Assedio di Santorini

Due sbiellate sulle sacre orme degli antichi Greci… “L’insulomania è descritta come una sofferenza spirituale rara e sconosciuta. Ci sono uomini per i quali le isole sono in qualche modo irresistibili; la conoscenza che riescono ad ottenere di qualcosa di esse, di questo piccolo mondo chiuso e circondato d’acqua, li colma di...
assedio di santorini
Partenza il: 16/08/2005
Ritorno il: 31/08/2005
Viaggiatori: in coppia
Spesa: 2000 €
Due sbiellate sulle sacre orme degli antichi Greci… “L’insulomania è descritta come una sofferenza spirituale rara e sconosciuta. Ci sono uomini per i quali le isole sono in qualche modo irresistibili; la conoscenza che riescono ad ottenere di qualcosa di esse, di questo piccolo mondo chiuso e circondato d’acqua, li colma di un’indescrivibile ebbrezza. Questi insulomani nati sarebbero diretti discendenti degli abitanti di Atlantide, e il loro subconscio aspirerebbe ardentemente alla vita insulare.” Lawrence Durrell, scrittore inglese e viaggiatore appassionato , in “Riflessioni di una Venere marina”, appuntate durante la circumnavigazione di Sporadi e Cicladi Tutto comincia qui. Dalla terra. Riarsa, infuocata, sventrata dalla più grande eruzione vulcanica della storia. Cosparsa di ferite evidenti, sfacciate. Sfigurata per sempre, eppure bellissima. Croce e delizia di un popolo egocentrico, fortemente individualista, burbero, emotivo fino all’eccesso, pieno di fantasia, tenero come un bimbo quando gli doni la tua umanità sfiorandogli dolcemente un braccio mentre gli parli, profondamente semplice e quasi adorante se sente che lo sei anche tu, con una poderosa capacità di adattamento a quello che una storia convulsa e ricca di avvenimenti e una natura ferina gli hanno allestito attorno… Lo scrittore di viaggi Patrick Leigh Fermor definì il mondo greco “un inesauribile vaso di Pandora di stravaganze”. Conciso, esaustivo, promettente…

L’equipaggio è essenziale: due, brutalmente da Neuro. L’allestimento del viaggio nei minimi dettagli, che è la parte migliore, in cui pregustare lentamente ciò che verrà, ha richiesto mesi di elaborazione e trattative estenuanti sulle modalità d’uso: la Rigida, viziata fino al midollo sin dalla nascita, avvezza ai villaggi all inclusive con massaggio cervicale in camera, ninna nanna e colazione a letto, sognava un soggiorno patinato al KATIKIES HOTEL , albergo spaziale in bilico sulla caldera ad Oìa, assaporato virtualmente per ore su Internet con la bava alla bocca, per pagare il quale avrebbe finito col piazzare per sempre la casa e l’auto in un provvidenziale Banco dei Pegni… La Morbida, sin dalla più tenera età nota campeggista fai da te no Alpitour ahi ahi ahi, allergica a ogni forma di escursione di gruppo con pappagallo incorporato che ti dice cosa fare, perché e a che ora, una vera lottatrice di sumo nei meandri dell’ignoto improvvisato senza rete, bramava la consueta, cara sistemazione al semiaddiaccio, sotto le stelle, con ragni giganti penetranti la tenda appena ti distrai un attimo magari per dormire tre minuti, infiltrazioni d’acqua assicurate in caso di tsunami e rigorosa coda in bagno per lavarsi i denti… Sulle prime era molto decisa, apparentemente irremovibile; bofonchiava di autentico, vero modo di viaggiare a contatto con la gente del luogo, totalmente liberi nelle scelte, nei tempi e negli intenti, immersi fino al collo nella realtà locale; alla fine l’aveva buttata sulla sfida, e la Rigida, orgogliosa come un caprone delle montagne, non aveva potuto resistere: era già pronta ad allestire una canadese nel giardino di casa, per allenarsi con tecniche di autoipnosi e yoga a sopravvivere alla devastante esperienza di infilarsi i jeans in posizione supina per mancanza di spazio in altezza all’interno della tenda… Poi, un’intensa settimana di riflessioni e ragionamenti estremamente saggi e nobili della Morbida (più che altro la visione da incubo diurno dell’altra che dirama nello spazio a ritmo costante e serrato irriproducibili improperi di sopportazione per tutto il tempo del viaggio…) l’avevano costretta a pronunciare suo malgrado la magica parola “appartamento”… Salvata in corner, anche se un po’ contrariata al pensiero di dover lavare i piatti in vacanza, la Rigida si era lanciata a capofitto nella ricerca spasmodica di tour operator in grado di soddisfarla; le eroiche, resistentissime