Australia 2004, Deserti e Sabbia Rossa
Abbiamo lasciato l’Australia nel 2003 con un gran desiderio: quello di attraversare il Simpson Desert e viaggiare intorno al Red Centre. Per quasi un anno abbiamo lavorato a questo piano e finalmente eccoci per il quarto anno in procinto di passare le nostre vacanze agostane nel continente australe; il progetto ha richiesto un’accurata documentazione e preparazione per le remote località che abbiamo in mente di attraversare e per esseri pronti ad ogni evenienza, per il Simpson Desert è meglio essere attrezzati !! Come sempre mia moglie Lucia è stata al centro delle ricerche e devo affermare che senza il suo totale appoggio e stimolo probabilmente non avrei mai affrontato un viaggio così avventuroso. E’ stata lei spesso a spronarmi e a spingermi verso orizzonti lontani, una preziosa risorsa che non si perde mai d’animo e sprizza ottimismo, o forse follia ??? Ma seguiamo l’ordine delle cose: Giovedì 5 agosto, il nostro viaggio inizia a Malpensa dove ci aspetta un comodo viaggio verso Perth via Dubai con Emirates; la compagnia che tanti ci hanno decantato come tra le migliori del mondo in realtà non offre particolari comodità, direi che il servizio piuttosto è allineato verso il basso per efficienza e velocità, in ogni modo arriviamo a Perth, città che fu il traguardo del nostro viaggio del 2002, senza particolari problemi ed in perfetto orario.
Un taxi ci porta rapidamente in centro, dato che il volo per Alice Springs è previsto solo per domani; l’hotel è già prenotato dall’Italia ed il ristorante che abbiamo apprezzato in passato è solo dietro l’angolo..
Un’ottima cena a base di canguro annaffiato da un buon vino australiano è solo la prima di una serie di piacevoli e gustose cenette che ci aspettano per il prossimo mese.
Dopo un meritato riposo che ci permette di recuperare almeno in parte la differenza di fuso, un taxi rapidamente ci trasferisce in aeroporto dove un comodo volo Qantas ci attende con destinazione Alice Springs.
La giornata è serena e sorvolando l’entroterra scopriamo un deserto ricco di colori, attraversato da migliaia di corsi d’acqua asciutti che hanno scolpito il territorio con geometrie fantastiche e colori incredibili; i tanti billabong e laghetti offrono dall’alto uno spettacolo indimenticabile fatto d’azzurri e verdi incredibili con forme circolari perfette, quasi disegnate con il compasso; poco prima di arrivare sorvoliamo quel pezzo d’Australia che sempre c’è rimasto nel cuore: Uluru e Kata Tjuta fanno capolino tra le nuvole che incredibilmente sono comparse.
Alice Springs ci attende con la sua atmosfera sonnacchiosa, non appena sistemati in hotel ci avviamo verso il Mall per una passeggiata, nell’attesa di decidere il da farsi per la cena.
La cittadina ci è nota, e nulla è cambiato rispetto alla nostra visita di tre anni fa, la stessa atmosfera rilassata, gli stessi aborigeni ciondolanti per le vie o abbandonati sui prati del centro.
Il tramonto è infuocato e vorremmo gustarlo dalla collinetta che domina la città, ma siamo piuttosto stanchi e rimandiamo a domani, in auto, la salita all’Anzac Hill.
Ceniamo all’Overlander Steakhouse, scopriremo che le porzioni sono gigantesche e un piatto d’emù affumicato è quasi impossibile da finire, anche per due buone forchette come me e mia moglie !! Il locale è piacevole, forse un po’ troppo turistico per i nostri gusti, ma la musica country dal vivo e la simpatia dei clienti hanno lasciato un buon ricordo; tra l’altro non sapendo che nella giornata si era disputata una partita di rugby tra Australia e Nuova Zelanda, ho indossato una maglia degli All Blacks e sono stato oggetto per tutta la serata degli sfottò dei tifosi Australiani cha avevano battuto la nazionale avversaria, il tutto però in forma molto simpatica e cordiale.
Domenica mattina, è arrivato il momento di ritirare il fuoristrada; si tratta di un bel Toyota Land Cruiser equipaggiato di tenda sul tetto, e tutto l’occorrente per campeggiare, compreso di serbatoio d’acqua potabile, frigorifero e fornelli a gas. Sarà la nostra casa per le prossime settimane e ci permetterà di visitare luoghi incontaminati, ci muniamo inoltre di una seconda ruota di scorta e di un compressore d’aria per rigonfiare i pneumatici, dopo le piste sabbiose.
Il supermercato ci attende: dobbiamo equipaggiarci per i prossimi dieci giorni e una delle raccomandazioni fondamentali per attraversare il deserto è quella di avere abbondanza d’acqua, cibo e carburante; oltre al serbatoio già installato sul fuoristrada acquistiamo quindi 60 litri d’acqua, cibo in abbondanza, e una tanica supplementare di gasolio per affrontare eventuali emergenze.
Seconda tappa: il Bottle Shop !! non si deve aver sete, pertanto facciamo anche il pieno di vini bianchi e rossi, birra e porto australiano per riscaldare le notti che ci attendono. All’uscita uno scambio di battute con un altro cliente che commenta la quantità degli acquisti, gli rispondo che non posso soffrire la sete in mezzo al deserto, meglio rimanere senza acqua che senza vino !! il tipo concorda con me… Un bellissimo tramonto è all’orizzonte e dall’Anzac Hill lo gustiamo tutto, ancora una volta attacchiamo discorso con altri spettatori di quest’infuocato cielo e in particolare con due signore che vantano una lontana discendenza italiana, in generale noi italiani siamo molto ben accetti e la nostra comunità numerosa e apprezzata.
Ceniamo, in compagnia di una simpatica ragazza romana conosciuta nel pomeriggio, da Bojangles un bel locale molto animato con musica del vivo, ancora una volta un’ottima cena e una bellissima serata al ritmo del country e del rock. E’ l’ultima notte nella civiltà, domani si parte prima destinazione: Chambers Pillar.
Appena lasciata Alice Springs e la Stuart Highway abbandoniamo l’asfalto ed imbocchiamo la prima di una lunga serie di piste e strade sterrate, innestiamo perciò le quattro ruote motrici che non staccheremo a lungo. Percorriamo quella che era il vecchio tracciato della ferrovia, la “Old Ghan Route” pista che riprenderemo anche in seguito. La prima sosta è ad Ewaninga Rock Carvings, un sito archeologico che conserva alcuni petroglifici databili tra 1000 e 5000 anni fa, un facile sentiero permette di avvicinarsi a questi delicati reperti immersi in una cornice di fiori colorati. Scopriremo in seguito che tutta la regione ed anche il deserto grazie alle abbondanti piogge dei mesi precedenti, è coperto da una incredibile e sgargiante fioritura.
Dopo la breve ma interessante sosta proseguiamo verso la nostra destinazione odierna; da Maryvale una pista molto corrugata, a volte sabbiosa e a volte sassosa ci porta fino a Chambers Pillar, i circa cinquanta chilometri richiedono oltre un’ora e mezzo di guida e ci permettono di fare il primo assaggio di quello che affronteremo nei prossimi giorni: una serie di rosse dune sabbiose che però non presentano particolari difficoltà, anzi sono un piacevole ed eccitante intermezzo nella lenta pista.
Già da lontano s’intravede quello che per decenni è stato un fondamentale punto di riferimento per gli esploratori tra i quali Stuart, il primo europeo che attraversò il continente da sud a nord, come testimoniano alcune firme sulla roccia. Il pinnacolo è alto oltre sessanta metri e al tramonto ed all’alba assume calde colorazioni. Arriviamo, quando l’area di campeggio è ancora deserta e piazziamo la tenda per la nostra prima notte. Nel pomeriggio facciamo una lunga passeggiata intorno al vicino “Castle Rock” che ha analoghe colorazioni e saliamo fino alla base del monolito, aiutati da una comoda anche se ripida scalinata, il tramonto ci porta colorazioni indimenticabili della roccia e del cielo.
Il campeggio è ben attrezzato, con tavoli e barbecue a gas, perfettamente funzionanti, tra l’altro il pagamento della piazzola, qui come in tanti camping che utilizzeremo, è lasciato all’onestà dei visitatori: ci si registra e si mette la busta con il denaro in un’apposita cassetta, credo che per gli australiani sia un dovere civico pagare.
