Azzurre Azzorre 2

Avventura zaino-in-spalla tra vulcani, balene e oceano
Scritto da: Ellegalla
azzurre azzorre 2
Partenza il: 03/09/2011
Ritorno il: 13/09/2011
Viaggiatori: 2
Spesa: 2000 €
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SABATO 03 SETTEMBRE 2011

L’odissea per arrivare alle Azzorre inizia con un viaggio notturno in macchina fino a Linate, aeroporto da cui partirà il nostro volo per Lisbona. Lasciata la macchina in uno dei parcheggi low-cost che si trovano nei dintorni di Linate, ci avviciniamo all’area del check-in e cerchiamo (invano) di prendere sonno contorcendoci come acrobati sulle scomodissime poltroncine in metallo (per la prossima volta sarà meglio ricordarci di portare un materassino…). Alle 06:35 l’aereo della Tap decolla verso Lisbona. Non so come ma siamo riusciti a non incasinarci con i mille biglietti che abbiamo dovuto stampare prima della partenza! A Lisbona c’è praticamente solo il tempo di cambiare terminal e ci rimettiamo subito in volo, stavolta verso Horta. Nonostante il viaggio duri già da quasi mezza giornata per noi non è mai giunta l’ora di pranzo a causa del fuso orario e le nostre pance, in aereo, brontolano rumorosamente. Durante quest’ultimo volo, tra l’altro, hanno deciso di lasciarci digiuni: meglio così, forse, visto che sulla tratta Milano-Lisbona c’eravamo visti recapitare un improbabile panino al cocco farcito con prosciutto! Sotto di noi si scorge solo oceano e la voglia di mettere i piedi a terra e dare il via vero e proprio al viaggio comincia a farci scalpitare… Il nostro desiderio viene esaudito di lì a poco quando il pilota, con un atterraggio da film su una pista strettissima a picco sull’oceano, ci scarica a Horta. Agli arrivi ci attende la signora Eduardina, proprietaria degli appartamenti “Casas Do Capelo”. Ritiriamo la nostra macchina a noleggio (prenotata via internet con Atlaschoice) e poi cerchiamo di star dietro alla signora mentre guida come una pazza per le strade (anzi la strada!) di Faial. Sull’isola a dire il vero guidano tutti come dei forsennati, lanciandosi a 300 all’ora su queste strade fatte solo di curve! Eduardina ci accompagna fino ad Areeiro percorrendo verso ovest la strada che corre tutt’intono all’isola. Abbiamo modo così di assaggiare subito i colori di Faial: il verde, che regna sovrano, si staglia contro il nero delle rocce e il blu profondo dell’oceano e a noi rimane solo da chiederci che tavolozza di violetti esploda in queste zone quando le ortensie sono in fiore! A settembre, purtroppo, le piante sono già tutte sfiorite ma la loro quantità lascia facilmente immaginare come si colori l’isola in estate! I pascoli sono tutti punteggiati di mucche e vitelli. Qui, per evitare che gli animali scappino, raramente vengono costruiti dei recinti: la tecnica consiste invece nel piantare un picchetto a terra e legare la mucca al picchetto con una corda avvolta attorno alle corna o ad una zampa. Semplice ed efficace! Il nostro alloggio, la “Casa Do Areeiro”,è una deliziosa piccola dimora tipica del luogo, arredata con gusto e provvista di ogni cosa. Eduradina, che non conosce né l’inglese né tantomeno l’italiano, ci guida in giro per le stanze parlando a raffica in portoghese senza curarsi del fatto che noi non capiamo una parola, ma aiutandoci con i gesti riusciamo addirittura a farci consigliare un posticino per andare a pranzo… finalmente! Salutiamo la gentile Eduardina e ci fiondiamo alla trattoria “Bela Vista” che è proprio vicina alla nostra casetta. I proprietari ci preparano del pesce alla griglia (pescato lì di fronte!) e verdura fresca accompagnati da uno dei vini tipici delle Azzorre che viene prodotto a Pico e si chiama “Terra Lava” (molto buono). Ci concediamo anche il dolce della casa, una sorta di crema alla panna e cioccolato e, dopo aver lasciato ai proprietari 43 euro, usciamo dalla piccola trattoria, finalmente rifocillati. Torniamo un attimo a casa per sistemare le valigie e il sonno ha la meglio su di noi. A metà pomeriggio ci riprendiamo e risaliamo in auto. Facciamo un giretto nelle vicinanze fermandoci di tanto in tanto ad ammirare l’incantevole paesaggio e la maestosità dell’oceano. Una stradina sterrata ci porta, per caso, nei pressi della Caldeira Centrale che sarebbe una delle mete del giro di domani ed evitiamo quindi di rovinarci subito la sorpresa. La deviazione fuori programma ci fa testare, però, come l’isola, al centro, si elevi molto velocemente sul livello del mare e le temperature si abbassino in maniera altrettanto rapida appena ci si allontana dalla strada costiera. Torniamo sulla via principale e puntiamo verso Horta, più che per visitare la città, per trovare un supermercato dove comprare qualcosa per cena. Senza difficoltà ne troviamo uno piuttosto grande appena fuori dal centro, fornito di tutto ciò che ci occorre. Lungo la via verso casa ci fermiamo di nuovo ad ammirare le onde che si infrangono addosso alle rocce nere, il sole che tramonta dietro alle scogliere e il vulcano di Pico che spunta tra le dense nubi da cui è costantemente avvolto. Altra ingozzata a cena e poi a letto presto.

DOMENICA 04 SETTEMBRE 2011

Ci svegliamo all’alba, sia per nostra abitudine sia perché ci aspetta una lunga giornata tutta dedicata a scoprire Faial. La colazione ci è gentilmente offerta dalla proprietaria dell’appartamento che ieri ci ha lasciato del pane, burro, latte e succo di frutta. Ci prepariamo anche due panini per il pranzo da infilare nello zaino: stamattina infatti faremo il giro a piedi della Caldeira, l’enorme cratere che domina il centro dell’isola. Prima di raggiungere il punto di partenza dell’escursione, però, da bravi caffettomani ci mettiamo alla ricerca di un bar per berci un buon espresso e non solo non tardiamo a trovarne uno, ma scopriamo con enorme piacere che alle Azzorre l’espresso è buono e costa molto meno che in Italia (0,50-0,60 euro)! Saliamo in macchina fino all’attacco del sentiero (in tutte le isole c’è una rete di sentieri ben segnalati il cui percorso si può consultare anche on-line) e iniziamo a percorrere a piedi tutta la circonferenza dell’enorme cratere (“caldeira”) dal diametro di circa 2 km. Il giro intero si fa in meno di due ore e dà modo di ammirare a 360° questo luogo tanto spettacolare da togliere il fiato. Il cono vulcanico e il fondo del cratere sono ricoperti da una fitta e verdissima vegetazione e -anche se non ci siamo mai stati- il paesaggio ci ricorda molto zone come la Nuova Zelanda. Il sentiero è stretto stretto e spesse volte si intrufola in mezzo ad enormi cespugli di ortensie dai quali si esce bagnati dalla testa ai piedi! Purtroppo la visuale verso il mare e verso i verdi pendii più in basso ci è nascosta da una densa nebbiolina che avvolge l’altura ma almeno non sta piovendo. Fa però piuttosto freddo e non togliamo mai le giacche a vento. Per tutto il tempo della camminata non incontriamo praticamente nessuno, segno che alle Azzorre il turismo di massa è una realtà pressoché sconosciuta. Ritorniamo alla macchina e, mentre scendiamo di nuovo verso la costa, ci prendiamo una pausa per mangiare i nostri panini seduti per terra sull’erba. La nostra meta per il pomeriggio è la città di Horta. Arrivati, parcheggiamo proprio di fronte al celeberrimo Caffè Peter ed entriamo a berci un espresso. Il locale ha la dannata aria del classico baraccio del porto dove un tempo si ritrovavano marinai provenienti da tutto il mondo per ubriacarsi, cantare e cercare la compagnia di qualche donna. In effetti ancora adesso il bar ha una forte connotazione cosmopolita, sarà per le bandiere disseminate ovunque, per i messaggi lasciati dai visitatori o per i frequentatori che probabilmente sono anche i proprietari delle bellissime barche a vela ormeggiate lì fuori provenienti da ogni angolo del globo. Al Cafè Peter funziona anche una allegra cucina ma noi, avendo già pranzato, non abbiamo modo di testarla: i piatti portati dai camerieri però non hanno una brutta aria, anzi! Usciamo dal bar e visitiamo il porto della città, un’altra delle maggiori attrattive di Horta. Il porto è molto grande e pieno zeppo di barche a vela ma la sua unicità risiede nell’immenso mosaico di dipinti che tappezzano tutta la darsena. Ce ne sono dappertutto e in tanti punti quelli nuovi si sovrappongono a quelli già esistenti. Sono la testimonianza lasciata ad Horta dai naviganti che vi giungono (e vi sono giunti) durante le lunghe traversate oceaniche: c’è infatti chi ha dipinto il simbolo della sua imbarcazione, chi vi ha aggiunto anche il tracciato dell’avventura che sta compiendo. Sono uno più bello dell’altro e di certo non possiamo dire di averli visti tutti perchè sono davvero un’infinità e contribuiscono a rendere ancora più denso di colori il porto. Lasciati i murales facciamo un giro a piedi per la città che, a dire il vero, non offre molti altri luoghi interessanti da vedere; inoltre la stanchezza non tarda a farsi sentire e torniamo così alla nostra macchina.

