Avventura nel deserto egiziano

Salam Aleykum L’avventura nel deserto Egiziano di Luc, MG ed amici Aprile-Maggio 2008PROLOGO Tutto ha inizio con una cartolina di auguri natalizi inviataci dai nostri amici inglesi Cathy e Chris, da un paio d’anni trasferitisi al Cairo: “Sappiamo di un posto specialissimo sperduto nel deserto egiziano, ai confini con la Libia… un...
Scritto da: sidecarural
avventura nel deserto egiziano
Partenza il: 25/04/2008
Ritorno il: 02/05/2008
Viaggiatori: in coppia
Salam Aleykum L’avventura nel deserto Egiziano di Luc, MG ed amici Aprile-Maggio 2008

PROLOGO Tutto ha inizio con una cartolina di auguri natalizi inviataci dai nostri amici inglesi Cathy e Chris, da un paio d’anni trasferitisi al Cairo: “Sappiamo di un posto specialissimo sperduto nel deserto egiziano, ai confini con la Libia… un hotel lussuoso ed ecologico al tempo stesso, immerso in un’oasi idilliaca. Che ne pensate? Si organizza?” L’idea ci intriga assai, ed i nostri amici non devono insistere molto: il ponte del 25 aprile sembra fatto apposta, laggiù non farà ancora troppo caldo e con pochi giorni di ferie si può mettere assieme un viaggetto di otto giorni, proprio quello che serve per spingersi così a fondo nel deserto. Chris si occupa degli automezzi (utilizzeremo la potente Land Cruiser di famiglia, più un altro fuoristrada), mentre Cathy pensa a prenotare gli alberghi lungo la strada. Via Email, mettiamo a punto i dettagli, ed il viaggio assume le caratteristiche di una vera, appassionante avventura: dal Cairo ci metteremo in viaggio verso Sud, alla volta dell’oasi di Bahariya. Da qui partiremo per un’emozionante escursione nel deserto, accompagnati da una esperta guida, e trascorreremo una notte accampati sotto le stelle.

Poi proseguiremo par una impegnativa traversata che – in una decina d’ore – ci porterà (così piacendo agli Dei) da Bahariya all’oasi di Siwa, a poche decine di km dalla Libia. Qui trascorreremo due notti nel famoso Adrere Amellal, considerato uno dei più affascinanti ‘hotel ecologici’ al mondo, base ideale per la scoperta del ‘mare di sabbia’. Poi il ritorno, costeggiando il Mediterraneo, con soste ad El Alamein e, se ci salta il ticchio, ad Alessandria prima del ritorno al Cairo.

Tutto è organizzato a puntino.

Non resta che raccontarvi come è andata! 25 Aprile – Venerdì Alle 15.50 ci imbarchiamo – non senza qualche affanno – sul volo Alitalia per il Cairo: una serie di contrattempi fanno sì che si giunga al check-in proprio all’ultimo istante prima della chiusura del volo.

Ma tutto fila liscio. Il volo parte in orario ed arriviamo al Cairo verso le 20:30. Espletate le formalità di rito, ci guardiamo intorno in cerca di facce amiche: ecco Chris e Cathy, che ci danno il loro caloroso benvenuto e ci presentano Mohammed, il loro ‘driver’ che verrà con noi nel nostro avventuroso viaggio. Mentre ci avviamo verso la città, chiacchieriamo fittamente e ci raccontiamo le novità: i figlioli che crescono (loro ricordano Marco ragazzino… ed anche i loro ‘bambini’ David e Michael – poco più che marmocchi l’ultima volta che ci siamo visti – sono ormai dei teenagers!), il lavoro di Chris e di Luciano, gli impegni di Cathy e Mariagrazia… Dopo un’oretta arriviamo nel loro appartamento, ed incontriamo i ragazzi, due giovanottoni di 14 e 12 anni alti come una porta che sembrano molto contenti dei nostri regalini (due maglie da calcio ‘ufficiali’ del Milan e dell’Inter), così come Chris e Cathy apprezzano molto le bottiglie di prosecco ed alcune altre leccornie che abbiamo portato con noi.

Chiacchieriamo ancora un bel po’, e visitiamo l’enorme casa dei nostri amici: saranno trecento metri quadrati, anzi sicuramente di più. C’è perfino un tavolo da biliardo, e stanze grandi quasi come il nostro intero appartamento di Milano! Abbiamo molte cose da raccontarci, ma il tempo non mancherà nei prossimi giorni.

26 Aprile – Sabato La partenza per Baharija è previsto subito dopo pranzo: così – dopo una buona colazione sul balcone e tranquille ciacole: la temperatura è impeccabile – approfittiamo della mattinata per una veloce visita con Chris al museo egizio. Ci limitiamo alla collezione della tomba di Tuthankamon che, seppure già vista anni fa, è una assoluta meraviglia. Nonostante la grande affluenza di turisti, riusciamo a gustare ogni reperto, ogni gioiello, ogni maschera dorata. E’ stupefacente pensare che tutte queste meraviglie erano originalmente destinate… a non essere viste da nessuno, ed a rimanere per sempre sottoterra! Trascorsa la mattinata rientriamo a casa e ci gustiamo un’ottima pastasciutta, prima di iniziare il carico dei bagagli sulle due fuoristrada.

Chris e Cathy hanno fatto le cose in grande, e professionalmente: abbiamo taniche d’acqua e di benzina, tende, cibo, bevande in quantità, attrezzatura da campeggio, ruote di scorta, legna da ardere per il falò nel deserto,… Insomma non manca nulla (neanche i cuscini, per rendere più confortevole il sonno sotto le stelle).

Mohammed (l’autista dei nostri amici) si pone alla guida della mastodontica Land Cruiser di famiglia, con a bordo Cathy ed i ragazzi. Sull’altro fuoristrada (una Toyota Prado) ci sistemiamo noi con Chris al volante.

Si parte! Per uscire dal Cairo si costeggiano le Piramidi, ormai lambite dai quartieri periferici della città. Finiamo in un bell’ingorgo prima di riuscire finalmente a prendere la strada verso sud-ovest, in direzione di Bahariya. Un lungo, ed abbastanza noioso tragitto rettilineo, su strada ben asfaltata e circondata da un deserto piatto e poco interessante. Ma ne approfittiamo per chiacchierare con Chris, ricordare i vecchi tempi (ci siamo conosciuti per lavoro a Roma, negli anno novanta), ed aggiornarci reciprocamente sulle novità.

Una sosta per sgranchirci le gambe ed espletare altre intime formalità presso una stazione di servizio, e poi il viaggio riprende. E’ quasi sera quando arriviamo in vista dell’oasi di Bahariya, preannunciata da palme e boschetti verdeggianti. Il paese non è granché: semplici case, negozietti, meccanici indaffarati attorno a macchine vecchissime, carretti trainati da asinelli. Mohammed ci ha detto che lui sa dove si trova il nostro albergo, ma scopriremo presto che – in realtà – non ne ha la più pallida idea. Chiediamo in giro, ma otteniamo risposte generiche, quando non apertamente contrastanti. Giriamo per qualche decina di minuti per il paesino, finchè non incrociamo un vecchio, avvolto nel suo bello scialle tipico, al quale chiediamo – tramite Mohammed – lumi. Lui sì che sa dove dobbiamo andare, e si offre di accompagnarci. Mentre si siede sulla nostra Toyota, lo vediamo estrarre da sotto il camicione un imponente fucile, apparentemente ben oliato ed in perfetta efficienza. Chris, che ha notato l’archibugio, si chiede come mai faremo a comprendere le indicazioni dell’individuo, che naturalmente parla solo arabo. Così ci lascia in balia del bellicoso beduino, e passa il volante a Mohammed, passando alla guida dell’altra auto. Comunque, tutto fila liscio, e bastano pochi minuti per arrivare al nostro hotel (non l’avremmo mai trovato, senza l’aiuto dell’uomo col fucile!).

Le camere sono pulite e spaziose, un bel giardino circonda la hall ed il ristorante. Prima di cena, e dopo una corroborante doccia, ci ritroviamo sulla terrazza, dove sorseggiamo un aperitivo a base di prosecco gelato proveniente da Milano, noccioline cairote ed olive italiche, chiacchierando amabilmente.