Un’ottima cena a base di costate alla griglia ci rifocilla dopo la lunga giornata, naturalmente facciamo amicizia con gli altri campeggiatori; quando cala la notte, dopo qualche bicchiere di vino e di porto sorseggiato guardando milioni stelle in una notte senza luna, cala anche la temperatura e ci rintaniamo nella nostra comoda tenda. Per essere la prima notte ci adattiamo benissimo e le tre coperte sotto le quali siamo accoccolati fanno il loro dovere.
Il mattino arriva presto e dopo colazione, una volta richiusa la tenda, riprendiamo la strada già percorsa fino a Maryvale, da qui la “Old Ghan Route” ci porta a Finke.
Il primo tratto di pista è abbastanza ben messo e al suo fianco numerose rovine della vecchia ferrovia ci ricordano quanto fosse solitaria e avventurosa la vita degli operai e dei ferrovieri; poi la strada diventa molto corrugata, tra l’altro strani cartelli stradali indicano una pista laterale ancora più sconnessa e lenta con ondulazioni distanziate d’alcuni metri e profonde un metro, questo per chilometri. Dopo alcuni chilometri d’autentico supplizio torno sulla pista principale che è corrugatissima ed impone una velocità costante di almeno 80 km/h per galleggiare sulle ondulazioni.
All’ arrivo a Finke scopriremo che la pista laterale è utilizzata per una gara di fuoristrada ( auto e moto ) che parte da Alice Springs, ed è appositamente mantenuta con profonde ondulazioni. Noi da sprovveduti ne abbiamo percorso alcuni chilometri, ma abbiamo incontrato auto che se la sono fatta tutta !! Finke è una comunità aborigena e, come la maggior parte di questi centri abitati, non offre nulla d’attraente, faccio gasolio nello “store” e proseguiamo alla volta di Mount Dare.
Mount Dare è l’ultimo punto di rifornimento per chi vuole attraversare il Simpson Desert ed è tappa obbligata per noi e per gli altri avventurosi viaggiatori. Acquistiamo il “ Desert Pass” e siamo simpaticamente accolti da Melissa e Dave i due gestori del Pub, sono ragazzi simpaticissimi e innamorati della pace dell’outback; sono inoltre fonte di preziosissime informazioni.
Ceniamo e crolliamo nel sonno; la tenda è comoda e spaziosa, l’unico inconveniente è il tempo necessario ogni mattina per piegarla con cura per poter chiudere la custodia. Ci piace, però questa vita che ci permette ogni sera di conoscere nuove persone e scambiare quattro chiacchiere, incontreremo poi lungo la pista nel deserto e a Birdsville alcune persone conosciute qui.
Mattino, di buon ora riempiamo i serbatoi e la tanica di carburante fino all’orlo, ci aspettano 500 chilometri di deserto e abbiamo provviste per almeno 10 giorni. Una facile pista ci conduce fino a Dalhousie Springs, una sorgente d’acqua termale che forma un bellissimo laghetto tiepido. Ne approfittiamo per un tuffo e una passeggiata intorno alle sue rive popolate di una ricca fauna d’uccelli; la ricchezza d’acqua ha anche favorito una rigogliosa vegetazione. Prima di arrivare alle sorgenti percorriamo una strada immersa in un paesaggio lunare: le incrostazioni saline hanno lasciato una coltre bianca per molti chilometri.
Dopo uno spuntino affrontiamo l’inizio della “ French Line “ la pista diretta che attraversa il Simpson Desert da Ovest ad Est. Questa pista fu tracciata dai ricercatori di petrolio francesi negli anni sessanta e da allora è priva di manutenzione, è la rotta più diretta per Birdsville, ma è anche considerata la più difficile in quanto attraversa perpendicolarmente circa 1200 dune di sabbia, alcune delle quali davvero imponenti.
La prima parte fino a Purni Bore è abbastanza semplice, le dune non sono così impegnative, anche se piuttosto lenta a causa delle profonde corrugazioni, percorriamo i circa 70 km in circa due ore guidando in tutta rilassatezza. Facciamo anche il primo incontro con due dromedari selvatici che tranquilli camminano in mezzo al sentiero; l’apparizione è così improvvisa, scendendo da una duna, che solo il grido di Lucia ci salva da un tamponamento fuori programma. Chi pensa al deserto immagina subito un’immensa distesa di sabbia, quello Australiano ed il Simpson in particolare, però è diverso, le dune ( distanti tra loro da poche centinaia di metri fino ad un chilometro circa ) sono coperte da cespugli di spinifex e tra esse cresce anche qualche alberello. Noi siamo stati molto fortunati, le piogge dei mesi precedenti hanno favorito un’eccezionale fioritura e molte dune sono letteralmente coperte di fiori gialli, bianchi e azzurri, una vista bellissima.
Arrivati a Purni Bore ( cercando il petrolio i francesi hanno invece raggiunto con i sondaggi una falda d’acqua che sgorga abbondante a 80 gradi ) ci accampiamo sulle rive dello stagno. Oggi il flusso d’acqua è regolamentato, ma fino a pochi anni fa era libero ed ha creato uno stagno ricco di vegetazione e vita animale. Veniamo presto raggiunti da circa 10 motociclisti che con due auto di scorta attraversano il deserto, il tempo di qualche battuta e poi proseguono, li rincontreremo a Birdsville e scopriremo che si rifaranno la pista anche in direzione opposta.
Apro una parentesi: le dune corrono da nord a sud e a causa dei venti prevalenti hanno un approccio più facile percorrendo la pista da ovest verso est, mentre nella direzione opposta sono molto più ripide e difficili.
Rimaniamo soli nel deserto, nessuno all’orizzonte e ci prepariamo per la notte piazzando la tenda e raccogliendo legna per un fuoco serale. Attendiamo il tramonto in solitudine sorseggiando due fresche birre sulle rive dello stagno guardando la moltitudine d’uccelli che si avvicina per abbeverarsi, numerose impronte d’animali ci dimostrano la quantità di vita intorno a quest’oasi.
E’ una sensazione bellissima: siamo completamente soli, noi due in mezzo al nulla, il villaggio più vicino ad alcune centinaia di chilometri, un silenzio irreale rotto solo dal canto degli uccelli e dalle fronde mosse dal vento, ci sentiamo, però sicuri, questa è la sensazione che ci accompagna ormai da anni nelle nostre vacanze australiane, siamo soli, ma sappiamo che possiamo contare sulla solidarietà del primo passante magari domani o dopo ma nessuno si tirerà mai indietro dal darci una mano, la solidarietà è una parola d’ordine a centinaia di chilometri dalla civiltà.
Passiamo la serata davanti al fuoco, con una cena succulenta e dell’ottimo vino australiano. La Via Lattea è incredibilmente luminosa in questa notte buia priva di qualsiasi luce di fondo, mai viste tante stelle in cielo !! La notte passa veloce, cullati dal canto degli uccelli e dall’ululare di un dingo lontano, fino all’alba che ci coglie all’improvviso con una frizzante aria mattutina.
Ci aspetta una giornata impegnativa, la vera avventura inizia qui ed imponenti dune si vedono all’orizzonte. E’ necessario abbassare la pressione dei pneumatici per migliorare il galleggiamento ed affrontare la sabbia del deserto. La pista è davvero appena segnata e seguiamo le tracce delle auto che ci hanno preceduto; non è fatta manutenzione da anni e si sente, continui sobbalzi ci costringono ad un’andatura lenta, anche se per superare le dune più alte è necessario prendere la rincorsa, a causa dell’elevato peso della macchina e della ridotta potenza (per salire sulle dune occorre combinare coppia, velocità e galleggiamento); dopo vari tentativi scopro che la marcia più adatta è la seconda o la prima, l’uso delle ridotte non è necessario, anzi è più d’ostacolo che di beneficio, perché non permette di raggiungere le velocità adatte al superamento delle soffici dune sabbiose.
A mano a mano che si prosegue le dune si fanno sempre più alte e difficoltose ed in un paio di casi è necessario più di un tentativo per superarle. Tutto prosegue bene, a parte un preoccupante odore di frizione che ad un certo punto si avverte, un brivido mi assale: non sarebbe il massimo rimanere senza frizione in mezzo al deserto, aumento la cautela nella guida e cerco di cambiare il meno possibile, per sicurezza abbasso ancora la pressione delle gomme, sembra che funzioni e ci sentiamo più rilassati.
