Autunno in moto, è lei la destinazione perfetta per i riders che amano il fuori stagione
Diario di viaggio
1° giorno, da Biella a Calais (1100 km)
Perché ho messo in mezzo anche il paese a ridosso dei piedi del Monte Bianco? Semplicemente perché siamo partiti da Biella la sera prima per fermarci per la notte proprio a Courmayeur ospiti da cari amici… “nelle lunghe percorrenze giornaliere, quando si possono scremare chilometri, si scremano..” così ha sentenziato due giorni prima della partenza il mio meccanico di fiducia quando sono andato a ritirare la moto per il classico controllo. E così abbiamo fatto.
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Per questo giro si è ricreata la coppia dei primi viaggi in moto fatti parecchi anni orsono, ovvero il sottoscritto e Ale “Granpasso” (soprannominato così visto che è da parecchio tempo che scorrazza per mezza Europa con la sua fedele due ruote italiana). Ne abbiamo macinati di chilometri insieme, ci accomunano tanti bei ricordi e anche tante litigate, dovute alla strada da scegliere e alla direzione da seguire. Ora, soprattutto negli ultimi tempi, questi battibecchi vengono sempre meno, sarà l’età!
Detto questo la tappa da Courmayeur a Calais è caratterizzata solo da autostrada e bel tempo con temperature miti. Seguendola si percorrono le zone collinare dove producono lo Champagne. Voltando lo sguardo, in lontananza, inaspettatamente sono stato rapito da un paesaggio incredibile: i filari di vigne con l’autunno si sono colorati con delle sfumature incredibili. Tappeti dorati, ambrati, ramati, stesi su un fondo uniforme di prati verdi, creando un gioco di contrasti unico.
Siamo giunti a Calais accompagnati da un tramonto tinto di un rosa pazzesco.
2° giorno, da Calais a Helmsley (550 km)
Finalmente dopo una notte di meritato riposo dopo la tiratona del giorno prima ci siamo imbarcati sul traghetto per attraversare lo stretto della Manica. Dico finalmente perché a distanza di due anni mi sono preso una bella rivincita su questo lembo di oceano che separa queste due terre: ero giunto sin qui per visitare la Cornovaglia sempre in moto, ma viste le avverse condizioni meteo (un uragano o quasi) mi fu impossibile imbarcarmi e tantomeno prendere il treno che attraversa il tunnel visto l’affollamento. Mi restò solo la scelta di girare i cavalli e dirigermi, rivelatosi un bel giretto, in Belgio e Lussemburgo.
Lo sbarco, come sempre in questi casi, è stato emozionante : era da tempo che mi pregustavo di far toccare alla mia due ruote il suolo di sua maestà. Percorsi i primi chilometri e prendendo confidenza con la guida a sinistra ci siamo diretti subito sulla autostrada per “tagliare” in breve tempo tutta l’Inghilterra.
Per quanto riguarda la guida a sinistra nulla da segnalare, tutto è filato liscio, a parte qualche svarione alle rotonde o agli incroci, dove non sai mai da che parte guardare. Cosa che invece non è successa sulle autostrade inglesi: caotiche, trafficate, con numerosissimi lavori in corso. Va bene che sono gratis, però che disperazione!
Con difficoltà e lentamente siamo giunti a sud di New Castle, piantando per la prima volta nel viaggio la nostra tenda in un campeggio dentro ad un parco naturale segnalatoci da due motociclisti inglesi incontrati in un autogrill. Ebbene sì, come tradizione vuole, per risparmiare un po’ sul budget del viaggio abbiamo adottato come sempre il binomio moto-tenda; oltre al fattore economico vi è anche l’aspetto più pittoresco e romantico del viaggio, dormendo accanto alle nostre cavalcature : si percepisce maggiormente lo spirito zingaresco, del nomade.
Siamo finiti a cenare in un ristorantino indiano in un paese di 100 case : scopriremo in seguito che la cucina indiana è diffusissima in Inghilterra.
3° giorno: da Helmsey a Edimburgo (350 km)
Fatta colazione gustandoci un buon tè caldo, salutata l’ospitale e sorridente signora della reception del campeggio, dopo il classico rituale della preparazione delle motociclette, siamo partiti percorrendo la strada che attraversa il parco: dolci declivi in un susseguirsi infinito di sali e scendi, seguiti da sguardi curiosi di centinaia di pecore, che pascolano annoiate in prati verdissimi.