Prima di rientrare alla casetta, saliamo in auto sul vicino Monte Guia, una riserva naturale che regala una buona vista dall’alto su Horta e Porto Pim. Poi rientriamo alla base per una doccetta rivitalizzante. Poco prima dell’ora di cena ci dirigiamo verso Varadouro, una località vicina al nostro alloggio dove si sta svolgendo una festa paesana e per stasera c’è in programma una regata di antiche barche baleniere. In realtà però arrivati sul posto scopriamo che la regata non sarà fatta per via del mare troppo agitato. Troviamo comunque un ammasso di gente di tutti i tipi accalcata attorno a dei chioschi-baracche dove servono della cibo indefinito (che sa di aglio!) e da bere. L’atmosfera è molto allegra, una banda paesana sta per accingersi a suonare e a differenza delle nostre “sagre” notiamo che non c’è questo ligio rispetto per le norme igienico-sanitarie! Ma del resto pure da noi era così fino a non molti anni fa e nessuno se ne preoccupava… Tra la miriade di persone incontriamo anche la nostra amica Eduardina che sta servendo i pasti e ci rincorre per presentarci il marito, un panciuto signore con il quale riusciamo a scambiare qualche battuta visto che mastica vagamente l’inglese. Per 1 euro ci offrono un bel bicchiere di sangria che per stavolta farà la funzione del nostro venetissimo spritz. Aperitivo alla mano visitiamo un po’ la baia di Varadouro, luogo amato dagli abitanti dell’isola dato che l’oceano, qui, è balneabile. Beh, di sabbia e spiaggia non c’è traccia, ma tra gli scogli (neri come la pece!) hanno creato delle piscine che rimangono protette dalla forza delle onde e allo stesso tempo vengono da queste alimentate. Ragazzi e adulti si tuffano dalle postazioni più disparate e si divertono ad assumere acrobatiche posizioni in volo! Siccome non è ancora arrivata l’ora di cena facciamo rotta, poi, verso la zona di Capelinhos, nella parte occidentale di Faial. Il nostro intento è di visitare il luogo domani ma questa sbirciatina anticipata ci serve per capire bene dove dovremo dirigerci e quanta strada dovremo fare (l’sola comunque è piccola, in poco tempo si raggiungono tutti i punti d’interesse). Non ci aspettavamo però di trovarci di fronte uno spettacolo di tali dimensioni ed essere capitati quiì all’ora del tramonto ha contribuito a rendere ancora più maestosa la bellezza di questo luogo. Pare quasi di trovarsi sulla luna! Ci stupisce come, alle Azzorre, i paesaggi cambino aspetto radicalmente nel raggio di una manciata di chilometri e Capelinhos è un angolo di Faial radicalmente differente dal resto dell’isola. Dopo aver scattato una valanga di foto torniamo alla nostra casetta e ci mettiamo ai fornelli. Ieri pomeriggio, infatti, Eduardina ci aveva lasciato in frigo due enormi pescioni pescati quel giorno dal marito. Non avevamo ben compreso di che tipo di pesce si trattasse esattamente: uno era a carne bianca, l’altro una sorta di tonno, ma messi sulla griglia fuori in giardino ci hanno fatto capire benissimo di essere squisiti!

LUNEDì 05 SETTEMBRE 2011

La scelta di venire alle Azzorre è stata davvero la scelta giusta e la giornata di oggi ci è servita per avere la conferma di questo. Ci svegliamo alle 07 perché abbiamo messo in programma una corsa mattutina: alzarsi prima delle 07.30, comunque, vuol dire uscire che è ancora buio pesto… Correre in queste zone fa rima col ritornare bagnati fradici anche dopo soli pochi km per via del tasso di umidità quasi tropicale. Colazione, zaini pronti e via, inizia l’esplorazione odierna dell’isola, non senza la solita tappa al bar per un caffè. Frequentare i bar di questi paesini dà modo di assaporare un’altra fettina dello stile di vita degli azzorrani. Infatti in questi minuscoli villaggi dove non c’è veramente nessun servizio, il bar diventa sia un centro di aggregazione (gli abitanti vi si ritrovano anche per guardare la televisione assieme!) sia il posto che sopperisce alla mancanza di altri esercizi: quasi tutti i bar hanno un piccolo reparto di generi alimentari annesso, per esempio. Per quanto riguarda gli avventori, beh…alcuni sono dei tipi veramente bizzarri: alle 9 del mattino hanno già la birra in mano (e probabilmente non è la prima) e dai vestiti non proprio pulitissimi si capisce che probabilmente sono attivi già da un pezzo. Prima di arrivare a Capelinhos altra deviazione: guidati dai soliti cartelli indicatori (sono sparsi un po’ dappertutto per segnalare la presenza di sentieri) saliamo fino al Cabeco Verde e al Cabeco do Canto e poi andiamo a vedere la Furna Ruim (gigantesco e impressionante baratro di cui non si conosce la profondità!) e il Caldeirão (ennesimo caratere). Tornati alla macchina raggiungiamo la Ponta Dos Capelinhos e accediamo subito al Centro Do Interpretaçao do Volcao, un museo creato alla base del faro di Capelinhos che attualmente è sepolta sotto la cenere. All’interno il visitatore è in grado di capire perfettamente cos’è accaduto in questa zona nel 1957. Che ci fosse stata un’immensa eruzione l’avevamo intuito anche noi visto l’aspetto lunare del luogo, ma non riuscivamo a dire da dove si fosse generata. Foto e filmati ci hanno fatto scoprire che il vulcano colpevole era posto sotto il mare (ecco perchè non lo individuavamo!): il 27 settembre del 1957 si è svegliato e in quasi un anno di esplosioni ed eruzioni -piccole e grandi- ha creato prima una piccola isoletta e poi è arrivato a collegarsi alle coste di Faial, aggiungendo all’isola 2 km quadrati di superficie nuova di zecca. Il paesaggio che si va a visitare alla Ponta dos Capelinhos non si può descrivere…sembra di essere su un altro pianeta! Non c’è vita: non si trova un filo d’erba, non ci sono animali ma solo montagne fatte di cenere e ricoperte di lapilli e bombe laviche. Tra vento, polvere e un caldo atroce ci inerpichiamo fino alla sommità di una di queste scogliere di cenere e lava e ci immergiamo totalmente in questo paesaggio sbalorditivo, fatto di pochi colori ma così densi da sembrare finti. Tornati giù ci fermiamo un attimo per mangiarci i nostri panini in riva all’oceano, proprio sotto le immense scogliere di Capelinhos. Mentre Giovanni resta a meditare sul buttarsi o meno in acqua, io mi diverto a lanciare pezzettini di pane nelle pozze tra le rocce e vedere centinaia di pesciolini che accorrono per mangiarsele! Di nuovo alla macchina, ci dirigiamo verso la parte settentrionale di Faial che è decisamente più “campagnola”, tutta ricoperta di campi coltivati e piccole (e rare) casette sparse qua e là.

Un sole fantastico ci accompagna nel nostro tragitto che termina nuovamente a Horta dove siamo decisi a chiedere informazioni riguardo ai traghetti per Pico (meta in programma per il giorno seguente). Fatto questo riprendiamo la direzione del Monte Guia dato che ieri avevamo intravisto da quelle parti un mini-museo realizzato all’interno di una vecchia fabbrica dove un tempo si lavorava la carne di balena. Con 2,50€ a testa accediamo all’edificio e, soli soletti, lo visitiamo sia all’interno –dove si trovano forni, trituratori e tutti i macchinari per la lavorazione dell’olio e della carne-, sia all’esterno, dove è ancora presente la rampa che consentiva di issare le balena catturata dal mare direttamente al piazzale della fabbrica. Foto e immaginazione ci hanno aiutato a farci un’idea dell’enorme quantità di sangue che si riversava su quel cortile (sangue che comunque veniva recuperato e lavorato anch’esso). In soli 30 anni di attività questa piccola fabbrica ha processato 1940 balene, vale a dire circa una ogni 4-5 giorni!! I pescatori non utilizzavano delle mega navi per andare a catturare le balene, ma delle piccole imbarcazioni, di dimensioni poco maggiori a quelle di una gondola! Il prodotto più importante che si ricavava dalla lavorazione del cetaceo era l’olio, usato come combustibile e lubrificante; il grasso serviva poi per la produzione di saponi; la carne e la farina d’ossa venivano utilizzate anche nell’alimentazione dei bovini. Da tutto questo si capisce bene come questa attività fosse parte fondamentale dell’economia delle Azzorre: anche adesso che la caccia alle balene è stata totalmente bandita, il legame con la lavorazione di questo cetaceo rimane vivo e forte, se non più sul piano economico, sicuramente su quello culturale. Lasciata la città facciamo una puntatina al supermercato per comprare del pesce: sarebbe assurdo non approfittare del fatto che in questi luoghi il pesce è freschissimo, squisito e decisamente a buon mercato! Con 5€ acquistiamo tre pesci da fare alla griglia e la cena è servita anche per questa sera…

