nuvole. Scosto le tende e guardo fuori: è tutto grigio … le richiudo e torno a letto … ma guarda che disdetta, era stata una così bella vacanza fino a qualche giorno fa! Sono quasi le 10:00 quando andiamo a far colazione, poi più tardi partiamo sfiduciati in direzione sud, mentre cade qualche goccia di pioggia. Abbiamo rimandato fino ad arrivare all’ultimo giorno, ma se vogliamo visitare il parco nazionale di Timanfaya dobbiamo farlo per forza oggi! Arriviamo a Yaiza ed imbocchiamo la strada che sale verso le Montañas del Fuego, una zona di circa duecento chilometri quadrati che fu teatro, nel XVIII secolo, di una delle più importanti e spettacolari eruzioni che la storia della vulcanologia mondiale ricordi. L’evento fu straordinario non solo per l’enorme quantità di materiali eruttati, ma, soprattutto, per la sua lunga durata: iniziò nel settembre del 1730 e terminò, secondo le fonti documentali, il 16 aprile del 1736. Sono circa una trentina i coni vulcanici rimasti a testimonianza di quell’impensabile fenomeno, disseminati in un mare di lava solidificato che arriva fino all’oceano.
Per fortuna smette di piovere, ma il cielo rimane cupo quando ci fermiamo all’ingresso del parco per fare una breve passeggiata a dorso di cammello in uno scenario impressionante, fra colline di terre vulcaniche dalle mille tonalità comprese fra il rosso e il nero, ed è un vero peccato che non ci sia il sole a ravvivarle. Saliamo poi all’Islote de Hilario, il centro visitatori del parco, da dove si parte, a bordo di un pullman, per un’escursione lungo la Ruta de los Volcanes, una strada che porta a visitare i luoghi più impressionanti, fra scenari danteschi e splendidamente infernali. Si attraversano paesaggi fantascientifici di rocce, distese laviche, ceneri scure e crateri immersi in un silenzio spettrale (la Valle della Tranquillità sembra un pezzo di luna caduto dal cielo). Qua e là si individuano timidi segni di vita come alcuni ciuffi d’erba e i colori tenui dei licheni, mentre nella pace più assoluta si ascoltano gli echi dei paesi cancellati dalla furia della natura: Santa Catalina, Rodeo, Timanfaya, Chupadero … Dispiace solo di non poter mai scendere dal pullman per scattare qualche foto, visto che non c’è luce ed i vetri sono scuri quasi quanto il cielo.
Alla fine torniamo a Islote de Hilario, dove la temperatura del terreno ad una profondità di tredici metri raggiunge i 610 gradi e i 120 a livello superficiale. Qui i guardiani fanno dimostrazioni gettando acqua in tubi conficcati nel terreno (in tre secondi si alzano fontane altissime di vapore) e inserendo ramoscelli in un buco (si trasformano in palle di fuoco all’istante) … anche queste sono state visioni sconcertanti.
E’ già passato mezzogiorno e ci fermiamo per il pranzo al ristorante “El Vulcano”, creato da Manrique, dove le pietanze vengono cotte sfruttando una vera e propria griglia naturale riscaldata dal calore che arriva dal sottosuolo (anche il pavimento del locale è caldo!) … mangiamo abbastanza bene e si sbagliano anche a farci il conto … un affarone! Lasciamo il parco alle 15:30 e andiamo verso il nord dell’isola fino al paese di Haria, dove al sabato, periodicamente, si tiene un mercatino che però è terminato alle 14:00, allora torniamo all’hotel, mentre cade una leggera pioggerellina, e saliamo in camera a preparare le valigie.
Poco dopo le 19:00 troviamo un biglietto sotto alla porta: è un messaggio dell’Alpitour. Il volo per Bologna è stato annullato e arriveremo domani sera a Verona! Mi lascio scappare qualche imprecazione, poi metto mano al telefono e richiamo i nonni (che avevo sentito non più di un’ora fa) per metterli al corrente della variazione, visto che dovranno venirci a prendere.