Poi facciamo un’ottima ed abbondante cenetta, e dopo non resistiamo alla tentazione di un bagno nella piscina dell’hotel, alimentata da una locale sorgente termale: saranno circa 40°, ed è assai piacevole lasciarsi bollire a fuoco lento, sciogliendo così le fatiche del viaggio. Prima del meritato sonno, torniamo sul terrazzo, ad ammirare il cielo stellato.

27 Aprile, Domenica Il simpatico Peter (un eccentrico tedesco, gestore dell’hotel) ha pensato a tutto: per la nostra escursione a sud, verso la remota oasi di Farafra, saremo accompagnati di Hassan e dal suo fido scudiero Hamed, nonché da un gendarme armato di pistolone, come prevedono le norme locali. Con il loro glorioso Land Cruiser quarantenne ci guideranno prima nel ‘deserto nero’, e quindi nel profondo ‘deserto bianco’, del quale si dicono meraviglie. Lì ci accamperemo, per trascorrere una notte memorabile. Poi, il ritorno nel pomeriggio di domani.

Tutto è pronto, un ultimo controllo alle scorte di acque e benzina, nonché agli abbondanti viveri, e siamo in viaggio.

Ad una ventina di km da Bahariya, Hassan lascia la strada asfaltata e si inoltra nel deserto: l’avventura comincia! Il paesaggio attorno a noi è piatto e sabbioso, ma all’orizzonte si stagliano austeri contrafforti rocciosi, di colore bruno-nero. Non ci sono altre auto, sulla nostra pista. Chris guida concentrato: ha fatto un corso di guida nel deserto, e se l’è cavata dignitosamente nelle esercitazioni pratiche, ma adesso viene messo alla prova dei fatti, e non vuole certo sfigurare.

Dopo una decina di minuti, di fronte a noi si staglia la lingua di una enorme duna: Hassan affronta il pendio in piena velocità, e noi dietro: saliamo sul fianco sabbioso, senza soverchie difficoltà, e ci arrestiamo in cima, proprio sul ciglio della duna.

Scendiamo eccitatissimi: il paesaggio è formidabile. Davanti a noi, il deserto piatto e scuro a causa dei ciottoli di basalto che ricoprono la sabbia arancione. A destra, l’enorme duna, che sale a perdita d’occhio per due o trecento metri. Ci mettiamo subito in cammino, per salire più in alto e guadagnare punti di vista panoramici. Michael, il ragazzo più piccolo dei nostri amici, sparisce presto alla vista e si inerpica come una gazzella, con la sua maglietta dell’Inter appena regalata (dalla quale non si separerà per tutta la vacanza, incurante del caratteristico odorino di cammello bagnato generata dall’accoppiata “maglietta inter + caldo del deserto”).

Anche noi ci avviamo verso la sommità della duna, seppure con andatura più riflessiva. Il paesaggio è straordinario, l’aria fresca, la luce perfetta. Giunti a metà costa, ci accoccoliamo sulla sabbia, e trascorriamo qualche minuto in silenziosa contemplazione del paesaggio che ci circonda. In lontananza, sulla pista che si scorge appena, pennacchi di polvere fanno presagire la presenza di altre fuoristrada che si avvicinano. La sabbia è arancione, pulita, finissima. Il silenzio assoluto. Laggiù in fondo ci attendono le nostre fuoristrada, ed il viaggio è ancora lungo. Così torniamo sui nostri passi. Per scendere scegliamo un altro costone, e ci lanciamo a capofitto lungo una sorta di ripido canalone sabbioso. Affondiamo sino a mezza gamba nella sabbia finissima, ma a balzelloni e cercando di mantenere velocità arriviamo fino in fondo. Divertentissimo! Riprendiamo la via, sempre in fuoristrada. La guida ci anticipa che ci fermeremo in un altro punto assai panoramico tra una ventina di chilometri. Rientriamo sulla strada asfaltata, e proseguiamo per una mezz’oretta. Attorno a noi il deserto è scenograficissimo: montagnole alte qualche centinaio di metri, con una sorta di cappello nero (di basalto, dicono gli esperti), e le pendici di sassi e massi neri, che ‘scivolano’ sulla sabbia arancione. Dopo qualche chilometro lasciamo di nuovo la strada, e ci inoltriamo lungo una pistarella. Qualche minuto, e ci fermiamo in un punto panoramicissimo. Lasciate le macchine, iniziamo a salire su una collinetta poco distante. Si scivola parecchio, e la via è irta di ostacoli, ma proseguiamo sino a metà costa. Qui ci fermiamo, ed ammiriamo l’incredibile paesaggio sotto di noi. La sabbia (fine, pulita, color arancione) è bellissima, ed i sassi neri che la ricoprono sono levigati, lucidi, ed hanno forme strane. Mariagrazia si procura una bottiglia vuota di plastica, e la riempiamo di sabbia che porteremo a Milano per ricordo.

Il paesaggio è indimenticabile, e ci fermeremmo qui a lungo, ma le nostre guide ci fanno segno che è bene proseguire, e che le emozioni… sono appena iniziate.

Così facciamo. Dopo qualche chilometro raggiungiamo una piccola oasi, e ci fermiamo per rifocillarci presso un ristorantino. Ci accoccoliamo su dei tappeti, e mangiamo di gusto il sapido pranzetto che ci viene proposto: formaggio di capra, olive, focaccine, pomodori, tonno in scatola. Poi il viaggio riprende. Per qualche chilometro avanziamo su strada asfaltata, circondati dalle collinette col cappello nero. Ed infatti, questo tratto di deserto è chiamato ‘deserto nero’ per queste formazioni basaltiche. Dopo una buona mezz’ora, la jeep di testa devia verso sinistra, e si inoltra fuori pista. Noi dietro. Il terreno è solido, e non dà preoccupazioni. Il paesaggio bellissimo. La nostra Toyota, confortevole, ancorché piena in ogni angolo: Chris alla guida, Luc a fianco, con funzioni di fotografo ufficiale della spedizione. MG dietro, in un cantuccio ricavato accanto alla montagna di coperte e cuscini che ci serviranno stasera, per il campeggio nel deserto. Dietro, nel bagagliaio, vettovaglie a non finire.

La jeep della guida, un centinaio di metri davanti a noi, inizia ad inerpicarsi su per un pendio sabbioso che porta a una specie di forcella, tra due contrafforti rocciosi. Seguiamo diligentemente. Arrivata alla forcella, la jeep davanti a noi si ferma, noi la affianchiamo e… che spettacolo!!! Sotto di noi si apre uno scenario mozzafiato: una vasta vallata, costellata di formazioni rocciose a forma di panettone, dal colore rosso-arancione-bianco. All’orizzonte, altri contrafforti rocciosi. Ci arrampichiamo per qualche metro sulla costa rocciosa, ed ammiriamo l’imponente paesaggio: questo posto è indimenticabile. Hassan ci guarda sornione, ed apprezza il nostro entusiasmo. Dai suoi occhietti furbi, ci sembra però di capire che…Ci saranno altre sorprese! Restiamo sulla forcella, ad ammirare la “Wow !!! Valley” (come l’abbiamo ribattezzata noi, in ricordo dell’esclamazione “WOW!!!” che abbiamo lanciato quando ci siamo fermati ad ammirarla) per un po’, poi riprendiamo la via, chiedendoci cos’altro ci riserverà questa splendida traversata.

Si scende dalla forcella, ed iniziamo ad inoltrarci con i nostri fuoristrada nella Wow Valley. La sabbia è abbastanza solida, e la marcia prosegue senza intoppi (Chris, il nostro…Driver, se la cava piuttosto benino!). In pochi minuti arriviamo in fondo alla Wow Valley, e cominciamo ad addentrarci tra le rocce. Minuto dopo minuto, il paesaggio si fa sempre più unico ed entusiasmante. Arriviamo in una specie di anfiteatro, circondato dalle rocce a panettone, e ci fermiamo. E’ fantastico! Il suolo è costituito da sabbia finissima, arancione, e da sassi di basalto nero dalle forme più strane: lucidi, levigati, con delle specie di bozzi… altri sassi hanno la forma di cilindretti (certo si tratta di basalto lavico, ed i sassi a cilindretto si saranno formati con la solidificazione della lava milioni di anni fa…).

