Autentico e mistico Laos
Il primo giorno laotiano inizia alle 6 per assistere alla cerimonia dell’elemosina ai monaci (Tak Bat). Si tratta di una processione di centinaia di monaci silenziosi in tunica arancione che sfilano in Sakkaline Road dove turisti e laotiani li attendono in ginocchio per donare loro riso e altri viveri. Il rito è molto solenne e dura una ventina di minuti. Anche noi ci uniamo ai fedeli coi nostri doni. La levataccia è stata pienamente ripagata perché questo sgargiante corteo è molto coinvolgente anche se per noi non rappresenta nulla di religioso ma semplicemente un omaggio caritatevole. Tra i monaci sfilano anche ragazzini che le famiglie più povere affidano ai monasteri per farli studiare senza dover pagare. Verso i 12 anni decidono se prendere i voti o tornare alla vita civile. Alle 9 incontriamo la nostra guida che ci accompagna a bordo delle tipiche barche locali in legno lunghe e strette (long-tail boat) per risalire il fiume Mekong fino alle grotte Pak Ou. La navigazione dura un’ora circa e la barca, scivolando a pelo d’acqua, rende il viaggio rilassante e piacevole. Sugli argini del fiume notiamo coltivazioni di arachidi e di mais; bufali d’acqua al pascolo che aiutano i contadini ad arare (trattore-animale dell’est); pescatori con canne di bambù; donne che raccolgono le alghe che fanno essiccare e poi vendono al mercato cosparse di semi di sesamo; raccoglitori di legna che trasportano su grossi barconi; qualcuno raccoglie pietre per costruire la sua casa; sembra di essere ritornati in un’epoca passata che io però non ho conosciuto e che comunque rende la traversata interessante e ricca di spunti. Visitiamo un tipico villaggio dove producono un liquore ottenuto dalla distillazione del riso bianco e si ottiene il liquore chiaro o del riso nero che rende il liquore scuro. Vendono le bottiglie con il cobra o lo scorpione all’interno che sembra abbia un effetto ricostituente perché ricco di vitamine. Le donne di questo villaggio realizzano articoli di cotone tessuto su telaio a mano molto semplici ma originali. Bisogna però stare attenti a prodotti provenienti dalla Cina che anche qui ha invaso il mercato con stoffe di seta che queste donne povere non producono. Riprendiamo il nostro giro ma poiché è ora di pranzo ci fermiamo in un tipico ristorante su un barcone ancorato di fronte alle grotte. Ci servono diverse specialità laotiane: zuppa di verdura e funghi, zuppa di pesce di fiume, pesciolini cotti in foglie di banano, tranci di pesce fritto, papaia cotta con zenzero, insalata di pesce con misto di erbe tipiche, misto di verdura cotta e riso bollito che è d’uso prendere con le dita, farne una pallina, intingerla nella pietanza e gustarla. A volte il sapore è leggermente piccante, a volte dolce-piccante ma in ogni caso si trova sempre qualcosa che incontra il nostro gusto. Il pasto termina con caffè o tè verde preceduto da banane piccole ma dolcissime.
E’ giunto il momento di visitare le grotte Pak Ou. Scesi dalla barca saliamo parecchi gradoni a zig-zag per entrare all’interno dove troviamo migliaia di statue di Buddha in tutte le dimensioni e stili omaggio dei fedeli che il 13 aprile festeggiano qui provenienti da ogni villaggio. E’ talmente pittoresco e unico questo luogo che accendo anch’io un lumino per la mia amica Isa dedicato all’Ente Supremo che lassù tutto vede. Riprendiamo la barca per il ritorno dove ci attendono dei templi da visitare in città. Iniziamo dal Wat Xieng Thong, Monastero Reale dove sono custodite le ceneri del Re Sisavang Vong. Decorazioni a foglia dorata, intarsi di legno raffinati, statue di Buddha di ogni grandezza che ammiriamo stupiti. Il Wat Visoung del 1512 è stato bruciato dai cinesi durante una loro incursione e ora le pareti sono di cemento. Peccato perché la fotografia dell’epoca mostra un capolavoro d’arte in legno decorato. Il Wat Aham buddista e il Tat (stupa) Animista e accanto alcune tombe con le ceneri di defunti buddisti convivono nel rispetto reciproco.