MARTEDì 06 SETTEMBRE 2011

La sveglia suona prestissimo, prima delle 06. Fuori è tutto nero come la pece e i grilli trillano che è una meraviglia. Colazione e poi di corsa verso il porto di Horta: a quest’ora, è ancora più bello, quasi vuoto, animato solo del via vai di pescatori che scaricano sul molo risultati delle loro fatiche notturne in mare aperto. Mentre io mi metto in fila per acquistare i biglietti per Pico (6,80€ a testa a/r), Giovanni s’incanta a guardare l’asta del pesce che si svolge poco lontano. Alle 07.30 il traghetto salpa verso un’alba straordinaria, lasciando Horta alle nostre spalle, tutta bagnata dei toni caldi del mattino. Il mare è un po’ mosso ma in circa mezz’ora arriviamo a Pico senza problemi. La discesa dal traghetto non è propriamente a norma di sicurezza: bisogna compiere un balzo in avanti e tentare di atterrare sul molo evitando di finire nelle profondità oceaniche! Velocemente troviamo una filiale di “Ilha Verde” e noleggiamo la macchina che ci permetterà di esplorare l’isola. Percorriamo la strada costiera in direzione sud e ci accorgiamo subito di come sia diversa Pico dalla vicinissima sorella Faial: non ci sono ortensie, ad esempio, (Faial ne era strapiena!) ma al loro posto innumerevoli vigneti, che sono patrimonio dell’Unesco. Pico infatti è conosciuta per i suoi vini, ottenuti da queste viti nane che crescono strisciando addosso a dei muretti, in modo da proteggersi dal vento. E’ tutto un continuo susseguirsi di piccoli villaggi e case sparse. Alla nostra destra il mare sbatte rabbioso sui nerissimi scogli, alla nostra sinistra invece incombono le montagne. Pico è più cupa di Faial, meno collinosa e più aspra e la vegetazione lussureggiante le conferisce un’aria davvero selvaggia. Il primo posto in cui ci fermiamo è São João, un minuscolo villaggio non diverso dagli altri che abbiamo incontrato ma dove -abbiamo letto –esiste un museo dedicato a balene e calamari. E, in effetti, il museo c’è, solo che non assomiglia proprio a un museo: è una piccola costruzione bianca a picco sul mare con la scritta “capodogli e calamari” in portoghese dipinta sul davanti e una cordicina che dice “tirare”. Lo facciamo e sentiamo un campanello tintinnare nel portico sottostante. Dopo pochi istanti appare alla porta un distinto signore dai capelli bianchi e dal forte accento inglese. E’ un biologo marino che si è trasferito da queste parte per studiare i mammiferi marini delle Azzorre e, col tempo, ha creato in maniera molto artigianale questo piccolo museo. Ci consegna un depliant in italiano (finalmente!) e se ne va e noi, spiegazioni alla mano, percorriamo le varie stanzette piene di disegni, modellini e reperti sotto formalina. Ci diventa chiaro com’è fatto un capodoglio, quali organi possiede e a che funzioni assolvano, quali sono le principali differenze tra i mammiferi marini e l’uomo e immagazziniamo tante interessantissime informazioni. Ad esempio scopriamo che l’organo più grande in assoluto che possiedono i cetacei è il naso che da solo costituisce un quarto del peso intero dell’animale. Un specie di palla di pongo nero cattura poi la nostra attenzione: è una sostanza che si forma nell’intestino delle balene molto ricercata dall’industria dei cosmetici in quanto capace di assorbire benissimo gli odori. Sul muro c’è un immenso disegno che rappresenta a grandezza naturale il più grande capodoglio catturato alle Azzorre: è una femmina di 18 metri, riprodotta in sezione per osservare bene la struttura interna del suo corpo. Insomma, anche se il museo ha quest’aria molto “artigianale” bisogna ammettere che ci ha dato modo di scoprire un sacco di cose! Riprendiamo la strada fermandoci di tanto in tanto ad ammirare qualche baia o inoltrandoci verso l’ accesso a un tratto di mare balneabile (davvero pochi alle Azzorre!).

Nonostante anche oggi il tempo sia sereno, l’oceano è piuttosto agitato, come sempre. Arriviamo, prima di pranzo, a Lajes Do Pico, il luogo che più di tutti ci interessava raggiungere perché qui ha sede uno dei più importanti musei sul “whaling”. Parcheggiamo vicino al molo e subito ci rendiamo conto di quanto sia grazioso Lajes con le sue casette colorate e i piccoli bar fronte-oceano. Il museo è proprio lì vicino; l’entrata costa solo 2€ e, anche stavolta, a parte noi due non ci sono altri visitatori. Per prima cosa visioniamo un vecchio filmato di 40 anni fa che documenta la vita dei cacciatori di balene delle Azzorre in quell’epoca. Erano uomini che normalmente s’arrabattavano per vivere seguendo un po’ il lavoro nei campi e un po’ facendo altre attività di stampo artigianale. Ma appena suonava il segnale di avvistamento di una balena, correvano al porto dove la squadra si formava velocissima, mettevano in acqua le loro piccole barche e davano inizio a un furioso inseguimento alla fine del quale chi perdeva era sempre l’animale.. Di certo fa male vedere le scene delle balene arpionate, uccise, trascinale, smembrate, anche perché nelle sole Azzorre sono state cacciate 100 mila balene in soli 20 anni. Ma devo ammettere che, seppur violenta e macabra, l’attività di questi uomini -dal viso segnato dal sole e dal vento- era una vera e propria arte. Al museo è possibile vedere da vicino una baleniera originale e tutte le varie armi utilizzate per dare la morte (lance e arpioni). Inoltre, è presente una collezione di sculture e pitture realizzate su denti di balena, altra attività tipica della popolazione. Dopo il museo è l’ora di dedicarci pure alla nostre pance e decidiamo di godere dell’offerta culinaria del carinissimo bistrò del porto. Ordiniamo un piatto di gamberoni giganti (21€), davvero squisiti e ci godiamo il pranzo e il bel sole seduti nei tavolini all’esterno del locale. Intorno a noi fanno ritorno dall’oceano piccoli gruppi di turisti che sono usciti per fare whale watching o per nuotare con i delfini. Organizzandosi per tempo credo che Pico sia decisamente il posto migliore dove svolgere questo genere di attività. Finito di mangiare passeggiamo un po’ per la piccola Lajes, col sole che ci scalda e l’onnipresente vento che scompiglia i capelli. Risaliti in auto continuiamo a percorrere la strada che segue tutto il contorno dell’isola e a Calheta Do Nesquim visitiamo il pittoresco antico villaggio di pescatori di balene, dove si trova anche una delle tante “vigie”dell’isola ovvero le torrette di avvistamento da cui partiva il segnale di presenza di una balena all’orizzonte. Acceleriamo un po’ l’andatura perché alle 17.30 riparte il traghetto che ci riporterà a Faial. Poco dopo São Roque Do Pico decidiamo di salire verso la montagna per “tagliare” all’interno e vedere le zone più selvagge di Pico, dove per chilometri e chilometri non si incontra nemmeno una casa. La scelta viene ripagata con altri scenari incantevoli: pascoli verdissimi si stagliano da un parte contro il blu dell’oceano, dall’altra addosso ai colori scuri del vulcano, sempre avvolto da tetre nubi. Quassù fa molto freddo! E’ proprio vero quando dicono che alle Azzorre si possono sperimentare le quattro stagioni in un solo giorno… A volte anche in un solo colpo d’occhio verso il panorama che si sta ammirando! Per un attimo poi il vulcano esce dalle nubi e si mette in posa per noi: che gran fortuna! Alla fine rieccoci a La Maddalena, pronti per salire sul traghetto. Per cena di nuovo dell’ottimo pesce (Boca Negra e Cantari…non sappiamo cosa siano..)comprato al solito supermercato: con 5,41€, oltre al pesce, riusciamo a mettere sul carrello patatine, mele, pane e verdura. Da non credere…