Noi due ci dedichiamo ad esplorare i dintorni, ed a raccogliere qualche sasso. Anzi, mettiamo nel fazzoletto – per ricordo – un paio di manciate di sabbia e sassetti. Abbiamo la sensazione che questo posto sia rimasto inviolato da milioni di anni, e ci sembra quasi di esserne i primi visitatori! Sarebbe un posto fantastico per campeggiare, ma Hassan, dopo una buona mezz’ora, ci esorta a rimetterci in viaggio. Qualcosa ci dice che abbia ancora in serbo sorprese per noi!!

Così sia: ripartiamo, con negli occhi e nelle macchine fotografiche immagini indimenticabili della Wow Valley. Dopo qualche centinaio di metri, in un tratto con sabbia un po’ più soffice, l’inevitabile: la nostra Toyota sembra perdere velocità, Chris armeggia freneticamente con cambio, leva delle marce ridotte, manopola per bloccare il differenziale, ma tutto è inutile: la macchina si ferma, con le ruote che spazzano invano la sabbia alzando polveroni. E’ il nostro primo insabbiamento.

Scendiamo, mentre notiamo la Toyota di Hassan che si allontana, mettendosi al sicuro su un tratto di pista più solido. Dietro di noi non vediamo arrivare Mohammed: insabbiato anche lui, un paio di centinaia di metri dietro di noi. Bene, al lavoro: scaviamo un po’ sotto il pianale, per facilitare la presa delle gomme, e poi giù a spingere. Ci ha raggiunto anche Hassan e la sua banda, così uniamo le forze. L’insabbiamento non è gravissimo, e dopo qualche sbuffata… Chris riesce finalmente a fare di nuovo presa con le gomme sulla sabbia, e l’auto schizza via tra le grida di incoraggiamento di noi tutti. Intanto Mohammed, dietro di noi, è riuscito a disinsabbiare la Toyota grande, così possiamo riprendere la nostra via.

Hassan, però, ci mette in guardia: tra un paio di chilometri la pista attraversa un altopiano sabbioso, e lì la sabbia è proprio soffice: l’unico modo per superare l’ostacolo è prenderla in velocità, e non fermarsi per nessuna ragione, o saranno guai. Proseguiamo, meditando, per alcuni chilometri, poi Hassan si ferma su una sorta di cresta. Scendiamo. Davanti a noi, una spianata di alcuni km, di sabbia giallo chiaro. Poche collinette intorno, e là in fondo (ma bisogna arrivarci) alcune alture rocciose. Hassan conferma che questo è l’attraversamento delicato: bisogna partire decisi, acquistare velocità, e galleggiare sulla sabbia. Guai a rallentare: fermarci là in mezzo sarebbe un guaio, e non sarebbe affatto facile venirne fuori.

Ultime raccomandazioni, una sonora pacca sulla spalla, ed Hassan parte, per mostrarci la via. Lo vediamo avanzare senza esitazioni. E’ la volta di Chris, indubbiamente un po’ emozionato. Un veloce ripasso mentale alle istruzioni ricevute, e via! Inizia la traversata. Chris domina il mezzo con maestria, e vola sulla sabbia come non avesse fatto altro in vita sua. Mariagrazia, dal posto di vedetta posteriore, ci tiene informati sulla situazione di Mohammed, che segue ad un centinaio di metri.

Presto siamo a metà della traversata: Hassan, là davanti, ha già raggiunto il pianoro roccioso, e ci aspetta. Noi affrontiamo, con la massima concentrazione, le ultime centinaia di metri: ormai sentiamo di avercela fatta. Ed infatti dopo pochi minuti sentiamo le gomme che fanno finalmente presa sulle rocce, e la macchina che avanza sicura sul terreno solido. E’ fatta! Ci voltiamo indietro, aspettandoci di vedere Mohammed. Ma niente, la Toyotona non compare. Scendiamo dai mezzi, e scrutiamo l’orizzonte con i binocolo. Nulla.

Certo la macchina di Mohammed, grossa e pesante, ha avuto qualche problema a metà del guado. Che fare? Avventurarsi a ritroso, col rischio di insabbiarci tutti? Aspettare, fiduciosi nella nostra buona stella? O avviarci a piedi al soccorso, col rischio di doverci cammellare chilometri e chilometri prima di trovare i malcapitati? Intanto, scrutiamo pensierosi l’orizzonte.

E’ un sollievo scorgere, finalmente, una nuvoletta di sabbia, che presto si ingrandisce fino a rivelare la sagoma famigliare della Toyotona. Pochi attimi, ed anche il terzo veicolo arriva, ruggendo col motore a mille, sullo spiazzo sassoso. Ce l’abbiamo fatta! Soddisfatti, proseguiamo per alcuni chilometri. Hassan ci precede su un promontorio che dà su una valletta con della vegetazione: andiamo ad esplorare il posto, ma non c’è traccia di acqua, solo canne ed arbusti. Torniamo sui nostri passi e ci fermiamo nuovamente poco dopo, in una piccola, incredibile oasi: quattro palme, una sorgente ed una specie di abbeveratoio (in mezzo al deserto!), al quale ci rinfreschiamo con grande piacere. Ormai si avvicina il tramonto, ed Hassan ci annuncia che sta per iniziare la parte più scenografica del viaggio: il Deserto Bianco. Facciamo fatica a credere che ci possano aspettare paesaggi più scenografici di quelli già entusiasmanti visti sin qui, ma seguiamo la Toyota della nostra guida con curiosità. Fatti pochi chilometri, iniziamo ad addentrarci in un territorio che ha dell’incredibile: dalla sabbia si innalzano stranissime formazioni di calcite bianca, come degli obelischi, o dei funghi, modellate dal vento, alte parecchi metri, come una casa di due o tre piani. Man mano che proseguiamo, queste formazioni diventano sempre più numerose, e le auto sono costrette a fare una specie di slalom tra questi incredibili blocchi bianchi. Giungiamo nei pressi di una formazione altra una ventina di metri, dalla forma incredibile: sembra un fungo, con sotto una specie di uccello, o forse una gallina. Ci fermiamo per fare alcune foto, e guardandoci attorno restiamo sbalorditi: siamo circondati da questi massi bianchi, l’uno più strano dell’altro. Un paesaggio mozzafiato.

Arriva qualche altro fuoristrada, così decidiamo di rimetterci in viaggio (ormai è quasi il tramonto) per scegliere un posticino appartato per la notte.

Questo sembra fare al caso nostro: ci fermiamo sotto un masso a forma di panettone, alto una dozzina di metri, bianco candido, circondato da altri ‘obelischi’ e funghi…

Mentre Hassan e soci montano il campo, noi ci aggiriamo per i dintorni, affascinati. Dicono che questi massi bianchi emanino una loro misteriosa energia… ed anche i più scettici e razionalisti tra di noi devono ammettere che qualcosa di vero, forse, c’è.

E’ il tramonto. Non c’è anima viva per chilometri. Qualcuno ha acceso il falò per la cena, e Mohammed, aiutato dai ragazzi, sta montando la tenda per ripararci dal vento. Cathy ha preparato gli aperitivi, che gustiamo comodamente seduti sulle sedie da campeggio, mentre l’odore del pollo alla brace preparato da Hassan ci stuzzica l’appetito. Man mano che il sole cala, alcune luminosissime stelle fanno capolino, e le montagne bianche cambiano colore: rosa, giallo, arancione… Stiamo benissimo: è un momento di intense emozioni, che ricorderemo per un bel po’! Arrivano i piatti della cena: pollo, riso, pomodori, tutto eccellente. Poi ci raduniamo attorno al falò, e Cathy tira fuori delle strane caramelle mollacciose tipicamente inglesi, che la tradizione vuole vengano infilzate su un bastoncino e messe a scaldare sul fuoco: così la sostanza mollacciosa si scioglie, e la si può succhiare con avidità…Guardiamo i preparativi con un po’ di sospetto, e – dopo aver assaggiato il dolciastro mollùme – decidiamo che è una tradizione troppo inglese per noi, e passiamo la mano. C’è da dire, però, che i nostri amici egiziani sembrano apprezzare la polpetta bollente e zuccherosa… mah! Alle dieci di sera è buio pesto. Cielo stellato da urlo, e niente luna. Osserviamo il firmamento, in silenzio, per un po’, poi ci organizziamo per la notte. Qualcuno accenna vagamente a montare le tende, ma decidiamo all’unanimità di lasciar perdere: se notte nel deserto dev’essere, che l’esperienza sia completa: si dormirà sotto le stelle, alla “belle étoile”, come si dice.