La sera decidiamo di uscire a curiosare nei negozi come tipici turisti. Il mercato delle donne Hmong sulla via principale chiusa al traffico è sempre lì che ci attende con i suoi vivaci colori. Sembra che al tramonto, quando il caldo diminuisce, la gente sia più dinamica. Appaiono dal nulla chioschi che preparano crepes, bancarelle con frutta fresca, frullati a volontà e dolcetti tipici. Troviamo una viuzza con food street cioè il famoso cibo che viene cotto in strada: vediamo delle pietanze che conosciamo ma molte altre non riusciamo proprio a capire di che si tratta. E’ molto affollato verso le 19 da turisti e laotiani che scelgono quello che desiderano su un piatto al costo di 1 Euro soltanto. Ci sono dei tavoli con panche dove ci si siede per mangiare. Ogni giorno donne e/o uomini preparano il cibo e vengono a cucinarlo qui alla brace, fritto o bollito in grossi pentoloni di alluminio o wok. Anche noi prendiamo un grosso pesce infilzato e grigliato con verdure miste saltate in padella, la birra laotiana molto buona e spendiamo l’impossibile cifra di 4 Euro! Si vede proprio che qui il turismo di massa non è ancora arrivato a portare benessere ma anche a far lievitare i prezzi come è successo in altri Paesi.
La mattina seguente ci attende la visita al Palazzo Reale ora Museo Nazionale dove risiedeva la famiglia reale. L’ultimo Re laotiano Sisavang Vong aveva liberato il Paese dai francesi nel 1953 mentre suo figlio, a causa dell’avvento delle Repubblica Popolare, finì in un campo di lavoro dove morì dopo qualche mese. Sontuosi saloni, troni dorati, arredamento filo-europeo in stile coloniale, doni ricevuti dai potenti di tutto il mondo, abiti e gioielli rendono l’idea di un regno molto ricco che lasciasse molto poco al popolo. All’interno è conservata la celebre statua d’oro del Buddha Phra Bang simbolo religioso del Paese. Il sacro Wat Mai costruito nel 1900 si trova accanto al Museo e fu dimora del Grande Patriarca del Buddismo Laotiano. Dopo l’”abbuffata” di Templi e di Buddha di ogni foggia e dimensione ci attende la gita alle cascate Kuong Si a circa 35 km che percorriamo su una strada asfaltata ma stretta in mezzo alle montagne che circondano Luang Prabang. Ogni tanto troviamo delle aree coltivate a ortaggi, banane, risaie a terrazza e piantagioni di teak. Le abitazione dei contadini sono in maggioranza capanne di legno con tetto in paglia, ma cominciano a sorgere casette di mattoni modeste e forse più comode. Arriviamo al parco dove ci attende la sorpresa di una fondazione per la protezione degli orsi bruni dal collare bianco, che cercano il cibo nascosto da alcuni volontari in ogni possibile buco creato appositamente per stimolare gli animali: sugli alberi, sul tetto di un capanno, dentro una ruota girevole, sotto una radice ecc. E’ uno spettacolo vedere come gli orsi si diano da fare assumendo movenze quasi umane per prendere il cibo consistente in bambù, insalata, frutta e verdura. Dopo una breve passeggiata nel bosco arriviamo alle cascate che sono a sbalzi e si allargano in tante piscine. Il getto dell’acqua azzurro trasparente è potente e il salto più alto raggiunge 30 m. Sono bellissime e in una delle vasche in basso facciamo un bel bagno ristoratore. Ci concediamo una pausa per il pranzo tipico a base di riso, verdure, pollo fritto e frutta tropicale: tamarindo (asprigno e dissetante) e dragon (simile al kiwi).
Dopo la piacevolissima sosta rinfrescante e culinaria sulla strada del ritorno ci fermiamo in un villaggio tribale della montagna di etnia Hmong dove le donne producono oggetti in stoffa e gli uomini intagliano il legno. Molti sono i bambini che girano a piedi nudi sul terreno nella boscaglia, i più grandi controllano i più piccoli mentre gli adulti sono indaffarati nei lavori quotidiani. Qui le capanne sono di legno col tetto di paglia e tutt’intorno hanno scavato un canaletto lungo il perimetro per evitare che nella stagione delle piogge l’acqua entri nelle capanne. Il cibo viene cotto all’interno della stanza principale sul semplice fuoco. Le chiocce coi pulcini abbondano ma la gente sembra veramente molto povera. Concludiamo la giornata a Luang Prabang sul monte Phousi (400 m) per ammirare il tramonto con vista panoramica sulla città offuscata dal fumo che copre con un velo tutta la valle. Qui si trova anche il tempio Wat Chom Sri, piccolo ma molto venerato in Laos perché viene raggiunto da fedeli provenienti da ogni villaggio sulle montagne. Si dice che chi non ha visto questo Wat non abbia visto il Laos. Peccato che per salire al tempio ci sono ben 238 gradini!
