Belize e Messico… il tocco inglese

Belize: interno con puntata al bellissimo sito Maya di Tikal. Relax al mare di San Pedro Ambergris. Sosta alla magnifica Laguna Bacalar. Sorprendente Messico coloniale di Durango e Zacatecas!
Scritto da: Gerardo Guida
belize e messico... il tocco inglese
Partenza il: 09/08/2013
Ritorno il: 01/09/2013
Viaggiatori: 2
Spesa: 2000 €
Una spada con elsa argentata, un ampio cappello nero con una lunga piuma e degli stivali sblusati. Tanto mi parve sufficiente per sentirmi un vero corsaro, pronto a emozionarmi per le avventure che mi sarebbero sicuramente capitate. Almeno fino al martedì grasso. Sono passate molte quaresime, ma il fascino esercitato dai racconti pirateschi è rimasto solo sopito sotto la cenere degli anni e per risvegliarlo è stato sufficiente una visita ai Caraibi. Una mattina d’agosto a Chetumal, nella penisola dello Yucatàn, ci ritroviamo Paulina ed io. La città ha la grande speranza di attrarre almeno una piccola parte del turismo massiccio che si accalca nel resto della penisola, ma, a giudicare da una breve occhiata, la fiducia è mal riposta. Tra i vari tentativi il governo della città ha pensato di creare un bel Museo Maya, sito proprio davanti al nostro Hotel. Perché non andare a fare una visita, tanto più che piove a secchiate? Purtroppo abbiamo fatto i conti senza il calendario: è lunedì e, come nel resto del mondo, il museo è chiuso. Sconforto. Confidiamo che il dio Tlaloc-Chaak ci faccia la grazia di smettere di frignare e ci dirigiamo verso la Laguna di Bacalar, una fantastica laguna turchese, una volta infestata dai pirati…. Ma andiamo per ordine.

09 Agosto: Si vola

Prima giornata passata in viaggio, con lunghissima sosta a Madrid (5 ore) dove ho patito la fame, visto che nel nuovissimo Terminal di Madrid (4S, come il telefonino) ancora i negozi sono in costruzione, e mi sono dovuto accontentare di una mezza baguette al prosciutto (semi irrancidito) per di più carissima dell’unico bar sfigato aperto.

Seguono una decina di ore intrappolato nella pancia della balena volante, fino a Città del Messico. Come la mia prima volta rimango affascinato dall’imponente e apparentemente senza fine, mare di luci della città, che di notte e dall’alto fa un effetto magnifico.

Di notte… e dall’alto…

10 Agosto: Città del Messico

Appena esco dall’aereoporto, la prima sorpresa: un freddo micidiale: 14 gradi! Mi ficco l’unica felpa che mi sono portato, vado all’hotel con la navetta (che si trovata a passare per fortuna subito), mollo i bagagli e vado a prendere Paulina al Terminal degli autobus. Arrivo un paio d’ore prima di lei e le passo osservando la varia umanità che affolla la Terminal Norte già dalle sette di mattina. Come sempre ci sono molti addetti alla pulizia che passano e ripassano in continuazione con la scopa, e la loro aria perennemente afflitta. Spingono il lungo bastone col grande mocio in fondo, lustrando a specchio i pavimenti..

Come le sirene dell’Ulisse dii Joyce, le addette alla vendita dei biglietti degli autobus, mezzobusto, cercano di attirare i clienti chiamandoli ad alta voce. Dopo aver dato il mio grande contributo a lucidare il pavimento col mio passeggio, arriva Paulina!

Facciamo un giretto per il centro storico, affollato per il fine settimana. Cerchiamo di vedere i murales della SEP, il Ministero della Pubblica Istruzione, ma è Sabato e sono chiusi (è la seconda volta che proviamo a visitarlo ma non ci siamo riusciti neanche stavolta)

Città del Messico è un grande mercato. In ogni angolo (retto o piatto che sia) si trova qualcuno che vende qualcosa. Nei corridoi della metro ci sono mille venditori che cercano di piazzare qualunque cosa sia vendibile, ovviamente anche nelle carrozze c’è un sali scendi di venditori urlanti. Gli articoli più gettonati sono i CD con centinaia di canzoni pirata, la tecnica di vendita prevede di caricare in spalla uno zainetto con una potente cassa, dal lettore mp3 far sentire giusto l’inizio delle prime canzoni per invogliare l’acquisto. Seguono gomme da masticare, caramelle, guanti da lavoro, uccelli di carta che volano sbattendo le ali… Uno vendeva persino il Codice Civile ed il Codice Penale!

Tra il grida-grida, cantato o con le mani a imbuto, o con il megafono, per la strada una signora col camice bianco, cercava di vendere degli occhiali da vista ad un malcapitato. Gliene ha messi due o tre paia in mano e “provali!” gli gridava. Nella piazza dello Zocalo (la principale della città) si trovava chi, sempre col professionale camice immacolato, si offriva di fare massaggi alla schiena e chi, ancora col candido coprivestiti offriva di misurare la pressione “arteriosa” (caso mai a qualcuno venisse il dubbio che misurassero quella venosa)

11 Agosto: Teotihuacan

Oggi abbiamo appuntamento con degli zii gentilissimi di Paulina. Facciamo la solita abbondante colazione messicana: uova, chilaquiles (pezzi di tortillas fritti e ricoperti di salsa piccante), trippa, ma anche frutta, yoghurt, cereali e té. Immancabili anche i fagioli serviti in un pentolone dove nuotano come squali dei peperoncini interi dall’aria molto mordace. Gli zii cii vengono a prendere all’albergo, ci accompagnano a visitare le rovine di Teotihuacàn.

Poco più a nord di Città del Messico si trovano delle imponenti e famosissime piramidi. E’ quello che resta di una città molto antica, precedente gli Atzechi, e di cui si conosce poco. Lo stesso nome, Teotihuacan (città degli dei, o città dove si fanno gli dei) gli è stato dato dagli Aztechi, ma non era il nome con cui si chiamavano i costruttori della città.

Il sito è composto dalla lunga strada “Calzada de los Muertos”, chiamata così perché le costruzioni a lato furono considerate dagli spagnoli, erroneamente, delle tombe. A metà si trova la grande Piramide del Sole. E che facciamo, non ci saliamo?

E’ domenica, c’è molta gente e la fila è lunga. La salita non è impegnativa, ci sono dei passamano. La difficoltà è la lentezza con cui si muove la coda, ma presto arriviamo sulla piatta ed ampia cima, dove la folla si addensa nel punto più alto. Tutti sono protesi a toccare col dito indice il centro della Piramide. Per prendere l’energia. Come fossero i controllori dell’Enel. Piuttosto direi per prendere qualche malattia, visto il tocca-tocca generale.

Il panorama spazia su tutta la lunghissima Calzada (2 Km) fino alla bella Piramide della Luna che si trova in fondo al vialone.

Sotto di noi il brulicare di turisti e soprattutto di venditori. Oltre alle solite riproduzioni di reperti famosi, e mini arco e frecce per sentirsi dei veri cacciatori indios, il prodotto di maggior successo è una piccola e apparentemente innocente testina animaliforme, in legno. Cela al suo interno una serie di meandri che permettono al possessore, di soffiarvi dentro e far emettere il suono di un giaguaro! (che poi sarebbe come quello di un gatto arrabbiato)

L’effetto è che c’è sotto di noi, nella piana dalla acustica meravigliosa, una enorme colonia felina in preda all’anarchia più totale.

Anche i nomi delle piramidi sono di fantasia. Quella del Sole, la più grande, è in realtà dedicata al dio della pioggia Tlaloc. Al suo interno hanno trovato un tunnel che porta ad una sala che a sua volta collega ad altre cinque sale, il tutto a forma di petalo. La piramide contiene un grande utero, che, come la pioggia, è portatore di vita.

Visto l’incipiente annuovolarsi, torniamo lesti verso la macchina e poi al ristorante dove assaggio un mixiote (“misciote”, un cartoccio fatto con carta di mais con pollo, foglia di fico d’india ed una salsa rossa) mentre fuori la pioggia che lascia cadere il grande Tlaloc, scroscia felice.