Prendiamo i nostri sacchi a pelo, e ci scegliamo un posticino appartato, di fianco ad un obelisco candido. Fa freschino, quindi ci infiliamo nei sacchi a pelo vestiti, e ci buttiamo sopra pure una coperta in lana di cammello. Ed inizia la notte.

Prendere sonno non è semplicissimo: sopra di noi il cielo stellato, attorno a noi le misteriose presenze dei massi bianchi, sotto di noi la sabbia impalpabile e fresca… Ma dopo qualche tempo, il sonno ha il sopravvento.

Verso le due del mattino, ci svegliamo a causa di un insolito chiarore. Non sarà già l’alba? Ci mettiamo qualche secondo per capire che… è la luna! Una maestosa luna che sta sorgendo, ed inonda di un’incredibile luce il paesaggio attorno a noi. Restiamo a guardare per parecchi minuti, affascinati. Poi ci rincantucciamo sotto la coperta, e riprendiamo a dormire. Che giornata!!!

28 Aprile – Lunedì Alle cinque circa comincia ad albeggiare. Metto il naso fuori dal sacco a pelo, e mi guardo attorno: tutto è silenzio, MG dorme della grossa, e così gli altri. Mi alzo e mi sgranchisco le ossa (leggerissimamente doloranti… dormire sulla sabbia del deserto è cosa più consona a vispi ventenni che a ultracinquantenni con un accenno di sciatica e conclamata pancetta …), e mi avvio, munito di macchina fotografica, ad una solitaria passeggiata tra i massi. Basta allontanarsi di poche decine di metri dal nostro ‘accampamento’, per perdersi tra le straordinarie formazioni di calcite, in un paesaggio da favola.

Mi siedo sulla sabbia fredda, ed aspetto l’alba, che arriva veloce inondando di colori pastello (prima rosa, poi giallo-arancione) gli obelischi e le torri di calcite. Le foto che scatto si rivelano subito inadeguate a restituire l’atmosfera, ma continuo a scattare.

La sabbia – oltre alle impronte dei miei piedi nudi – è ricca di altre tracce: topi del deserto (tracce piccole di zampettine) e soprattutto zampe di volpi del deserto (che ci dicono numerose, e frequentatrici delle tenebre). Tornando verso il giaciglio (dove MG dorme ancora, sotto una montagna di coperte), scopro che un paio di volpi hanno fatto visita al nostro campo, nella notte: ecco le inequivocabili tracce di almeno due individui, che si sono aggirati tra le auto ed i resti del fuoco. Anzi, a guardar bene, gli animaletti si sono spinti a non più di un paio di metri dai nostri giacigli, certo incuriositi ed alla ricerca di cibo. Per fortuna che non ce ne siamo accorti… figurarsi che spavento, se avessimo aperto gli occhi e ci fossimo trovati a pochi palmi di distanza dal musetto appuntito, e dai dentini aguzzi, del curioso animaletto desertico! L’alba è ormai è ormai piena, ed i campeggiatori si risvegliano. In realtà David e Michael continuano a poltrire rannicchiati nella sabbia, mentre noi gustiamo una buona e robusta colazione preparata da Hamed, mentre il sole comincia a farsi caldo. Poi smontiamo il campo, ed in una mezz’oretta siamo pronti a ripartire: l’obiettivo è rientrare a Bahariya per ora di pranzo, e dedicare il pomeriggio al relax in previsione della traversata desertica di domani, assai impegnativa.

Riprendiamo, quindi, il cammino, cercando di stampare nella memoria paesaggi e sensazioni che ci accompagneranno per anni. Attraversiamo una zona di enormi funghi calcarei, scolpiti dal vento, e poi proseguiamo su strada asfaltata verso nord. A metà mattinata arriviamo in prossimità della ‘Crystall Mountain’: ci raccontano che – milioni di anno orsono – qui c’era una enorme caverna, grande chilometri e chilometri, con gigantesche stalattiti. Poi un catastrofico terremoto ha fatto crollare la caverna, portando in superficie le stalattiti, che ora si possono ammirare: grossi cristalli lucenti, grandi come uova. Ci arrampichiamo su una collinetta rocciosa (e David, che non ama le scarpe, arriva fino in cima coi suoi piedi nudi “non-umani” , apparentemente incurante delle rocce appuntite e taglienti…). Ci fermiamo in cima alla montagnetta, ad ammirare il paesaggio, e raccogliamo (furtivi) qualche cristallino di ricordo.

Poi torniamo a bordo dei mezzi e – in un’ora o poco più – rientriamo a Bahariya. Peter ci accoglie calorosamente, e ci fa preparare un buon pranzetto a base di spaghetti,sciaguratamente cotti a pappetta ma conditi con buon sugo.

Ne pomeriggio, mentre gli altri pelandroni riposano, noi andiamo alla ricerca del piccolo museo dell’oasi, dove sono esposte alcune mummie scoperte recentemente, e chiamate ‘mummie d’oro’ per la maschera aurea che portano sul volto. Trovare il museo non è facile, riceviamo indicazioni vaghe e generalmente contrastanti, ma alla fine ce la facciamo. Il museo è composto da un unico stanzone disadorno, con dieci teche nelle quali sono contenute le mummie, avvolte in preziosissime bende e con interessanti maschere dorate. Una sola di queste mummie sarebbe al centro dell’attenzione, in una sala a lei dedicata, in qualunque museo europeo, e qui ce ne sono dieci, ammassate ijn un salone polveroso…

Visitiamo anche alcune delle tombe – con interessanti affreschi alle pareti – dove sono stati rinvenuti i reperti. Per entrarci, c’è da fare contorsioni e prendere zuccate: erano piccoli, gli egiziani di un tempo! Rientriamo in hotel, e finalmente ci concediamo un pomeriggio di tutto riposo, dopo tante avventure: pennichella, massaggio rilassante, aperitivo con gli amici con l’ultima bottiglia di prosecco portato dall’Italia, cena a buffet, relax in terrazza ad ammirare le stelle, ed a prepararci per la traversata di domani, che si preannuncia roba seria. Poi a nanna.

29 Aprile – martedì Alle otto tutti pronti per il ‘breefing’ di Peter, che ci istruisce sulla lunga traversata di oggi. Percorreremo oltre 400 chilometri di deserto, e – così piacendo agli Dei – giungeremo all’oasi di Siwa dopo 8 o più ore di viaggio. C’è una strada asfaltata, ma per lunghi tratti è inghiottita dal deserto, quindi dobbiamo prepararci a parecchi passaggi in pieno fuoristrada tra le dune. Saremo accompagnati dal fido Hassan, dal suo vice e da un soldato, come prescrivono le regole. Ed attraverseremo la bellezza di sette posti di blocco, distribuiti lungo la pista.

Così sia: la prima tappa è presso il locale posto di polizia, che deve rilasciarci un permesso o qualcosa del genere da mostrare ai vari posti di blocco. E si comincia male: l’attesa si protrae per una buona ora, senza che sia chiarissimo cosa o chi stiamo aspettando… ma tant’è, alle 10 in punto arriva l’atteso pezzo di carta, e possiamo metterci in viaggio per la nostra traversata trans-desertica! I primo chilometri sono di tutto riposo: la strada è asfaltata, il traffico è costituito essenzialmente da asinelli col carretto e l’andatura è spedita. Attraversiamo il primo posto di blocco, presidiato da soldatini a mala pena diciottenni, sorridenti e gentili.

Si prosegue per parecchi chilometri, in un paesaggio assai interessante e vario: il tipologia di deserto cambia ogni 5-10 chilometri: ora sabbia e dune, ora rocce multicolori, ora montagnole… Non ci si annoia, e si chiacchiera amabilmente.