fanciulle DELL’AGENZIA “TODOS VIAGGI” DI VENARIA REALE (TO), torturate per ore anche di notte (via fax!!), erano riuscite a procurarle dei cataloghi pieni zeppi di studios e appartamentini a disposizione sull’isola; il mostro di Loch Ness aveva poi proseguito in proprio nella consueta attività di procacciamento di materiale sul paese di destinazione, fotografico e non, praticamente tutto lo scibile umano esistente sull’argomento, individuato e fagocitato in pochi giorni…Al momento della partenza, era in grado di estrapolare in qualsiasi istante ed evenienza dall’immancabile zainetto (arancione…Argh…!) cartine dettagliatissime, disseminate di miriadi di puntini rossi indicanti i ristoranti segnalati nelle principali diciotto guide turistiche sulla Grecia pubblicate in Italia; oppure puntini azzurro mare segnalanti le spiagge preventivamente visionate al microscopio in foto e selezionate da lei in base alle proprie personali, vergognose esigenze (cioè sabbia rigorosamente bianca come il latte ed extrafine, acqua bassa per almeno 200 m dal bagnasciuga perché non sa nuotare, spiaggia attrezzata di tutto punto con pranzo servito sotto l’ombrellone con sottofondo di tipici canti greci e buonanima di Antony Quin che balla il sirtaki come Zorba il Greco…); infine, puntini verde pisello ad identificare i siti archeologici e i musei da non perdere… In teoria, in gran segreto, nella propria mente camolata all’ultimo stadio, aveva già pianificato ogni giornata delle quindici da trascorrere a Santorini; la Morbida, fotografa provetta, abituata alla spiaggia libera e a esplorare i fondali con pinne, occhiali e boccaglio, santa donna (non sempre…Diciamo a tratti…), nel profondo percepiva delle strane vibrazioni negative…Ma aveva deciso di rischiare, era già stata a Mikonos e sapeva con certezza assoluta che Santorini era la nona meraviglia del mondo, e non poteva perdersela… 1425… E’ il numero complessivo delle isole che fanno parte del suolo greco, quasi tutte sommità di catene montuose sommerse, creature di confine tra la terra e il mare. Sono quasi le quattro del mattino del 17 settembre quando, con sole quattro ore di ritardo, giustificato ufficialmente con vento di tramontana forza 28 su Malpensa, dopo un volo di fortuna su un aereo della European Airlines del IV secolo a.C., probabilmente il primo velivolo della storia dell’aviazione, atterrano su una delle 24 isole abitate, delle 56 che fanno parte delle Cicladi. E’ Thìra, il nome ufficiale che appare sui display delle partenze degli aeroporti; il popolare “Santorini”deriva da santa Irene, un pensiero gentile dei Veneziani che assoggettarono il territorio nel XIII secolo. Un greco purosangue che lavora per il TOUR OPERATOR “MEDITERRANEO” le imbarca su un pullman molto pittoresco, diciamo anni ’70, e le scarica a KAMARI, ai MARY’S STUDIOS, una casetta gialla e bianca con le persiane azzurre e una piscina sul davanti grande come un coriandolo, ma graziosa, con un delizioso salottino all’aperto, sotto i pini marini; è lì che il ruvido greco dà loro appuntamento per un summit, alle 11.00 del mattino… i prevedibili, soliti consigli per gli acquisti… Ricevute le chiavi dell’appartamento, la Rigida arranca su per le scale; un filo di pentimento e odio verso sé stessa le serpeggia nel cervello; ha solo tre valige extralarge e due beauty, il cui contenuto culmina in una portentosa collezione di medicinali, succursale stile mignon della farmacia sotto casa (previsti anche rimedi contro scorbuto e malaria africana…). Il monolocale è perfetto per un lillipuziano, con un balconcino microscopico, ma fornito dell’indispensabile anche per la sopravvivenza culinaria, che in questo caso si limiterà alla pantagruelica colazione del mattino, visto che i due impiastri considerano un obbligo e un piacere sacrosanti il mangiare fuori e nutrirsi come la gente del luogo. Sparano a palla l’aria condizionata e svuotano le valige. Poi la Rigida apre la porta del bagno… Sulle prime i suoi occhi credono di avere ceduto per un secondo alla stanchezza pachidermica, e di essere precipitati tra le braccia di Morfeo, in uno di quegli scenari che popolano i sogni fatti dopo una serata passata a visionare in dvd “Nightmare”, “La casa” e “La notte dei morti viventi” uno dietro l’altro, con sano accompagnamento di leggerezze varie per lo stomaco quali le