Seguendo il consiglio di un amico ci siamo fermati a visitare Bamburgh Castle: enorme, affacciato sull’oceano, tenuto benissimo. A rendere il tutto più suggestivo ci ha pensato una bella nebbiolina salita all’improvviso. Qui, come accadrà anche in altri luoghi, il parcheggio per le moto è totalmente gratis, un punto a favore per gli inglesi.
Per uno spuntino veloce siamo capitati in una stazione di carburante risalente penso agli anni 60 visto lo stato di conservazione: volevamo perdercela? Ebbene no! Seduti su una catasta di legno abbiamo gustato un discreto panino (forse anche lui degli anni ’60…) inalando ogni tanto della zaffate di benzina, visto che praticamente eravamo di fianco alle pompe. Dopo questo regale pranzo lo scopo del pomeriggio, oltre a quello di arrivare ad Edimburgo, era di visitare Holy Island, un’isola collegata alla terraferma da una striscia di asfalto aperta ad ore: ovvero a seconda della bassa o alta marea. Difatti, giunti all’imbocco di questa stradina, l’alta marea stava sopraggiungendo velocemente, costringendoci a fare dietrofront, non prima di aver fatto le foto di rito sfidando l’arrivo del mare.
Alla sera ci siamo goduti la visita di Edimburgo, splendida ed affascinate città: passeggiando nelle sue strette vie fra guglie e torri, avvolti dalla sempre presente foschia, accompagnati dal suono delle cornamuse sparse negli angoli più suggestivi, abbiamo avuto l’impressione di fare un salto indietro nel tempo, di vivere seppur per pochi secondi, in un’altra era.
4° giorno: da Edimburgo ad Aberdeen (230 km)
Lasciata Edimburgo ci siamo diretti, percorrendo un grosso ponte, sull’altra sponda della grossa insenatura creata dall’oceano a nord della città. Superata Dundee, avvolti da una nebbia per fortuna rada che però non ci lascerà fino a fine giornata, abbiamo imboccato la strada costiera: pensavamo meglio, ma invece nulla da segnalare, facendoci piombare in uno stato di apatia generale fino alla pausa per il pranzo. Unico diversivo della mattinata riguarda il fatto che il sottoscritto è rimasto completamente all’asciutto appena usciti da Edimburgo, causa la poca precisione del computer di bordo del GS nel segnalare il livello di benzina unita alla mia disattenzione.
Rimasto a piedi ad una uscita di una circonvallazione autostradale, ho atteso il mio socio Alessandro andato alla ricerca di una tanichetta e di un distributore per far ritorno con il tanto desiderato liquido. Durante l’attesa si è fermato accanto alla moto un furgone dal quale sono scesi due tipici ragazzi scozzesi i quali, guarda il caso, erano due meccanici di moto. Appurato il motivo, increduli del fatto che ero rimasto a piedi con un serbatoio da 33 litri, si sono subito prodigati per aiutarmi: all’interno del loro mezzo avevano un generatore, con un tubetto di gomma hanno letteralmente ciucciato (passatemi il termine ma rende) benzina per convogliarla dentro al mio serbatoio, regalandomi 5 litri abbondanti. Non hanno nemmeno voluto una sterlina, e l’unica cosa che ho potuto fare è scattare una bella foto; al mio ritorno in Italia la spedirò al loro indirizzo mail con tanto di ringraziamenti. Con la continuazione del tour vedrò posti incredibili, ma sono proprio questi incontri che danno un valore aggiunto al viaggio, ricordi che ti rimarranno impressi, attimi che ti trasmettono sensazioni uniche.
Riprendendo le fila del racconto e della giornata, dopo la sosta per il pranzo, la Scozia ci ha regalato paesaggi, suggestioni e scorci mozzafiato. Percorrendo la strada a ridosso della costa, dopo un tornante sono stato stregato alla vista di un paesino composto da case con tetti a punta tipiche della zona, sferzate dalla potenza dell’oceano e avvolti da una leggera foschia che permetteva di intravedere il faretto a difesa del porticciolo: una cartolina che rimarrà per sempre impressa nella mia memoria, peccato non aver potuto scattare una fotografia. Questo paesaggio rude ma coinvolgente mi ha permesso di entrare nel giusto stato mentale che fortunatamente mi capita quando sono a cavallo della mia due ruote accompagnandomi per molti chilometri. Dentro al mio casco, nonostante fuori avesse iniziato a piovere leggermente, ero felice, contento.