Il giorno successivo ripartiamo in aereo alla volta di Vientiane, capitale del Laos, città ricca di edifici statali di alto livello e grandi viali creati durante il periodo coloniale francese, situata su un’ansa del Mekong tra fertili pianure alluvionali. Passiamo davanti al sontuoso Palazzo Presidenziale e cominciamo a visitare i vari siti: il That Dam un antico stupa del 1600, che le credenze popolari ritengono essere la dimora del serpente “Naga” a sette teste che salvò la città dalla distruzione delle invasioni siamesi (ex-thailandesi) del 1779 e 1828; il Wat Si Saket, il tempio più antico di Vientiane sopravvissuto alla distruzione con migliaia di statue di Buddha; il Wat Phra Kaew interessante tempio reale che per due secoli ospitò la statua del Buddha di Smeraldo (di giada perché non ci sono smeraldi in Laos) oggi conservato al Palazzo Reale di Bangkok e adibito a Museo con numerosi reperti. Infine, il Pha That Luang, il più grande Stupa del Laos, Sacro simbolo del buddismo e monumento nazionale laotiano che si erge dorato al centro di una grande piazza che ora ferve di lavori di ripristino. Notiamo la differenza tra i Wat di Luang Prabang e Vientiane: i primi sono più piccoli, raccolti, pittoreschi ma su aree minori, mentre qui sono enormi, imponenti posti al centro di una grande area e tutt’intorno corre un porticato sui quattro lati con migliaia di statue di Buddha. All’esterno stanno restaurando il basamento rosso e oro del Buddha sdraiato, tutto d’oro, e lungo una ventina di metri. Procediamo in direzione del Patuxai, un arco di trionfo costruito negli anni ’60 somigliante all’omologo parigino ma in stile orientale. Verso sera facciamo una passeggiata lungo il fiume che delimita il confine con la Thailandia che scorgiamo sull’altra sponda. E’ un’ampia zona di ritrovo con giardini, mercatino serale, locali dove gustare le specialità del luogo e la statua del re Anuvong controlla il suo popolo dall’alto della sua imponenza col braccio teso. Fece un colpo di stato contro i siamesi ma fallì, scappò in Vietnam poi in Cambogia che lo cacciò e fu ucciso nel 1828. I Laotiani lo ritengono un eroe comunque.
All’alba prendiamo il volo per Pakse, poi in auto attraverseremo l’altopiano di Bolaven (600 m) dove al tempo della guerra in Vietnam molti gruppi etnici della montagna si rifugiarono qui e portarono le loro tecniche di coltivazione, che continuano ancora oggi, come la coltivazione del tè, caffè e caucciù. Visitiamo una piantagione di tè e il proprietario ci offre la bionda bevanda dopo averci mostrato la lavorazione di questo prezioso dono della natura. I piccoli germogli di due foglioline vengono raccolti a mano, cotti, strizzati e seccati all’ombra. Lui produce solo tè verde che comperiamo volentieri. Una volta l’anno vengono potate a fondo le piantine così i germogli cresceranno più teneri. Il suo caffè invece è di due qualità Arabica e Robusta che piace ai francesi. La pianta di Robusta ha le foglie più grandi dell’altra e noi finalmente vediamo da vicino la pianta di caffè coi suoi chicchi rossi a grappolo che vengono colti a mano. A noi italiani questo loro tipo di tostatura non piace perché sa vagamente di liquirizia. Le piantagioni di tè e caffè durano dai 6 ai 15 anni poi bisogna sostituire le piante. Il paesaggio intorno è magnifico, ricco di vegetazione e fiori anche se ora c’è la stagione secca. Tutto esploderà nel suo splendore da maggio in poi con l’arrivo delle piogge. Le strade si trasformeranno in fiumi che scorreranno a valle, riempiranno le risaie e il Mekong esonderà rendendo fertile la pianura. Ci fermiamo presso un locale resort per ammirare le cascate Tat Fane: due potenti getti alti 120 m che precipitano all’interno di una profonda conca naturale. Sono immerse in una fittissima lussureggiante vegetazione e mi dicono sia il paradiso per chi pratica il trekking. Riprendiamo il percorso verso sud costeggiando il grande fiume su una strada larga ma sterrata che stanno ultimando. Scendiamo in riva al fiume e sostiamo per il pranzo a Champasak in un locale tipico. Questo villaggio in passato fu sede di governo di un importante Regno. Dopo il gustoso pranzo passiamo sulla sponda opposta del Mekong con una zattera/traghetto per visitare le rovine del mastodontico e sontuoso tempio Khmer Wat Phu, arroccato su un’alta montagna che domina il fiume. Probabilmente risale al X secolo e il restauro viene finanziato anche dall’Italia con un’archeologa italiana Patrizia T. che sovraintende i lavori molto difficoltosi dopo centinaia d’anni d’incuria. La passeggiata a piedi è lunga un paio di km e fa molto caldo perché sotto il sole cocente (32°). Il complesso Wat Phu, dedicato a Shiva, con l’antica città, il santuario, le terrazze, il portico e la sorgente sacra è di architettura Khmer e di religione Hindu perché il confine Cambogiano è a 240 km. In seguito il santuario fu trasformato in Buddista e una volta l’anno ha luogo una solenne cerimonia coi monaci Buddisti che qui soggiornano. Dopo la lunga camminata raggiungiamo l’isola Khong sempre con una zattera/traghetto e ammiriamo un bellissimo tramonto rosa sul Mekong. Pernottiamo in un bellissimo resort in stile coloniale molto ricercato dove ci attende una cena laotiana a base di zuppa di verdura, pesce, riso e frutta. La mattina seguente visitiamo un piccolo agricoltore che produce zollette di zucchero dal succo dolce estratto da un tipo di palma locale, cotto sul fuoco finché si caramelli. Sono molto buone, si possono zuccherare tisane e sono consigliate alle persone deboli perché energetico.