Gli zii sono stati molto amabili, ci hanno riaccompagnato all’hotel dopo essere passati a rifocillarci a casa loro, accolti dal simpatico cagnolino “Roco”

Fuori dalla casa degli zii, nei sobborghi di Città del Messico, per sopperire alla mancanza di autobus, qualcuno si è attrezzato ed ha creato le “bici-taxi”. In pratica un risciò fatto da bici più carrettino per i passeggeri. Fin qui nulla di strano. Ma c’è sempre chi ha idee più brillanti. Per faticare meno, al posto delle bici, qualcuno ha messo una moto. Chiedo agli zii se poi il fumo della moto non affumica i trasportati: “Beh, in effetti…”

12 Agosto: Volo per Chetumal – San Ignacio Belize

In un paio d’ore di aereo sorvoliamo l’intero sud del Messico e arriviamo a Chetumal, la capitale dello stato di Quintana Roo, uno dei più turistici e ricchi del Paese. Ho studiato tutto il percorso a puntino, tranne il trasferimento da Chetumal a Belize. E infatti prendiamo subito una fregatura. Chiedo al servizio informazioni dell’aereoporto come arrivare in Belize e ci indirizzano alla centrale dell’autobus dell’ADO. Il taxi ci porta la.

Al banco dei bus per il Belize non c’è nessuno. Ci rivolgiamo ad un altro bancone e dopo pochi istanti sentiamo l’altoparlante della stazione che chiama l’addetto all’ordine. Pochi secondi e dal bar esce un tale col boccone in bocca, che si pulisce le mani sui pantaloni (maledicendoci, suppongo) Gli chiediamo dei bus per il Belize e lui: “Domani. Per oggi non ce ne sono più” (e siamo alle 9 di mattina) E ora come si fa? Andate all’altra centrale, ci dice. Prendiamo un altro taxi e questo si offre di portarci lui in Belize, per 150 pesos. Dico che vogliamo andare alla centrale. Ci porta in uno spiazzo lì vicino, ci indica un gruppo di persone ferme in un angolo e ci fa – ecco, quelli sono beliziani, il bus parte tra due ore. Com’è e come non è ci convince e ci facciamo portare da lui.

La frontiera è a 10 Km dalla città. In quanto non Messicano, per lasciare il paese devo pagare. Alla cassa una signora parla al telefono comodamente, dopo un po’ tronca la chiamata, “ora ti devo lasciare, c’è gente qua” Il tassista ci porta attraverso la terra di nessuno e ci lascia alla frontiera col Belize.

Qui ci aggancia un altro tassista che per 15 dollari ci porterebbe a Corozal, la prima cittadina oltre frontiera. Ma dobbiamo dirglielo subito, altrimenti non può passare dall’altra parte. Gli diciamo subito di no.

Alla dogana c’è un po’ di fila, è arrivato un bus di fortunati olandesi che sono trasportati dal Messico direttamente alla loro destinazione, non come noi pellegrini in balia del caso e dei moderni corsari. Un gentile signore addetto al turismo del Belize ci regala una mappa del paese e gli chiediamo come fare per arrivare a Corozal. Ci assicura che ci sono gli autobus appena passata la dogana.

E infatti, passata la dogana, troviamo il tassista di prima (ma non poteva non passare?) Incautamente chiedo ad un signore che sembrava il gestore della piazza (c’era solo lui e agitava un fazzolettone rosso) e pure lui ci indirizza verso il tassista “Long John Silver”. In quel momento arriva il bus (una macchina a 9 posti) gli chiedo se va a Corozal, e noto che l’autista da una occhiata alle nostre spalle (l’uomo dal fazzoletto rosso e il tassista) che evidentemente gli fanno qualche cenno e ci dice di no. A quanto pare dobbiamo prendere sto taxi.

Ma passano pochi secondi ed ecco che arriva un secondo bus (sempre uno scassone a 9 posti) con scritto sul vetro a caratteri cubitali “COROZAL”. Lo prendiamo e ci chiede 5 dollari beliziani (cioè 2 dollari e mezzo USA) per coprire i 7 km fino a sto benedetto paese. In realtà anche questo tizio ci froda, perché si prende 4 dollari USA. Insomma ci dovevano per forza alleggerire…. E non saranno gli ultimi.

Ma questo Belize?

E’ un paese strano questo B’liiiis. Mai gli spagnoli ne hanno avuto il controllo, soprattutto per gli indomiti indios e per il disinteresse economico offerto dall’entroterra.

Subito gli Inglesi ne hanno approfittato per farne una base per i loro pirati e corsari, che pagati dalla Corona, stavano lì pronti ad assaltare i galeoni spagnoli, rubando l’argento e l’oro che a loro volta gli spagnoli rubavano agli indios.

E così è nata questa enclave inglese, succursale della Tortuga e della Jamaica, in Centro America. Fino al 1982 l’Honduras Britannico (così si chiamava il Belize) è stato colonia inglese. E’ abitato dai discendenti dei pirati, che nel frattempo erano diventati tristemente boscaioli coltivatori di legni pregiati (Mogano, Teck etc), molti afro-caraibici dalla pelle scurissima, molti Maya scappati a metà Ottocento dallo Yucatàn per una guerra (oggi si riconoscono perché hanno la testa ovale ma con la faccia più larga che alta) ed un gruppo definito Garìfuna (misto africani e indios)

Un guazzabuglio che vive in armonia. O almeno così sembra….

Il tanto agognato Corozal è un villaggio povero in cui sostiamo pochissimo. Il van ci lascia al Bus Terminal (un bar + una stanza) dove un autobus sta per partire. Chiedo della biglietteria ai due addetti ma mi guardano come per dire: “ma ti rendi conto di dove stai?”, mi dicono sospirando che il biglietto si fa a bordo.

L’autobus che prendiamo è una specie di scuolabus, vecchio come il cucco e con i posti strettissimi. Per arrivare a Belize City (120 Km) impiega 3 ore e mezzo. Ci è toccato, infatti, un autobus che fa tutte e dico TUTTE le fermate possibili e immaginabili. C’è un continuo saliscendi di persone. Il fattorino, che a fine giornata deve arrivare a casa a pezzi, si deve preoccupare di spingere le persone che stanno in piedi fino ad ammassarsi sul fondo. Ricordarsi di chi ha pagato e chi no. Calcolare a mente la tariffa. Ma soprattutto evitare di cadere dall’autobus, visto che viaggia con la porta aperta.

Il primo impatto col paese caraibico non è stato dei migliori. A parte la vicenda del tassista e del suo compare, ci è sembrato un paese molto povero. Tante case di legno mezze cadenti. Strade polverose non asfaltate. L’unica strada che attraversa il paese da nord a sud, una lingua di vecchio asfalto, senza neanche le strisce, è quella che stiamo percorrendo, e che qui chiamano HighWay (autostrada)

Tra le decine di resoconti che ho pazientemente letto prima del viaggio, una tizia raccontava del suo passaggio dal Guatemala al Belize e di come fosse stata colpita da un certo tocco inglese… A parte la cucina, che scopriremo presto lasciare a desiderare, di inglese non vediamo proprio nulla.

Dopo il lungo sbattimento arriviamo a Belize City, ex capitale della nazione, dove in dieci minuti riprendiamo un altro bus per la nostra meta, San Ignacio, quasi al confine con il Guatemala.

Per fortuna ci tocca un bus Express, che si ferma solo 2 volte e corre felice per l’altra HighWay, quella che va da est a ovest. Su questo bus sale, tra gli altri, una famiglia Amish. Si tratta di discendenti tedeschi (sono tutti biondi) che rifiutano la tecnologia. Vivono infatti senza corrente elettrica, coltivano la terra senza trattore. Vestono come nell’Ottocento. Infatti sembrano appena usciti da una puntata de La casa nella Prateria. Le donne hanno lunghi vestiti ed in testa una cuffietta! E non rivolgono la parola agli estranei. Gli uomini indossano bretelloni e cappello a falda larga. La testa non deve aiutarli molto. Infatti, oltre alla frangia integralista, esiste una versione più light: i Menoniti, che pur essendo biondi come gli altri, accettano la tecnologia e parlano col resto del mondo.

A San Ignacio ci sistemiamo nell’Hotel Rain Forrest Heaven “Il Paradiso della Foresta Pluviale”. A parte il malaugurante nome pluviale, lo troviamo semplice, senza aria condizionata nella stanza, ma pulito e gestito da una proprietaria molto gentile .