Dopo il secondo posto di blocco, la pista asfaltata diventa poco più che una traccia, e sono frequenti le scorribande sullo sterrato, ma senza particolari problemi. Non incontriamo anima viva.

Proseguiamo così per un buon paio d’ore, seguendo la pista sulla nostra cartina.

Poi Hassan devia verso sinistra, inoltrandosi in area vergine, e noi rispettosamente dietro. Siamo su sabbia soffice, ma guidabile, anche se – guardando di sottecchi Chris alla guida – lo vedo mooooolto impegnato, e scorgo qualche gocciolina di sudore da stress imperlargli la fronte. Ma proseguiamo, e bene.

Hassan affronta – un centinaio di metri davanti a noi – il dosso di una duna, e sparisce alla vista. Noi, col motore a palla, seguiamo le sue tracce, e scolliniamo senza soverchi problemi. Però vediamo la Toyota verde di Hassan, là davanti, che avanza assai lentamente…Anzi, troppo lentamente. Ci avviciniamo, e notiamo che dalla Toyota ci fanno ampi gesti, facendo roteare le braccia.. Troppo tardi capiamo che le nostre guide ci stanno affannosamente segnalando di tornare indietro, che siamo finiti in un ‘cul de sac’ con sabbia infida. E infatti, come la Toyota di Hassan, anche la nostra rallenta e lentamente si ferma, con le ruote che sollevano vortici di sabbia finissima. Ci voltiamo a cercare Mohammed, alla guida del Toyotone con Cathy ed i ragazzi: eccolo laggiù. Clamorosamente insabbiato anche lui.

Scendiamo dai mezzi, e ci guardiamo intorno. E’ chiaro che Hassan ha preso un granchio: attorno a noi, alte dune precludono ogni via. L’unica sarà cercare di tornare sui nostri passi, ma prima bisogna riuscire a tirar fuori le jeep dalla sabbia.

All’inizio, l’organizzazione fa acqua da tutte le parti. C’è chi osserva serafico il paesaggio, interrogandosi sulla caducità della nostra esistenza, chi spinge la Toyota di Hassan, chi si affaccenda attorno a quella di Mohammed, chi scava sotto l’auto di Chris… E più facciamo, più le auto sprofondano nella sabbia soffice. Nessuno osa dirlo, ma ciascuno di noi si pone – tra sé e sé – domande inquietanti quanto inconfessabili: che facciamo, se non riusciamo a tirar fuori le auto? E’ vero, abbiamo il telefono satellitare ed acqua e cibo in quantità, ma siamo anche a centinaia di chilometri dalla civiltà ed a mille dal Cairo… e qualcuno (miraggio, colpo di sole, o realtà?) afferma di vedere un paio di avvoltoi che cominciano a girarci sulla testa, famelici.

Bando alle ciance: bisogna organizzarsi. La serietà della situazione impone un approccio più professionale ed ordinato. Ci concentriamo attorno alla jeep di Hassan: si spinge con vigore, e l’autista manovra con perizia motore e cambio, ma non facciamo che poche decine di centimetri. Anzi la sabbia sembra farsi più soffice e cedevole. Visti inutili i tentativi di spingere fuori l’auto, si passa allo sgonfiaggio delle gomme: i pneumatici flosci dovrebbero facilitare il ‘grip’ sulla sabbia. Riprendiamo a spingere, mettendocela tutta, ma non basta. E le sorprese non sono finite: mentre spingiamo sacramentando, vediamo con la coda dell’occhio una nuvoletta di polvere che si avvicina: è un altro fuoristrada che – certo seguendo le nostre tracce – viene diritto nella nostra direzione. E nonostante i nostri ampi gesti…Si insabbia anche questo, ad una trentina di metri da noi!! Ne scendono due americani con una bimbetta, ed un driver in tunica ed occhialoni a specchio. Almeno abbiamo altre braccia per spingere! Ci concentriamo, nuovamente e tutti assieme, sulla jeep di Hassan tra spinte, accelerate, sommesse invocazioni agli Dei e roboanti imprecazioni multilingue… passa una mezz’oretta, e dapprima lentamente, poi con maggiore continuità, e finalmente con passo sicuro la Toyota verde prende velocità e si toglie dai guai con ruggito di motore, mentre noi cadiamo esausti nella sabbia.

E una. La Toyotona di famiglia è messa male, anche perché è stracarica (acqua, benzina, tende, cibo, prosecco, ruote di scorta, attrezzi, olive ascolane, coperte, sedie da campeggio, cuscini, patatine, legna da ardere per i falò… utilizzabile, all’occorrenza, anche per segnali di fumo in caso di insabbiamento irrimediabile), e striscia penosamente con la pancia sulla sabbia… Inoltre, sotto il sole cocente le lamiere scottano, così per spingere il mezzo senza ustionarci dobbiamo usare stracci e coperte per proteggerci. Ma ogni nostro sforzo sembra vano Prende allora autorevolmente il comando il driver americano con gli occhiali a specchio, che ci ordina di far oscillare l’auto aggrappandoci a grappolo alle portiere, mentre lui si mette alla guida. Il movimento ondulatorio, la perizia dell’autista, e – non ultima – qualche benevola intercessione divina, danno alla fine il loro frutto: anche il Toyotone riesce, con un ruggito, a liberarsi dalla morsa della sabbia, e parte a razzo, tosto portato in salvo un zona sicura.

E sono due.

Ormai abbiamo capito la lezione, e riusciamo – galvanizzati dai risultati – a mettere al sicuro anche le altre due fuoristrada, compresa quella del gruppo americano. Insomma: volevamo l’avventura, e avventura pura abbiamo avuto. Uscire da questo insabbiamento multiplo ci è costato un paio d’ore di lavoro duro nel deserto, ma la faccenda ha temprato gli animi e consolidato amicizie multinazionali.

Sbuffanti, riprendiamo la via. Ci allontaniamo dalla zona infida, e poco dopo ritroviamo una pista battuta, sulla quale procediamo per una mezzoretta.

Improvvisamente ci appare – incredibile, in questo mare di sabbia – una specie di oasi, con un laghetto al centro. Ci fermiamo lì vicino, e viene preparato il pranzo (abbiamo bisogno di un po’ di relax, e di rifocillarci). Mentre Hassan e soci apparecchiano con pomodori, formaggio di capra, focaccia, scatolette e bibite, Luc si dedica all’esplorazione del luogo. Il laghetto in mezzo al deserto è intrigante, l’acqua esce a fiotti da una specie di sorgente, ed odora spiccatamente di zolfo. Tutt’intorno, canne e frasche. Il terreno è inzuppato d’acqua e cedevole, anzi cedevolissimo… è un attimo: la sabbia sprofonda, e finisco risucchiato nelle sabbie mobili e puzzolenti. Reagisco con prontezza, e – nonostante la sabbia vischiosa e putrida mi sia arrivata ormai al ginocchio, e faccia un bel risucchio con effetto-ventosa – riesco a portarmi in salvo. Le scarpe sono due enormi e pesantissimi blocchi di fango appiccicoso, ed i pantaloni sono andati. Torno in qualche modo alle jeep, non faccio caso alle pesanti ironie ed alle risatine dei polentoni seduti all’ombra dei mezzi, mi cambio e metto le scarpe ad essiccare al sole cocente. Poi un buon pranzetto, ed un corroborante bicchiere di tè verde, chiudono una mattinata non priva di emozioni. La strada per Siwa è ancora lunga, e l’insabbiamento plurimo ci ha fatto perdere un bel po’ di tempo. Conviene quindi rimettersi in viaggio, e trottare.

Il paesaggio – ancorchè desertico – è sempre molto scenografico, e quindi il viaggio è piacevole. Passiamo il terzo posto di blocco, per la gioia dei soldatini che – lasciati a far la guardia al nulla in mezzo al deserto – vedono il nostro arrivo come un gustoso diversivo nella loro giornata, altrimenti monotona. Proseguiamo e dopo un’oretta arriviamo al quarto posto di blocco. Qui ci accorgiamo che una gomma della Toyotona è a terra, bucata. Mohammed si occupa della sostituzione, e l’operazione viene presto compiuta, sotto gli sguardi amichevoli e curiosi dei soldatini. Si prosegue, in fuoristrada. Affrontiamo un passaggio di sabbia vergine, e la Toyota di Hassan si insabbia. E’ un guaio, perché fermarsi vuol dire insabbiarci a nostra volta, ma d’altro canto avanti da soli non possiamo andare, perché non conosciamo la via… Quindi non abbiamo scelta, e ci fermiamo, e così fa Mohammed.