tipiche schifezze di Mc Donald’s in dose industriale, piluccate sul divano tra un accenno di infarto da panico e l’altro… In piedi tra il corridoio e la porta del bagno, rimira lo spazio angusto che le sta di fronte respingendo a fatica un attacco di panico memorabile, con accenni claustrofobici sul finale… : la toilette è una chiara testimonianza delle vicende storiche ottocentesche dell’isola; la Morbida, geometra e artigiano edile che di misure se ne intende, in un colpo d’occhio stima l’ampiezza del locale in m 1.20 per 1.20… Il piatto doccia in castigo in un angolo è senza chiusura alcuna, neanche una tenda bucata, il che lascia prevedere puntuali esondazioni e il totale allagamento del resto del vano ogni volta che ci si lava; incastrata a sandwich tra il piatto doccia e il lavabo formato Barbie c’è la tazza del vater, l’approccio al quale è consentito solo se disposti a far combattere strenuamente la propria spalla sinistra con la gelida ceramica del vastissimo lavabo di cui sopra… La Rigida raccoglie le ultime forze rimastele in corpo e apre l’acqua del rubinetto… quella calda scende a fiumi, ma quella fredda è una timida successione di sporadiche gocce, testimonianza inequivocabile della penuria di liquidi sull’isola. Il Ruvido greco ha consigliato loro di lavarsi i denti solo con acqua minerale, per sicurezza; dulcis in fundo, un cartello vergato a mano in inglese fa capolino sul muro, al di sopra di una pattumierina minuscola, sotto il lavabo… “ Per favore, non gettate la carta igienica nel wc, grazie!”… Buio. La Rigida si immagina nell’atto di raccogliere la carta utilizzata dopo aver espulso l’ovetto mattutino, e convogliarla nella pattumierina dove resterà per ore, a profumare l’ambiente… In un nanosecondo precipita in un tunnel immaginario che sembra non avere fine, e rivede tutta la propria vita scorrerle davanti agli occhi, come in un film di Dario Argento. Cianotica, ha l’aspetto di un ex essere vivente a cui sia stato inoculato il vaiolo e somministrato un cardiotonico rigorosamente scaduto da otto anni e comunque fuori produzione perché dalle controindicazioni letali. La Morbida accenna al fatto che nei campeggi più spartani ha visto di meglio, e decide di chiamarla la “Sala Congressi”…Ripensano ai 1000 Euro a testa versati per il pernottamento e il volo aereo di andata e ritorno… Con tutta probabilità hanno iniziato a vivere come un greco che abita su un’ isola di origine vulcanica, dove ogni anno arrivano dal continente camion-cisterna per il rifornimento dell’acqua, e dove ogni casa ha il tetto piano per raccogliere l’acqua piovana e convogliarla nell’immancabile serbatoio murato su un lato… Dopo un goccio di nanna, il summit con il Ruvido, a cui la Rigida ha persuaso la compagna di viaggio in nome della precauzione e curiosità, frutta qualcosa: cartine dell’isola disseminate di annunci pubblicitari e alcuni suggerimenti su come procacciarsi il cibo. Poi, parte la caccia allo scooter da noleggiare. Parola d’ordine della Morbida: lascia parlare me, di motori non capisci una cippa, non possiamo farci fregare…!!! Infatti tutto fila liscio; sono indecise, il quad a quattro ruote è vergognosamente figo e divertente, ma molto più lento; optano per un motorino normalissimo, con il provvidenziale gancio davanti per lo zaino e un profondo vano sotto la sella. Il tutto costa 150 Euro per una settimana e il deposito della patente; se il trabiccolo risulterà funzionare e non essere una bidonata, rinnoveranno il noleggio per i successivi sette giorni. Niente casco, una pacchia spaziale… Decidono di collaudare subito la trattoria consigliata sulla strada che costeggia a sud l’aeroporto. GALINI, la tipica taverna che profuma di legno e di mare, è su una spiaggia selvaggia di ciottoli, l’acqua è limpida e dopo pranzo si fermano a fare il bagno e prendere il sole, vi sono addirittura alcune sdraio a disposizione di tutti… nel tardo pomeriggio arrivano un paio di famiglie greche al gran completo e ne fanno razzia… Il primo approccio con la cucina greca è decisamente dei migliori, questo posto resterà per sempre nel loro cuore, con altri due… Per capirsi è meglio spiccicare un po’ di inglese, anche se più di qualcuno parla un italiano elementare (il 90% dei turisti arriva dal nostro paese), e i menù hanno quasi sempre la traduzione. Sublimi, nell’ordine: L’INSALATA GRECA, con