Dopo un meritato riposo, viste le 5 ore di bus più 2 di aereo e tutto il resto, usciamo a studiare la situazione. Nella via principale molti negozi sono chiusi (è bassa stagione). Ci fermiamo a vedere l’insegna di una delle agenzie di Tour Operator per vedere che si può combinare qua.

Ci si avvicina un tale, con una targhetta al collo e ci dà dei prezzi per i tour della “sua” agenzia. Gli chiedo come mai è chiusa e mi dice che la stanno aggiustando. Mmmmhhh ammia l’ha ddiri! Troppo sospetto. Ci rivolgiamo all’unica aperta, gestita da un viscido Gimmy, che ci propone un tour col 10% di sconto, visto che siamo messicani e che se non ci aiutiamo tra noi… Con lo sconto o no, i tour sono carissimi. Ne compriamo uno per Tikal, in Guatemala, per il giorno seguente per 120 Dollari (USA). A persona….

Il costo dei tour è esageratamente sproporzionato al costo della vita. Con i 240 USD ci avremmo pagato 25 pranzi per due persone in ristorante… Ed è stridente rispetto al tenore di vita che si vede in giro… Ma siamo in vacanza…

Per cena proviamo il ristorante di Gimmy, quello del tour, ed è una cosa deludente. Il panino è vecchio e stantio, il cibo scadente. Avevo letto che in Belize si mangiasse male, ma mai fino a quel punto. Si vede che è bastata la dominazione inglese per devastare per sempre la cucina! Maledetta Albione!

13 Agosto: Tikal (Guatemala)

Molto presto comincia il nostro giro a Tikal. Siamo solo in due (ecco i vantaggi della bassa stagione) ed Andres, un dipendente dell’agenzia, nero come un aglianico, ci accompagna al confine con il Guatemala. Lungo la strada viene fuori il discorso del primo venditore di tour di ieri sera. Scopriamo che è un noto abusivo, che non ha agenzia e che cerca di vendere viaggi agli sprovveduti. Si fa pagare e poi sparisce per due o tre giorni. La polizia lo cerca lo acchiappa e lo ferma per un po’, ma poi tutto come prima.

Passiamo la frontiera del Belize, dove si paga per uscire, e ci accoglie l’autista del Guatemala. Il passaggio alla frontiera guatemalteca lo fa direttamente lui. Gli diamo i passaporti e ce li restituisce timbrati (manco in faccia ci hanno guardato i doganieri)

Ci inoltriamo così nel Petèn, la regione più a Nord del Guatemala, un grande quadrato (i confini sono fatti con la riga) teatro di assalti ai turisti. Dicono. Ma ultimamente meno. Ci affidiamo a queste speranze. Con noi viaggia anche un ragazzino neanche ventenne, è un paesano dell’autista e di mestiere fa il calciatore in una squadra di città. Ora è in permesso per qualche giorno perché gli è nata una figlia. E’ tifoso del Milan (mentre l’autista lo è dell’Inter) e così passiamo parte del viaggio parlando di calcio. Devo fare uno sforzo per rimanere sull’astratto e riuscire a citare qualche giocatore che non sia dell’epoca di Karl Heinz Rummenigge (manco il nome sapevo scrivere, ho dovuto cercare su google).

Attraversiamo una zona boscosissima, spesso si notano deviazioni che portano a siti Maya: ce ne sono tantissimi. Alcuni sono vicini, altri, come El Mirador, leggo, si raggiungono solo con un trekking di una settimana nella foresta!

Passiamo accanto ad un paio di lagune, prima di arrivare alla laguna maggiore del Peten, dove si trova la bella città/isola di Flores (che non visitiamo) ma proseguiamo a bordo lago e risaliamo verso le rovine di Tikal.

Queste rovine sono immerse nella giungla, che le ha letteralmente inghiottite. I templi e le piramidi si presentano come dei tumuli di terra. Solo col paziente lavoro di restauro ne sono state riportate alla luce alcune. Per molte di queste, solo una o due facciate. La passeggiata nel sito è molto affascinante: la vegetazione è altissima e fitta. Piante gigantesche tra le quali vediamo saltare tra le foglie delle scimmie nere. La nostra guida è un giovane, un po’ sovrappeso, che ci accompagna nel giro lungo 4 ore, attraverso il saliscendi di quella che doveva essere una città da decine di migliaia di abitanti. Impressionante è la piazza principale con i primi templi restaurati: altissimi e ripidissimi.

Si può salire solo su quattro delle costruzioni, e su una in particolare c’è una vista grandiosa sulla selva dalla quale spuntano solo le parti più alte di certi templi. La guida con la sua pancetta si guarda bene dall’affrontare le scalinate.

Riusciamo a vedere anche altri animali: dei pavoni coloratissimi ed una specie di volpe, che pur avendo tutto l’aspetto di un canide, qua lo chiamano “gatto di montagna”….

Il temibile e raro giaguaro, che scorazza nei dintorni di notte, non l’abbiamo visto.

Al ritorno si mangia, molto bene, in un ristorante lungo la strada, tenuto benissimo, pulitissimo pur essendo all’apertissimo. Nell’annesso negozietto di artigianato mi piacerebbe comprare qualcosa, ma la carta di credito non funziona.

Ritorniamo in Belize, lasciando indietro un Guatemala che avrebbe meritato maggiori attenzioni. Passata la ormai per noi solita procedura frontaliera, nella strada che porta a San Ignacio si notano molte costruzioni ricche, con prato curato, staccionata e tutto il resto. Forse questo dove essere il tocco inglese tanto apprezzato dal quel resoconto? Chi lo sa..

Tornati a San Ignacio, sani e salvi, decidiamo di comprarci da mangiare e cucinare da noi. Mai scelta fu più improvvida!

Quasi tutti i negozi di generi alimentari, sono i cinesi a gestirli. Quello che troviamo noi è veramente orribile, con il pavimento di terra battuta, sacchi di riso ammucchiati, muri sporchi, frigo vecchissimi. Ha l’aria di una topaia. Compriamo del pane in cassetta, prosciutto cotto (tanto freddo da essere congelato) e delle sottilette. Il combinato disposto di pane stantio, prosciutto dal sapore tremendo e sottilette che il latte non l’hanno mai visto, è risultato essere una mistura letale che ha subito preso la via del secchio.

Ah quell’ottimo guacamole del Guatemala, quanto ti penseremo! E a letto senza cena

Questo fatto dei Cinesi è una cosa strana. Visto che in Belize c’era bisogno di soldi e che in Cina (o meglio Taiwan) c’era surplus di persone, i due governi sono giunti ad un accordo: in cambio di denaro (10 o 20 mila dollari) avrebbero venduto la cittadinanza ai Taiwanesi. Una certa quantità si sono stabiliti a vivere là, ed hanno monopolizzato il mercato dei generi alimentari (dai negozietti ai supermercati sono sempre loro) Mentre i negozi di abbigliamento sono appannaggio degli Indiani (si vedono belle teste con turbante e, appese al muro, delle immagini di Shiva, là dove altrove ci sarebbe stato un barbuto Garibaldi)

14 Agosto: Actun Munich Tunal

Per oggi abbiamo comprato (170 Dollari USA per due) una gita alla grotta Actun Tunichil Muknal. Un bellissimo tour. Con un van scassatissimo ci trasportano per un’oretta per delle strade sterrate piene di buche fino al parco della grotta. Attraversiamo piantagioni di alberi di legno pregiato, magari usato per quel parquet dove adesso ci state poggiando i piedi.

Scesi dalla macchina ci viene dato caschetto e lampada frontale e ci apprestiamo a percorrere per una mezzoretta la giungla. Il nostro accompagnatore (siamo sempre solo in due) con il suo spagnolo con leggero accento da Don Lurio, ci mostra delle piante e ci spiega un po’ di botanica. Ci fa assaggiare una foglia amarissima che i Maya usavano per il mal di stomaco (che a momenti invece la foglia ci faceva venire). Si è raccomandato di rimanere sempre in mezzo al sentiero, visto che poteva spuntare qualche serpentello velenoso…. Prima di arrivare alla nostra meta, abbiamo guadato per tre volte il fiume, che ci assicurava essere privo di coccodrilli. All’imbocco della grotta, calziamo l’elmetto con la luce ed entriamo all’antro con un bel tuffo!