Il disinsabbiamento della macchina di Hassan non è complicato, ce la caviamo in pochi minuti, e riusciamo altrettanto bene a liberare le altre due auto, così in qualche decina di minuti siamo di nuovo in viaggio. Ma il tempo passa, e restano ancora parecchi chilometri da percorrere.

Ecco il posto di blocco numero cinque: una casetta in mezzo al nulla, con una smilza guarnigione di soldatini. Qui ci accorgiamo che anche la macchina di Hassan ha bucato: la nostra guida ci mette un battibaleno a sostituire la gomma, e riprendiamo la via.

Al sesto posto di blocco arriviamo un po’ ciucchi di chilometri: siamo in viaggio da una decina di ore, ed un po’ di stanchezza comincia a farsi sentire. Per fortuna, la pista è buona, ed in gran parte ora è asfaltata, così possiamo tenere una media discreta.

Scrutiamo l’orizzonte, sperando di vedere tracce di vegetazione e la nostra oasi. Dopo un paio di falsi allarmi, finalmente si vede in lontananza – ormai è l’imbrunire – una macchia di vegetazione… è l’oasi di Siwa!!! Avanziamo, ringalluzziti dall’imminente fine del viaggio. Ecco che appare l’enorme lago salato, ed il palmeto. Riusciamo ad orientarci abbastanza bene con la nostra cartina, e proseguiamo spediti. Il sole sta calando dietro il lago, e l’atmosfera è bellissima. Speravamo di goderci il tramonto dal nostro hotel, sorseggiando un gin and tonic, ma va bene lo stesso. Costeggiamo il lago salato (evidenti le concrezioni di sale sulle rive) per parecchi chilometri, poi entriamo in paese: case di fango, donne integralmente coperte da tunica nera (spesso senza neanche una fessura per gli occhi!), asini, molti bambini in giro, allegri e vocianti.

Depositiamo il militare di scorta alla caserma, ed ora si tratta di trovare il nostro albergo, che è una decina di chilometri fuori città. La faccenda è complicata dal fatto che i ragazzi e Mohammed dormiranno in un albergo in paese, così dobbiamo anche pensare al loro ritorno, dopo cena. La stanchezza si fa sentire (siamo in viaggio da quasi 12 ore), il buio avanza, e non sappiamo dove andare. Ci fermiamo in piazza, e la fortuna ci assiste: tra la folla di curiosi c’è un tale che dice di essere un impiegato del nostro hotel, e si offre, per una piccola mancia, di farci strada. Affare fatto: usciamo dal paese, e ci inoltriamo per stradine (che mai avremmo trovato da soli) per una ventina di minuti. E’ ormai buio pesto quando arriviamo stanchi, affamati, impolverati, ubriachi di chilometri, ma felici, al nostro hotel. Che ci accoglie al buio: infatti, si tratta di un ‘resort’ ecologico, e non c’è la luce elettrica, ma torce a petrolio e candele illuminano la via.

L’albergo è costituito da una sorta di ‘villaggio’ di casette in terra e fango, che ospitano le camere e le parti comuni. Vicoli, scalinate, piazzette… Il nostro ‘maggiordomo’ ci accompagna alla nostra camera, al secondo piano di una costruzione al centro del villaggio: che meraviglia!!! Nella penombra rischiarata dalle candele, ammiriamo l’arredamento rustico ma elegante, il bel bagno, il grande patio che dà su una piazzetta illuminata dalle torce. I muri sono di fango e sassi locali, i mobili tutti costruiti qui nell’oasi, utilizzando materiali del posto.

L’atmosfera è misteriosa, elegante, intrigante. Ci facciamo una veloce doccia al lume delle candele, ed andiamo a cena: il tavolo preparato per noi è all’aperto, in uno spiazzo sormontato (ma lo vedremo meglio domani, con la luce) da un costone roccioso. La tavola è apparecchiata con posate d’argento, tovaglia di lino, e ci viene servita (dopo l’aperitivo) una cena eccellente e raffinata, preparata con i prodotti biologici coltivati nell’orto del complesso, con principi rigorosamente naturali. Lo chef è in gamba, e la cena – accompagnata da ottimo vino di marca – è memorabile. Nonostante la stanchezza del lungo ed emozionate viaggio, apprezziamo a pieno il fascino di questo luogo magico. Anche se ci si chiudono gli occhi, dopo cena non resistiamo alla tentazione di fare un breve giro di esplorazione del posto: saloncini appartati, tappeti in ogni dove, porticine misteriose che danno su corridoi segreti, il bar dove possiamo servirci di quel che vogliamo, tanto è tutto compreso nel prezzo già pagato… una meraviglia, che gusteremo a pieno domani, con la luce del sole.

Torniamo in camera, accendiamo le candele e – piombati sul letto – sprofondiamo in un sonno profondo.

30 Aprile – Mercoledì Il sole che filtra dalla finestra ci sveglia abbastanza presto. Curiosissimi, balziamo giù dal letto ed andiamo nel patio: che vista!!! Di fronte a noi il lago salato, la in fondo il palmeto, alle nostre spalle un contrafforte roccioso dal color giallo-arancione, tutto intorno le caratteristiche, rustiche ma eleganti costruzioni dell’hotel, tutte realizzate con sabbia, fango e legno locali. Ed infatti queste case necessitano di continua manutenzione: operai lavorano con impegno per tenere l’hotel in forma impeccabile, intervenendo solerti e silenziosi laddove è necessario.

Ci ritroviamo con Chris e Cathy nella sala della colazione (i ragazzi sono con Mohammed nell’hotel in città, e li raggiungeremo più tardi). Il servizio è inappuntabile: efficienti, veloci e discreti, gli inservienti (eleganti e raffinati nelle loro tuniche berbere) ci servono una colazione con i fiocchi: marmellata, fichi, olive, formaggio fresco, frutta fresca, yogurt… Tutto proveniente dalle coltivazioni biologiche dell’hotel. Mangiamo con gusto, e ci godiamo la raffinatezza di questo posto speciale.

Poi prendiamo la jeep dell’hotel, che ci porta in paese dove recuperiamo i ragazzi ed una guida, ed andiamo alla scoperta dell’oasi. Si dice che Alessando Magno sia venuto dalla Persia sin qui per ascoltare i presagi dell’oracolo di Siwa, famoso in tutta l’antichità. Visitiamo le antiche rovine del palazzo che ospitava l’indovino, ed anche un antichissimo tempio, dedicato ad Alessandro. Poi andiamo alla cosiddetta ‘fonte di cleopatra’, dove acqua cristallina alimenta una bella piscina. Alcuni turisti – pagato un piccolo obolo al guardiano – si tuffano (vestite, le fanciulle) nella piscina e sembrano godersela un mondo. Noi proseguiamo e rientriamo in paese, per una passeggiata: comperiamo marmellate ed olive in un negozietto, poi ci rilassiamo sorseggiando una spremuta d’arancia in un baretto, prima di tornare in hotel.

Il pranzo ci viene servito nel lussureggiante giardino che circonda la piscina termale: eccellente pasta con verdure dell’orto, leggero timballo vegetariano, buona frutta fresca. Il servizio, il lussureggiante giardino, la bontà del cibo ci invogliano a restare a tavola per un po’, ed a goderci il fresco ed il dolce far niente. Poi ci riposiamo un paio di orette nelle nostre stanze, prima dell’escursione del pomeriggio.