Alla sosta per il pranzo all’altezza di Colson Track Junction, una sgradita sorpresa: un paio di bottiglie di birra a causa degli sbattimenti continui si sono aperte e abbiamo il frigorifero con tre dita di liquido sul fondo. Ci mettiamo a fare pulizia ( sommaria lo ammetto) in mezzo al deserto; per i prossimi giorni mangeremo carne insaporita alla birra, non male comunque. A parte questo piccolo inconveniente il viaggio prosegue anche se lentamente; poco prima del tramonto ci accampiamo a poca distanza dalla pista su una duna che sovrasta un lago salato asciutto, nei pressi degli Approdinna Attora Knolls, che quando piove nella stagione del wet si trasforma in un acquitrino impossibile da superare, si vedono infatti profonde tracce nel fango seccato dal sole, di chi si è avventurato fuori pista quando il terreno era ancora intriso d’acqua. Tutto intorno, una distesa di sali che imbiancano il panorama.
Raccogliamo la legna per il fuoco e ci prepariamo per la notte; siamo davvero stanchi, in quasi otto ore di guida abbiamo percorso meno di centocinquanta chilometri, ma abbiamo visto dei paesaggi straordinari, in tutta la giornata abbiamo incontrato solo due auto che arrivavano in senso opposto e poi la totale solitudine. Se non fosse per il fuoristrada che non mi soddisfa appieno (a mio avviso è poco potente per il peso e le dimensioni, inoltre i guidatori precedenti non hanno avuto certo cura nel guidarla e la frizione ne ha pagato le conseguenze) tutto sarebbe perfetto. Ancora una cena davanti al falò, sotto un cielo pieno di stelle con un sottofondo di canti d’uccelli, circondati da fiori colorati, siamo soli in mezzo alla natura ed è indimenticabile.
Al mattino presto riprendiamo la strada destinazione Poeppel Corner, il punto d’incontro di tre stati: Queensland, Northern Territory e South Australia. Un cippo segnala questa curiosità geografica e dopo le foto ricordo dirigiamo l’auto verso nord costeggiando il fondo di un lago salato asciutto; in lontananza il vento solleva nuvole di polvere bianca e sale, un paesaggio quasi lunare. Raggiungiamo la Qaa line e voltiamo ancora verso Est. Circa cento chilometri ci separano dalla più alta duna che dovremo affrontare: la Big Red, quaranta metri di rossa sabbia.
Viaggiamo ancora solitari, le dune sono altrettanto alte e difficili come le precedenti ma ormai ci abbiamo fatto la mano e le superiamo senza particolari problemi, a parte l’incontro con l’unica auto della giornata che avviene sulla sommità di una duna, dopo alcune manovre che hanno il risultato di farci quasi insabbiare riusciamo a destreggiarci ed a proseguire.
Arriviamo alla Big Red nel tardo pomeriggio, siamo in dubbio se affrontare l’ultimo ostacolo subito o accamparci e rimandare il tutto a domani mattina. Milioni di mosche ci convincono a non rimandare la scalata.
Alla base della montagna di sabbia troviamo due fuoristrada comparsi dal nulla che come noi sono in procinto di affrontare il mostro rosso, la prima è un Payero con un potente motore a benzina e gomme da sabbia, in pochi istanti è sulla cresta e vediamo il guidatore esultare; io mi consulto con l’altro guidatore che come me ha un diesel pesante e poco potente, abbassiamo ancora la pressione ed affondiamo la salita seguendo le tracce nella direzione più diretta lasciate del fuoristrada appena salito. Entrambi ci fermiamo a metà della duna con la sabbia a metà delle gomme; retromarcia e si riprova con una pista più diagonale, esultando ci ritroviamo in cima alla rossa duna, dall’alto sembra ancora più alta, ce l’abbiamo fatta !!! il deserto è alle nostre spalle e lo ammiriamo dall’alto. Scendiamo dalla montagna di sabbia e ci avviamo verso Birdsville che ormai è a meno di quaranta chilometri; ma prima occorre rigonfiare almeno un po’ le gomme dovendo viaggiare su una pista pietrosa, ci mettiamo a lato e non appena transita un automobilista che mi vede trafficare con il cofano aperto, si ferma per chiedere se abbiamo bisogno d’aiuto, questa è solidarietà, solo dopo le nostre rassicurazioni prosegue. Arriviamo a Birdsville felici per l’impresa e al famoso Birdsville Hotel immancabilmente compreremo l’adesivo “ I crossed the Simspon to Birdsville” a ricordo della nostra impresa. Il campeggio è lungo il fiume e piazzata la tenda ci avviamo al vicino hotel dove incontriamo alcune persone viste a Mount Dare stupite nel rivederci e più tardi i motociclisti che si preparano per il ritorno del giorno dopo.
L’atmosfera è cordiale, quasi da vecchi amici accomunati dalla stessa voglia d’avventura, poi noi veniamo quasi festeggiati, non è comune che due “turisti” soli, con un fuoristrada a noleggio, affrontino quest’impegnativa attraversata. Infatti, a parte noi, solo carovane d’attrezzati fuoristradisti australiani affrontano quest’impegnativa traversata.
Dopo cena una visita al pub per terminare la serata con un brindisi insieme ai nuovi amici; il bar è pittoresco pieno di personaggi che hanno trascorso la vita in mezzo al nulla, tra lontane fattorie e allevamenti di bestiame, sono tutti molto cordiali però e non tardiamo a fare nuove conoscenze.
La stanchezza però ha il sopravvento e una volta in tenda crolliamo sfiniti.
Riprendiamo la strada il mattino dopo una buona colazione, ed una sorpresa: la Birdsville Bakery ci accoglie con un profumo di pane fragrante e facciamo il pieno anche di un pandolce ripieno d’uvetta che emana un profumo irresistibile. Un veloce giro per la cittadina ( 100 abitanti, a parte durante il periodo del “Birdsville race” quando il paese si popola di migliaia di visitatori ) ci fa scoprire alcuni cippi a memoria degli esploratori che a dorso di dromedario hanno affrontato l’attraversata del deserto negli anni 30 e 40.
Imbocchiamo la “ Birdsville Track” quasi 600 chilometri fino a Marree in mezzo al nulla, la distanza tra Milano e Roma su una pista sterrata e corrugata, tra le dune del Simpson Desert alla destra e le pietre dello Stony Desert alla sinistra; a parte il paesaggio incontaminato. Nulla di particolarmente attraente, l’unico diversivo è controllare la distanza tra l’inizio e la fine delle proprietà che attraversiamo, spesso i confini sono ad oltre 60 km tra loro, non male come allevamenti! Arrivati a Marree e piazzata la tenda ceniamo al vicino Marree Hotel come nel nostro primo viaggio nel 2001. Ottima cena ed atmosfera cordiale con alcune persone incontrate la sera prima a Birsdsville, e poi a letto, in genere è facilissimo fare conoscenze nuove, gli australiani sono veramente cordiali e facili alla battuta, basta solo qualche frase, ed una volta rotto il ghiaccio, la conversazione è immediata, molti si stupiscono dei nostri viaggi e di quanta Australia abbiamo visitato, spesso ci ritroviamo a spiegare ai locali le piste da percorrere e a descrivere i luoghi più interessanti.
Facciamo amicizia con una coppia di simpaticissimi pensionati della Tasmania che a bordo del loro piccolo camper si godono il buon clima del centro Australia, li incontreremo ancora diverse volte sulle strade nei prossimi giorni e sempre ci lasceremo con saluti e battute.
Marree una volta era un importante centro commerciale per il bestiame della regione, poi con la chiusura della ferrovia, la cittadina si è spopolata ed oggi è davvero una piccola comunità.
Dopo i rifornimenti riprendiamo la guida verso nord lungo l’Oodnadatta Track, avevamo già percorso questa pista anni fa, oggi decidiamo di prendercela molto comoda e visitare i tanti insediamenti e reperti della ferrovia che si trovano a poca distanza dalla strada.