La grotta è attraversata da un fiume e l’ingresso è a nuoto per un breve ma rinfrescante tratto. Si prosegue per un bel po’ con l’acqua a varie altezze. In un punto la grotta è tanto stretta che la testa ci passa solo facendo una strana torsione. Nel percorso troviamo (o meglio, la guida trova) un gambero di fiume impaurito ed un inquietante ragno. Dopo circa un Km si lascia il fiume per imboccare un tunnel laterale asciutto. Qui la grotta si fa molto ampia e spettacolare. Si tratta di un luogo sacro per i Maya. Credevano che fosse una parte dell’inframundo, il punto più profondo, lo Xibalbà, da cui i morti risalivano per passare ad una nuova vita. (acqua come generatrice di vita, grotta come un utero materno) Per non rovinare il fondo con le scarpe, e nemmeno per rovinarlo col grasso della pelle, l’accesso è consentito solo con le calze, che dopo il trattamento rimarranno perennemente tinte di marrone.

La grotta è stata scoperta pochi anni fa, ed è oggetto di studi. Ci sono altre 12 grotte simili nelle vicinanze, ma non sono visitabili. Nella camera asciutta si trovano qua e la dei vasi con offerte votive, risalenti ad un migliaio di anni fa, ed anche degli scheletri di persone sacrificate nella grotta. Le ossa ormai sono calcificate (si dice così?) e in alcuni casi ammucchiate da qualche piena del fiume che l’ha attraversata. Le ipotesi su chi fossero i sacrificati, sulle teorie religiose dei Maya ci vengono presentate dalla guida con l’aria di chi fa catechismo ai bambini. Anche i resti ce li mostra con un tocco scenografico: ci fa spegnere le luci e nel buio pesto punta e accende la sua torcia su un teschio o su un vaso. Accidenti!

Il ritorno avviene per la stessa strada. Appena fuori mangiamo il pasto: un po’ di riso con carote, dei pezzi di pollo e un dolce, rinchiusi in una scatola di polistirolo opportunamente agitata nel trasporto in modo da mischiare caoticamente tutto.

Al ritorno alla macchina troviamo che dei turisti avventurosi erano arrivati fino là da soli e cercavano una guida per entrare. Il nostro uomo, ancora bagnato, non ci pensa due volte, si offre di accompagnarli. E’ una famigliola di 6 persone. 85 Dollari cadauno. Gli è uscito un giornatone!

Sulla via del ritorno l’autista del furgone, lasciato solo dalla nostra guida, impazzisce di colpo e ingaggia una specie di duello mortale con un’altra auto che aveva azzardato un sorpasso. Nel testa a testa che segue, il nostro furgone, in evidente debito di cavalli, riesce malgrado tutto a spuntarla. Ma pochi chilometri dopo la spia dell’acqua si accende. Siamo costretti a scendere per far raffreddare il sangue bollente del furgone… e dell’autista.

Stavolta per cena cerchiamo di mangiare un po’ meglio e seguiamo il consiglio della guida Lonely: Martha’s GuestHouse. Finalmente proviamo il piatto principale del Belize: Rice And Beans, cioè riso e fagioli. Il piatto viene presentato come un cumulo di riso integrale con dei fagioli neri. Sopra una bella fetta di banana fritta e accompagnato da pollo, maiale o vitello e della verdura affogata in una salsa bianca. Sarà pure l’unico piatto nazionale, ma è buono. Il riso ha stranamente il sapore di castagne! Sembra di mangiare “pistiddi”. Finalmente soddisfatti!

15 Agosto: Xunantunich e Cahal Pech

Stanchi di essere spennati vivi dalle agenzie andiamo da soli a fare una gita a delle altre rovine maya nelle vicinanze di San Ignacio. Visitiamo Xunantunich, che vuol dire Donna di Pietra/Donna fantasma. Anche qui il nome non è quello vero. Per arrivare alle rovine prendiamo un taxi che ci accompagna fino a San Jose Succoz, dove si attraversa il fiume Mopan (che corre per tutto il Belize) con un traghetto a mano. E’ uno zatterone spinto dalla forze delle braccia di un addetto che fa mulinare una manovella. Con un prodigio della meccanica (riduttori, ruote dentate, cinghie e catene) la piattaforma si muove. Il taxi percorre l’ultimo km in salita e ci addentriamo nel sito.

Si tratta di un piccolo sito archeologico, specie se comparato al maestoso Tikal, ma ha una bella piramide panoramica sulla quale lasciano salire.

La cima è un balcone alto sul precipizio, senza barriere. Scattiamo le foto sulla verdeggiante piazza ed il resto delle rovine. Molto fotogenico. Sulla via del ritorno troviamo un gruppone di turisti americani, avevano l’aria di essere una gita sbarcata con una crociera e scarrozzata fin la.

Con una bella camminata sotto il sole, ma in discesa, raggiungiamo il traghetto col Passatore, approfittiamo per visitare il minuscolo San Jose Succoz che non pare offra molto da vedere.

Col primo autobus che passa ritorniamo a San Ignacio per visitare le rovine di Cahal Pech. Qui una signorina in perfetto inglese ci vende i biglietti. Appena un attimo dopo le squilla il telefono e comincia a spettegolare in perfetto spagnolo mentre noi visitiamo l’interessante museo…

Cahal Pech (Posto delle zecche, nome post colombiano dato a quello che era diventato un campo vaccino) è uno degli insediamenti più antichi del Belize. A differenza di tutti gli altri posti visitati, troviamo anche delle costruzioni adibite, apparentemente, a case patrizie. Nella piazza principale sono in corso dei lavori di restauro e recupero, ed appena arrivati un grande acquazzone ci fa correre verso una tettoia dove trovano riparo pure gli operai, tutti dall’aria e parlata ispanica. Passata la tempesta proseguiamo il giro nel bel sito.

Di ritorno all’albergo ci fermiamo in un ristorante un po’ fuori mano. Mangiamo un ottimo Rice And Beans (n’altra volta? si) ma alla metà del costo di ieri sera… Il locale è nuovo ed in parte gli arredamenti sono in costruzione, siamo gli unici clienti, a parte un tavolo di signore intente a vedere un programma (in spagnolo) fatto dalla famosa Signora Laura (o sua emula) dove vengono invitati a parlare i protagonisti di vicende amorose di tradimenti e simili cose. La Signora non si fa problemi a prendere a male parole gli ospiti a suon di “ Che entri il disgraziato!” Finito lo show, le signore vanno via e con un sorriso ci fanno dono del telecomando.

L’ultima sera facciamo un giro per la città dopo cena, e vediamo il villaggio tutto diverso! Ci rendiamo conto che fin’ora l’avevamo visto solo di pomeriggio, ed il mortorio non era poi così moscio. Per quanto… Sul viale principale vediamo passare i pochi turisti (tra cui una coppia vista in Guatemala al posto in cui abbiamo mangiato), e gli americani della grotta. Oltre a strani figuri, come una signora che offre ai passanti un massaggio su una sedia anatomica, un tale rasta (ce ne sono tanti) che vende cianfrusaglie a tema marijuana, con la sua aria molto rilassata. Nel suo inglese masticato ci racconta qualcosa e ci fa vedere delle banconote etiopi con la faccia del dittatore Sellassiè.

Dietro di noi una gelateria che vanta la vendita di gelato italiano! Ma guarda questi come millantano, sarà la solita truffa, un pezzo di ghiaccio spacciato per la delizia dello stivale. E invece il gelataio era italiano! Con la faccia da italiano ed il pc (con cui chattava) con uno scudetto italiano appiccicato dietro il monitor.

Gli chiediamo se fosse italiano e scopriamo un suo grande imbarazzo. Per prima cosa, col fare colpevole di chi è stato colto in fallo, abbassa frettolosamente il portatile e poi comincia stringersi le mani nervosamente. Sembrava avesse qualcosa da nascondere (o da cui nascondersi, chissà) Gli strappiamo la provenienza (Venezia) ed un “mi trovo bene qua” molto forzato. Con lo sguardo sembra implorarci di non chiedergli “ma che ci fai ancora qua?”