Poi raggiungiamo la nostra tipica barca che ci porterà in giro per 1h30 nella celebre zona delle “4000 isole” che sono disseminate nel Mekong prima che scende dall’altopiano laotiano per gettarsi sulle basse pianure cambogiane formando spettacolari cascate. Sulle sponde vediamo scorrere casette di legno poste su palafitta perché il fiume nel periodo delle piogge sale oltre 4 m e alcune vengono affittate ai turisti che qui trascorrono vacanze in relax facendo trekking, canoa sul fiume e bici. Ci sono bufali che pascolano sulla riva, pescatori che gettano le reti o le nasse, bambini e donne che fanno il bagno, zattere che traghettano moto, auto e camion, la vita su questo fiume è molto vibrante ma scorre lenta come le sue acque. Raggiungiamo le isole Don Det e Done Khone unite da un ponte ferroviario costruito dai francesi in epoca coloniale con l’intento di tracciare una via commerciale in grado di superare lo sbarramento naturale del Mekong in questo punto. Oggi le rotaie sono state smantellate e vendute ed è rimasta soltanto una vecchia locomotiva a vapore arrugginita a testimoniare il glorioso passato. Dopo una breve passeggiata attraverso il villaggio Ban Nagasang, che si rivela interessante per come vivono le persone nel quotidiano, arriviamo alla cascate Li Phi non troppo alte, ma con un bel balzo articolato. Al ritorno è già ora di pranzo e ci fermiamo su una terrazza sul fiume, dove gustiamo zuppa di verdura e pesce, l’immancabile riso, spiedini di pesce e frutta. Riprendiamo la barca che in una ventina di minuti ci riporta a riprendere l’auto per arrivare alle celebri cascate Khong Phapeng poste a circa 10 km dal confine con la Cambogia. Queste cascate sono spettacolari: si presentano con un salto mozzafiato di oltre 100 m e sono le più grandi del Sud-Est Asiatico chiamate anche “Niagara Asiatico”. I visitatori sentono il ‘ruggito’ e gli spruzzi della cascata a distanza ma la potenza della natura si avverte palesemente di fronte a questo spettacolo. Sulla strada di ritorno verso Pakse ci fermiamo alle rovine Khmer Wat Tomo del IX secolo, immerse nella fitta vegetazione che le ha celate a lungo e che richiederebbero un restauro serio ma molto costoso. A Pakse pernotteremo in un elegante hotel costruito per essere il Palazzo Reale dell’ultimo Re del Sud-Laos nel 1969 e finito del 1975 quando il Re dovette rifugiarsi in Francia. L’albergo è chiamato “Palazzo delle 1000 stanze” perché ha 1900 porte e finestre scolpite in stile laotiano. La sera ceniamo accompagnati dalla musica di un terzetto locale e il cibo tipico e molto raffinato (anatra, gamberi, verdure con salse piccanti e calde, riso tostato, dolce a base di frutta) chiude in modo eccellente la prima tappa di questo tour.
Il nostro viaggio in Laos è terminato e tirando le somme è risultato positivo: è un Paese che si apre ora al turismo, inglesi e francesi lo hanno già scoperto, gli italiani un po’ meno, forse perché non c’è il mare. Invece secondo noi è interessante anche per i giovani che possono girare tranquillamente senza problemi e con modeste finanze perché il costo della vita è molto basso. Le persone sono gentili e sorridenti, accolgono i turisti in modo semplice e la cucina è sana ma gustosa.