Molti serbatoi in rovina e stazioni semidiroccate ricordano l’epopea della ferrovia, una linea molto sfortunata con i binari che spesso erano interrotti dalla pioggia che nella stagione umida cade copiosa. Da lontano inoltre si può osservare il Lake Eyre, il più esteso lago salato del continente, talmente grande che i primi esploratori lo ritenevano un mare interno. Il lago è lontano, a causa della prolungata siccità ed è circondato da una spessa crosta salina, ci ripromettiamo di raggiungere le sue rive domani, obiettivo odierno William Creek, lungo il percorso alcune interessanti soste: la prima Mutonia Sculpture Park, una strana raccolta di pezzi d’auto e camion nonché di due aerei appoggiati sulle code inoltre un serbatoio d’acqua trasformato in un animale e un mulino a vento che rappresenta un gran fiore, una stranissima raccolta d’arte. Poi la vista del lago salato da lontano e delle sue rive incrostate di sale; proseguendo arriviamo a Curdimurka Siding, una vecchia stazione che è stata totalmente restaurata, unica nel suo genere, dato che tutte le altre sono praticamente diroccate, interessante vedere come alcuni privati si siano dati da fare per mantenere vivo questo ricordo del passato.
Pochi chilometri più avanti e giungiamo a Mound Springs, una serie di sorgenti termali che con i loro depositi salini hanno creato un paesaggio unico, quasi lunare, le sorgenti hanno colori brillanti e una ricca vegetazione, la crosta di sale ha lasciato una serie di colori indescrivibili e odori d’anidride solforosa che aleggiano nell’aria.
Proseguiamo alla volta di Coward Springs, un’altra vecchia stazione della ferrovia che passata in mano ad una famiglia d’appassionati è stata totalmente e amorevolmente restaurata. Una sorgente termale è a disposizione dei passanti e l’acqua corrente ha creato un insediamento ricco di vegetazione e vita animale.
Più avanti Baresford e Stangways ricordano con le loro rovine i vecchi insediamenti.
Arriviamo a William Creek e una volta sistemati in campeggio facciamo quattro passi tra milioni, o forse miliardi, di mosche che come sempre scompariranno al tramonto; per il momento sono davvero noiose e ci rintaniamo nel pub per sfuggire ai loro attacchi. Il pub è ancora come lo ricordavamo, coperto dei biglietti da visita e souvenir dei passanti, scambiamo qualche battuta con i proprietari e arrivata l’ora di cena ritorniamo al campeggio per rifocillarci e prepararci per la notte.
La vita si svolge intorno al pub ed alla pista d’atterraggio, in tutto meno di venti abitanti sopravvivono alla solitudine e agli insetti a centinaia di chilometri dalla cittadina più vicina che è Coober Pedy.
Nei pressi c’è Anna Creek Station, 24.000 km quadrati il più grande allevamento di bovini allo stato brado del mondo, oltre 16.000 animali la popolano, ci vogliono ore per attraversarla.
Notte una volta tanto piovosa e il mattino ci accoglie con grigi colori. Richiusa la tenda, torniamo sui nostri passi verso Lake Eyre, giungiamo a Halligan Bay, il punto più basso del continente, 15 metri sotto il livello del mare. Il paesaggio è quasi spettrale con colori sbiaditi, forse anche a causa del grigio cielo, ma è davvero fantastico, solitario con il lago che biancheggia a chilometri di distanza e una ricca colonia d’uccelli che nidificano tra le dune, un posto indimenticabile nella sua desolazione; anche questa strada, oltre 50 chilometri separano questo luogo dall’Oodnadatta Track, è ricca di paesaggi e colline talvolta multicolori talvolta formate da rocce laviche nerastre, ma sempre coperte di fiori colorati, una vista davvero straordinaria.
Proseguiamo alla volta di Oodnadatta su una pista più corrugata che mai, sono oltre duecento chilometri di strada con ondulazioni alte qualche centimetro e distanti alcuni decimetri tra loro, è come guidare sopra un tetto ondulato e occorre mantenere una velocità costante abbastanza elevata per evitare che la mascella sbatta troppo violentemente contro la mandibola con effetti devastanti per la dentatura !! Anche su questo tratto di pista troviamo numerosi ricordi della vecchia ferrovia, in particolare degno di nota Algebuckina Bridge, un bellissimo esempio d’ingegneria ferroviaria dei primi decenni del secolo.
Ad Oodnadatta per prima cosa ci fermiamo alla famosa Pink Roadhouse, una nota di colore in mezzo al nulla, occorre rendere merito ai proprietari che si adoperano a fornire informazioni ai turisti e a collocare cartelli informativi e segnaletici su tutte le piste per centinaia di chilometri di raggio, abbiamo trovato le loro indicazioni in pieno deserto, davvero un impegno notevole.
La roadhouse è un centro d’informazioni e Adam e Linnie la coppia proprietaria del locale si adopera, davvero con dedizione, a fornire tante utili informazioni ai passanti.
Il campeggio è polveroso e piuttosto misero, d’altra parte siamo in mezzo al nulla e comunque troviamo tanta disponibilità e simpatia.
Una breve passeggiata alla scoperta del paesino ci porta alla vecchia stazione trasformata con passione in museo e alle costruzioni dedicate ai servizi pubblici.
Per essere una località così sperduta troviamo polizia, un piccolo ospedale e la scuola.
In passato Oodnadatta era un importantissimo centro commerciale, con la chiusura della ferrovia da anni è caduto nell’oblio, solo l’attività dei gestori della roadhouse mantiene alto l’interesse per la località.
Dopo una notte ventosa e fredda, il mattino ci dirigiamo verso ovest alla volta del Painted Desert, salutiamo i pensionati della Tasmania che ci cedono strada, dato che il loro piccolo camper viaggia lentamente sulla pista corrugata.
Il Deserto dipinto è davvero spettacolare, le formazioni sono multicolori e le gole offrono scorci affascinanti, all’arrivo incontriamo una coppia che sentendo la musica country australiana dalla nostra radio ci rivolge subito qualche battuta che prontamente ricambiamo; scopriamo che si tratta di una coppia di botanici arrivati da Melbourne alla ricerca di fiori del deserto. Li indirizzeremo verso Purni Bore, dove gli raccontiamo, abbiamo visto un’incredibile fioritura.
Il tempo però non è dei migliori e non ci permette di godere fino in fondo dell’incredibile paesaggio; torniamo sui nostri passi verso Oodnadatta, dove riforniamo serbatoi e ci rifocilliamo prima di proseguire il nostro viaggio verso nord.
Abbiamo deciso di passare la notte a Dalhousie Spings, ai confini del Simpson Desert e di chiudere così il cerchio intorno al deserto. La pista fino a Hamilton Station è sempre lenta e corrugata, poi peggiora ancora, diventa sassosa e sconnessa, il fondo stradale è formato da sassi grossi come pugni che rendono la guida faticosa e impegnativa e le nostre schiene ne risentono! Anche su questo tratto di strada numerose vestigia del passato fanno buona mostra di se, in particolare ricordiamo Perdirka, una vecchia stazione, e le rovine di Dalhousie, un insediamento d’inizio secolo ai confini del deserto, la cui particolarità è data dalle numerose palme che crescono nei dintorni, alberi di sicuro piantati dai cammellieri afgani che vivevano nella zona e attraversavano questi remoti territori con le loro navi del deserto, unico mezzo di trasporto tra Oodnadatta dove finiva la ferrovia, ed Alice Springs.
Dopo la visita alle rovine arriviamo alle sorgenti termali di Dalhousie Springs e appena sistemata la tenda nel bellissimo e affollato ( troppo per noi che ci siamo abituati alla solitudine ) campeggio ci tuffiamo nelle tiepide ed invitanti acque della pozza termale, una vera goduria essere immersi in questo tepore mentre l’aria diventa frizzante. Tornando verso l’accampamento vediamo un dingo che si aggira circospetto vicino alle tende, attirato probabilmente dal profumo di carne alla griglia cucinata da molti viaggiatori in procinto di attraversare il deserto il mattino seguente.