olive da ululato di tre ore, cocomero, pomodori, un olio da paura, cipolla rossa ( spauracchio eterno e generalizzato quanto qui immotivato perché rinviene pochissimo e l’alito non ne risente più di tanto) e la fèta, formaggio di latte di pecora (70%) e capra, meraviglioso frutto di pascoli ridotti che costringono gli animali a camminare molto (quindi un latte sostanzialmente magro), e offrono loro una grandissima varietà di piante dalle proprietà organolettiche più disparate, che lasciano il segno nel latte, conservato poi in salamoia in barili o scatole di latta; lo TZATZIKI, una salsa a base di olio, cetrioli, aglio, menta e yogurt; le DOLMADÈS, foglie di vite ripiene di riso, menta, olio e aneto, e la MOUSAKÀS, stratificazione alternata di melanzane fritte, patate a fette, carne di manzo macinata, condita con besciamella e formaggio; e poi PESCE FRESCO a volontà, clamorosamente delizioso, anche se non più abbondante da pescare come un tempo, reso raro dall’inquinamento in crescita esponenziale, dalla vecchia, deplorevole pratica della pesca con la dinamite ora vietata, e dalle nuove generazioni in fuga da un mestiere dagli alti costi di mantenimento delle attrezzature, duro, che garantisce scarsi guadagni. Il vino della casa è corposo, pieno di personalità, anch’esso risente fortemente della varietà del clima e del suolo greci. La vite, che ricopre ogni campo su cui si posa l’occhio umano, è uno spettacolo: non si sviluppa in altezza, ma si arrotola su sé stessa come una ghirlanda, sboccia da un terreno vulcanico pietroso e grigiastro, spesso di pomice, ricco di sostanze nutritive; i raggi solari e l’acqua della caldera, il mare interno, più fredda rispetto a quella del mare circostante, creano nuvole di vapore che risalgono lungo le pareti e si depositano sulle piante di vite come rugiada, dando vita a un’umidità magica che le accarezza dolcemente; qui tutto, anche ciò che è inanimato, sembra avere una vita propria e plasmare in qualche modo la vita degli altri esseri… . La sera stessa è ormai troppo tardi per arrivare fino a Oìa, così si spingono fino a FIRÀ, 10 km più sotto. Portano due maglioncini di scorta, risulteranno molto utili, è la zona più umida dell’isola, quando risalgono in motorino per tornare, trovano il sellino completamente bagnato. Firà, altitudine 260 m, è un mucchietto di negozi clamorosi, locali di ogni tipo e casette immacolate su cui spiccano le cupole blu cobalto delle cappelle (blu e bianco, i colori della bandiera greca, simboli della purezza e del cielo); il tutto abbarbicato alla roccia in equilibrio sull’abisso della caldera. E’ il primo contatto con il vero protagonista dell’isola: il vulcano che ha provocato la più grande eruzione della storia. Da lassù, la vista di Santorini sconcerta: una mezzaluna di lava e tufo lambita da un mare interno, la caldera, che altro non è che un cratere sommerso. Una terra a cavallo di grandi zolle continentali, l’eurasiatica e l’africana, che si muovono e collidono fra loro; un punto di crosta terrestre attivissimo sin da trenta milioni di anni fa, quando un continente, l’Egeide, che andava dal mar Ionio all’Asia Minore alla costa a sud di Creta, si spezzò, e l’Europa si ritrovò separata dall’Asia. Lo storico dell’antichità Erodoto narra di una grande isola, Stronghyle (cioè rotonda), con al centro un vulcano alto 1000 m. Quando, attorno al 1650 a.C., sprofonda tutto, si forma la più grande caldera del mondo, e della preistorica Stronghyle rimangono solo Santorini, Thirassìa e Aspronisi, mentre Nea Kameni e Palea Kameni affioreranno molto tempo dopo; lo tsunami che segue l’eruzione ha onde che arrivano ad un’altezza di 10 m; qualcuno ipotizza che le piaghe d’Egitto possano essere state provocate dai gas emanati dal vulcano e portati dal vento. La cronaca di quegli anni è da pelle d’oca…Le prime avvisaglie dell’eruzione inducono la florida civiltà minoica alla fuga; poi la speranza e la nostalgia li spinge a tornare; rimangono per un periodo tra uno e cinque anni; ma la situazione peggiora clamorosamente, e questa volta il vulcano fa sul serio… La baruffa dura tre o quattro giorni: le colonne di gas e ceneri raggiungono altezze di 30 km, lanciate a 400 km/h di velocità. Quando l’isola viene sommersa, le acque arrivano a contatto con il cratere e il magma, e le rocce vengono scagliate ovunque, fino