16 Agosto: Belize City e Ambergris

Mattinata di partenza. Una bella pioggia tropicale ci trattiene una mezz’oretta prima di poter uscire ed andare a prendere il bus (rigorosamente express) per Belize City. Percorriamo le campagne beliziane dove si alternano a povere catapecchie, dei bei ranch dall’aria lussuosa (pochi). Appena arrivati in città, che tutti dicono essere pericolosissima, troviamo un taxi (o meglio, nella confusione è lui che trova noi) e ci porta dall’altro lato del fiume Mopan, dove c’è il molo della nostra compagnia.

In effetti la città non ha quest’aria rassicurante. Facce lombrosiane si aggirano per le strade ingombre di spazzatura, grandi pantani e uomini dalla pancia gonfia e all’infuori. Per nostra sfortuna il watertaxi è pieno e dobbiamo aspettare per un’ora il successivo.

Il viaggio dura un’oretta e mezza, stipati nella cabina dove si respira un’aria mefitica di chiuso e di sudore, ma fuori il panorama è in grado di lenire le nostre pene. Il primo uno scalo è a Caye Caulker (una piccola isola), l’addetto del molo lo annuncia nella sua lingua e suona come “Chi Ca-Ca!” E letteralmente ci alleggeriamo.

L’isola/penisola di Ambregris è una lunga e stretta lingua di terra che separa il mar dei Caraibi da una laguna. A nord il confine con il Messico è un canale artificiale scavato dai Maya per poter passare dall’altro lato senza dover fare tutto il periplo. Per questo motivo il Messico ha recriminato sulla appartenenza della penisola alla sua Nazione, ma invano.

San Pedro è la cittadina principale (e unica). Con un taxi arriviamo al nostro albergo (Corona del Mar) che troviamo un po’ decadente, anche se le stanze sono nuove. Subito dopo aver pranzato in un ristorante Salvadoreño, l’onnipresente Rice And Beans, affittiamo le bici per farci una idea dell’isola. Una sola strada la percorre da nord a sud, giusto fuori dall’abitato è sterrata e piena di buche profonde. Pochissime macchine, ma moltissime Golf Car, le macchinette che si usano nei campi di golf (ma sempre a benzina). Il Centro-centro è pieno di attività commerciali e c’è un via vai di gente. Oltre il ponte su un canale artificiale (a pedaggio per le golf car!) c’è una sfilza interminabile di resort più o meno di lusso a bordo mare, mentre dall’altra parte della strada fa capolino la laguna con le sue acque stagnanti che pullulano di zanzare e coccodrilli..

Ci accordiamo con una agenzia per fare domani una uscita di snorkeling a Hol Chan e Shark Ray Alley Sempre a prezzi folli.

17 Agosto: Altun Han e Shark Ray Alley

Ci vengono a prendere all’albergo per farci provare pinne e maschere, poi si salta sulla lancia che ci porta a largo. A circa uno o due chilometri dalla riva della spiaggia, si distingue chiaramente una lunghissima linea parallela alla costa dove si infrangono le onde. Quella è la barriera corallina. Una delle più lunghe del mondo.

Ci ritroviamo così a nuotare in mezzo a banchi di corallo variopinto e tanti pesci affamati in cerca di cibo e placide tartarughe. La guida ci accompagna in un lungo giro a nuoto, fino al bordo della barriera, nominandoci i pesci man mano che li troviamo. E non me ne ricordo nemmeno uno! Hol Chan è un tratto di barriera dichiarata riserva marina, non ci si può pescare, per questo è piena di pesci che altrove abboccherebbero ed ospita altri pesci bipedi che hanno già abboccato.

Riprendiamo il motoscafo e ci spostiamo un po’ più a sud verso lo Shark Ray Alley, un altra riserva dove ci aspettano gli squali nutrice. Si tratta di piccoli squali privi di denti, che al sentire le eliche si avvicinano alla barca in attesa del cibo che la guida lancia loro. E’ una zuffa di pescecani tra i quali si può nuotare.

Compaiono anche tante elegantissime razze (Stingray) alla cui vista, tutti si irrigidiscono, memori di quella che ha ucciso pungendo quel tale della televisione. (lo sanno tutti sto fatto e nessuno sa come si chiama il tizio della televisione)

La nostra guida è comunque molto sciolto, afferra gli squali per la coda e ce li fa accarezzare (hanno la pelle dura come una lima) e acchiappa per le pinne anche le famose razze che hanno la pelle coperta da un sottile strato bianco (la sabbiolina del fondo) per cui ci si può scrivere sopra con un dito.

Con noi due sulla barca c’è una coppia di americani (lei però è di origine messicana) con la quale facciamo amicizia. Sono una coppia strana. Lui lavora come motivatore e aiuta anche a far cementare i team di lavoro. Ma si occupano anche di viaggi, come fossero una agenzia che trova il modo di far risparmiare, sia con raduni da migliaia di persone che per viaggiatori singoli o a coppie. Gli chiedo se conoscono il Couch Surfing (un sito che aiuta ad ospitare ed essere ospitati) e mi dicono che stanno a San Pedro proprio con il Couch Surfing! Cioè non pagano hotel.

Comunque alla domanda, sì, ma tu che fai? La tizia cede e risponde che organizza feste per i bambini… Mi ricorda tanto quel ragazzo di Lagonegro che alla stessa domanda rispose “…aiuto fotografo,… carreo leune”

Sono simpatici e prima ci portano a mangiare in un piccolo localino scovato da loro, dove se da un lato paghiamo pochissimo, dall’altro l’igiene è a dir poco precaria. Speriamo solo che la malattia che prenderemo non sia fulminante.

Il pomeriggio in quattro affittiamo una di quelle macchinette per andare ad esplorare tutta la zona nord dell’isola. Il ragazzo motivatore ha l’intenzione di trasferirsi per tre mesi in Belize dove organizzare i suoi corsi: per internet e in loco (sempre per i gringos) e così va alla ricerca di un posto per se. La strada è veramente terribile. Con tutte le buche bisogna andare pianissimo, e ci mettiamo quasi un’ora per fare 5-6 chilometri. Alcuni dei resort sono molto belli. Molti sono in costruzione e si vede il via-vai di operai affaccendati.

Facciamo due chiacchiere con uno di loro, giovanissimo, molto gentile e sorridente ci racconta che è un Honduregno. Che le costruzioni continuano e che si può camminare a piedi per ore e ore senza vedere la fine. Come in molti altri casi, gli chiediamo come si sta in Belize, ci dice che si sta bene. Mentre è in Honduras che non va. Nel paese delle banane rubano e assaltano chiunque. La stessa domanda sulla sicurezza, posta qua e la, ha sempre la stessa risposta: qua si sta bene, è invece da un’altra parte che non va…

Purtroppo per l’isola, pur avendo la sabbia corallina bianca, le palme e tutto quanto, nel mare si trovano tantissime alghe, che rendono poco piacevole fare il bagno. Inoltre quelle alghe che si spezzano vanno a finire a riva dove si accumulano e se non vengono tolte fanno cattivo odore. Solo in pochi punti il mare si fa subito un po’ più profondo e le alghe non danno fastidio e si può fare il bagno tranquilli Altrimenti lungo tutta la costa ci sono tantissimi pontili di legno, al termine dei quali si può scendere a mare con una scaletta. Ad ogni modo i colori del mare sono stupendi, visto che fino alla barriera corallina l’acqua è poco profonda e l’acqua si mantiene colorata di varie sfumature del turchese.

18 Agosto: Mexico Rocks e Tres Cocos

Tra le proposte più allettanti del Belize c’è il famosissimo Blue Hole. Immagine di copertina del Paese. Si tratta di un buco rotondo profondissimo con le pareti a strapiombo, meta da sogno di molti sub. C’è la possibilità di andare a vederlo, ma si trova in uno degli atolli più lontani e toccano 3 ore di motoscafo per arrivarci, e altrettante per tornare. Per di più Paulina si è scottata al sole tropicale ed infine il prezzo per l’escursione è di 240 Dollari più ingresso ai parchi. A persona. Decisamente troppo.

Così, dopo una mattinata al sole del Ramon’s Village, andiamo con una lancia a Mexico Rocks e Tres Cocos. Sono due tratti di barriera che l’anno prossimo saranno riserva marina e dove abbiamo trovati nell’uno tantissimi pesci colorati e nell’altro dei bellissimi coralli corna di cervo.