MERCOLEDì 07 SETTEMBRE 2011

Alle 07 siamo già in piedi per goderci l’ultima corsetta del mattino a Faial (scesi alla baia di Varadouro e quasi morti quando è stato il momento di rifare la strada al contrario!). Dopo colazione chiudiamo le valigie e passiamo dalla Eduardina per saldare il conto. Lei, come al solito, parte a parlarci a raffica in portoghese e non vale più la pena provare a dirle che non capiamo una parola. Ci fa uno strano effetto che al momento dei saluti, quella simpatica signora si sia commossa… Chissà come mai.. Anche a noi comunque dispiace doverla lasciare e, con lei, la minuscola Capelo. Ci succede sempre, duranti i viaggi, quando ci fermiamo per più giorni nello stesso luogo, di cominciare subito a sentire quel posto come la propria casa… Basta poco ed è già familiare, con le stradine conosciute, i riti, le abitudini.. Ecco perché fa male ora dire addio a Faial, addio all’ “ilha azul”, con i suoi fiori, il vento caldo, l’umidità, il canto infinito dell’oceano.. Ma bisogna andare e ci dirigiamo verso l’aeroporto per salire su uno di quei minuscoli aerei con le eliche: si decolla verso Flores. In breve tempo raggiungiamo l’isola e atterriamo a Santa Cruz. L’aeroporto è ancora più piccolo di quello di Horta e non ci sono bar, non c’è alcun via vai di gente, non ci sono gates, nessun negozio. Solo un misero car-rental già alle prese con un turista che ci ha preceduto. Mentre aspettiamo il nostro turno veniamo avvicinati da un losco figuro che, senza saper parlare né italiano né inglese, ci fa capire che anche lui noleggia macchine. E così, da bravi turisti che non riescono a non cacciarsi nei guai, firmiamo un foglio di cui non capiamo una sillaba e accettiamo l’affare che ci propone il tizio e cioè un’auto a 80€ per due giorni, a chilometri illimitati e senza tasse (e a quanto pare anche senza assicurazione…) Che dire? Che Dio ce la mandi buona. A Santa Cruz adocchiamo subito un ristorantino di quelli che piacciono a noi, che assomiglia alle osterie di 50 anni fa, con le tovaglie a scacchi, la padrona di casa che serve e cucina e un menù composto da due scelte. Dopo aver aspettato per un’interminabile mezz’ora arrivano carne e contorni e come due profughi affamati sbafiamo tutto in cinque minuti, sia per la fame accumulata, sia per non sprecare troppo tempo chiusi dentro a un ristorante. Con 26€ saldiamo il conto e ci mettiamo alla ricerca di un supermarket per la cena di stasera, sapendo che più ci allontaniamo dal capoluogo dell’isola più sarà difficile (se non impossibile)trovare ancora dei negozi. Comunque, a dirla tutta, nemmeno l’alimentari di Santa Cruz è così fornito.. Ci si muove verso Fajà Grande attraversando l’isola dalla parte interna e subito veniamo catapultati in un mondo mai visto prima che rende anche Flores differente dalle sue sorelle. Qui non c’è anima viva, né case, né altri tipi di costruzioni… Solo montagne, erba, fiori e vacche. E come essere in mezzo alle praterie americane, no… alla tundra… o non so nemmeno io con cosa comparare Flores. L’isola, diversamente dalle altre, è piena d’acqua che cola giù dal sofficissimo muschio (che ricopre tutto),forma ruscelletti, torrenti, laghi e poi precipita dall’altopiano centrale fino all’oceano dando vita a numerose e incantevoli cascate. Né a Faial né a Pico c’era un sorso d’acqua nei pascoli: qui invece l’acqua è l’elemento che caratterizza l’isola. Scorrazziamo su e giù senza meta per le strade sterrate fermandoci di continuo a fare foto. Svoltiamo ovunque ci sia l’indicazione per un “lagoa”: siamo giunti infatti nella zona dei 7 laghi. Essi si trovano all’interno di vecchie “caldeire” e i più affascinanti sono il “Lagoa Negra” (che però è verde) e il Lagoa Comprida che sono vicinissimi e si possono ammirare entrambi dallo stesso miradouro. Altrettanto bello è il “Lagoa Funda” che è il più esteso e quello posto a maggior profondità. Intorno a noi chilometri e chilometri quadrati di pascoli fioriti punteggiati di mandrie di vacche. E la nebbia incombe sempre da qualche parte ma ciò rende ancora più incantevole il panorama.

Continuando a fermarci ad ogni miradouro che incontriamo (vale la pena perché sono uno più bello dell’altro), arriviamo all’altezza di Fajazinha. Visto dall’alto, il paesaggio dove è incastonato questo minuscolo gruppetto di case è indescrivibile! Scogliere verdissime scendono imponenti per mille metri dritte nell’oceano; in fondo si vedono piccoli pascoli delimitati da vecchi muretti di sassi; l’oceano chiude in basso il dipinto mentre fragorose cascate si lanciano giù dall’altipiano. Ma –l’ho detto-nessuna descrizione rende giustizia a un panorama del genere. Forse nemmeno le foto ci riescono. Prendiamo la strada che scende verso Fajazinha che più che un paesino è una manciata di case (molte delle quali sono vecchie fattorie fatte con pietra lavica) intorno a una chiesa e un bar-alimentari. Stop, nient’altro. Qua si è davvero fuori dal mondo. Mentre girovaghiamo per le stradine non possiamo fare a meno di chiederci come faccia la gente a vivere qua e come riesca a guadagnarsi da vivere. Non c’è nemmeno nessun interesse al turismo, non ci sono negozi, né altri tipi di servizi. Hanno solo vacche che pascolano placidamente tra arbusti e dirupi. Fatto sta che, pur rendendomi conto che una vita del genere non fa per chi qui non ci è nato, un po’ la invidio sta gente. Non hanno fretta (mai!!) e vivono secondo i tempi dettati dalla natura. Fajazinha è davvero uno dei posti più incredibili che abbia mai visitato… Tornati alla strada principale giungiamo dopo pochi chilometri ad “Aldeia Da Cuada”, il casale dove abbiamo prenotato per queste due notti. In realtà il nostro alloggio non si trova lì ma a Fajà Grande, presso la casa di un amico perché da loro non c’era più posto. Poco importa perché l’abitazione in questione si trova in uno dei luoghi più belli al mondo! Abbarbicata sulla parte alta del villaggio c’è questa deliziosa casetta in pietra nera, molto piccola ma ben curata, col giardino che si affaccia direttamente sull’oceano regalandoci visuali paradisiache. La finestra davanti al letto ci permette di scorgere il paesino giù in fondo, un bel pezzo di mare e ascoltare, giorno e notte, il canto continuo delle onde. Non potevamo desiderare di più! Salutiamo il gentile ragazzo che ci ha accompagnato fin qui e ci prepariamo a scendere –costumi già addosso- verso le piscine naturali in cui è possibile nuotare nelle acque oceaniche senza correre il rischio di essere ripescati, tutti gonfi, nella baia di Hudson! Andiamo giù in paese a piedi e attraversiamo Fajà scoprendo che il suo alimentari è più fornito di quello di Santa Cruz. Acquistiamo del pane (senza fame, però, perché abbiamo ancora sullo stomaco la roba del pranzo che era intrisa di aglio…) e raggiungiamo la parte balneabile di Fajà. Ci rendiamo subito conto che nemmeno stavolta ci riuscirà di bagnare i nostri costumi vista la potenza paurosa delle onde! Si schiantano addosso agli scogli neri con il fragore di una bomba e, frantumandosi, danno vita a spettacoli d’acqua meravigliosi! Scattiamo foto a raffica e poi decidiamo di berci una birretta al bar lì vicino (l’unico bar), gustandoci la brezza oceanica e la stupefacente tranquillità del posto… Tornati a casa ci prepariamo una frugale cenetta e dopo, al posto della tv, qui si guardano le stelle.