a quando l’edificio vulcanico sprofonda su sé stesso e si forma la caldera; è ancora attivo, costantemente monitorato attraverso la misurazione della temperatura dell’acqua e dei movimenti sismici, impossibile fare previsioni se non a breve termine. Un luogo precario per eccellenza; è del 1956 l’ultimo terremoto, che ha raso al suolo Firà e Oìa. Una calamità che fa paura ma dà sostentamento: il terreno è fertile e morbido perché ricco di potassio, calcio e fosforo; i prodotti dell’eruzione, come la lava, la pietra pomice, le ceneri e i minerali, sono estratti e utilizzati come materiali edili, persino esportati. L’intelligenza e la fantasia dei greci si adatta totalmente ai materiali locali e alla conformazione naturale dell’isola: le coperture delle case a volta limitano al massimo l’uso del legno, quasi inesistente; i meno abbienti hanno scavato nella pozzolana e ricavato abitazioni gratuite; ovunque, le case sono cubi bianchi in stile arabo, allineati e ingranditi progressivamente, il tetto di uno è il cortile di quello vicino, e così via, in un intreccio pittoresco e unico di scale, terrazze e ringhiere, difendibili facilmente in passato dall’assalto dei pirati, oggi ottimi ripari dal vento e dal sole implacabile. Case costruite con rocce, pezzi di lava a rinforzare i muri o alzare le fondamenta; la lava rossa ad ornare i davanzali, le finestre, i rivestimenti; la pietra pomice bianca a fare da colla universale. Vagolando nel brulichio incessante delle viuzze illuminate a giorno, sotto il cielo stellato, la vista di Oìa baluginante sul versante opposto della caldera, le due compagne di viaggio pensano a tutto questo, sentono di trovarsi in un posto veramente straordinario, e gongolano di piacere incontenibile. Perdutesi nel labirinto immacolato di stradine, improvvisamente sentono cantare e battere le mani: nel cortile di SELINI , uno dei ristoranti più rinomati e cari dell’isola, due greci molto fortunati si stanno sposando… il cielo è rischiarato da fuochi d’artificio… i turisti arrampicati sulle scale rimirano la cerimonia che si svolge sotto i loro occhi…Capita, qualche volta… sotto il cielo di Santorini… “Quando il mare greco era eccezionalmente calmo, e il sole non tanto una vetta, quanto una calata di luce, e la tua fronte e il cielo, si incontravano all’orizzonte, a volte ci tuffavamo, dalla barca, dal molo, dal promontorio roccioso, in un’acqua così sbalordita, che manteneva le forme del nostro tuffo…” Olga Broumas, poetessa greca La voglia matta di scoprire l’isola tutto d’un fiato esplode all’alba del secondo giorno. D’altra parte non è un’impresa impossibile: è lunga 17 km e larga al massimo 6 … Si può pensare di buttarsi a capofitto a rubarne una visione d’insieme, per scovare subito le meraviglie da assaporare lentamente, nel lungo tempo che resta… Così, inforcano il motorino con la foga di due tarantolate e cominciano a scorrazzare sotto il sole cocente, tra un lembo di paesaggio infuocato e l’altro, le ghirlande di vite a ricoprire ogni tratto di terra grigiastra, gli alberi tinteggiati di bianco fino a metà tronco che spiccano qua e là, le case abbaglianti sotto il blu del cielo che sferzano lo sguardo ovunque ci si giri… Nel cortile di una chiesa un uomo sta tirando con sforzo evidente due corde… Suona le campane, esempio ipertecnologico di modernità… Fa una pausa, poi si accorge che due italiane svitate sono ferme, incantate a guardarlo con la macchina fotografica in agguato, sorride e ricomincia… Una buona cartina è sufficiente per orientarsi sull’isola. Puntano verso la costa sul versante opposto, a caccia di lidi sabbiosi da conquistare… La strada diventa uno scrigno di bellezze paesaggistiche indimenticabili quando lascia l’interno e inizia a correre parallela alla costa. L’abisso blu, il profilo riarso di Thirassìa e le lontane Oìa e Firà accoccolate a strapiombo sulla caldera sono un trastullo per gli occhi; vorrebbero tanto trovare lì un albergo con camera con vista su quel ben di Dio, ma è troppo tardi, l’appartamento col bagno più grande del mondo le ha ormai inghiottite per sempre… Un chiosco con panchine di lusso attira gli appassionati di terremoti visivi… peccato che un caffè costi un patrimonio… la maggior parte delle persone incantate dalla vista prodigiosa resta in piedi, gabbando i gestori… Più avanti inizia la sfilata delle