19 Agosto: Ritorno a “Cerumal”, Cenote Azul e Bacalar

Finito il tempo del Belize alle sette di mattina siamo pronti per il Watertaxi per Chetumal in Messico. La dogana di San Pedro è poco più di una capanna, con sabbia a terra, qualche vecchia bottiglia di coca vuota, uno scarafaggio defunto. Il personale ha l’aria seria e professionale, malgrado la cornice. E come nel film “non ci resta che piangere” ogni volta che si attraversa il confine tocca pagare… un fiorino.

Il watertaxi è riempito da un gruppone di italiani (26), sono di Avventure nel Mondo e nel viaggio facciamo due chiacchiere sul loro lungo periplo (Messico–>Chiapas–>Guatemala–>Honduras–>Belize–> Yucatàn)

L’equipaggio del taxi d’acqua è composto dal Capitano, un panzone baffuto che respira a stento, un Mozzo che scarica e carica bagagli e uno Steward, di moderne vedute, che spiega come riempire i moduli dell’immigrazione messicana. In inglese e in spagnolo, come il dettato di una maestrina. Si sentiva pure qua e là il tipico vocìo, preceduto da gomitate, “maccaddetto?”. Si raccomanda, con la sua stridula voce, di non portare con se droga, perché altrimenti ci sarebbero problemi con la polizia di “Ceru-mal”. Quindi sbarazzatevene.

Arrivati a Chetumal colpisce il salto nel futuro e ritorno alla modernità. Ci tocca subito un controllo spinto della polizia che fa stendere tutti i bagagli dei passeggeri sul molo, i passeggeri su una fila parallela. Un cane antidroga passeggia alla ricerca di materiale proibito.

Dopo aver pagato l’ennesima tassa frontaliera andiamo al nostro albergo “Holiday Inn” e ci mettiamo alla ricerca del da farsi per la giornata. Ci piacerebbe andare a visitare la laguna Bacalar, ma la pioggia improvvisa ci fa desistere. Optiamo per il Museo Maya, nuovissimo e molto be fatto. Dicono. Poiché è lunedì è chiuso…

Nella indecisione più totale optiamo per provare la laguna. Un taxi collettivo ci porta verso Balcalar ma ci facciamo lasciare un paio di chilometri prima al Cenote Azul.

E’ uno dei famosi “cenotes” del Messico, un grande pozzo profondo una novantina di metri, pieno di acqua dolce. Ho fatto un magnifico bagno senza poter vedere nemmeno immaginare dove fosse il fondo. Approfittiamo del ristorante a bordo cenote per un pasto leggero. Buono ma il servizio è lentissimo. Avremmo potuto raggiungere Bacalar a piedi, ma c’era un caldo opprimente. Aspettiamo un bus che ci porti alla città ma il primo che passa è pieno e non ci fa salire…

Aspettiamo sotto il sole sempre più caldo. E non si vedono altri bus. Il sole si fa sempre più alto e l’ombra a nostra disposizione sempre più stretta. Quando siamo al limite della disperazione si ferma un taxi (collettivo) che ci porta fino alla cittadina di Bacalar.

Ma che bella sorpresa!

Il paese si trova sulla riva della bellissima omonima laguna. Si tratta del secondo lago del Messico (i messicani hanno la predilezione di evidenziare i loro secondi-terzi posti), con fondale di sabbia bianca a diverse profondità che fa sì che l’acqua abbia dei bellissimi colori turchesi.

Siamo proprio di fronte al Fuerte San Felipe fatto costruire ad un architetto italiano (tale Juan Podio, e chi è?) dal Governatore dello Stato nel 1725 per difendere la città dagli attacchi dei pirati provenienti dal Belize.

Questi assalitori, prima di darsi alla coltivazione del legno, ed poi all’assalto ai turisti, issata la bandiera col teschio, solevano risalire il labirinto di fiumi e le lagune per andare a depredare le ricchezze della Nuova Spagna. Dopo la costruzione del Forte, al primo grido “Mamma Li Inglesi”, partivano le bordate di cannone che hanno persuaso i bucanieri a posare l’uncino ed imbracciare l’accetta da boscaiolo.

Anche nella laguna a riva ci sono delle alghe per evitare le quali i pontili permettono di arrivare un po’ al largo nella bellissima acqua della laguna. Le vacanze per gli studenti messicani sono finite per cui c’è una atmosfera molto calma e tranquilla. Si sta molto bene.

Ritorniamo a Chetumal con un taxi collettivo. Il taxi parte appena si riempe con quattro passeggeri e ci porta vicinissimo all’hotel.

20 Agosto: Volo a Città del Messico, SEP e Museo del Templo Mayor

Ritorniamo a Città del Messico in aereo e ammazziamo il tempo prima della partenza del bus notturno per Durango andando a visitare la SEP (Ministero della Pubblica Istruzione). Al terzo tentativo la troviamo aperta!

E ne è valsa la pena. E’ un antico palazzo con due cortili interni su cui affacciano tre piani porticati, tutti affrescati. Ci sono delle opere giovanili di Diego Rivera ed altri minori e nello scalone principale uno dei grandi murali di Orozco. Nel secondo cortile c’è la statua di un benemerito della Repubblica: Josè Vasconcelos. E’ sua l’idea di far affrescare tutti i palazzi governativi del Messico con murales. Una grande idea che ha permesso di abbellire gli uffici di tutta la nazione.

Come molti altri luoghi pubblici il Ministero è pieno di personale dedito alla pulizia di pavimenti, porte, vetri, lampadari e balaustre. Nella nostra visita ne vediamo almeno una ventina. Deve essere una mania…

Approfittiamo delle altre ore libere per visitare il Museo del Templo Mayor. Un museo modernissimo e molto ben fatto. Così come il Templo (i cui resti sono lì fuori) sulla sommità aveva due altari, uno dedicato al dio della pioggia Tlaloc e l’altro al dio Guerriero-Colibrì Huitzilopochtli (l’insospettabile colibrì è un uccello molto aggressivo), allo stesso modo il museo è diviso in due. Prima si sale nella parte dedicata alla descrizione della storia degli scavi e di quanto trovato (tra cui dei bellissimi reperti), dei commerci con tutto il paese, fino alle rappresentazioni di alcuni Dei, sempre molto minacciosi con il loro aspetto metà umano e metà no. Uno di questi indossa quello che sembra pelle umana. Rappresenta in qualche modo la Primavera, non proprio botticelliana, la reincarnazione in una nuova vita.

E pare che tra le varie cerimonie azteche ci fosse proprio quella macabra di scuoiare le vittime per poi far indossare a mo’ di muta, la loro pelle ai sacerdoti.

Il modello del Templo Mayor con i due altari sulla cima

Nella parte discendente del Museo, invece, ci sono tutte le descrizioni degli usi e costumi della città azteca: agricoltura, caccia, pesca e vita religiosa. Si accenna che quando fu costruita la cattedrale di Città del Messico con le pietre del vecchio Tempio, gli astuti indios usavano delle pietre con le effigi dei loro Dei e le muravano a faccia in giù nelle colonne e negli altari, in modo da poter continuare a pregare le loro divinità pur essendo in una chiesa.

21 Agosto: Durango

La prima giornata a Durango la trascorriamo con tranquillità. Andiamo a visitare il Rancho della Picota che trovo rinnovato ed ampliato con una bella nuova struttura.

E poi andiamo al Cerro a vedere lo scavo di un nuovo pozzo per l’acqua. Sono passati secoli, ma le preghiere a Tlaloc andrebbero ancora rivolte vive e vibranti, visto che questo prezioso liquido è sempre difficile da reperire.

Un paio di operai sono alle prese con la rumorosissima trivella. Il pozzo è ormai profondo 120 metri, ma ancora non basta. L’acqua sta almeno a 150. Un altro po’ e la prendono all’Australia….

Cerco di assumere il tono di chi ne sa qualcosa e chiedo quando finiranno. “Un paio di giorni?” azzardo.

Mi risponde lo zio: “Non credo, gli operai stanno scavando da DUE MESI”

22 Agosto: La Ferreria el Pueblito

Gita fuori porta alla Ferreria. Con i genitori di Paulina andiamo a visitare le rovine archeologiche della Ferreria, una collina appena a sud di Durango, sulla riva del fiume Tunal, sede di una antica città indigena. Oggi rimangono i resti di una piramide a base quadrata, con la cima piatta ed incavata, degli altri resti di templi, di un campo per la pelota ed una grande casa padronale. Vicinissimo alla collina dei resti archeologici si trova una vecchia azienda che da il nome alla zona.