GIOVEDì 08 SETTEMBRE 2011

Che tristezza! Oggi è l’unico giorno intero che abbiamo per visitare Flores e…piove a dirotto! Inoltre tira un vento micidiale e una fitta nebbia non ci permette di vedere più in là del nostro naso. Addio bei panorami, addio foto ricordo! Meno male che siamo riusciti a farci la nostra consueta corsetta dopo il risveglio: siamo arrivati fino alla chiesetta di Ponta da Fajà e, al ritorno, abbiamo deviato al Poço Do Bacalhau, un piccolo laghetto che si trova ai piedi delle Ribeira Das Casa, la più imponente cascata dell’isola. Almeno abbiamo fatto in tempo a vedere queste cose prima che arrivasse la pioggia… Dopo colazione restiamo per un po’ incollati alla finestra a guardare la pioggia, indecisi sul da farsi finché scegliamo di affrontare le intemperie e fare un giretto. Con la macchina scendiamo fino a riva per vedere da vicino la rabbia dell’oceano (spaventoso!); poi, mentre stiamo per lasciare Fajà, notiamo due turisti tedeschi che ieri erano in aereo con noi e che adesso stanno camminando sotto la pioggia. Ci fanno un cenno e subito ci fermiamo per dar loro un passaggio: sono due campeggiatori al loro decimo viaggio alle Azzorre e, mentre percorriamo insieme la strada in auto, ci forniscono un sacco di informazioni interessanti. Dicono che la loro isola preferita è proprio Flores perché è la meno influenzata dal turismo, la più selvaggia; altrettanto bella indicano essere São Jõrge, lunga e stretta, con le montagne che scendono velocissime a picco nell’oceano. Non l’avrei mai detto perché nelle guide quest’isola viene spesso trascurata. I due tedeschi dicono di avere visitato tutte le isole dell’arcipelago: fanno un viaggio qui ogni 2 o 3 anni da un ventennio a sta parte. Ci hanno anche confidato che São Miguel è quella che loro evitano sistematicamente perché, pur possedendo dei bellissimi paesaggi, è troppo affollata per i loro gusti. Terremo tutto a mente per un eventuale altro viaggio in futuro. Lungo la strada proviamo a fermarci per vedere se scorgiamo la particolarissima Rocha Dos Bordoes ma l’odiosa nebbia ci nasconde tutto! E’ come essere immersi in una gigantesca palla di ovatta! Che rabbia! Raggiungiamo il paese di Lajes dove salutiamo i nostri due compagni di viaggio e vaghiamo senza meta e senza vedere niente per l’intera mattina. Decidiamo quindi di rincasare per pranzo, almeno non mangeremo seduti in mezzo al nebbione. Dopo aver pasteggiato (assaggiando i “lulas” in scatola, i calamari) ciondoliamo un po’ per casa e alla fine usciamo di nuovo, fiduciosi su ciò che dicono tutti riguardo al clima delle Azzorre, e cioè che il tempo -qui- cambia molto in fretta. Il nostro intento è di andare a vedere il Poço Da Alagoinha, altro “pozzo” ai piedi di una stupenda cascata. Appena parcheggiamo e mettiamo piede fuori dalla macchina ricomincia a piovere a dirotto e, tempo di andare e tornare dal Poço (visto niente!), siamo inzuppati come spugne! E pensare che abbiamo pure rischiato la vita camminando su per quel sentiero scivolosissimo! Facciamo un altro fallimentare tentativo di vedere la Rocha Dos Bordoes e poi rientriamo a Fajà con le orecchie basse. Ci dirigiamo verso il baretto di ieri sera (Bar Esplanada)e troviamo altri esploratori con le mani in tasca che guardano l’oceano senza sapere cosa fare. Siamo piuttosto preoccupati perché abbiamo saputo dal nostro padrone di casa che molto probabilmente l’aereo, domani, non arriverà per via del vento. Ottimo, intrappolati nell’isola! Restiamo per un po’ al bar e nel frattempo smette di piovere. Decidiamo quindi di camminare di nuovo fino al Poço Da Bacalhau, proprio sotto alla Ribeira Das Casas. Nel corso della giornata la cascata –come del resto anche tutte le altre dell’isola- ha aumentato prepotentemente la sua portata e avvicinarsi al pozzo non è più possibile. La vista e il rumore sono impressionanti! Il rombo dell’acqua ti entra direttamente nel petto. Torniamo a casa a farci la doccia e una volta lavati…ecco il sole! L’isola cambia subito aspetto! Come gazzelle ci lanciamo in auto e guidiamo velocissimi verso la Rocha Dos Bordoes (terzo tentativo!): è la sua ultima possibilità, o si fa vedere o non torniamo veramente più! Stavolta veniamo accontentati e questa piccola cima fatta di colonne di basalto dalla forma perfetta si mostra in tutta la sua particolarità. Presi dall’entusiasmo ripercorriamo tutto il tratto di strada fatto stamattina fino a Lajes (quando eravamo in macchina con i tedeschi e non avevamo visto niente di niente!) e i “soliti” meravigliosi, selvaggissimi panorami si aprono davanti ai nostri occhi. La pioggia però non tarda a tornare, noi abbiamo anche fame e facciamo dietro-front verso Fajà. Indovina dove si va a mangiare? Al Bar Esplanada: sempre quello, sì, ma qui non c’è altro! Nel menù ci sono pochissime scelte ma con la fame che abbiamo non facciamo i difficili e divoriamo i “boca negra” grigliati, beviamo il vino di Pico e assaporiamo le verdure e alla fine paghiamo volentieri il conto di 30€. Riusciranno domani i nostri eroi a salire in aereo e tornare alla civiltà?

VENERDì 09 SETTEMBRE 2011

Per tutta la notte il vento ha ululato fortissimo e nel tentativo fatto al risveglio di andare a correre abbiamo rimediato solo una bella lavata. Ecco perché i dubbi sul fatto che riusciremo a partire sono ancora molto presenti. Dopo colazione, però, l’aria cala magicamente e il sole fa capolino tra le nubi. Scendiamo a piedi fino in riva all’oceano, fermandoci lungo la strada a dare pane alle mucche e a conversare in bizzarre e sconosciute lingue con i contadini del posto. Ci godiamo in tranquillità il piccolo villaggio che ci ha ospitato in questi giorni e, più di tutto, ci teniamo a salutare l’oceano. Sarà strano non udire più il fragore delle onde: di notte era diventato la nostra ninna-nanna. Se le cascate, da ieri, hanno ridotto considerevolmente la loro portata, oggi il mare invece è ancora più impressionante! Le onde sono altissime e riescono persino a saltare gli imponenti scogli che fanno da barriera protettiva al paese. Rimaniamo incantati per più di mezz’ora a goderci lo spettacolo dell’oceano in tempesta e degli spruzzi generati dalle onde. Poi, carichiamo in macchina le valigie e prendiamo la via per l’aeroporto. Ciao Fajà, ciao sperduto paesino dal nome così esotico. Sarà dura adattarsi di nuovo ai tanti rumori delle nostre città. E ci mancherà non essere più testimoni della libertà che qui ha la Natura di manifestarsi nelle sue caratteristiche più spettacolari. Ciao tranquilla Fajà, dove non c’è niente ma c’è tutto quello di cui i tuoi abitanti hanno bisogno. Ciao incantata Flores… Ti abbiamo conosciuta arrabbiata, grigia, nebbiosa ma l’incanto stava anche in quello. Assistere allo spettacolo dell’oceano in tempesta e delle cascate in piena è stato un dono indimenticabile. Riconsegnamo la macchina al losco figuro dell’altro giorno e per fortuna non ci sono sorprese dell’ultimo minuto: abbiamo sospettato tanto per niente! Ora ci aspetta São Miguel. Il volo arriva a destinazione con un bel po’ di ritardo e affrontando un vento tremendo che ci ha fatto ballare parecchio(complimenti vivissimi al pilota)! Già dal finestrino dell’aereo, sorvolando la nuova isola, mi sono accorta, però, che qui l’incanto delle Azzorre un po’ si rompe.. São Miguel infatti è molto più “civilizzata” e la visione di Ponta Delgada è un pugno per noi che ormai avevamo l’occhio abituato alla selvaggia Flores e a minuscoli paesini come Fajà. Non so, forse abbiamo sbagliato a decidere di visitare per ultima quest’isola… Ovviamente anche qui non mancano il verde o i villaggi a picco sul mare, ma per ora mi appare tutto meno magico, meno “da Azzorre”… Per esempio, anche a São Miguel ci sono mucche ovunque, come nelle altre isole. Solo che qui non si tratta di due o tre bestie sparse qua e là, ma di gigantesche mandrie di Frisone cariche di latte; e non si vedono più i contadini che la mattina partono col bidone di latta sotto il braccio per andare a mungere a mano la loro vacca ma allevatori con i pick-up e la mungitrice automatica. Che dire? Siamo un po’ delusi.. Mi sa che avevano ragione i due tedeschi di Flores. Ah, cara piccola Flores, dove dopo un solo giorno conoscevi già le facce di tutti! Qui anche le distanze sono un problema: São Miguel è molto più grande delle sue sorelle e muoversi da un punto all’altro dell’isola richiede un sacco di tempo. Non so se faremo in tempo a vedere tutto! Noleggiata l’ennesima Clio, ci allontaniamo di corsa da Ponta Delgada e ci mettiamo in viaggio verso Agua Retorta dove abbiamo prenotato la nostra terza (e ultima) casetta. Come al solito il tragitto fino a là non è stato diretto ma intervallato da mille deviazioni a caccia di cose interessanti da fotografare, anche se manca l’entusiasmo dei giorni precedenti. La prima nota positiva arriva quando scopriamo che la casa presa in affitto (Casas Das Alveolas)è veramente un bijoux! Ci accoglie il marito della proprietaria (infatti avevo notato subito il tocco femminile nella cura dei particolari!), un tipo simpatico e sorridente che dopo averci dato qualche spiegazione e suggerimento se ne va lasciandoci in omaggio due formaggi per la cena…che gentile! Dopo aver sistemato le valigie, risaliamo in macchina e puntiamo verso Nordeste, definito come uno dei villaggi più pittoreschi dell’isola. La strada per arrivarci (come anche tutte le altre di São Miguel) è tortuosissima e costellata di miradouri, ma non possiamo fermarci a vederli tutti altrimenti facciamo notte! Nordeste è una delusione. Non riusciamo a capire cos’abbia di così pittoresco, probabilmente il paesaggio che lo circonda che –a dire il vero- è molto bello, pieno di pascoli e vacche. Lasciamo subito il paesotto e imbocchiamo delle stradine rosse di campagna, ammirando tutto quello che ci circonda. Sulla via del ritorno ci fermiamo e scendiamo a piedi fino al Farol Do Arnel, uno stupendo faro dall’aspetto di un vecchio e coraggioso guardiano. Peccato che proprio in quel momento la batteria della mia Nikon dia forfait! Niente foto! Osserviamo il calare della notte e poi torniamo verso la macchina, ripercorrendo al contrario la discesa fatta prima per raggiungere il faro: una fatica da spezzare le gambe! Per cena assaggiamo i formaggi che ci ha regalato il proprietario e altre cosette prese nel pomeriggio al supermercato. Poi a letto, sperando che la giornata di domani ci faccia tornare l’entusiasmo perduto.