taverne, inanellate una dietro l’altra… Le passano ai raggi X da fuori, decifrano attentamente il menù esposto, alla ricerca della cucina greca più autentica possibile, negli ingredienti e nell’ambientazione… Sulla strada verso l’antica città di Akrotiri una in particolare attira la loro attenzione di invasate del boccone casereccio… Si chiama Mama Thìra… suona caldo e dolce… i tavoli sono parzialmente all’aperto, in bilico sullo strapiombo…Una reciproca occhiata di sbieco basta a designare il posto per le loro imminenti scorribande culinarie… Proseguono fino al parcheggio sterrato di Akrotiri e raggiungono a piedi la RED BEACH. Il percorso tra rocce rossastre e un sentiero appena accennato è impegnativo, ma i genitori con i piccoli abbarbicati sulle spalle sono numerosissimi e galvanizzati dall’esplosione delle tonalità della terra che il luogo promana in lontananza. E’ una lingua di sabbia grossolana e rossastra, adagiata al riparo di una prominenza rocciosa tinta mattone scuro, punteggiata di ombrelloni bianchi arrampicati uno sull’altro. Il colpo d’occhio è notevole, ma la permanenza molto ardua, nonostante l’acqua di un blu meravigliosamente cristallino: è uno dei tratti di lido con la più alta densità di popolazione dell’universo, non c’è nemmeno lo spazio per camminare…La Morbida si scatena con fotografie da ogni possibile angolazione e prospettiva, poi risalgono e a malincuore lasciano quel posto magnifico. La Rigida capisce che è quasi mezzogiorno quando nota uno strano liquido biancastro, prodotto per via orale, fare capolino dall’angolo destro della bocca dell’amica… La fulminata sempiterna a quest’ora entrerebbe in crisi anche se avesse ingollato la colazione solo da un’ora… Il pranzo da MAMA THIRA è un’esperienza extrasensoriale ai confini con l’estremo: le serve probabilmente il papà… un greco agghindato in modo strano, con un cappellino nero appollaiato in testa sulle ventitrè, molto diverso dal classico altissimo cappello bianco da chef che si dice sia nato proprio da queste parti, quando i cuochi erano anche un po’ filosofi ed oratori e declamavano i propri piatti nelle piazze; quelli in servizio nei monasteri lo misero per la prima volta per distinguersi dai monaci, che lo indossavano uguale, ma nero. L’uomo che sta loro di fronte, illustrando il menu in un inglese così elementare da farle sentire in possesso di una laurea in lingue straniere, è originale come l’interno del locale, un concentrato incredibile di oggetti quotidiani, foto e cartoline affisse alle travi di legno da cui pendono reti da pesca e quadretti di ogni sorta; a cullare i sensi un profumo di buono e un senso di pace… Un omaggio di papà inaugura l’interminabile serie di portate che stenderebbe anche un gorilla: la PITA, una focaccia spruzzata di olio e origano; poi il piatto nazionale, la FAVA, un puré a base di fave, olio e cipolla, semplicissima e di un buono imbarazzante. Hanno già le lacrime agli occhi, e non per la cipolla, quando arriva l’INSALATA SPECIALE, che avrebbe cambiato per sempre la loro vita precipitandole in uno stato di nostalgia incessante che non le lascia mai. Aspetto: assolutamente sexy, colorata fino allo spasimo, profumata di olio extravergine che più verde non si può. Ingredienti: insalata verde, cipolla rossa cotta, bacon, capperi e foglie di capperi, peperoni verdi, cavolo rosso, uvetta, fèta, aceto, olio e spezie. La PAELLA ALLA GRECA e i GAMBERI SAGANAKI (in salsa di pomodoro, olio, prezzemolo e fèta) sono una libidine violenta al cubo che le stende definitivamente, insieme al solito vino pieno zeppo di personalità. Il dolce è un altro momento di cappottamento psichico… Si lasciano consigliare, e scelgono il KATAIFI , uno stranissimo fagottino avvolto in una miriade di fili dorati, una sfogliata multistrato che racchiude mandorle, cannella, pane grattugiato e burro di latte, il tutto irrorato con sciroppo a base di zucchero, succo di limone e vaniglina. La Rigida esce talmente stordita e in sollucchero, che dimentica il telo da mare su una seggiola. Quando tornano a prenderlo, papà e figlia le vanno incontro con il sorriso più dolce del creato, e lei quasi vorrebbe sposarselo… Questo è un posto dove tornare… Durante l’ardua digestione di tanto ben di Dio continua l’esplorazione affannosa e avida della costa … Approdano a PERISSA un po’ prevenute… Dicono sia la