Oggi è stata completamente restaurata e si possono vedere le camere arredate in stile Ottocentesco che circondano il grande impluvium centrale (oggi coperto da una ardita struttura metallica e telone).

Molto elegante e ben tenuta, spesso infatti è usata come set cinematografico. Tra gli oggetti di arredamento, troviamo delle originali rivisitazioni in chiave messicana di famose opere d’arte.

Sempre vicino alla Acienda, si trova la prima Fonderia di Durango. La città ebbe la sua fortuna per una grande miniera di ferro (oggi ancora attiva) nel Cerro de Mercado (che era il cognome del fondatore della città) Le pietre estratte venivano portate alla fonderia che provvedeva a bruciarle per estrarre il metallo, Il fuoco era alimentato da legna della Sierra. La grande caldaia aveva quatto enormi bocche che prendevano aria da fuori e degli enormi mantici a stantuffo soffiavano sul fuoco per far alzare la temperatura fino al desiderato. Il vicino fiume Tunal faceva muovere le pale di un mulino che trasmettevano la spinta ai mantici.

Oggi è un bell’esempio di archeologia industriale, trasformato in un piacevole parco.

Sempre lungo il fiume Tunal si trova El Pueblito, una frazione con abitazioni molto carine e con un laghetto attrezzato per barbecue all’aperto.

24 Agosto: Zacatecas El Saltito e Sierra de Organos

Nel Weekend si va a Zacatecas per una riunione della famiglia Palacio-Estrada. Lungo la strada facciamo i tutisti e ci fermiamo a vedere le cascate di El Saltito.

Sempre il Rio Tunal insieme ad altri due affluenti, alimenta una bella cascata tripla. L’acqua si tuffa in un laghetto bordato da alberi messicani detti Sabino, conosciuti anche con Ahuehuete oppure Cipresso di Moctezuma. Infatti la corteccia bruciata è un astringente che aiuta a mitigare l’inesauribile sete di vendetta dell’imperatore Azteco. Di questi alberi poderosi, nello stato di Oaxaca, se ne trova uno con 14 metri di diametro e 40 di altezza, uno dei più grandi al mondo. Come al solito il secondo più grande al mondo.

Qui a El Saltito hanno le radici intricate ed annodate in intrecci meravigliosi, ben visibili perché si trovano all’aria.

La portata dell’acqua non è eccessiva, ma di qui a qualche settimana, al culmine della stagione delle piogge, l’acqua supererà il troppo pieno e si riverserà abbondantissima.

Proseguiamo verso sud e facciamo una sosta al parco della Sierra de Organos. E’ un tratto di montagne caratterizzato da rocce rosse a forma di lunghe canne d’organo, giganti. In macchina si riesce ad avvicinarsi molto e con delle brevi passeggiate raggiungiamo un enorme masso in bilico su un più esile piedistallo. In cima ci è pure cresciuto un cactus.

Un po’ più in là troviamo il “campanile”, una specie di torre nella quale si intravede (??) la forma di una campana. Per la strada incrociamo anche un correcamino, il famoso (e un po’ antipatico) bee-bee inseguito da Willy Coyote.

La Sierra de Organos è uno dei posti più carini che abbia visto in Messico.

25 Agosto: Durango Alta Vista

Di ritorno da Zacatecas, all’altezza di Sombrerete, facciamo una deviazione per visitare le rovine di Alta Vista. Percorriamo delle strade praticamente deserte, che corrono tra bellissimi panorami. Tutto è molto verde sotto l’ampio cielo blu, punteggiato da affascinanti nuvole bianche che danno una maestosa e indescrivibile grandiosità al paesaggio.

Giungiamo a Chachihuites, un paese minerario al confine tra gli stati di Zacatecas e Durango. Qui l’industria mineraria è la principale attività del villaggio. Qua e la si vedono le indicazioni della compagnia “First Majestic”. E’ una società canadese di Vancouver che ha tutti i suoi impianti estrattivi in Messico. Qui a Chachihuites ha una delle sedi più importanti. Le sue gallerie si addentrano profonde sotto la montagna per centinaia di metri, per estrarre ciò che da 500 anni gli stranieri strappano via dal Messico: l’Argento.

A pochi chilometri dal paese si trovano le meravigliose rovine di Alta Vista…

Nel 1908, uno studente di archeologia messicano, Manuel Gamio, viene mandato per la sua tesi a studiare il nord est dello stato di Zacatecas. Mentre esplorava le grotte alla ricerca di ingressi delle miniere degli indios, si imbatte in un graffito murale. Comincia a scavare e scopre la Sala delle Colonne. La notizia di diffonde veloce. “Hanno trovato nuove ed inesplorate rovine!” Titolano i giornali dell’epoca.

Neanche il tempo di godersi la gloria che Leopoldo Batres, Ispettore Generale e Conservatore dei Monumenti Archeologici delle Repubblica Messicana ordina di fermare tutto: non si muove foglia che Leopoldo non voglia.

E così,poco prima che scoppiasse la Rivoluzione Messicana, i lavori si interrompono. Cinquant’anni dopo, degli anni Sessanta, termina il letargo, arrivano degli studiosi nordamericani, con i soldi in tasca, finalmente per scavare.

Dopo lunghi anni di paziente scavo e studio, il complicato puzzle (mancante di molte tessere) si va ricomponendo.

Il sito è un osservatorio astronomico, risalente al periodo in cui più o meno Romolo Augustolo veniva deposto da Odoacre. Gli indios, originari di Teotihuacan, si sono spinti sempre più in la, alla ricerca del punto più a nord dove il sole arrivasse alla verticale al solstizio d’estate. Cercavano quello che è il Tropico del Cancro, che passa proprio vicino ad Alta Vista.

Stando sulla cima della collina osservarono che nei giorni degli equinozi, il sole si alza proprio in corrispondenza del Cerro Picacho, un monte dalla cima aguzza, posto sopra la cittadina di Chalchihuites. Gli archeologi hanno trovato poco più a Nord e a Sud altri due piccoli siti, sulle cime di due colline, dai quali si vede spuntare il sole dal piccuto Cerro Picacho, nel solstizio di inverno e di estate rispettivamente.

Gli indios hanno costruito una sala/osservatorio composta da muri e colonne diversamente allineate, da usare come mirini per misurare con esattezza la posizione del sole durante il corso dell’anno. La famosa Sala delle Colonne conta 28 colonne (tante quante i giorni del ciclo lunare), di diametri differenti, usate forse per misurare il passaggio del nostro satellite naturale.

Questi indios avevano proprio il pallino dei corpi celesti. Vuoi per timore che non apparissero più, vuoi perché la tv non trasmetteva niente di interessante, passavano il tempo a misurare i passaggi del sole, della Luna e di Venere (che per loro rappresentava al guerra). E portavano in offerta all’osservatorio-tempio dei doni per propiziare il mantenimento del movimento degli astri e ovviamente del ciclo delle stagioni, e in fin dei conti del cibo e della loro sopravvivenza.

Così sono state trovate molte offerte votive, compresi i resti di sacrifici umani.

Questo ed altro è presentato e descritto nel bel museo del sito archeologico e ci è stato raccontato dalle guide. Quando siamo arrivati, ed anche quando siamo andati via, non abbiamo incontrato nessun altro visitatore. La guida-bigliettaio-libraio, si è prodigato di spiegazioni, ci ha accompagnato per le sale, accendendo luci e ventilatori al nostro passaggio, avviando la proiezione di video, (uno dei quali in una sala con pseudo 3D). Nel passaggio tra le rovine, sulla panoramicissima collina ci ha accompagnato un suo collega più agè, e con qualche dente in meno.

La giornata è soleggiata, ma il cielo è pieno di imperiose nuvole bianche la cui sola vista è uno spettacolo grandioso. Un vero peccato che a godersela siamo in così pochi. Ma con il timore degli assalti negli ultimi anni, ci dicono, si è avuto un drastico calo dei turisti. Per fortuna le cose vanno migliorando sul lato della sicurezza e presto torneranno i visitatori… E comunque è peggio dall’altra parte…

27 Agosto: Museo Pancho Villa

In una giornata tranquilla di riposo decidiamo di fare una visita al nuovo Museo Francisco Villa, detto Pancho. La città di Durango in questi anni è molto cresciuta. In dimensioni ed in bellezza. Il centro, dopo anni di abbandono alla ricerca di modernità sta tornando a nuovi fasti. Hanno pedonalizzato una intera strada, interrato i fili elettrici, restaurato palazzi e chiese e aperto diversi musei.