Più tardi, dopo cena, concludiamo l’ultima serata vedendo un divertente spettacolo di giocolieri, per la felicità di Federico che li guarda fissi e non gli toglie lo sguardo di dosso per un istante, poi andiamo a riposare: domani ci aspetta il viaggio di ritorno e una dura giornata.
Domenica 4 Novembre 2001: Anche nell’ultimo spezzone di giornata non c’è il sole: dovremo restare in hotel fino a mezzogiorno e lo avremmo gradito. Così, come tutte le mattine, da un po’ di tempo a questa parte, guardo fuori dalla finestra e torno fra le lenzuola: in effetti, vista la situazione, non c’è tanta fretta! Alle 10:00 scendiamo a far colazione, poi saldiamo il conto e ci rechiamo sul lungomare di Puerto del Carmen a scattare le ultime foto. In breve si fa ora di andare: torniamo in camera a prendere le valigie e lungo la strada incontriamo Carla ed Enrica che salutiamo, mentre Federico, dispiaciuto per la partenza, si lascia andare in un breve pianto.
Ci mettiamo in attesa del pullman di fronte al Beatriz: è un po’ in ritardo ma non importa, purché sia in orario l’aereo. Invece, quando arriviamo all’aeroporto, sui videoterminali il volo Vle 1401 è dato proprio in ritardo, ma è un errore, infatti, alle 14:06, l’Airbus A320 della compagnia aerea Volare Airlines stacca da terra diretto a Tenerife, un’altra isola delle Canarie. Mezz’ora più tardi atterriamo: scendono tutti i passeggeri diretti sull’isola e scendiamo anche noi (in compagnia di altre venti persone circa), così da permettere il rifornimento e la pulizia del velivolo.
Poco prima delle 16:00 torniamo a bordo ed è incredibile, perché siamo lo stesso gruppetto di persone che era sceso, in un aereo che può contenere oltre cento pas-seggeri (facendo un rapido calcolo avremo a disposizione, volendo, circa cinque poltrone a testa!), ed è indubbiamente una conseguenza dei tragici eventi dell’11 di settembre.
Stacchiamo da terra, in pochi intimi, alle 16:01, questa volta diretti in Italia: sotto di noi tante nuvole, quelle stesse nuvole che ci hanno rovinato gli ultimi quattro giorni di vacanza. Sorvoliamo l’Oceano Atlantico e poi il Marocco, ma non vediamo nulla e la terra riappare solo quando siamo sopra alla Spagna, con la notte che ormai ha preso il sopravvento, e distinguiamo chiaramente le luci di Valencia prima e di Barcellona poi. Attraversiamo il Golfo del Leone, sorvoliamo Nizza, poi, sopra a Genova, cominciamo a scendere verso Verona, dove atterriamo alle 20:42 ora italiana, dopo aver perso per strada un’ora di fuso orario.
All’uscita troviamo i nonni ad aspettarci, li salutiamo e subito partiamo in direzione di Forlì. Strada facendo raccontiamo tutte avventure di quello che è stato un bellissimo viaggio, almeno fino a quando le condizioni del tempo ci sono state favorevoli, alla faccia dei terroristi, di Bin Laden (il loro capo) e dei Talebani (il regime che li sostiene). I paesaggi vulcanici di Lanzarote ci hanno affascinato ed il suo mare ci ha stupito oltre ogni più rosea previsione, siamo stanchi ma contenti, mentre non c’è nebbia e per strada fila via tutto liscio. Federico ben presto si addormenta, così quando arriviamo a casa, alle 23:27, lo portiamo nel suo letto e neanche se ne accorge … dormi piccolo e sogna, sogna il prossimo viaggio perché, stanne pur certo, prima di quanto tu possa immaginare, se la situazione internazionale non peggiorerà ulteriormente, volerai di nuovo verso altre incantevoli destinazioni.
Dal 22 Ottobre al 4 Novembre 2001