Alle 16 siamo tutti pronti per l’escursione guidata nel ’mare di sabbia’, il deserto di dune che circonda l’oasi. Facciamo la conoscenza di Abdallah, il driver che – con un suo collega – ci guiderà nella gita. Abdallah è un personaggio speciale: parla un ottimo inglese, è saggio e sapiente, conosce tutto del deserto, ed è un guidatore eccezionale. La sua toyota ha una quarantina d’anni, ma è come nuova, ed Abdallah affronta le dune con una abilità straordinaria. Mentre noi gli raccontiamo della nostra … complicata traversata del deserto di ieri, con insabbiamenti plurimi, lui lancia il mezzo a velocità elevata su per le dune, e giù a capofitto dall’altra parte, strappandoci gridolini di sorpresa ed applausi a scena aperta. Abdallah si diverte un mondo a stupirci con le sue evoluzioni, ed il collega, dietro di noi, non è da meno. Dopo un po’ lasciamo le soffici dune, ed avanziamo in un tratto di deserto roccioso: ci fermiamo, e ci rendiamo conto che le rocce sono piene di minuscoli fossili di conchiglie e piccoli coralli: milioni di anni fa, qui c’era il mare!. Gironzoliamo tra le rocce, scoprendo fossili sempre più interessanti. Ma non abbiamo ancora visto niente…

Abdallah, sornione, gode del nostro entusiasmo e della nostra sorpresa a vedere tante meraviglie fossili, ma si capisce che ha in serbo qualcosa di speciale. Torniamo a bordo, e si riparte. Ancora un po’ di dune e poi ci addentriamo in una zona calcarea, con il terreno solido e bianco. Ci fermiamo ed avanziamo di qualche metro su una specie di piattaforma immacolata e ci rendiamo conto che… È tutta costituita da fossili di conchiglie!!! Ce ne saranno milioni, dalle più piccole a quelle grandi come una mano. Intatte, perfette. Abbiamo quasi timore a camminare, perché ad ogni passo si rischia di schiacciare un fossile vecchio milioni e milioni di anni! Scattiamo foto, e (non dovremmo neanche dirlo) ci cacciamo in tasca qualche piccolo ricordino. Ma soprattutto ammiriamo questi incredibili reperti. Ad un tratto, la scoperta più straordinaria: a prima vista sembrano dei pezzi di legno calcinati dal sole, ma guardando meglio… è uno scheletro fossile di un qualche grosso pesce, forse uno squalo, o un delfino o una piccola balena. Si riconoscono benissimo le costole, e alcune ossa più grosse forse della testa. E’ emozionante pensare che forse siamo i primi a vedere questo fossile antichissimo. Sfioriamo le ossa con le dita, ma naturalmente non tocchiamo nulla, e speriamo che i turisti che verranno dopo di noi facciano altrettanto, lasciando lo scheletro fossile là dove è rimasto per millenni.

Tutti eccitati torniamo da Abdallah, che ascolta i nostri racconti sornione, sorridendo sotto i baffi.

Si riparte. I ragazzi, che sono sulla nostra jeep, hanno da tempo adocchiato due tavole da surf accatastate tra i sedili. A che serviranno? La risposta arriva presto: Abdallah affronta, a tutta velocità, il fianco di una altissima duna, e si ferma proprio sul ciglio, subito raggiunto dall’altra toyota. Dall’altra parte, il pendio và giù a precipizio. E Abdallah dice ai ragazzi: “Bene, è ora di fare un po’ di surf!”.

David e Michael non se lo fanno ripetere: acchiappano entusiasti le tavole, e si buttano giù per il pendio a capofitto, galleggiando sulla sabbia come su un’enorme onda. Dopo un paio di capitomboli, ci prendono la mano e riescono a fare formidabili evoluzioni. Michael è un furbacchione, ed inventa un suo stile: a testa in giù, a cavalcioni della tavola, arriva dritto e spedito fino in fondo alla discesa, con velocità da brivido. Cathy osserva i ragazzi per un po’, e poi non resiste: si impadronisce di una tavola, e giù anche lei per il pendio… con ruzzolone finale. Il divertimento è al massimo, ed i ragazzi starebbero qui per delle ore, ma Abdallah ci invita a ripartire: il tramonto si avvicina, e non possiamo perdere il momento magico che va goduto da un posto particolare. E prima, ci sono altre meraviglie da scoprire! Riprendiamo così la via. Dopo pochi minuti, avvistiamo (incredibile, in mezzo alle dune) un laghetto, circondato da frasche e palmette. E subito dopo, una specie di piscinetta, alimentata da una sorgente calda. Non c’è bisogno di molte parole: ci liberiamo dei vestiti, ed in un battibaleno siamo a mollo nell’acqua quasi bollente e odorosa di zolfo. Abdallah, previdente, ha naturalmente con se asciugamani puliti per il nostro massimo confort. Fantastico!!!! Il tempo passa, ed il sole non aspetta: risaliamo sulle jeep per portarci nel posto segreto di Abdallah, da dove ammirare lo spettacolo del tramonto. Pochi chilometri, ed arriviamo in un posto difficile da descrivere: sabbia e dune tutt’intorno, poi una improvvisa voragine dalla quale si eleva una montagnola rocciosa, lavorata dal vento, piatta in cima e con le pareti ripide e multicolori… Uno spettacolo.

Abdallah fa un focherello, e mette a bollire l’acqua per il the alla menta. Michael e David non vedono l’ora di riprovare con le tavole da surf, e tanto fanno che ricevono finalmente il permesso di andare sulla duna vicina, che è ripida abbastanza. Li vediamo divertirsi come matti a scendere a con le tavole da surf… e Cathy resiste pochi minuti, ma poi corre anche lei a buttarsi giù a capofitto! L’atmosfera è bellissima, il sole scende dietro le dune, il silenzio è perfetto se si eccettuano i gridolini dei ragazzi, Abdallah ci racconta cose affascinanti del deserto e degli ospiti importanti che hanno soggiornato nel nostro hotel e che lui ha portato alla scoperta del deserto: il principe Carlo (senza Camilla, però), la Regina del Belgio… (l’italia è stata recentemente rappresentata da Sgarbi, poveri noi!).

Il the è pronto, e lo sorseggiamo con piacere osservando il bellissimo paesaggio, e godendo della compagnia di Abdallah.

E’ buio pesto quando rientriamo in Hotel. I nostri ‘maggiordomi’ ci aspettano, e – dopo un aperitivo al bar ricavato in una specie di caverna – ci accompagnano al nostro tavolo per la cena: questa sera hanno apparecchiato per noi in una specie di piazzetta, alla luce delle candele e delle stelle. La cena, ovviamente, è eccellente, ed il servizio come sempre impeccabile. Il contrasto tra la potente natura che ci circonda, la semplice eleganza del nostro hotel e la raffinatezza e discrezione del servizio rendono questo posto indimenticabile.

Mentre chiacchieriamo amabilmente sotto il cielo stellato, ci rendiamo conto che con questa serata si chiude la parte avventurosa della nostra formidabile vacanza. Da domani, inizia il rientro… il programma prevede il ritorno verso il Cairo, suddiviso in tre tappe: la prima fino ad El Alamein, sulla costa, poi una notte ad Alessandria ed il rientro al Cairo la mattina successiva, giusto in tempo per acchiappare il volo di rientro a Milano. Ma Siwa ed il nostro bell’hotel Ardere Amellal ci piacciono tanto che decidiamo, per cominciare, di partire nel pomeriggio, per goderci almeno un’altra mezza giornata qui nel lusso. Poi si verdà.

Ciò deciso, ci ritiriamo nelle nostre camere, dandoci appuntamento per domani. E prima di rifugiarci sotto le coperte, passiamo in rassegna, al lume delle candele il nostro piccolo tesoro di sassi, sabbia in bottiglia, piccoli fossili, cristalli…

1 Maggio – Giovedì Mattinata dedicata al relax. Facciamo colazione con Chris e Cathy, gustandoci con calma i prodotti biologici, le marmellate, i formaggi e la frutta fresca servitici all’ombra del patio. Poi, mentre i nostri amici si avviano con passo felpato verso la piscina ed il giardino, noi due andiamo a fare una passeggiata lungo il lago salato.

Sulle sponde, si formano pozzanghere di acqua salatissima, che presto asciuga lasciando uno spesso strato di sale. L’assaggiamo: è salato.