Nulla a che vedere con la visita, dopo nemmeno mezzoretta di guida, del castello di Dunnottar: una visione gotica, surreale, spettrale, irresistibile. Un immenso roccione ricoperto di muschio verde circondato da un oceano spumeggiante, con il castello diroccato e il piccolo villaggio adagiato sulla sua sommità. Siamo rimasti in contemplazione di tale meraviglia a lungo. A rendere tutto più magico ci ha pensato un signore che dall’alto di un promontorio a fianco del nostro, ha iniziato a suonare la sua cornamusa: trovata commerciale oppure no, fa lo stesso, so solo che ho avuto i brividi in tutto il corpo, e vi assicuro che non erano dovuto al freddo. Per finire in bellezza, ci siamo goduti il calar della notte appollaiati sull’ennesimo promontorio a picco sul mare, con la vista del paese fiabesco di Stonehaven adagiato su una splendida baia, che piano piano si illuminava con le sue innumerevoli luci ed il suo faro.
Dopo una bella birra in un tipico pub, abbiamo percorso l’ultimo tratto di strada che ci separava da Aberdeen, metà finale della giornata. Qui ad attenderci c’è Stefano, mio ex compagno di classe delle superiori, trasferitosi proprio in Scozia, dove pilota elicotteri per le basi petrolifere nel mare del nord: un lavoro duro, impegnativo, di grande responsabilità. Alla sera proprio Stefano ha organizzato una cenetta con un altro pilota, Lorenzo, ed un altro ragazzo che invece progetta elicotteri. È stato molto piacevole, una bella rimpatriata di italiani, dove si è creato un bel clima di goliardia e divertimento: un bel finale degno della giornata trascorsa.
5° giorno: rimaniamo ad Aberdeen!
Oggi il programma prevedeva una visita alla base nell’aeroporto dove lavora il mio amico, e poi partenza verso la città di Inverness, confine immaginario per entrare nelle highland scozzesi. Invece il nostro conta chilometri in questo giorno resterà a zero, e non per nostro volere. Veniamo al fattaccio: stavamo uscendo di casa tutti e tre chiacchierando tranquillamente, quando all’improvviso Stefano si blocca, esclamando che mancava una delle due moto parcheggiate proprio vicino alla sua abitazione. All’appello mancava la mia amata BMW GS! Non vi dico lo sgomento, l’incredulità generale nel constatare che avevano rubato la mia fedele due ruote. Dopo lo smarrimento iniziale, ritrovata un po’ di sana lucidità mentale, Stefano ha subito chiamato la polizia, la quale ci ha informati del fatto che in città esistono piccole bande di giovinastri che rubano le moto o scooter e scorrazzano per le via ubriachi lasciandole alla mattina ai quattro lati della cittadina. Forse vi era una speranza di ritrovarla.
Non sapendo cosa fare siamo andati in perlustrazione nei paraggi; Ale, dopo aver percorso nemmeno 20 metri, girato l’angolo si è messo ad urlare: la mia moto era lì, sul cavalletto, come se niente fosse accaduto. Fatta una piccola ispezione generale ho constatato che avevano rotto il bloccasterzo (giuro: è stata la prima volta che l’ho inserito in vita mia) e tranciato i fili dell’accensione. La loro malsana idea era di agire come fanno nei film, accendendola collegando i due cavetti. Stefano si è prodigato all’inverosimile, trovando un concessionario ufficiale BMW. Sono venuti a ritirarla in tarda mattinata, prendendo a cuore il mio desiderio di proseguire il nostro viaggio, trovando il pezzo di ricambio in tempi record. Il GS, pulito e lavato, mi è stato riconsegnato il giorno stesso in serata: strepitosi, super efficienti e gentili. Tolti i dieci anni di vita che ha perso il sottoscritto non vedendo più la sua moto, si può tranquillamente parlare di una storia davvero a lieto fine.