Poi una piacevole sorpresa, i due botanici sono arrivati ed hanno piazzato la tenda di fianco al nostro fuoristrada, dopo cena passeremo una piacevole serata intorno al loro fuoco, scambiandoci bicchieri di porto e biscotti fatti in casa da loro. Ci ha fatto molto piacere vedere che hanno seguito i nostri consigli, due italiani che spiegano ai locali dove andare !! Il mattino arriva in fretta e prima di muoverci un tuffo è d’obbligo, è troppo piacevole per non approfittarne ancora. Salutati i botanici, ci dirigiamo verso Mount Dare, salutiamo i gestori che ci accolgono con simpatia, raccontiamo le nostre avventure nel deserto e dividiamo con loro le nostre emozioni, sembrano davvero contenti nel rivederci. Dopo una birra gelata, via verso Finke dove transitiamo senza fermarci, vista la scarsa attrattiva della località. Imbocchiamo la pista verso Kulgera con l’intenzione di fare una deviazione verso il centro geografico del continente, una bellissima pista sabbiosa tra fiori multicolori ci conduce al Lambert Centre of Australia, un luogo davvero fuori mano ma incantevole, dove una replica dell’asta portabandiera del parlamento di Camberra segna il punto baricentrico del paese; se non fosse tarda mattina ci vorremmo fermare per la notte, ma poi decidiamo di tornare sulle nostre tracce verso la destinazione in precedenza designata. Scopriremo poi che ben pochi Australiani conoscono questo luogo e che a quasi tutti abbiamo dovuto spiegare sia la strada sia la storia della località.
Arrivati a Kulgera decidiamo una volta tanto di dormire tra le quattro mura di un motel per poterci finalmente godere di un letto vero e di una doccia privata.
Approfittando della comodità del luogo controllo a fondo le condizioni della macchina e scopro che i bulloni che fissano la tenda ai supporti sono allentati, probabilmente a causa dei tanti chilometri di scossoni e vibrazioni; tra le poche chiavi in dotazione all’auto manca quella della misura dei bulloni e allora mi rivolgo a due operai che occupano il cottage di fianco al nostro per chiedere in prestito gli attrezzi.
Non solo me li hanno dati, ma hanno provveduto ad aiutarmi o meglio a fare il lavoro per me! Alla fine ho dovuto insistere per poter offrire una birra ed ai miei ringraziamenti la risposta è stata bellissima ed indimenticabile: “Aiutare gli altri è come aiutare se stessi, oggi offro il mio aiuto a te, domani spero che se avrò bisogno qualcuno mi darà una mano” questa è la filosofia di questo popolo sempre disponibile.
Il mattino successivo proseguiamo alla volta d’Uluru, invece di dirigerci verso nord sulla strada asfaltata, ci dirigiamo per alcuni chilometri verso il confine tra Northern Territory e South Australia, per imboccare la Mulga Park Road, una pista che ci condurrà fino a Mount Conner per riprendere la Lasseter Hwy verso la nostra meta finale.
Questa pista è bellissima con orizzonti incantevoli e paesaggi incontaminati, la totale assenza di traffico, incontriamo, infatti, solo due macchine in oltre duecento chilometri di strada, permette agli animali di vivere indisturbati, incontriamo, infatti, famiglie di canguri rossi in mezzo alla pista, emù e cavalli selvatici, il tutto tra fiori multicolori e profumi intensi d’erbe aromatiche.
Dalla strada si vede in lontananza Mount Conner, una mesa che s’incontra prima di arrivare alla famosa Uluru, appare imponente, vorremmo raggiungerla, ma non esistono sentieri o piste aperte al pubblico pertanto siamo costretti a proseguire nostro malgrado.
Una rapida sosta a Curtin Spring Roadhouse prima di arrivare a Yulara, dove abbiamo deciso di concederci qualche notte di comodità affittando un piccolo appartamento.
Eravamo già stati ad Uluru e KataTjuta nel 2001 ma ci torniamo per goderci meglio e con più calma questi luoghi magici.
Sistemati nel nostro miniappartamento decidiamo di prenderci qualche ora di relax ai bordi della piscina del resort. Abbandoniamo dopo pochi minuti: l’acqua della piscina è gelata e delle minuscole zanzare o forse sandflies tormentano le nostre gambe; decidiamo perciò di andare verso Uluru per goderci il magico tramonto.
Parcheggiamo il fuoristrada e ci accomodiamo sulle nostre poltroncine nell’attesa del rito del sole che illumina il monolito che cambia di colore continuamente.
Gustandoci un bicchiere di chardonnay con salatini e formaggio assistiamo a questo spettacolo della natura, è indimenticabile ed indescrivibile quello che accade, i caldi colori del tramonto si susseguono, ai rossi seguono gli arancioni ed i viola, le macchine fotografiche scattano a mitraglia, siamo tutti uniti in questo rito serale.
Ceniamo nella nostra casetta e ci prepariamo per domani, ripetiamo il rito della passeggiata intorno al rosso monolito, per prima cosa torniamo verso la spaccatura della montagna, il Mutitjulu Walk che conduce ad una pozza d’acqua perenne dove gli antichi abitanti del luogo erano certi di trovare il prezioso liquido anche in piena stagione secca. Il cuore che la natura ha scolpito sulla montagna è lì come quattro anni fa e dall’alto domina la stretta gola, lungo il sentiero che conduce alla pozza numerose incisioni rupestri aborigene ricordano come la zona fosse e sia tuttora un importante e sacro luogo per la comunità aborigena.
Riprendiamo il nostro giro intorno al monolito che offre scorci sempre nuovi; siamo molto osservanti delle tradizioni locali e non approviamo la scalata alla montagna ed inoltre rispettiamo i tanti luoghi sacri che circondano il monolito; esistono, infatti, aree sacre sia agli uomini sia alle donne aborigene, dove è vietato sia l’ingresso sia lo scattare delle foto, non ci pesa per nulla rispettare le tradizioni e ci godiamo totalmente sia il paesaggio sia la moltitudine di fiori e d’uccelli che vivono tra gli alberi alla base della roccia. Oltre 10 chilometri percorsi a piedi intorno ad Uluru sembrano brevi tanta è l’energia che captiamo nella zona, un luogo davvero speciale che nonostante sia un’importante meta turistica noi ci sentiamo davvero soli al cospetto della natura.
Terminata la passeggiata, il Visitor Centre ci attende, la storia del luogo, come sia tornato in possesso dei suoi antichi abitanti, la comunità aborigena Anangu che abita la regione da oltre 22.000 anni, naturalmente, tutte le attività commerciali sono gestite dai bianchi, ma è importante sapere che la gestione della zona è in mano al consiglio degli antichi proprietari.
Nel pomeriggio facciamo provviste nel locale supermarket, filetto e salsicce di canguro, costolette e fegato d’agnello vanno a riempire il nostro frigorifero che dalla partenza da Alice Springs si era via via svuotato.
Il tramonto ci spinge sulla collinetta centrale del villaggio dalla quale si gode da lontano il fenomeno dei colori cangianti sulla roccia d’Uluru, all’orizzonte la sagoma delle gibbosità di Kata Tjuta, la nostra meta di domani, assume colorazioni infuocate.
Cena succulenta e notte di tutto riposo in attesa del domani.
Ci piace essere mattinieri per vedere i colori caldi del mattino pertanto già di buonora percorriamo i 50 chilometri che ci separano da queste formazioni rocciose, “le tante teste” come sono chiamate nella lingua locale.
Anche queste colline sono un luogo sacro per gli aborigeni uomini ed alle donne locali è vietato l’ingresso nell’area; per tutti noi visitatori, è vietato abbandonare i sentieri tracciati. Ci affascinano particolarmente questi luoghi, si respira un’aria mistica e misteriosa, e se non fosse per un gruppo di spagnoli starnazzanti ( gli iberici sono gli unici ad essere più rumorosi delle compagnie d’italiani all’estero ! ) l’atmosfera sarebbe quasi sovrannaturale. Percorriamo con calma e con la voglia di scoprire tutti gli scorci di queste montagne, i 7 chilometri della “ Valley of the wind” un sentiero che tra gole e praterie permette di scoprire prospettive straordinarie con la roccia che assume con il cambiare della luce, colorazioni sempre più calde. E’bello non essere assillati dall’orologio e poter gestire il tempo a proprio piacimento. Terminata la lunga passeggiata torniamo al parcheggio per uno spuntino e cosa più unica che rara facciamo conoscenza con una coppia d’Italiani davvero simpatici, che come noi stanno percorrendo piste e sentieri con un fuoristrada simile al nostro per gustare la solitudine e gli spazi infiniti di questo continente. Scopriamo una grande affinità d’interessi, davvero un bellissimo incontro.
