Beatlemania

Andare a Liverpool significa per forza di cose mettere in conto che tornerai con lo stesso entusiasmo delle famosissime fan dei Beatles, negli anni Sessanta, quelle che urlavano e svenivano ai loro concerti. Andare a Liverpool significa per forza pellegrinare nei luoghi di culto, che hanno visto la nascita dei Fab Four e del loro mito. Io stessa...
Scritto da: BeaBea
Partenza il: 16/06/2009
Ritorno il: 20/06/2009
Viaggiatori: da solo
Spesa: 1000 €
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Andare a Liverpool significa per forza di cose mettere in conto che tornerai con lo stesso entusiasmo delle famosissime fan dei Beatles, negli anni Sessanta, quelle che urlavano e svenivano ai loro concerti.

Andare a Liverpool significa per forza pellegrinare nei luoghi di culto, che hanno visto la nascita dei Fab Four e del loro mito. Io stessa sono stata attratta inevitabilmente da quest’atmosfera, anche se ormai un po’ stantia e fatta, forse, più per i miei genitori, che erano giovani in quegli anni, che per me.

Andare a Liverpool a giugno inoltrato significa per forza abituarsi al freddo, al vento, alla pioggia che non dà tregua. That’s England, baby.

Quando sono entrata per la prima volta nel leggendario “Cavern” (il locale sotterraneo nel quale gli “scarafaggi” hanno fatto quasi trecento concerti) ero un po’ scettica. Mi sembrava anacronistico il fatto che, nel 2009 e con tre componenti su quattro ormai da lungo tempo trapassati, una città vivesse ancora del mito dei Beatles. Poi una cover band di ragazzotti un po’ in sovrappeso e leggermente attempati (con il seguito di fans altrettanto in sovrappeso ed altrettanto attempate), ma impeccabilmente vestiti e pettinati come loro, ha attaccato “I want to hold your hand” e non ho potuto fare a meno di lanciarmi nelle danze più sfrenate, fingendo di avere sì vent’anni, ma quarant’anni fa. Uno di loro era terribilmente somigliante a Paul Mc Cartney, e mi ha fatto pensare a cos’altro avrebbe potuto fare, nella vita, un musicista di Liverpool, non esattamente belloccio, un po’ in là con gli anni, con quei lineamenti così simili ad uno degli uomini più ricchi del pianeta? Alla fine ho ceduto, e mi sono fermata anche al negozio di gadget in Mathew Street, ed il commesso con gli occhialini tondi e le lenti colorate sembrava un altro figlio di John Lennon. Quando gli ho chiesto un accendino ha strascicato la “ck” finale di “black” in perfetto scouse (il dialetto della città), come ho sentito fare molte volte anche a loro quattro nelle interviste di repertorio, e ho pensato che, se mi emozionava una cosa del genere, mio malgrado, forse ero diventata un po’ mitomane anch’io.

Dentro il museo (che si trova ad Albert Dock, la zona portuale della città) sono ricostruite tutte le tappe della loro storia, con materiale originale e foto di ogni epoca. Tra le altre cose, l’interno di un sottomarino giallo, il Cavern stesso, delle riproduzioni a grandezza naturale dei componenti del gruppo all’interno degli studi di registrazione di Abbey Road. Eccezionale.

Ho iniziato seriamente a preoccuparmi della mia nuova dipendenza da Beatles nel momento in cui ho cercato su Google “Paul is dead”, per informarmi riguardo le teorie che sostengono che Mc Cartney sia morto e stato sostituito con un sosia, e che le copertine degli album (prima fra tutte, la famosa foto di Abbey Road) e certe canzoni ascoltate al contrario contengono dei messaggi a riguardo. Poi ho messo su Sgt. Pepper’s Lonely Heart Club Band, e mi sono tranquillizzata.



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