Nel frattempo all’unisono abbiamo deciso di trascorrere un’altra serata insieme a Stefano ed alla sua ragazza Marianna. Innanzitutto per il semplice fatto che tra una cosa e l’altra non siamo riusciti a visitare il luogo dove lavora (difatti l’indomani mattina prima della partenza ci siamo recati all’aeroporto, rimanendo affascinati dal suo mondo lavorativo, a partire dalla perfetta organizzazione logistica fino ad arrivare ovviamente agli elicotteri, dei mostri dell’aria, enormi. Abbiamo avuto il privilegio di salire su uno di questi giganti e sederci proprio al posto di pilotaggio, quello dove si siede abitualmente Stefano: incredibile la quantità di pulsanti e tasti, che emozione!).
Il secondo motivo era la vera voglia di trascorrere del bel tempo con due persone eccezionali, quali sono state loro. Ci hanno accolto nella loro abitazione facendoci sentire a casa, abbiamo goduto di un’ospitalità straordinaria, sia da parte del nostro compaesano e allo stesso modo di Marianna, persona squisita, conosciuta il giorno prima ma capace di metterci a nostro agio nonostante qualche difficoltà linguistica. Ha anche cucinato il risotto ai funghi solo per noi due mentre il suo compagno lavorava, correndo ogni tipo di rischio: siamo due piemontesi, il risotto è di casa! Scherzo ovviamente, abbiamo apprezzato tantissimo.
È stata la prima volta che in uno dei miei viaggi sono passato a trovare un amico, perlopiù quasi compaesano, partito parecchi anni addietro per vivere e lavorare all’estero , e direi , tolto il fattaccio (ma forse è proprio questo che ci ha uniti maggiormente), che l’incontro mi ha regalato belle ed appaganti sensazioni.
6° giorno: da Aberdeen a Inverness (200 km)
Appena dopo pranzo purtroppo ci siamo dovuti salutare dai nostri amici, per riprendere il nostro viaggio. Momento caratterizzato da una bella dose di emozione, sentimento che ho notato negli sguardi di tutti. Ci rivedremo in Italia!
Lasciando la città sono stato pervaso da sentimenti differenti : la voglia di macinare chilometri era tanta, ma altresì era forte quella di restare qui a goderci ancora momenti in loro compagnia : inevitabilmente alla fine ha avuto il sopravvento il mio spirito di viaggiatore, di anima vagabonda, di “zingaro” che mi accende la scintilla dell’andare, di scoprire nuovi spazi, nuovi panorami, nuove persone , di scoprire, in fondo, un piccolo pezzo alla volta di me stesso. Quindi, montati nuovamente sulle nostre cavalcature, abbiamo preso la direzione per Inverness, attraversando un bel parco naturale nell’entroterra. Qui, complice un bel sole, questo paese ci ha regalato scorci caratterizzati da prati e declivi verdissimi, boschi e foreste dai mille colori, le ormai diventate familiari pecore con il musetto nero. La ciliegina sulla torta è stata percorrere un bel pezzo di strada affiancando un treno a vapore : la sua scia di fumo bianco rilasciata in mezzo alle piante creava un gioco di luce ed ombre , come solo si vedono nelle immagini di alcuni film.
Siamo giunti nella città seguendo la strada costiera, zizzagando fra le auto in coda, per evitare un traffico caotico e delirante. Vista la chiusura anticipata del camping abbiamo trascorso la nottata comodamente in albergo.
7° giorno: da Inverness a Broadford (300 km)
Inverness segna, come già accennato in precedenza, il confine immaginario dopo il quale si estende la zona più famosa e più suggestiva della Scozia: le Highlands, terre selvagge con tutta la sua costa ovest, uno dei punti fondamentali del nostro viaggio. Direi che la giornata fin da subito è iniziata bene, visto che a svegliarci è stato proprio un bel sole unito ad un bel arcobaleno ad abbracciare la città, conseguenza della pioggia notturna. Lasciata la cittadina ci siamo inoltrati verso ovest: è pazzesco come in pochi chilometri l’ambiente cambia, i paesini sono sempre meno frequenti, la natura è più forte, si percepisce che la padrona è lei, nonostante l’uomo sia riuscito a conviverci e in parecchi casi a piegarla al suo volere. Resta il fatto che la vita per queste persone è dura, fatta di tradizioni antiche e semplici, il tutto basato sul rispetto reciproco.