Il vecchio Palazzo del Governo, quello dove si trovano i murales in ogni città, l’hanno trasformato in museo dedicato al famoso Eroe Rivoluzionario Francisco Pancho Villa. Oltre a poter vedere i murales che abbelliscono il primo e secondo piano, varie sale raccontano l’evoluzione della complicata storia della Rivoluzione Messicana (una specie di rivolta anarchica di tutti contro tutti) e la vita di Doroteo Arango, questo il suo vero nome. Il taglio del museo è molto didattico, sembra pensato per studenti. E’ pieno di immagini, video, ricostruzioni di momenti della sua vita, che, se non sono completamennte esaustivi delle mille vicende vissute da Doroteo, sono almeno molto chiari.

28 Agosto: Mexiquillo

Durango ha il grande pregio di trovare vicino a sè una grande varietà di ambienti differenti. Non a a caso è stata scelta molte volte come luogo per girare film dai registi di Holliwood (John Wayne aveva un ranch poco distante). Una zona poco antropizzata è la Sierra Madre Occidentale: la lunga catena montuosa che cala dall’Alaska che separa Durango dal Pacifico. Per farsi una idea della inospitalità, la tortuosissima strada che porta alle spiagge di Mazatlàn si percorre il 6-7 ore.

In questi anni, tra le mille novità della città, hanno costruito una superstrada che, tagliando montagne e passando per ponti arditi, abbasserà il tempo per il posto al sole, a poco più di 2 ore e mezza. La Sierra è abitata per lo più da pini e animali. E da una piccola quantità di persone (spesso indios) Nel bel mezzo della Sierra, per fortuna vicino alla strada che sta per diventare vecchia, c’è Mexiquillo, un piccolo parco naturalistico. Come arriviamo troviamo gli addetti chiusi nel primo rifugio, accanto al fuoco scoppiettante. Facciamo un giretto in macchina, con l’aiuto della fotografia del cartellone mappa, molto approssimativa, del parco.

Visitiamo la cascata più famosa, con un bel salto di una ventina di metri. Si trova vicina al tracciato di una ferrovia costruita negli anni 60 che avrebbe dovuto portare il treno da Durango a Mazatlan. Ma non fu mai completata. Seguendo il tracciato per 5 Km si arriva a tre tunnel, l’ultimo dei quali finisce nel vuoto. Dall’altro lato, dove ci avventuriamo, ci sono altre 7 cascate, che è possibile scendere in corda doppia oppure ammirare con una passeggiata di 3-4 ore.

Visto però il terreno fangoso e la macchina bassa, decidiamo di desistere e ritorniamo indietro per vedere il bellissimo Giardino di Pietra. Si tratta di tante formazioni rocciose, lisciata forse dalla azione dell’acqua di un fiume che ora non si vede più. Sono veramente impressionanti e da sole valgono la visita del posto.

Si è fatto tardi, lasciamo il parco e ci fermiamo a mangiare delle gorditas nel paese. Due ragazze le preparano sul momento nel loro ristorante. Tra i vari tipi scegliamo le gorditas de Mezclilla che tradotto sarebbero Gorditas di Jeans… Sono fatte con un mais particolare per cui hanno colore verde molto scuro. La gordita è una tortilla un po’ cicciotta, che viene cotta e poi tagliata e farcita a mo’ di tasca.

Sono ottime! Ne provo tre farcite con formaggio, con discada (una specie di ragù di carne) ed una con fagioli

Il resto dei giorni lo passiamo tranquillamente, tra cene tradizionali, cene italiane (che ometto di descrivere per non perdere la cittadinanza) ed un pranzo de traje (ognuno porta una cosa da mangaire) al rancho con una selezione di parenti

1 Settembre: Città del Messico, Museo de la Ciudad de Mèxico, Museo de las Culturas, Palacio de Iturbide

Città del Messico è una città imprevedibile. Il traffico è impossibile da pronosticare. E poi in questi giorni c’è uno sciopero dei maestri che selvaggiamente decidono di occupare piazze e aereoporti, bloccando anche quel poco di traffico che miracolosamente fosse rimasto sotto controllo. Così decido di anticipare la partenza al Sabato sera e ho modo di passare una intera domenica in giro per la metropoli.

Dopo una nottata in bianco (l’autobus era scomodo e dietro di me una signora russava a trombone, con la bocca aperta) lascio i bagagli al Fiesta Inn dell’aereoporto e mi dirigo al Museo del la Ciudad de Mexico. Qui trovo un servizio di guide ottimo. Una giovane guida mi accompagna per l’ex palazzo del Conte di Santiago di Calimaya. Mi racconta di come la prima costruzione sia stata fatta da un parente di Cortez. Il Conquistador, subdorando la requisizione delle sue proprietà, cominciò a sparpagliare i suoi beni tra i parenti. Ma di quella casa rimane solo una colonna, sprofondata nel pavimento. La città è costruita su un lago prosciugato e suole andare a fondo.

Il palazzo che si vede oggi è stato rifatto da zero dall’archistar del XVIII secolo, Francisco Antonio de Guerrero y Torres. Cosa molto singolare è che come pietra angolare della facciata abbia posto una grossa testa di serpente ritrovata negli scavi del palazzo. Non si sa bene a che titolo, se per sottolineare la base india su cui poggia il Messico (ma nel Settecento forse non si aveva questa sensibilità) oppure per indicare la volontà di schiacciare e dominare.

La facciata ha un suo stile che si ritrova in molti altri palazzi disegnati dall’architetto. In particolare accostare la pietra cantera (grigia) con cui forma colonne, lesene e archi, con la pietra rossa vulcanica con cui riempie i vuoti. Qui e lì decorazioni militareggianti ed il bel portone in cedro con i segni delle famiglie che fuse insieme sono state proprietarie del palazzo. Altamirano (i primi), Castilla, Velazco y Mendoza, nel mescolone tipico dei cognomi pomposi di spagna.

In una delle sale più in alto si trova una stanza meravigliosa. Uno degli intellettuali che appoggiarono la rivoluzione messicana, Joaquín Clausell, aveva risieduto lì a lungo (aveva sposato la padrona). Appassionato di pittura ha riempito una stanza con migliaia di ritratti e paesaggi sui quattro muri. Un grande patchwork detto Stanza delle Mille Finestre.

Nel Museo ci sono delle mostre temporanee, molto bella quella del fotografo Manuel Ramon che fece, tra gli altri, il famoso scatto di Pancho Villa seduto sulla sedia presidenziale al fianco di Emiliano Zapata.

Saluto il bel palazzo e continuo il mio giro visitando il Museo de Las Culturas. E’ un museo molto didattico in cui cercano di dare una idea, molto generale delle culture del mondo. Una metà ospita le culture mediterranee: Assiri-Babilonesi, Fenici, Egitto, Grecia, Roma a volo di uccello, con molta fretta di tornare al nido. E nell’altra metà le culture Pacifico: Cina, Giappone, Australia, Tribù SubArtiche, a volo di razzo spaziale.

Si esce arricchiti dalla voglia di saperne di più.

L’ultimo giro è al Palazzo di Iturbide, posto nella elegante via Francisco I. Madero. Un bel palazzo disegnato dallo stesso architetto del Museo della Città, tenuto molto bene e sede si una mostra permanente di pitture settecentesche a tema per lo più religioso.

Un’occhiata all’adiacente bella chiesa di San Francesco ed al Palazzo de los Azulejos (le mattonelle blu)

E mo basta.

Trovate questo articolo completo di foto a questo indirizzo: sites.google.com/site/gerardoguida/home/belize-messico-2013; oppure varie foto qui: picasaweb.google.com/116803485197079115742/BelizeMessico2013#

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Tikal, Tempio principale

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Rice and Beans

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Aquila Azteca

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Bacalar

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La statica

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Tra la spiaggia e la barriera corallina

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Spiaggia di Ambergris

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Durango



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