Proseguiamo con loro alla volta dell’altra camminata: la Walpa Walk, abbastanza breve ma interessante che s’introduce in una gola che si stringe sempre più, ma permette una vista ravvicinata sulle rocce rosse.
Ci accomiatiamo dai nostri nuovi amici per fare ritorno verso Yulara per una visita al supermercato al fine di riempire il frigorifero in vista dei prossimi giorni.
Dopo una notte di riposo, si riparte alla volta di King’s Canyon, altra località che nel nostro primo viaggio abbiamo visitato solo sommariamente e velocemente; oggi invece abbiamo tutta la giornata a disposizione e arrivati prima di mezzogiorno, dopo un leggero spuntino affrontiamo la dura salita che porta sulle rocce che sovrastano la gola. E’ anche in questo caso, con uno sforzo ripagato da scenari mozzafiato raggiungiamo un luogo straordinario tra le rocce; gli agenti atmosferici e lo scorrere dell’acqua, hanno scavato la “ Valle dell’Eden” un giardino meraviglioso incassato tra rossi dirupi, dove crescono palme, felci e alberi rigogliosi, il tutto tra melodiosi canti d’uccelli. Un luogo incantato. Torniamo sul calar della sera al campeggio del King’s Canyon Resort dove, dopo cena, trascorreremo la serata nel locale pub dove si esibisce una coppia di cantanti folk-country che ci allieteranno per un paio d’ore prima di crollare nella tenda.
Riprendiamo la pista ridiventata sterrata, la Meerenie Loop fino a Hermansburg; la pista è piuttosto maltenuta, ce la ricordavamo meglio tenuta e ancora una volta tra nuvole di polvere rossa dobbiamo fare i conti con le noiose corrugazioni, per fortuna i paesaggi sono incantevoli e gli incontri con tanti animali selvatici, dromedari, cavalli, canguri ci fanno dimenticare ogni fatica. Visitiamo la missione costruita alla fine dell’ottocento in questa remota località che ha dato i natali al più importante e famoso pittore di paesaggi australiano, l’aborigeno Albert Namatjira. Dopo una una sosta allo store per acquistare qualche bibita fresca, proseguiamo alla volta di Palm Valley; 20 chilometri di pista sul letto del fiume per raggiungere una gola, scavata dalle acque, dove vive una rara specie di palma rimasta immutata dai tempi preistorici: la Livistonia Mariae, che sopravvive in quest’arido ambiente grazie alla costante presenza d’umidità e d’acqua sotterranea. Facciamo una lunga camminata tra banchi di sabbia, palme altissime e pozze d’acqua nelle quali alcune famiglie d’aborigeni sono intenti a raccogliere molluschi e pescare i piccoli pesci intrappolati in pochi centimetri d’acqua.
Riprendiamo la strada verso il campeggio che si trova ad alcuni chilometri di quella pista impegnativa che passa sul letto del fiume tra banchi di sabbia e lastre di roccia, un lento procedere per raggiungere dove accamparci, una volta tanto ci troviamo in un luogo davvero pieno di macchine e persone, facciamo quasi fatica a trovare uno spazio per piazzare il fuoristrada e la tenda. Attendiamo il tramonto sulle rive di un laghetto, tra le sinfonie del canto degli uccelli ed i colori caldi del sole che sta calando, il tutto sorseggiando una buona birra gelata.
Ceniamo di fianco ad un caldo fuoco in compagnia di una coppia di simpatici australiani con i quali dividiamo il tepore del falò ed un bicchiere di porto.
Al mattino veniamo svegliati da una famiglia di verdi pappagalli che hanno il loro nido in una cavità di un albero proprio di fianco alla nostra tenda.
Ripercorriamo la lenta pista sabbiosa, anche se devo ammettere che la scorsa volta mi sembrava difficilissima, oggi con la maggiore esperienza è quasi un divertimento.
Riprendiamo la strada verso Alice Springs e lungo il percorso, una deviazione ci permette di giungere a Wallace Rockhole, una comunità aborigena davvero ben tenuta, forse la più ordinata che abbiamo attraversato, orgogliosa di avere vinto per diversi anni riconoscimenti per la pulizia e l’ordine.
Una passeggiata ben segnata ci permette di scoprire una serie di pitture rupestri e spiegazioni sull’utilizzo delle piante medicinali e alimentari utilizzate dalla popolazione aborigena.
Arriviamo ad Alice Spings, e nell’attesa della riapertura dei negozi per rifornire l’ormai vuoto frigorifero torniamo da Bojangles per uno spuntino, e qui avviene una scenetta simpatica: mentre attendiamo i nostri piatti, sento una voce che in italiano chiede spiegazioni al personale sui cibi, in particolare la parola “provolone” risveglia la mia attenzione, naturalmente nessuno nel ristorante capisce l’italiano e la strana conversazione prosegue per alcuni istanti, poi mi avvicino in aiuto d’entrambe le parti; la coppia d’italiani, probabilmente in viaggio di nozze, cercava piatti vicini ai loro gusti, purtroppo il menu non offriva prosciutto, e nemmeno provolone!! Traduco la lista dei piatti e propongo loro di assaggiare qualcosa di tipico, esempio carne d’emu affumicata o spiedini di canguro, coccodrillo e dromedario, mi guardano quasi schifati, non li hanno mai assaggiati e non intendono provare nulla che non sia noto come sapore, e ripiegano su una normalissima bistecca, contenti loro!!! Li saluto e nel ringraziarmi si congratulano con me per come parlo bene L’ITALIANO!!! spiego che sono Italiano e allora mi chiedono da quanto tempo vivo in Australia !!! Probabilmente li deludo, quando confido loro che sono un viaggiatore innamorato di questo continente.
Il barista Cesar, simpaticissimo, per ringraziarmi dell’aiuto mi offre una birra gelata !! Sono davvero ospitali questi ragazzi australiani! Prenoto un tavolo per, quando saremo di ritorno nei prossimi giorni.
Apro una parentesi sull’alimentazione, forse io e mia moglie siamo esagerati nell’adattarci alle diverse abitudini alimentari e non sentiamo per niente nostalgia dei nostri cibi, forse siamo abituati a viaggiare ed amiamo assaggiare quello che troviamo, ma non capiamo le persone che vorrebbero trovare una piccola Italia ovunque siano nel mondo; ho sempre sentito da parte dei nostri connazionali grandi lamentele riguardo cibi, sempre alla ricerca di pasta, spaghetti e caffè, per poi lamentarsi che i sapori non sono quelli di casa! I cibi ed i sapori fanno parte della cultura di un popolo, non si possono esportare ne importare ricordiamocelo.
Dopo questa simpatica scenetta e la visita al supermercato, riprendiamo la Stuart Hwy in direzione sud alla volta di Rainbow Valley; lasciata la strada asfaltata, una pista sabbiosa arriva in questa splendida località. Piazziamo il fuoristrada nel piccolo campeggio proprio di fronte alla formazione rocciosa.
E’ ancora presto per lo spettacolo del tramonto che donerà alla roccia colori affascinanti, facciamo pertanto una lunga passeggiata ai suoi piedi e scopriamo che i vari strati colorati sono formati da sabbie che nel corso dei millenni si sono consolidate e la presenza d’ossidi di ferro ha conferito colori gialli, rossi e arancioni. Dalla base della piccola montagna un “claypan”, in altre parole, una distesa d’argilla secca che nella stagione delle piogge diventa una riserva d’acqua, ci separa dalla nostra auto, ci accomodiamo con una birra fresca e aspettiamo il calar del sole tra colori indimenticabili. Cena a base di fegato appena comprato, che cuciniamo con vino rosso e aromi, un sapore fantastico.
Vicino al fuoco facciamo conoscenza con una coppia di ragazzi danesi e passiamo il dopo cena chiacchierando e dandoci reciproci suggerimenti sulle località vicine.
Riprendiamo la strada dopo una notte di riposo e ci dirigiamo ancora verso sud. A Kulgera torniamo verso Finke con l’intenzione di viaggiare poi sulla “Old Andado Track” una pista bellissima, che corre parallela alle dune del vicino Simpson Desert. Il paesaggio è incontaminato e la sensazione è quella d’assoluta solitudine, siamo tra lunghissime dune di sabbia e la strada corre parallela ad esse per decine di chilometri per poi superarne una e riprendere il percorso sempre tra rosse montagne di sabbia.