La costa da Ullapool in giù è strepitosa, frastagliata a dir poco, caratterizzata da laghi, insenature, fiordi, uno più bello dell’altro; ogni curva avrei dovuto fermarmi per scattare una foto. Mentre guidavo stavo pensando che la si potrebbe paragonare alla Danimarca, visitata circa due anni orsono: ebbene, questa mi è rimasta nel cuore (chi è amante di questo tipo di luoghi mi capirà), ma la Scozia, soprattutto in questa giornata, mi ha letteralmente conquistato con il suo ambiente sì selvaggio e duro, ma avvolgente, affascinate.
Dopo l’incontro con le mucche tipiche scozzesi, le Highland cow, che tranquillamente pascolavano in mezzo alla strada, per lo spuntino ci siamo fermati nel paesino dell’omonima e stupenda penisola di Applecross, giunti percorrendo la sua magnifica strada costiera peraltro ad una sola carreggiata. Questa sosta mi ha regalato uno dei momenti più intensi dell’intero viaggio: abbiamo pranzato seduti all’interno di un tipico ristorantino, gustandoci un salmone fresco sorseggiando dell’ottima birra, ascoltando musica country. Dalla finestra adiacente al nostro tavolo, scorgevo la stradina, le nostre moto affiancate, la lingua di oceano leggermente mosso e le colline di un rosso marrone in contrasto con il blu dell’acqua. Tutto ciò mi ha portato in uno stato d’animo perfetto, in sintonia con me stesso, uno dei tasselli fondamentali che mi spingono a viaggiare. A completare il quadretto la bellezza nordica della ragazza proprietaria del locale, che non guasta mai.
Lasciata la penisola di Applecross ci siamo diretti sempre lungo la costa verso l’isola di Skye, altra meta primaria del viaggio. Siamo arrivati al calar della sera decidendo di cercare un campeggio e poi un piatto caldo per rilassarci e rinviare a domani il tour dell’isola. Vista l’assenza di tale struttura nei paraggi, entrambi all’unisono abbiamo optato per il campeggio selvaggio . Dato che in Scozia è consentito “piantare” la tenda ovunque (sempre con il classico buon senso), ci siamo dati da fare trovando un bel angolino in un prato enorme, certo senza doccia calda ne servizi, però che sapore di libertà: tenda, due moto, e la natura intorno a noi.
8° giorno: da Broadford a Fort Williams (350 km)
Dopo una notte trascorsa in compagnia di un vento fortissimo, tanto da avere praticamente sempre la tenda piegata a sottiletta nonostante i nostri minuziosi ancoraggi, ci siamo svegliati all’alba per compiere il giro dell’isola di Skye. Come il giorno precedente, per descrivere questi paesaggi da cartolina, gli aggettivi che mi vengono in mente sono bellezza selvaggia, di quelle bellezza che ti rapisce da cui non vorresti mai staccarti. Unica pecca che il castello di Dunvegan era chiuso, ma arrampicandomi su una colonna adiacente al cancello sono riuscito a vederlo.
La costa sud dell’isola è caratterizzata da declivi più dolci, di un verde smeraldo, dove pascolano una quantità infinita di pecore. Queste colline si tuffano direttamente nell’oceano, con un contrasto di verde e blu pazzesco. Completato il tour abbiamo indirizzato le ruote delle nostre moto verso il lago di Loch Ness, spostandoci verso l’entroterra. Prima siamo andati a vedere Eilean Donan Castle, uno dei più fotografati di tutta la Scozia. Ebbene complice il sole ed i colori autunnali la vista è stata strepitosa. Il lago dove vive Nessy è stretto ma esteso a dismisura, con acque scure, sempre agitato. La strada che lo segue è da favola, difatti si incrociano numerosi motociclisti. Ho notato che Inghilterra è difficile salutarsi fra centauri con le classiche due dita, visto che viaggi a sinistra e devi praticamente contorcerti per far spuntare la tua mano dalla parte giusta. Non per niente fra di loro e con noi si salutano con un leggero inchino della testa : aplomb inglese. Il lago è collegato con un sistema complicato di chiuse e canali ad altri laghi, per un totale di 90 chilometri di strada piacevole.