SABATO 10 SETTEMBRE 2011

Qui a São Miguel, posta più a est rispetto alle altre isole, si nota subito che al mattino il buio se ne va prima e alle 07 si può andare a correre senza problemi. Il giro di corsa di stamattina ci permette di dare un’occhiata al paesino che ci ospita, il minuscolo Agua Retorta. Poi, una volta tornati e fatto colazione, partiamo spediti alla volta di Furnas. Appena arriviamo ci colpisce subito la puzza di uova marce e la presenza di numerose fumarole. Visitiamo, per prima cosa, l’area delle Caldeiras, pozze da cui escono acqua bollente e dense volute di vapore. Furnas è una località altamente turistica e la presenza di visitatori qui è più consistente della norma. Alle Azzorre ci si abitua in fretta al fatto che, ovunque vai, sei praticamente l’unico turista; ma a São Miguel il discorso è diverso e in particolar modo a Furnas che è una delle maggiori attrattive dell’isola. Abbiamo fame e in un negozietto per turisti acquistiamo uno di quei pani piatti e dolci che abbiamo trovato in tutte le isole: sono una specialità tipica azzorrana e bisogna dire che non sono affatto male.. Ci spostiamo al centro del paese ed entriamo al Parque De Terra Nostra, altro luogo che le guide indicano come imperdibile. Si tratta di un giardino botanico molto esteso ed estremamente curato, con un’infinità di piante e fiori originari da ogni parte del mondo. Probabilmente è un posto che attrae l’interesse soprattutto degli appassionati di botanica: noi ci limitiamo a girovagare un po’ per i sentieri senza grande entusiasmo. Nemmeno la famosa piscina di acqua termale del parco ci attrae più di tanto: sembra la piscina di un ospizio… Stessa impressione per la Poça Da Beija, serie di pozze calde con decine di natanti a mollo. Tutto troppo turistico per i nostri gusti. Continuiamo il percorso raggiungendo a piedi il Lagoa Das Furnas, altro lago sorto all’interno di una caldeira. Il luogo è reso celebre dal fatto che nelle fumarole che circondano il lago viene cotto il celeberrimo “cozido”, uno stufato di carni diverse e verdura. In pratica, di mattina presto, viene inserito un pentolone di cozido in ognuna di queste buche scavate nel terreno caldissimo e pieno di vapore; dopo circa sette ore la pentola viene dissotterrata e il cozido è pronto. Il sabato mattina è tutto un via vai di gente che porta e che estrae pentoloni perché ad usufruire del calore delle fumarole sono sia i proprietari dei ristoranti di Furnas sia le famiglie del paese per il pranzo della domenica. Aspettiamo fino a mezzogiorno proprio per assistere alle manovre di estrazione dei cozidi pronti dalle buche. Nel frattempo continuano ad arrivare famigliole che sotterrano il loro stufato per il giorno dopo. I turisti si radunano attorno ad ogni buca che viene aperta, scattando foto a raffica e chiedendo al ristoratore di turno di tenere riservato un tavolo nel suo locale. Così facciamo anche noi perché ormai è l’una passata e siamo proprio curiosi di assaggiare questa specialità Addirittura abbiamo il privilegio di tornare giù in paese nel camioncino di uno di questi ristoratori (“Tony’s”, uno dei migliori locali di Furnas)che ci dà gentilmente un passaggio e ci fa accomodare dietro tra le due pentole di cozido bollente e profumato. Arrivati al locale, prendiamo posto e subito ci viene servito il pasto: sto cozido non è affatto male solo che…è tantissimo! Ma noi non ci tiriamo indietro, anzi! Una porzione per due ci costa 19€…e una giornata intera per riuscire a digerire! Usciti da Tony’s, riprendiamo la macchina e, prima di salutare del tutto Furnas, saliamo al Miradouro do Pico Do Ferro che regala un favoloso panorama sul lago e sulle verdi montagne che lo circondano. Guidiamo poi verso la spiaggia di Mohinos che si trova nella parte settentrionale dell’isola. Un posto da cartolina! L’oceano assume una miriade di tonalità diverse di blu e azzurri; le onde –oggi piuttosto alte- creano spruzzi e schiuma bianca; la spiaggia è scura scura per via della sabbia di origine vulcanica; le scogliere che chiudono la baia sono verdi come l’Irlanda e alle nostre spalle delle vecchie case in pietra nera testimoniano che lì un tempo si utilizzava l’acqua che scendeva verso il mare per far girare le macine (da qui il nome “spiaggia dei mulini”). Rimaniamo a lungo in questo posto idilliaco, un po’ per riposarci e goderci in pace il paesaggio senza correre di continuo, un po’ perché le onde diventano il gioco preferito di Giovanni e degli altri bagnanti che si divertono a farsi travolgere ridendo come matti! Nel tardo pomeriggio lasciamo la spiaggia e facciamo ritorno verso Agua Retorta percorrendo in senso orario la costa settentrionale. Incontriamo così le piantagioni di thè (Chà Do Porto Formoso e Chà Gorreana) ma non riusciamo a visitare gli stabilimenti di produzione perchè è tardi e stanno per chiudere. Procediamo fino ad Achada dove ci fermiamo nuovamente per ammirare la Ribeira Das Caldeiras, un’impetuosa cascata che però hanno reso troppo turistica abbellendola con un giardinetto artificiale e sentierini tipici di un ristorante per nozze. Al negozio lì vicino compriamo delle cartoline (non eravamo mai riusciti a trovarne una nelle altre isole!) e poi marciamo veloci verso casa perché ormai è tardi e la strada da fare è ancora lunga. Attraversiamo affascinanti campagne piene di agricoltori indaffarati: alcuni si sono dotati di moderni mezzi meccanici ma anche qui a São Miguel c’è chi va ancora a mungere le vacche col carro trainato dal cavallo! Ci siamo accorti che quasi tutti si fanno accompagnare da dei tremendi cagnacci dalle orecchie tagliate, mai visti prima ma onnipresenti a São Miguel. Sono talmente feroci che io e Giovanni li soprannominiamo i cani-iena. Rincasiamo che sono quasi le 22, cena in velocità e poi a nanna.

DOMENICA 11 SETTEMBRE 2011

Ci svegliamo prestissimo, così presto che ci tocca saltare l’abituale corsa. La meta di oggi è Vila Franca Do Campo dove ci imbarcheremo per una mattinata di whale watching! Sappiamo che i giri partono alle 9 e con tutte queste curve e curvette ci tocca partire da casa con molto anticipo. Arrivati alla marina, accordiamo con “Sweet Sea” (uno dei due gruppi che offrono il servizio di whale watching, appunto) un’uscita di circa tre ore per 45€ a testa! La giovane biologa marina che guiderà la spedizione ci accompagna al gommone (e io che mi aspettavo come minimo una barca!): lì ci attendono già lo skipper e un gruppo di 3 vecchietti tedeschi. Giubbetto salvavita, impermeabile, qualche delucidazione su cosa faremo e vedremo e..via, si parte! Non siamo mai saliti su un gommone e la sensazione è pazzesca. In pratica si sta seduti a cavalcioni su un seggiolino e ci si deve reggere forte a una manopola mentre il gommone affronta le onde come cavallo imbizzarrito! A volte riesce a volarci sopra ricadendo poi sull’acqua con tonfi che mettono a dura prova le nostre povere schiene (sconsiglio vivamente a chi pensa di non soffrire tutto questo di sedersi sul davanti! Cosa che è toccata a me e Giovanni che siamo arrivati per ultimi!). Poi su di nuovo, un salto, un altro volo! Pauroso, velocissimo, eccitante e…molto divertente! Lo skipper è un mezzo matto che accelera senza ritegno per farci volare ancora di più e la tedesca seduta dietro di me urla e ride ad ogni onda cavalcata! Le mancano solo il lazo e il cappello da cowboy! Arriviamo fino all’altezza di Ponta Delgada e lì facciamo il nostro primo incontro con un gruppo numeroso di delfini macchiati (“pingadi”, come dicono qui), molti dei quali sono cuccioli! Appena li vedo mi emoziono così tanto che mi salgono le lacrime agli occhi… La loro eleganza, i loro movimenti..incredibile! Sembrano quasi finti. Lo skipper ci spiega che non si avvicinano come fanno di solito proprio perché ci sono i piccoli e tendono a proteggerli rimanendo lontani dalle barche. Osserviamo in silenzio i loro balzi vivendo attimi che resteranno per sempre nei nostri ricordi; poi riprendiamo la direzione verso Est. Ma la giornata sembra piuttosto sfortunata perché non avvistiamo nient’altro. Gli skipper sono in continuo contatto con gli osservatori presenti nelle “vigie” in alto, sulle scogliere. Questi vigilanti sono dotati di potentissimi cannocchiali che arrivano a vedere fino a 50 chilometri distanza e, dato che nelle sola costa meridionale di São Miguel la “Sweet Sea” possiede tre postazioni di vedetta, è impossibile che un cetaceo che passa da quelle parti non venga intercettato! D’un tratto il secondo incontro, quello più spettacolare: si tratta di un gruppo di balene pilota che in realtà sono dei delfini, ma molto grandi (arrivano a superare i 7 metri di lunghezza), meno “allegri” di quelli di prima e con la testa che assomiglia nella forma a quella dei capodogli. Scivolano molto vicino al nostro gommone e il cuore mi batte forte nel petto per l’emozione. Quello è stato l’ultimo incontro della giornata. Poi il giro è continua vicino alla costa per vedere le postazioni di vedetta e aconcludiamo facendo il giro attorno all’ Ilheù Da Vila Franca che è meravigliosa (pagando il biglietto, ogni giorno un piccolo traghetto parte da Vila Franca e raggiunge l’isola per portarvi i visitatori). Niente balene, quindi. Ma non abbiamo nessun rimpianto perché, almeno per quanto mi riguarda, anche solo aver visto i delfini è stata un’ esperienza molto emozionante. E poi quei salti sulle onde sono stai troppo divertenti: come un giro in giostra durato ore! Una volta scesi, ringraziamo mille volte lo skipper e la biologa e ci beviamo un buon caffè al bar della marina. Poi ci sediamo in riva all’oceano, mangiando i nostri panini sotto un bellissimo sole e tirando pezzettini di pane ai pesci.