La pista non è molto impegnativa ed arriviamo all’Old Andado Homestead, uno dei primi insediamenti d’allevatori nella zona. Doveva essere davvero dura la vita all’inizio del secolo da queste parti, non esiste neanche oggi alcuna comodità, siamo lontani dalla civiltà, oggi raggiungibile in poche ore di viaggio in fuoristrada. All’epoca, quando questi veloci mezzi di trasporto non esistevano, per raggiungere Alice Springs occorrevano giorni di viaggio.
La fattoria, costruita negli anni 30 con lamiere ondulate, è stata abitata fino a pochi mesi fa da Molly Clark, un’arzilla signora, che dopo aver vissuto in questa casa conducendo insieme al marito la fattoria e l’allevamento di bestiame, ha trascorso gli ultimi anni accogliendo i passanti ed offendo loro ospitalità e la possibilità di visitare la casa.
Ora che la signora si è dovuta ritirare in una casa di riposo vista l’età, la casa per sua volontà è rimasta aperta a tutti i viaggiatori che possono rendersi conto di cosa volesse dire vivere ai confini del deserto ( questa casa è la più remota tra le dune del deserto della regione ) ed è esattamente come se chi l’abita si fosse allontanato per pochi minuti, la dispensa è ancora rifornita; tutti i soprammobili sono al loro posto, come i libri, i letti fatti, la cucina con tutte le suppellettili, il telefono funzionante. Incredibile ma sul tavolo un vaso pieno di dollari è in bella mostra insieme alla richiesta di lasciare un’offerta per i Flying Doctors, di fianco un altro vasetto per lasciare i cinque dollari richiesti per campeggiare nel piazzale antistante alla casa, in altri paesi probabilmente non ci sarebbero più nemmeno i vasetti, qui nessuno tocca nulla, nemmeno le scatole di conserva nella dispensa ordinatamente riposte in bella mostra.
Personalmente mi ha stretto il cuore entrare in questa casa, è come violare qualcosa costruito e vissuto con amore e passione, come violare la privacy di una persona e scoprire i suoi segreti tra le foto sul caminetto e gli album sui tavolini, tra le lettere sullo scrittoio e le fatture ordinate nei raccoglitori; mi sono venute le lacrime agli occhi pensando a quanto Molly Clark deve aver amato questo luogo per lasciarlo vivere anche in sua assenza, esistono anche cinque o sei bungalow, con i letti ancora fatti dove i passanti potevano alloggiare! Incredibile come tutto sia intatto ed inviolato, spero che tutti abbiamo rispetto di questo luogo.
Passiamo la notte davanti alla casa, davanti al fuoco sentiamo un dingo in lontananza e più tardi ne vedremo uno avvicinarsi con circospezione e timore alla nostra tenda, probabilmente attratto dal profumo di carne alla piastra che stiamo cucinando.
Notte piena di stelle con un silenzio totale, fino ad un’alba infuocata dal sole che fa capolino sorgendo dalle dune.
La pista prosegue verso nord ed il prossimo obiettivo è il Mac Clark Conservation Reserve, un piccolo parco naturalistico a 10 chilometri dalla pista principale, voluto dal marito di Molly, per preservare una rara specie d’albero, l’Acacia Peuce, che cresceva numerosa nei secoli passati nella zona ma che bovini e soprattutto gli allevatori hanno decimato i primi mangiando le cortecce, i secondi utilizzando il duro e resistente legno. Sul visitor book una sorpresa, Antonio e Gloria, due ragazzi di Bologna con i quali avevo avuto una lunga corrispondenza riguardo mie precedenti esperienze su percorsi che loro avrebbero affrontato nel viaggio, erano passati solo il giorno prima, peccato non esserci incontrati.
La pista verso Alice Springs è piuttosto lenta ed in certi tratti molto corrugata e talvolta banchi di sabbia appaiono all’improvviso, la prima volta talmente inaspettati, mentre il mio sguardo spaziava all’orizzonte, che per poco non m’impiantavo nella soffice superficie, dato che ero entrato con una marcia troppo alta; la fortuna mi ha aiutato e proseguo con maggiore attenzione per evitare trappole e “sabbie mobili”.
Giungiamo a Santa Teresa, una comunità aborigena, ma è talmente misera che proseguiamo subito direzione East Mac Donnell Ranger passando per Alice Springs. Una breve sosta per fare il pieno e via, con l’intenzione di arrivare a Ruby Gap, una profonda gola scavata dal fiume caratterizzata dalla presenza di pietre dai colori vivaci nella roccia; in passato erano addirittura state scambiate per rubini e da qui il nome. Per un primo tratto la strada è asfaltata, poi diventa sterrata fino ad Artlunga e da qui una dissestata e lenta pista, sabbiosa nel letto del fiume con rocciose e difficili uscite dagli argini, porta fino alla riserva di Ruby Gap, una zona selvaggia e remota ma che dona spettacolari scenari.
Arriviamo all’ingresso del parco naturale, mentre il sole sta calando all’orizzonte e ci addentriamo solo un poco lungo il letto sabbioso del fiume asciutto, ci accampiamo sulla sua riva e prepariamo il fuoco con la legna che come tutti i giorni abbiamo raccolto lungo la strada. La notte è fredda e luminosa con una Luna che illumina il paesaggio, ci godiamo il falò, soli in mezzo al nulla, ancora una volta lontani da ogni forma di civiltà, e dopo cena ci prepariamo per il meritato riposo dopo tanta ed impegnativa strada percorsa. Arriva il mattino e ci rimettiamo in marcia, dopo una breve passeggiata lungo i banchi di sabbia dorata rientriamo lentamente verso Artlunga, una riserva storica (consideriamo che data la recente esplorazione del continente è ritenuto storico in Australia tutto ciò che ha più di un secolo di vita) nel luogo in cui, tra la fine dell’ottocento e i primi decenni del novecento, trovarono giacimenti d’oro e fu fondato un piccolo villaggio minerario per la lavorazione del prezioso metallo. Visitiamo le costruzioni in parte restaurate e i due cimiteri dove riposano minatori e funzionari della società mineraria delle più diverse nazionalità. Una visita interessante e istruttiva sulle difficili condizioni di vita dei pionieri, alcuni dei quali hanno camminato per oltre 600 chilometri per raggiungere questa zona con il miraggio della ricchezza, ed allora non esistevano nemmeno quelle rudimentali piste che abbiamo percorso noi. Proseguiamo all’inverso sulla strada percorsa ieri, ci fermiamo brevemente a visitare i luoghi d’interesse segnalati: Trephina Gorge, Corroboree Rock una strana formazione rocciosa solitaria nel bush, Emily e Jessie Gap tutti posti piacevoli ma data la vicinanza con la città certamente troppo affollati per i nostri gusti; rientriamo ad Alice Springs sotto una pioggia battente che ci spinge a trovare alloggio in un hotel sicuramente più asciutto! Ceniamo finalmente, dopo tante sere trascorse in mezzo al nulla, in un ristorante comodamente seduti e serviti.
Dopo una notte passata in un comodo letto siamo pronti per ripartire, come prima destinazione decidiamo di addentrarci un po’ sul Tanami Track, una pista che attraversando l’omonimo deserto porta nel Western Australia, percorriamo qualche decina di chilometri in mezzo al bush in totale solitudine.
Il primo tratto della strada è asfaltato solo nella parte centrale, in una singola corsia, se s’incrocia una vettura occorrere uscire dalla parte asfaltata con mezza macchina per passare, strano modo di viaggiare, ma data la totale mancanza di traffico non rappresenta alcun problema.
La pista prosegue poi sterrata fino a Tilmouth Roadhouse, da qui in avanti inizia il vero deserto, ma ci riserviamo il viaggio per una prossima volta.
Ritorniamo sui nostri passi con l’intenzione di raggiungere, seguendo delle piste secondarie, Glen Helen; dopo ore di tentativi, imboccando piste che si perdono immancabilmente nel nulla per la prima volta in tanti viaggi e in tante piste percorse, desistiamo dal nostro intento, non sarebbe piacevole farsi sorprendere dalla notte senza aver raggiunto la nostra meta. Rientriamo perciò ad Alice Springs, anche perché il cielo si sta rannuvolando in maniera preoccupante.