Per la sera sosta nella città di Fort Williams dove, per la prima volta nel viaggio, il freddo si è fatto sentire eccome: in campeggio il termometro segnava 3 gradi; per dormire abbiamo adottato la tecnica usata nei raduni motociclistici invernali a cui ogni tanto presenziamo, ovvero infilarci nel sacco a pelo completamente vestiti. Ci siamo addormentati all’istante, aiutati diciamo dalla mangiata e soprattutto bevuta in un tipico pub , dove a far da padroni della serata c’erano un bel gruppo di scozzesi vestiti con i tipici kilt.
9° giorno: da Fort Williams a Keswick (450 km)
Svegliati all’alba non per nostro volere, ma per il freddo più insistente della sera precedente, ci siamo subito dati da fare per preparare i bagagli nell’intento di scaldarci: mentre ripiegavo la tenda, mi si sono praticamente congelate le mani. Tra una battuta e l’altra fatte solo per non sentire la temperatura gelida, abbiamo acceso le moto e soprattutto le manopole riscaldate del mio GS, e ci siamo rimessi in marcia.
Lasciato Fort Williams, costeggiando un bel lago ci siamo diretti verso Oban, sede di una delle più note e famose distillerie di whisky. Arrivati all’entrata di questa città, invece che visitarle, abbiamo optato per macinare ancora chilometri in mezzo a questi paesaggi straordinari che ci attirano come fossero una calamita con il ferro. Inforcato una stradina secondaria che a detta della cartina meritava, siamo stati catapultati all’interno di un bosco da favola, tanto da sembrare incantato: ci siamo fermati, abbiamo spento le moto e siamo rimasti ad ascoltare i rumori della natura. Ci aspettavamo da un momento all’altro che dei cavalieri medioevali in sella ai loro destrieri spuntassero da dietro la collinetta. Rientrati nella civiltà, attraversando la città di Glasgow abbiamo puntato decisamente verso sud, la nostra direzione per i prossimi tre giorni.
Ad un certo punto ci siamo trovati nuovamente a varcare il confine immaginario tra Scozia e Inghilterra, lasciando definitivamente questa terra. Ebbene dopo l’emozione provata nel salutarla, mi sono venuti in mente tanti pensieri. Una considerazione su tutte rappresenta ciò che realmente ho provato: se ti affascinano questi paesaggi, se riesci a coglierne la vera essenza, il vero spirito, allora questo paese ti entra in profondità, ed è difficile se non impossibile liberarsene. Per la serata ci siamo fermati al Lake district, un parco, che come dice il nome stesso, è caratterizzato da innumerevoli laghi. In uno di essi abbiamo trovato un campeggio carino dove siamo riusciti a piantare la tenda, nonostante la presenza di svariate oche insolenti e bisbetiche, gelose del loro prato tanto da soffiarci e puntarci con il loro becco insistentemente.
10° giorno: Keswick – Briston (450 km)
Questa mattina a svegliarci sono state proprio le nostre amiche oche, le quali, sempre all’alba, hanno pensato di iniziare un bel concerto al quale credo nessuna delle presenti abbia rinunciato. Con un ‘umidità del 200% dopo aver terminato il solito iter pre-partenza ci siamo rimessi nuovamente in sella. È sempre un vero piacere salire sulla mia BMW e ruotare leggermente la manopola del gas per iniziare a muoversi percorrendo i primi chilometri , assaporando quel gusto che solo ti sanno regalare questi brevi minuti iniziali di una giornata on the road. Piacere purtroppo durato poco, in quanto oggi a far da padrona ci ha pensato una nebbia fittissima, tanto da non permetterci la visione dell’ambiente circostante, un vero peccato. Questo tempo ci ha accompagnato fino a Bristol, unendosi per completare il quadretto ad una bella e fitta pioggia. Abbiamo accettato il tutto senza nemmeno prendercela troppo, dato che ormai eravamo in fase di rientro.