Proseguiamo, lasciandoci alle spalle le costruzioni dell’Adrere Amellal, e ci avventuriamo lungo la riva, sotto il contrafforte roccioso e multicolore che incombe a precipizio sul lago. L’acqua è limpidissima, e la zona deserta. Adocchiamo una calettina, e non c’è bisogno di tante parole: uno sguardo d’intesa, e ci liberiamo dei vestiti finendo tosto in acqua. E’ vero, da queste parti sono piuttosto tradizionalisti e le cronache dicono che teste vengano disinvoltamente tagliate per molto meno, ma la zona è davvero solitaria, e possiamo così goderci l’acqua limpida e salatissima, ed il paesaggio aspro ed unico.

Poi ci ricomponiamo, e riprendiamo la via di casa. Raggiungiamo gli amici nel giardino della piscina e, mentre Cathy sguazza nell’acqua termale e Chris legge, noi ci dedichiamo a dolce ozio all’ombra delle palme.

Attorno a mezzogiorno, ci sistemiamo al nostro tavolo sotto gli alberi per l’ultimo pranzo all’Adrere Amellal: il servizio è all’altezza della tradizione, e così la qualità del cibo. A malincuore salutiamo il premuroso personale dell’hotel e carichiamo le jeep: ci aspettano circa 400 chilometri, prima della sosta di stasera.

La strada è facile, bene asfaltata, ed il traffico inesistente. Il deserto attorno a noi è abbastanza monotono, nulla a che vedere con le scenografie che ci hanno accompagnato fin qua. Quindi inganniamo le lunghe ore di viaggio con chiacchiere e ricordi, mentre MG sonnecchia accoccolata tra coperte e cuscini. Arrivati a Marsah Matruh imbocchiamo una larga e bella autostrada, che ci porta, in un paio d’ore, ad El Alamein. Qui Cathy ha prenotato, via internet, l’unico hotel della zona. Lo rintracciamo subito, e ci avviamo all’ingresso: è un enorme, mastodontico albergone appena costruito, tutto marmi e specchi, con una enorme hall. Quel che è peggio, sono gli ospiti: scopriamo che l’albergo è occupato quasi interamente da vocianti comitive italiane, e da altrettanto vivaci grupponi di russi (per tacere di un folto assembramento di grasse matrone locali, avvolte nei loro sacchi neri).

Non ci facciamo soverchio caso, e ci accomodiamo nelle nostre ‘suites’, semplicemente enormi: nella nostra, ci starebbe con comodo, tutto il nostro appartamento milanese. E la suite degli amici inglesi è circa tre volte la nostra!!! Ci riposiamo qualche minuto, poi decidiamo di andare a cena.

E qui viene il bello (si fa per dire). Il ristorante – sistemato in un sotterraneo, ad effetto claustrofobia assicurato – è preso d’assalto da torme di turisti russo-italici, della peggior specie: vocianti, sudaticci, e soprattutto brutti. Manovali russi, in zoccoli e canottiere che a stento coprono irsute abbondanze, si servono senza ritegno al buffet, aggirandosi poi con piattoni stracolmi tra i tavoli, lanciandosi reciprocamente rauchi richiami. Ridicole ragazzette abruzzesi, agghindate con improbabili stivali in pelle e velluto (siamo a 40 gradi all’ombra!), si avvinghiano ai loro belli, fieri delle loro chiome impomatate e delle pesanti catene d’oro zecchino sbatacchianti su petti villosi, e chattano ininterrottamente coi telefonini.

Bande di ragazzini lardosi fanno a gara a chi riempie di più il piatto al buffet dei dolci, mentre le madri partenopee li richiamano stancamente “Ciro, bell ‘e mammà… Nun te ingolfà, che poi vomiti!” Vecchiarde bresciane, con curve flaccide che strabordano da striminziti prendisole, sono oggetto di concupiscenti sguardi dei camerieri locali, che si danno di gomito (che gusti!). Altre vegliarde fanno bella mostra di labbrone a canotto stile Parietti, e di rotondità plastiche anti-gravità, con sguardo vitreo al botulino Una tizia dalla chioma color arancione e spiccato accento di Ladispoli, con zoccoli rosa adornati da pon-pon di pelouche, se la prende con un cameriere, perché gli spaghetti alla amatriciana sono scotti. Il cameriere locale la guarda come guarderebbe una vecchia cammella, e fa finta di non capire, salvo poi apostrofarla con un italianissimo “Ma vaffa…” ed un eloquente gesto del braccio, non appena la vecchia volta le spalle.

Uno spettacolo che osserviamo un po’ imbarazzati (ma i nostri amici inglesi fanno, elegantemente, finta di non rendersi conto che – a parte i manovali russi – tutti gli altri ospiti vengono dall’Italia con i viaggi premio della Coop …), e spaesati. Dopo una lunga attesa, riusciamo a sederci ad un tavolo lercio, paghiamo una cifra esorbitante per quattro bibite, e ci serviamo con misura dallo sterminato quanto insapore buffet. Poi lasciamo il locale (proprio mentre entra un gruppo di ‘animatori’, che al suono di una tarantella napoletana cercano di convincere il gruppo dei russi ed alcune delle vecchie in tanga ad lanciarsi in un penosissimo ‘trenino’), e facciamo una passeggiata – lontano dalla sgradevole moltitudine – sulla spiaggia. E qui nasce l’idea: siamo a 4 ore dal Cairo: perché non saltare la tappa ad Alessandria, rientrare al Cairo e goderci l’ultima serata in santa pace a casa? L’idea è accolta all’unanimità. Torniamo nelle nostre sterminate camere, ci guardiamo un po’ di Cesaroni alla TV e ci appisoliamo.

2 Maggio – Venerdì Lasciamo senza rimpianti l’albergone (nel frattempo i manovali russi in canottiera hanno fatto amicizia con la vecchia cammella di Ladispoli dai labbroni a wurstel e tanga), e ci mettiamo in viaggio verso il Cairo. L’autostrada è larga e scorrevole, ed il traffico non eccessivo.

Decidiamo di concederci, come ‘pranzo d’addio’ della nostra indimenticabile avventura, il ‘brunch’ del venerdì nel più elegante hotel del Cairo, il Four Seasons. Arriviamo verso l’una, e decidiamo di andare direttamente in hotel, senza passare per casa. I gallonati portieri in frac inarcano solo impercettibilmente il sopracciglio quando ci vedono scendere, in braghette e scarponi da deserto, dalle nostre fuoristrada lerce, impolverate e stracariche di vettovaglie. Con la massima disinvoltura, ci avviamo verso l’ultimo piano dell’elegantissimo hotel, dove – dalle vetrate del ristorante – si gode una vista mozzafiato sul Nilo. Ammirato il panorama, ci dedichiamo a valutare con calma il principesco buffet: gamberoni, aragoste in bella mostra, pesce di tutti i tipi, paste fatte in casa, zuppe, sushi e sashimi, arrosti, cacciagione, tacchino, trionfi di frutta, tavolate di dolci… Una scelta, ed una qualità, memorabili. Ci godiamo questo lusso, e non possiamo non fare qualche risolino ricordando la cena di ieri sera coi grupponi ‘all inclusive’.

Poi rientriamo a casa, dove una doccia disimpolverante ed un riposino si impongono. Ma i nostri amici vogliono lasciarci un ricordo indelebile di questo viaggio: alle 18 andiamo all’imbarcadero sul Nilo, dove affittiamo una feluca per una romantica e rilassante mini crociera. Mentre Cathy prepara gli aperitivi, in nostro nocchiero manovra le vele e – in un silenzio rotto soltanto dallo sciabordio delle acque, e dal lontanissimo brusìo della metropoli – ci porta in una lenta traversata sul fiume. Il sole tramonta, l’atmosfera è bellissima, e ripensiamo alle splendide avventure che abbiamo vissuto nella nostra vacanza: l’Oasi di Bahariya, le dune, la notte in campeggio tra i massi bianchi e le volpi che vengono ad annusarci, la WoW Valley, l’emozionante traversata sino a Siwa, con i molteplici insabbiamenti ed emozioni a grappolo, il memorabile e raffinatissimo hotel Ardere Amellal, l’escursione nel deserto con Abdallah, l’emozionante scoperta dei fossili tra la sabbia, i bagni al tramonto nelle sorgenti tiepide, i cieli stellati, il ritrovare amici dopo tanti anni, e stare bene assieme a loro…



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