Risaliamo in macchina e mentre stiamo per uscire da Vila Franca Do Campo, facciamo una curiosa scoperta: vicino ad una rotonda c’è la statua bronzea di un cane-iena che quindi non è un incrocio particolarmente feroce che si divertono a fare gli allevatori dell’isola, ma una vera e propria razza canina denominata “ São Miguel Cattle Dog”. Hai capito… La nostra meta è il Lagoa Do Fogo, ma lungo la strada ci fermiamo prima ad Agua De Pau: il paese non offre niente di speciale da vedere ma ci dà modo di osservare come la gente, qui, abbia conservato piccoli riti che da noi sono spariti da un pezzo. Come quello di sedersi fuori dalla porta di casa (sui gradini o su una sedia) a chiacchierare o semplicemente a guardare chi passa o i bimbi che giocano. Dappertutto ci sono gruppetti di donne, vecchi e bambini che si godono la giornata attorno a una panchina o seduti fuori dal bar e sembra che nessuna fretta e nessuna preoccupazione li tocchi. Tra le nebbie che come al solito fanno da padrone nei rilievi centrali, raggiungiamo il Lagoa Do Fogo, tutto circondato da miradouri creati appositamente perché chi arriva possa fotografare il lago da ogni angolazione. E’ facile capire il perché: il bacino è colorato di mille riflessi di azzurro, punteggiato di candide spiagge e inserito nel solito immenso, verdissimo cratere. Lasciato il lago, ci fermiamo a visitare la Caldeira Velha, altro punto da cui sgorga acqua bollente e dove una cascata ha formato una pozza calda balneabile. Il tutto immerso in una specie di giungla equatoriale che per fortuna è stata lasciata così com’è. Ci rimettiamo in marcia passando di nuovo per la parte centrale dell’isola: è tutto il giorno che ci muoviamo a casaccio, buttando la macchina nelle stradine che ci ispirano di più. Questo diventa un male per la povera Clio che sembra sempre sul punto di spezzarsi in due; un bene per noi che grazie a queste avventurose deviazioni continuiamo a inebriarci la vista con magnifici panorami e romantiche scene di vita rurale. Sempre per caso arriviamo alle Lombadas, una zona di montagne selvagge color della senape. Anche il fiumiciattolo che corre a fondo valle è giallo, molto probabilmente per via del ferro contenuto nelle rocce. Sali e scendi, scendi e sali, dopo circa due milioni di curve ci ritroviamo di nuovo a Furnas.

Anche oggi qui è strapieno di gente e notiamo che molti hanno una pannocchia fumante in mano. Infatti nei baracchini vicino alle caldeiras stanno vendendo le spighe di mais cotte nelle fumarole e noi ci lanciamo subito a comprarne una: mmm, buona davvero! La tappa successiva è Ribeira Quente (oggi stiamo veramente girando come matti!), un paesino a picco sul mare e animato dai soliti piccoli gruppi di anziani radunati qua e là a godersi tranquillamente la domenica. Ci piacerebbe un sacco fermarci a cenare in uno delle deliziose trattorie di Ribeira affacciate sull’oceano ma non sono nemmeno le 18 e non abbiamo ancora fame. A malincuore lasciamo quindi il paesello e ci dirigiamo verso Faial Da Terra, sulla via di casa, poco lontano da Agua Retorta. Affrontate le solite mille curve che occorre sempre fare per scendere dalla strada fino a questi villaggi, scopriamo che Faial è in piena festa! Tutte le strade sono tappezzate da incantevoli disegni realizzati con rametti di cedro, segatura colorata ma soprattutto con coloratissimi fiori (ecco perché vedevamo la gente che raccoglieva le ortensie in questi giorni!). Lungo la via principale, poi, sta salendo una lunghissima processione e noi corriamo giù veloci per non perderci lo spettacolo. Come scopriremo durante la serata, si tratta della festa del patrono della zona (Nostra Senhora Da Gracia o qualcosa del genere) e tutto, ripeto, tutto il paese sta partecipando all’evento. I figuranti sono centinaia e chi non ha addosso un costume è comunque vestito come se stesse per andare a un matrimonio o a un’altra importante celebrazione. Le ragazze sfoggiano vestiti da sera, pettinature perfette e tacchi alti e tutti partecipano con grande coinvolgimento. Le numerose bande sfilano suonando fanfare tradizionali e ci stupisce notare che l’età media dei suonatori è molto bassa. Sono tutti adolescenti o poco più! Qui, infatti, le scuole di musica –le “filarmoniche”- sono estremamente diffuse: probabilmente è qualcosa a cui gli azzorrani sono piuttosto legati. Vengono portate in processione varie statue di santi issate su imponenti baldacchini colmi di fiori. La sfilata poi continua verso la parte alta del paese e noi ne approfittiamo per scendere verso il centro dove tutto è pronto per la festa. Ci avviciniamo a una capanna di legno e, visto che ormai è arrivata l’ora di cena, ordiniamo da mangiare in piedi e senza capire niente di quello che c’è scritto nel menù. Sono tutti molto gentili con noi, comunque, e si danno da fare per tentare di spiegarci cosa servono. Ci arriva una porzione di “cracas”, dei molluschi color alga che vivono incastrati nella roccia e che si trovano solo in questo angolo dell’isola. Non sono per niente facili da mangiare perché bisogna estrarli dal pezzo di roccia, ma Giovanni rimane molto soddisfatto. Io invece opto per un mezzo “frango” ovvero il galletto che viene cotto sulla griglia dietro alla baracca: gustosissimo! Birretta e mentre ci stiamo ancora leccando (letteralmente!)le dita la processione torna in paese dove tutto è un abbaglio di luci colori, persone commosse e bimbi che corrono divertiti. Tutti -ripeto- partecipano profondamente: i più anziani sono seduti sulle sedie fuori dalla porta di cosa e dalle finestre delle case che si affaccino sulla via principale sporgono persone che cantano e si fanno il segno della croce. Inoltre ai balconi sono state appese coperte allegre e colorate che non capiamo che significato abbiano ma contribuiscono ad aumentare il senso di devozione che impregna l’aria. Seguiamo anche noi il corteo e quando la Madonna (issata su una portantina) arriva alla chiesa –resa tutta luccicante per l’occasione- in cielo scoppiano i fuochi d’artificio e le bande si uniscono e suonano a lungo davanti alla statua di Nostra Senhora. Che momenti! Queste sono le cose che rendono veramente indimenticabile un viaggio. Ci tratteniamo ancora un po’ e poi lasciamo Faial Da Terra, col cuore felice per ciò che abbiamo vissuto e triste sapendo che domani è l’ultimo giorno.

LUNEDì 12 SETTEMBRE 2011

Ci siamo, l’ultimo giorno è arrivato e noi e le bellissime isole che ci hanno ospitati siamo giunti ai saluti finali. Forse per non farci pesare troppo il distacco oggi le Azzorre hanno deciso di tenerci nascosto il cielo limpidissimo degli ultimi giorni e, anzi, è piovuto per gran parte del tempo. Ma neppure questo è servito a portar via loro un briciolo di fascino. La sveglia suona presto ancora una volta perché non vogliamo tornare a casa senza aver visitato l’area di Sete Citades, un enorme cratere che contiene quattro laghi e un’intera città! Dopo più di due ore di macchina (di cui una buona mezz’ora trascorsa dietro a una mandria di mucche in transumanza!) arriviamo al miradouro di Vista Do Rei, punto dal quale si ha la vista migliore sulla gigantesca caldeira e i suoi laghi. Peccato che davanti a noi si apra solo un infinito mare di nebbia! Ci dirigiamo quindi verso il basso, all’interno del cratere, per visitare Sete Citades. Come sempre i laghi risultano molto più affascinanti se visti dall’alto; da vicino, invece, infondono spesso malinconia, soprattutto oggi che non c’è il sole. Però non si può dire che non sia un bel posto, Sete Citades: un piccolo paesino tranquillo, tanti prati verdi e vacche al pascolo, gli anziani seduti fuori dai bar, i mille pick-up che vanno a raggiungere le mandrie da mungere, la gente sfaccendata, i bambini in giro da soli, un ragazzo che passa a cavallo di un asinello. Ci accingiamo a fare una passeggiata attorno a uno dei laghi ma veniamo colti da una pioggia intensa e leggera. Visto che non smette lasciamo Sete Citades per raggiungere Mosteiros, una zona di mare nella parte Nord-Ovest di São Miguel. Il mare è arrabbiatissimo e i maestosi (e celebri) scogli di Mosteiros sembrano quasi dei mostri marini nella tempesta. La spiaggia, fatta di sabbia nerissima, ha un fascino tutto particolare ma nessuno osa fare il bagno, ovviamente! Nonostante stia piovigginando, ci sediamo a guardare l’oceano e le sue onde terrificanti: l’acqua sbatte con violenza contro gli scogli e giunge a riva con prepotenza, si mescola con la sabbia e da azzurra diventa nera e poi schiuma bianca. L’oceano in tempesta mette paura, fa impressione, ma allo stesso tempo crea attrazione… Ti senti legato alla visione della sua rabbia come se fosse qualcosa di familiare, qualcosa che conosci già. L’oceano arrabbiato, agitato, sconvolto riesce ad essere vicino al cuore degli uomini più di quanto possa farlo qualsiasi discorso, qualsiasi descrizione. E, seduta lì al freddo, mentre lo osservo, mi sento anch’io legata all’oceano, calmata da quella visione, certa che dopo tutto esso smetterà di agitarsi e ritroverà la sua profonda pace, così come anche il cuore degli uomini sa sempre fare. Venuti via dalla spiaggia zig-zaghiamo a piedi per Mosteiros, che forse più che paese è meglio definire un ammasso di casette, alcune delle quali simili a baracche. Certo è che pure il piccolo Mosteiros ha il suo grande fascino e non mancano i soliti gruppetti di persone seduti qua e là, intenti a osservare il mare. Entriamo in un minuscolo negozio di alimentari in cerca di qualcosa da portare a casa come souvenirs: durante tutto il viaggio, infatti, non abbiamo mai avuto l’occasione di acquistare nessun oggetto ricordo, anche perché gli azzorrani non è che siano propriamente dediti all’artigianato.. Comunque sia, nemmeno lì dentro troviamo alcunché e ce ne andiamo solo con un pacchetto di fave fritte da sgranocchiare come patatine. Le fave sono un alimento di cui alle Azzorre la gente va ghiotta: le abbiamo trovate –ad esempio- in ogni festa o sagra ed è un piatto economico e molto richiesto. Si mangiano con lo stuzzicadenti e sono servite insieme ad un intingolo in cui si inzuppa il pane.