La serata passa tra scrosci di pioggia, siamo contenti di aver trovato una camera di hotel che ci permette di stare asciutti, ceniamo all’Ochre Pits Restaurant tra fiumi di pioggia.
Passata la notte imbocchiamo la strada che conduce verso i West Mac Donnell Range, purtroppo la giornata si annuncia grigia e piovosa e tra nuvole e scrosci d’acqua superiamo il monumento al reverendo John Flynn, il fondatore di un servizio, The Royal Flying Doctors, che ha avuto inizio nel lontano 1928 offendo assistenza sanitaria a miglia di persone lontane da ogni forma di civiltà, tale servizio ancor oggi è fondamentale per tanti abitanti dell’outback che in caso di necessità possono contare su questo prezioso aiuto.
Subito dopo la deviazione verso Simpson Gap, una fenditura nella montagna, sui cui versanti vive una colonia di Blackfooted Rock Wallabies, una specie molto rara che abbiamo la fortuna di vedere prima che l’aumentare della temperatura li faccia rintanare in luoghi inaccessibili.
Il tempo è inclemente e scrosci di pioggia ci obbligano a proseguire senza rivedere i luoghi che già abbiamo visitato anni addietro.
Per fortuna, arrivati ad Ochre Pits, luogo sacro agli aborigeni dove ancor oggi raccolgono e polverizzano i sedimenti d’ocra multicolore che utilizzano per tingere il loro corpo e gli strumenti della vita quotidiana. Proseguiamo fino a Redbank Gorge, una stretta gola scavata nel corso dei millenni dalle acque del fiume Finke che offre pozze perenni e una bella passeggiata sulla sabbia dorata tra i bianchi tronchi di Gum Tree e i canti dei pappagalli che li abitano. Il tempo però è inclemente e ci costringe a tornare verso Glen Helen; avevamo deciso di trascorrere qui la nostra ultima notte in tenda, ma la pioggia continua ci suggerisce di trovare una sistemazione nel resort, identico a come lo ricordavamo dopo avervi soggiornato nel 2001, l’hotel rappresenta uno dei primi esempi di complessi turistici nel territorio, la sua costruzione risale, infatti, negli anni 50, quando il turismo di massa non era ancora nato e raggiungere questa remota località significava affrontare un impegnativo viaggio. Sistemati nella nostra camera troviamo il tempo per visitare la gola che anche in questo caso offe un bellissimo specchio d’acqua popolato da aironi e pappagalli.
Le rive, sono abitate da famiglie di wallabies e da lontano, li vediamo saltellare di roccia in roccia. La serata è particolarmente fredda ed umida ma il vento sta spazzando via le nuvole e la luna piena sorge all’orizzonte; cuciniamo per l’ultima volta sul barbecue che il resort mette a disposizione degli ospiti, com’è d’abitudine in molti hotel australiani. Passata la notte nella comoda camera, riprendiamo la strada verso Alice Springs: la mattina si presenta fresca ma serena, così prima di muoverci una bella passeggiata verso la gola ci permette di vedere il risveglio della natura, tra il canto melodioso d’uccelli ed il volo di tanti pappagalli rosa e verdi.
Ritorniamo a passeggiare sulle rive prima sabbiose poi rocciose d’Ormiston Gorge tra pellicani e cormorani che si scaldano al sole sui massi, i colori sono caldi nel sole del primo mattino, ma l’aria è ancora frizzante; proseguiamo verso Serpentine Gorge dove per raggiungere la gola è necessaria una lunga passeggiata sul letto asciutto del fiume. Una ripida arrampicata ci permette di raggiungere la sommità della parete della stretta vallata, la vista è spettacolare e ripaga della fatica necessaria per godersela, tutto intorno una natura selvaggia a perdita d’occhio, non è visibile alcuna traccia d’opere umane, insomma è come fare un balzo indietro di millenni.
Proseguiamo verso Ellery Creek Big Hole e Standley Chasm, quest’ultima con la caratteristica gola larga in certi punti solo pochi metri, con le pareti altissime che si stringono verso l’alto, sono davvero impressionanti e se non fosse per la folla di turisti, data la vicinanza con la città, la passeggiata sarebbe davvero tra il silenzio totale.
Pranziamo chiacchierando con una famiglia australiana, scoperta la nostra nazionalità l’argomento passa sui nostri viaggi nel loro paese e quasi li sorprendiamo con i nostri racconti per la quantità di luoghi da noi visitati nel corso delle nostre vacanze precedenti; alla fine dello spuntino chiedono loro a noi, indicazioni sulle località visitate e sulle strade da percorrere!! Il nostro viaggio finisce ad Alice Springs, verso sera e sistemati in hotel ci prepariamo per una cena succulenta. Abbiamo ancora un giorno da dedicare allo shopping sul mall tra gallerie d’arte aborigena e negozi d’abbigliamento, e alla visita di un bellissimo Alice Springs Cultural Precint, un centro culturale che raccoglie mostre di dipinti e sculture, un bellissimo museo di storia naturale e l’hangar originale della Connellan Airways, la prima compagnia aerea australiana, per anni ha garantito sia i collegamenti sia il servizio postale nella gran parte del paese, raccoglie anche i resti di uno sfortunato aereo caduto nel Gibson Desert, mentre era impegnato nella ricerca di un altro aeroplano disperso nella zona. Il primo equipaggio, composto di un famoso pilota e dal suo meccanico, dopo infiniti sforzi e tentativi di riprendere il volo non sono riusciti a sopravvivere in quel luogo inospitale con temperature oltre i 50 gradi, quello che stavano cercando invece è stato più fortunato, storie d’altri tempi, quando non esistevano le radio e la solidarietà era la base della sopravvivenza. Nel vicino cimitero dei pionieri, oltre alla tomba del grande pittore Albert Namatjira, in un angolo tra le palme sono sepolti alcuni cammellieri afgani che hanno contribuito alla vita in questa parte del paese, quando il dromedario era l’unico mezzo adatto a superare le asperità del deserto che circonda la città.
Restituiamo il fuoristrada con il contachilometri che segna 6.330 chilometri percorsi, di cui oltre 5.000 tra piste e sentieri, e con una sospensione rotta, felici di aver portato alla conclusione quello che per noi è stato il viaggio più impegnativo nel paese.
Passiamo l’ultima sera cenando da Bojangles, tra musica australiana e montagne d’arachidi a disposizione dei clienti.
E’arrivata la mattina della partenza, giungiamo in aeroporto circa un’ora e mezza prima della partenza del nostro volo, e siamo sorpresi nel trovarlo aperto ma completamente deserto, deserti i banchi per il check in, deserte le sale d’aspetto, deserti i parcheggi, silenzio totale. Piano piano con la solita calma che contraddistingue la popolazione, australiana l’aeroporto incomincia a popolarsi solo mezzora prima della partenza del volo, cose che solo qui possono accadere!! Tutto funziona bene, efficacemente ma senza clamori, senza stress, senza inutili perdite di tempo, un altro aspetto piacevole di questo grande paese.
Il volo verso Perth sorvola ancora una volta quella meravigliosa e selvaggia parte del continente, deserti interrotti dai letti di fiumi asciutti, laghetti dai mille colori e la magia d’Uluru e Kata Tjuta lasciandoci nel cuore tante visioni indimenticabili. Poi Perth, qualche ora in aeroporto in attesa del volo per Dubai dove ci godremo 3 giorni da mille ed una notte in quell’incredibile costruzione che è il Burj Al Arab, finalmente solo riposo e comodità dopo quasi un mese in mezzo al nulla.
Questo viaggio ci ha permesso di scoprire degli angoli incontaminati, di godere dei silenzi e delle notti stellate, di incontrare persone aperte, simpatiche e cordiali, di affrontare piccole difficoltà e la mancanza di comodità, di conoscere la disponibilità e la solidarietà della gente; insomma è stato quello che ci ha fatto entrare più in profondità nella società e nel modo di vivere di questo meraviglioso continente.
Soffriamo di mal d’Australia e già stiamo pensando alla prossima avventura, ci sono ancora tante piste da percorrere e luoghi da sogno da raggiungere… Australia aspettaci torneremo presto da te.
Claudio MAarchesi, Milano