Giunti nella grossa cittadina di Bristol, di campeggi nemmeno l’ombra. Visto il tempo abbiamo optato per una calda e accogliente camera di albergo, sicuri di trovarla in breve tempo: detto fatto, ci sono volute più di due ore! Ci siamo recati in almeno una decina di hotel, non trovando nulla. Per fare un piccolo tratto di strada impiegavamo una marea di minuti causa un traffico pazzesco, il tutto sotto ad un vero diluvio universale. Ad un certo punto , stanchi ed esausti, abbiamo deciso di spostarci a sud della città per cercare fortuna lungo la costa, mossa decisiva. Girato l’angolo, percorso una stradina in un quartiere carino, ci siamo trovati difronte ad una villa adibita ad hotel; sicuri che ci avrebbero chiesto una cifra al di fuori delle nostre tasche, abbiamo deciso di tentare ugualmente. Chiedere non costa nulla, e stavolta la fortuna ci ha assistiti. Dopo nemmeno mezzora eravamo nella nostra stanza al caldo e all’asciutto spendendo la giusta cifra, una svolta in questa giornata.
11° giorno: da Bristol a Calais (400 km)
Lasciata l’umida Bristol, città peraltro molto carina da visitare e viva grazie alle numerose università presenti, ci siamo indirizzati verso la costa sud, a Portsmouth, per poi costeggiare la Manica fino a Dover. Nulla di eclatante da segnalare fatta eccezione per il piccolo paese di Rye Harbour, ed il suo centro storico, un piccolo borghetto curatissimo con case dal tetto scuro ricoperto da muschio. Usciti dal centro abitato abbiamo oltrepassato un canale, dove le imbarcazioni, per via della bassa marea, erano tutte adagiate su un lato appoggiandosi all’argine: sembrava che stessero facendo un sonnellino, godendosi il sole e aspettando il ritorno del mare.
Arrivati a Dover e preso la direzione per il porto ci siamo imbattuti in un fila interminabile di camion e auto in attesa di imbarcarsi per la Francia. Qui, grazie alle moto e a qualche autista gentile che si metteva di lato con i loro bisonti gommati, in men che non si dica, ci siamo trovati direttamente alla biglietteria, e, sempre senza aspettare nulla, dentro al traghetto. Siamo saliti sul ponte a goderci il tramonto sull’oceano, vedendo allontanarsi sempre di più l’Inghilterra.
Mentre ammiravo il panorama parlando con il mio socio, constatavamo che i viaggi in moto che prevedono il traghetto per attraversare un mare, hanno un sapore diverso. Si ha la netta sensazione di compiere un viaggio nel viaggio stesso, di andare in un luogo che seppur vicino al nostro rimane pur sempre staccato anche solo da una fetta di mare piccola come il canale della Manica.
12° giorno: da Calais a Biella (1100 km)
Riposati da un lungo sonno generatore io ed Alessandro ci siamo separati alla partenza da Calais. Lui ha preso la direzione per l’Austria per andare a trovare colleghi di lavoro e prolungare il viaggio di altri tre giorni. Io, visto che il giorno dopo dovevo presenziare al lavoro, mi sono fatto una bella tirata fino a Biella, in compagnia di temperature miti e di un sole caldo. Sto viaggiando da ore lungo il nastro d’asfalto che attraversa la Francia in direzione delle alpi per far ritorno a casa. Nonostante la monotonia dell’autostrada il tempo scorre velocemente, la mia mente viaggia più della moto, tanti sono i ricordi di questo raid, rivelatosi al di sopra di ogni mia aspettativa, già alte prima della partenza.
Come ad ogni ritorno da ogni singolo viaggio queste sensazioni mi rimbalzeranno in testa inaspettatamente, come dei flash, a ricordarmi di autentici attimi vissuti in modo completo, come raramente capita nella vita di tutti i giorni. Questo mi darà sicuramente la carica e l’energia per dedicarmi ad una nuova avventura, in quanto chi nutre la passione del vero viaggiare (in qualunque modo e in qualunque luogo) difficilmente riesce a farne a meno, proprio perché percepisce , per una serie di circostanze, sfumature di essenza di vita. Tutto ciò avviene “solo” attraversando e osservando un piccolo pezzo di mondo, incontrando persone che rimarranno impresse nei tuoi ricordi.
Una volta arrivato a casa avrò modo di gustarmi pienamente tutto ciò che mi sono “portato dietro” da questa esperienza, a mente fredda e con tutta tranquillità. Proprio come un buon bicchiere di whisky, sorseggiandolo senti il gusto ma, solo grazie a particolari percezioni e sensibilità, riesci a cogliere le sfumature più profonde e nascoste, quelle che fanno la differenza, quelle, appunto, da intenditori.