Rimini dell’isola… In effetti, l’affollamento asfissiante la ricorda… La spiaggia è ampia e di sabbia grigia, attrezzata di tutto punto e circondata da taverne e localini che la sera producono sicuramente un allegro rumore… La roccia calcarea del Mesa Vounò, su cui troneggia Thera Antica, separa Perissa da Kamari, la spiaggia a un centinaio di metri dal loro appartamento. No… è troppo semplice… non sono ancora paghe… devono esplorare un po’ più su… Si spingono a nord, in un paesaggio desolato e reso un po’ triste da fabbriche di pomodori abbandonate, una centrale elettrica e una pianura riarsa; raggiungono la spiaggia di MONOLITHOS, amata dai nudisti e particolarissima perché sovrastata da gigantesche pareti calcaree cesellate da fenditure e buchi, alte fino a 33m, delimitata su un lato da una pineta. Anche qui il mare è inospitale e muscoloso per il vento, non invita a tuffarsi; in acqua si scivola sulle pietre e le alghe rinsecchite ricoprono gran parte del bagnasciuga. Complessivamente sono un po’ deluse… La Rigida non fa testo, ma la Morbida…! Persino lei in effetti si aspettava ben altro… le spiagge di Mikonos sono tutt’altra cosa… Santorini non sembra il posto ideale per far vita da spiaggia, anche se l’acqua è pulita. Trascorrono la sera a Kamari, un lungomare pedonale costeggiato da una trentina di taverne i cui camerieri ti fermano al passaggio per convincerti a sedere e mangiare; in alcuni locali spicca l’avviso un po’ sconcertante “Sex on the beach – 5 €!”…Quando, curiosando come scimmie in uno dei tanti supermercatini stipati di ogni possibile oggetto dell’universo, scovano in vendita dei pacchetti di salviettine all’uopo esplicitamente destinate, il quadro è completo… “Siamo greci, tutti noi. Le nostre leggi, la nostra religione, la nostra letteratura e la nostra arte affondano le loro radici in Grecia. Senza di essa saremmo ancora dei barbari idolatri. “ Percy Bysshe Shelley, poeta britannico, da “Hellas”, dramma lirico, 1821 Il terzo giorno, splendente di luce e caldo come sarebbero stati anche i dodici successivi, non una nuvola nel raggio di 8000 miglia, si svegliano con un anomalo odore di bruciato che stuzzica loro le narici… E’ un olezzo… come di carne affumicata… Strano che Mary, la padrona degli appartamenti, una signora sui sessanta molto semplice e dal sorriso che diventa dolcissimo se, quando la saluti, le abbozzi un “Kalimera!”, il buon giorno in greco, si spari un barbecue all’ora di colazione…Infatti, non giunge da fuori… proviene dal fondo del letto… si intravedono appena le volute di fumo grigio che serpeggiano nell’aria, come nei fumetti, zigzagando sinuosamente, in fuga dal punto in cui il materasso si è liberato dall’abbraccio del lenzuolo… La Rigida scruta nella penombra e solleva le coperte… due oggetti rossastri e incandescenti fanno capolino nel bianco immacolato, sfrigolando nel silenzio… Sono i suoi piedi… sono marchiati a fuoco dal segno dei sandali infradito che l’impiastro vivente straidiota ha indossato tutto il giorno precedente, vagolando in motorino per tutta l’isola, sotto il sole tanto cocente quanto impercettibile a causa del meraviglioso vento che attenua costantemente la calura. Scatta un intervento chirurgico di due ore a base di creme lenitive e balsamiche di tre marche diverse, in rapida successione, impacchi di erbe officinali e autentico balsamo di tigre, più uno strato alto 6 cm di crema protettiva, applicato perché non si sa mai… il sole potrebbe arrivare oltre gli scarponi quasi da montagna alti fino a metà polpaccio che il mostro decide di indossare per affrontare le escursioni previste per la giornata; sullo sfondo delle operazioni sanitarie, il pigiama-party della Morbida, che per poco non muore dal ridere… Superato l’interessante risveglio, si fiondano all’esterno, destinazione FIRÀ. Con la luce del giorno il luogo dà sensazioni totalmente diverse… La ripresa della vita diurna investe lentamente le strade, è molto difficile trovare un bar aperto prima delle 8.00. Nelle quattro stradine che corrono parallele alla caldera, incrociate da numerose traverse, in cui sarebbe facile perdersi se Firà non fosse così raccolta, i gestori stazionano sulla soglia dei negozi in attesa dei primi clienti, le gioiellerie hanno ancora gli splendidi pavimenti in marmo bagnati dalla rinfrescata mattutina; spicca la totale mancanza di