Barcellona, tutto il tempo del mondo

Weekend lungo fly&drive con bimbi al seguito
Scritto da: ninfetta74
barcellona, tutto il tempo del mondo
Partenza il: 11/10/2012
Ritorno il: 15/10/2012
Viaggiatori: 4
Spesa: 500 €
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Weekend lungo fly&drive in ottobre, con con due bambine di 10 e 7 anni.

8.30 del mattino: uno squillo di tromba annuncia il nostro atterraggio a Girona. Un tipo prosaico insinua che Ryan Air sottolinei per consuetudine con quel simpatico motivetto la puntualità dei suoi voli. Noi inguaribili romantici, invece, preferiamo immaginare che la Spagna festeggi così il nostro primo sbarco sul suo territorio. Ritiriamo la nostra auto noleggiata. Un’ora dopo la Rambla ci inghiotte nella sua brulicante fiumana. Ho bisogno di un ragguaglio; mi dirigo senza esitare verso un capannello di vigili urbani, intenti a ciarlare allegramente nel bel mezzo della Rambla. Ma l’espressione affabile e i volti sorridenti non ingannino: nessuno della Guardia Munìcipal si sforzerà di capire il mio inglese. Qui l’unico idioma auspicato è il catalano, al massimo si tollera a malincuore il castigliano. Non mi resta dunque che rispolverare il mio goffo spagnolo accademico, chiuso nel cassetto da quindici anni e riscoprire con un certo orgoglio che non è poi così inascoltabile. Finché perlomeno non mi sfugge dispettoso un ‘parking for disabled’. D’improvviso i sorrisi volgono al torvo. Dopo le mie scuse, i vigili mi spiegano che da queste parti handicap si dice minusvalìa, parola chiave che mi converrà non scordare. Per fortuna la Guardia Municìpal non mi porta rancore e mi perdona subito con un sorriso il fatale errore. Per di più si prodigherebbe perfino in dritte turistiche, non fosse che io, mio marito e le mie figlie siamo troppo ansiosi di osservare, di toccare, di assaporare Barcellona, di dare il via alla nostra esplorazione da degustatori di mondo per vocazione, turisti per caso.

Passeggiando sulla Rambla verso il mare, Nicole si accorge che ‘qui è diverso da Parigi’. Sì, perché, al contrario degli Champs Elysées, sulla Rambla il fiume di pedoni scorre nel centro, mentre le auto viaggiano sui lati. Non possiamo fare a meno di notare che il traffico, qui a Barcellona, è sveglio, ma non ansioso; è vispo, ma non incazzato. Salendo sul bus chiedo all’autista di esperarme perché, ormai ho imparato, tengo minusvalìa. Lui non riparte a razzo come in Italia, al contrario, non ha fretta, mi sorride con un affabilissimo ‘claro que si!’, abbastanza onnicomprensivo e molto, molto zen. Appena arrivati al porto, un ristorantino piuttosto anonimo, con le tovaglie a quadri bianchi e blu, ci cattura col suo profumo irresistibile di crostacei, pomodoro e di amore per il mare. Ci tuffiamo in una Tegamata di PaellaX4. Paella de marisco, si intende: i mille sapori di riso, vongole, cozze, seppioline e peperoni si mischiano in bocca in una unica sublime armonia. Non c’è amore più sincero di quello per il cibo, diceva George Bernard Shaw. E non c’è niente di più rilassante di una bella siesta dopo un meraviglioso pranzo, aggiungo io. Soprattutto se ti capita di adagiarti sulle chaise longue in cemento di Bogatell. Sotto il sole tiepido, l’occhio cattura mollemente particolari qua e là: una bimba mora ride correndo sul monopattino. Un gabbiano vola verso Torre Besos, stagliata contro il cielo terso di ottobre, attraversato dalla scia di un aereo in partenza. E tutte queste scoperte, noi ce le facciamo sotto l’occhio attento del grande pesce dorato disegnato da Frank Gehry per le Olimpiadi del ‘92.

L’indomani cambiamo scenario ci dirigiamo alla volta di Parc Guell, dove una coppia si abbraccia davanti al lucertolone, passeggia tra le sculture in calcestruzzo di animali fantastici sulla terrazza fiabesca, colorata di mosaici, di ceramiche e vetri variopinti che sovrasta vivace un panorama mozzafiato, dal Montjuic al Villaggio Olimpico.

All’ora di pranzo il mercato Boqueria ci ammalia per la cura policromatica nell’esporre verdura e frutta, ci conquista con la vaniglia degli iris e dei giacinti per stordirci, infine, con l’odore di pesce crudo. Intanto lo stomaco brontola, ma quando ordiniamo quattro hamburger ci guardano storto, come ha già fatto la Guardia Munìcipal: sentiamo di nuovo, forte e chiaro, l’orgoglio linguistico spagnolo, cocciutamente impermeabile all’inglese: ancora una volta ci fa sorridere, perché si ostina a tradurre e a rendere più spagnoleggianti anche i prestiti linguistici apparentemente più innocenti: mangeremo solo a patto di trasformare l’hamburger in una femmina, l’hamburgesa. Il pomeriggio facciamo amicizia con i pappagalli verde brillante di Avenida Diagonal; poi il cielo si incupisce di nuvole al tramonto, così dopo cena, saliamo in auto fin sul Mirador, il belvedere del Tibidabo. Uno spettacolo surreale si offre ai nostri occhi affamati di emozioni: Barcellona by night, la città baluginante di un milione di luci gialle, spezzata a metà dalla Rambla rossa, sotto un cielo nero nero, squarciato da minacciosi lampi improvvisi. Nessuno di noi quattro riesce a dire una parola: ci sentiamo impauriti e indifesi di fronte a tutta quella bellezza. Perfino Torre Agbar, di giorno buffa e improbabile come una supposta immensa nel bel mezzo di Barcellona, quella notte si trasforma in un’attrazione policromatica di avveniristica bellezza.

Chiede Giulia l’indomani, ‘Andiamo alla Sagra della Famiglia?’, detta anche Sagrada Familia, dal resto del mondo. Mastodontica, nella sua assurda bellezza incompiuta. Assurda, come fare indossare una maschera ai balconi di Casa Batllò o rivestirne il tetto di pelle di coccodrillo. Assurda, come la fine che ha fatto Antoni Gaudì, schiacciato da un tram. Una morte coerente, del resto, col personaggio, perché Gaudì è così, surreale e visionario. Così è la Sagrada Familia: non è la bellezza rinascimentale che gratifica l’occhio, ma la bellezza modernista che lo sfida. Quando piove è brutta nella sua bellezza, splendidamente brutta, e io ho le mie buone ragioni per spaventarmi. Allora non mi resta che correre sotto gli alberi delle sue imponenti volte gotiche. Appena riprendo coraggio sollevo lo sguardo e chiedo: ‘Maestro, quando pensi di finire la tua opera?’ Dal pinnacolo, Gaudì risponde sornione: ‘non ho nessuna fretta: il mio cliente, Dio, ha tutto il tempo del mondo’. E anche Barcellona, aggiungeremmo noi, gustandocela.

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