Dopo Mosteiros, visto il tempaccio, non sappiamo nemmeno noi che fare e decidiamo di proseguire verso Est rimanendo comunque sulla costa settentrionale. Arriviamo a Calhetas, visitiamo brevemente la città (non offre niente di particolare) e poi ci dirigiamo a Ribeira Grande dove, in un fornito supermercato, compriamo dei biscotti (alle Azzorre ne producono di vari tipo tutti molto buoni a dire il vero) da portare a casa. Lungo la strada per tornare alla nostra casetta, ripassiamo davanti agli stabilimenti di produzione del the (“chà”) e stavolta entriamo per visitarli. Sono molto interessanti, soprattutto perché funzionano ancora con gli stessi sistemi di 150 anni fa e incantevoli sono anche i sentieri che si immergono tra le piantagioni. A casa prepariamo le valigie e poi, non contenti dei 300 chilometri macinati durante la giornata, decidiamo di regalarci una cena come si deve e ci rimettiamo in marcia verso Ribeira Quente, il villaggio a picco sul mare che ieri aveva attirato la nostra attenzione con i suoi ristorantini fronte-oceano. Dopo 40 minuti di curve arriviamo al ristorante “Garajau”: l’ambiente è decisamente “marittimo” e molto romantico. I tavoli di legno sono disposti sotto ad un portico dove sono appese reti da pesca, sono sparse ovunque delle candele e il menù è servito dentro a bottiglie di vetro come quelle che si ritrovano in riva al mare. E poi conchiglie, lanterne…insomma tutto curato fin nei minimi dettagli! Meno curati siamo noi che, nonostante l’eleganza del posto e la discrezione degli altri commensali, ci comportiamo come se fossimo alla sagra del maiale del nostro paese! Giovanni non si fa problemi a trangugiare in cinque minuti tutte le olive (circa 2 kg) con l’aglio offerte come antipasto e io approfitto senza ritegno del buffet d’insalate come se non mangiassi da mesi; poi mandiamo talmente in confusione la povera cameriera perché non capiamo che pesci ci sono nel menù che ad un certo punto la povera donna se ne va e torna con un manuale illustrato solo per noi e -come si fa- con i bambini punta il dito sopra il disegno giusto; alla fine dell’antipasto il nostro tavolo è già ridotto ad un immondezzaio con forchette sporche ovunque, tovagliette untissime (come abbiamo fatto? Dobbiamo ancora iniziare a mangiare!) e i tovaglioli ridotti a piccole palline umidicce; infine arriva la chicca: appena posano la grigliata di pesce io rovescio la salsa di accompagnamento su tutto il tavolo e per il resto della serata mangiamo con una sostanza rosa che gocciola sui nostri pantaloni… Quante risate! Dopo tutto quel cibo e dopo tutto il lavoro che abbiamo lasciato ai camerieri non possiamo di certo lamentarci del prezzo (42€). Ah, quanto ci mancherà il buon pesce delle Azzorre!

MARTEDì 13 SETTEMBRE 2011

Ci attende una lunga e triste giornata tutta dedicata al rientro a casa. Sale con noi in aereo la solita malinconia che ci accompagna al termine di un viaggio. E questo è stato un gran bel viaggio! Non c’è stato un solo momento in cui ci siamo pentiti di aver scelto le Azzorre. Sappiamo di torniamo a casa da questa meravigliosa avventura con un bagaglio in più, oltre a quello già caricato nella stiva. Innanzitutto, dopo l’esperienza su quei minuscoli aerei con le eliche che affrontavano i feroci venti di Flores, ora potremo andar incontro a qualsiasi tipo di sorvolata! E, ritornando alle domande che mi ponevo a Fajà Grande su come facesse quella gente a vivere così isolata o come riuscisse ad avere sempre tutta quella calma addosso, ho capito di aver avuto dagli azzorrani la possibilità di essere testimoni di modi di vivere che la nostra società ha dimenticato. Nel nostro mondo abbiamo aggiunto tante cose alla nostre vite ma abbiamo ne abbandonate alcune di importantissime. Questo sbaglio chi vive isolato da tutto –come gli abitanti di Flores- non se lo concede. Nel 2011 alle Azzorre è ancora considerata cosa di fondamentale importanza correre a mungere a mano la propria vacca ogni mattina ed ogni sera. E anche se la bestia non fa più che un mezzo secchio di latte nessuno si sognerebbe mai di lasciar perdere. Che sia questa la soluzione? Quante cose potremo anche noi procurarci da soli se solo volessimo? Nessuno lo fa più: tutti noi pensiamo al’ i-phone, alla tivù al plasma, alle scarpe nuove ma a nessuno viene in mente che se tutti andassimo a mungere la vacca prima di correre in ufficio avremo bisogno di molte meno cose per vivere. Alle Azzorre questo se lo ricordano ancora e per loro, impediti dalle distanze di accedere alle comodità, la soluzione ai problemi non è stata un cambiamento radicale. Non è stata l’andar via, l’abbandono. Né l’adeguarsi al consumismo del resto del mondo. E’ stata continuare a fare ciò che hanno sempre fatto: quello che in realtà facevamo anche noi fino a qualche decina di anni fa! Forse, osservando la calma che condisce le giornate di questa gente, guardando le persone sedute fuori dai bar senza fretta e gli uomini giocare a domino, vedendo le donne chiacchierare sugli scalini di casa, -forse- alla fine dei conti ci stanno guadagnando più loro di noi, malati di stress, intossicati dall’individualismo. Dopo questo viaggio mi è stato chiaro che i veri “isolani” siamo noi! Noi che non siamo più capaci di suonare, fieri, davanti alla statua del patrono del nostro paese. Noi che se in piazza c’è la sagra ci andiamo solo perché stare a casa ci annoia ancora di più e lo facciamo senza indossare il vestito buono, senza ornare di fiori le vie del centro. Osserviamo tutto da dietro l’angolo, ciabattando con le mani in tasca, sperando che nessun rompiscatole ci chieda di partecipare. Siamo isole. Siamo soli. A Varadouro, a Fajà Grande, a Faial Da Terra c’era un’unica grande famiglia dove nessuno era solo o nascosto. Infine voglio ringraziare le Azzorre perché hanno fatto capire a noi due l’importanza del conoscere, del lasciarsi coinvolgere, dell’immergersi nelle cose. Ma soprattutto l’importanza di fare queste esperienze insieme con la coscienza che insieme si riesce a casa un bagaglio più grande. Perciò, ciao piccole isole incantate! Ciao dolce Faial, ciao selvaggia Flores, ciao imponente São Miguel. L’azzurro delle vostre ortensie e la limpidezza dei vostri cieli hanno rischiarato i nostri cuori.

ALTRE CURIOSITA’ E INFORMAZIONI UTILI

• A São Miguel è obbligatoria assaggiare l’ananas prodotto nell’isola. Sono frutti di calibro più piccolo del normale, ma dal sapore ineguagliabile.

• Se volete ordinare un caffè macchiato il termine da usare è “garoto”

• Un altro elemento che si ritrova in ogni isola sono i pick up col cassone in legno: ogni famiglia ne ha uno!

• Di notte tenete il naso all’insù: il cielo è pieno zeppo di stelle cadenti

• Attenti ai mille conigli selvatici sempre pronti a tagliarvi la strada

• Dato il clima molto capriccioso portatevi via sia vestiti estivi sia pile e una buona giacca a vento. Se intendete camminare procuratevi delle scarpe da trekking impermeabili



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