doppie porte di sicurezza o telecamere… Anche la Chiesa metropolitana ortodossa di Santorini, l’Ypapantì o Panaghia Tou Bellonia, due imponenti campanili, circondata da archi solenni, è ancora chiusa, una signora sta ultimando le pulizie e il cancello in ferro è sprangato (scopriranno che in genere i luoghi di culto sono aperti solo per le funzioni). Fanno una scorpacciata di reperti di Akrotiri e dell’antica Thera nei due Musei Archeologici che vanta il luogo (ingresso appena 5 Euro!!!): vasi e idoli, ceramiche, sculture arcaiche, ellenistiche e romane, statue, fossili vegetali che testimoniano la nascita geologica dell’isola, anche se i pezzi migliori e le pitture parietali sono conservate al Museo Archeologico Nazionale di Atene (una forma di preservazione da possibili terremoti che potrebbero ancora interessare l’isola). Il Museo Ghyzi, nell’antica casa dell’omonima famiglia, è il frutto dell’abilità e passione di un collezionista che vi ha riunito testimonianze della vita dell’isola dal XVI al XIX secolo, tra cui rappresentazioni delle varie eruzioni vulcaniche e incredibili fotografie in bianco e nero di Firà prima e dopo il terremoto del 1956. Percorrendo le stradine, ad un certo punto percepiscono uno strano odore… in effetti non piacevolissimo… Sono i muli che risalgono i 587 gradini che, in alternativa alla funivia, conducono al porto sottostante di Mèsa Gialòs; non hanno turisti a bordo, evidentemente nessuna nave da crociera ha rovesciato il prezioso carico; quando giungono qui, le navi attraccano alle numerose boe galleggianti al largo, nell’impossibilità di ancorarsi alle pareti della caldera troppo profonde, quasi quanto le altezze terrestri. Questa volta, la scelta della taverna è molto dura, le papabili sono parecchie, molte le segnalate dalle guide più illustri… STANI ha una splendida terrazza sul mare, il NAUTILUS offre un tipico sottofondo musicale che non guasta mai… NIKÒLAS è anomalo… non una parola in inglese sull’insegna, né un menu multilingue esposto… E’ mezzogiorno, e i due uomini dentro sono seduti a mangiare e guardare la tivù, due sedie sono piazzate di traverso sulla porta che dà sulla strada, a interdire l’ingresso… Sì… quel posto le attira indicibilmente… è un buco infilato in una stradina senza alcuna vista mozzafiato sulla caldera… non più di dieci tavoli… sentono che quello è un posto greco fino al midollo… il loro spesso fondo di sadomasochismo le spinge ad aspettare, con altri quattro o cinque turisti appollaiati lì di fronte, in attesa… Nel giro di dieci minuti le persone che aspettano diventano molte di più… Riescono finalmente a sedersi con uno zompo atletico che disorienta una comitiva di anziani, lenti, granosi, dolcissimi giapponesi con tanto di interprete al seguito. La tv continua a berciare in sottofondo, regalando le immagini di un colorito TG greco… I due uomini, ultracinquantenni, passano da un tavolo all’altro, potrebbero essere fratelli… chi sarà Nikòlas…? Raccolgono velocemente le ordinazioni. Segni particolari, subito evidenti: non sorridono mai… Il più robusto si avvicina. La prima cosa che ci tiene a far presente, con piglio burbero e quasi scocciato per l’intrusione di tutta quella gente che pretende di mangiare, è che non esiste un menu scritto, se non in greco antico. Ma parla italiano, e snocciola le portate previste senza difficoltà. Scelgono un’ORATA e le SEPPIE AL VINO ROSSO , oltre alla solita, sublime fava e all’insalatona megagalattica che più buona non si può. Poi lui schizza via. Intanto il fratello aggredisce brutalmente una coppia di americani nel tavolo a fianco, a cui viene spiegato con stizza che lì non fanno assolutamente né caffè né cappuccino… Le due squilibrate sono attonite, ma si stanno divertendo un sacco. La Rigida va in bagno; nel frattempo la Morbida assiste all’arrembaggio del tavolo dei giapponesi: in un inglese pieno di greca passionalità, gli occhi neri e profondi piantati negli occhi dell’interprete sempre più piccola, il Robusto annuncia che non parla giapponese e che è assolutamente necessario scovare qualcuno che parli inglese come lui in men che non si dica… La giapponesina si offre e lui grugnisce qualcosa che dovrebbe trasmettere soddisfazione… Intanto la coda fuori è impressionante. Arriva la pappa: l’orata è perfettamente pulita, qualcosa di sublime, come tutto il resto; è accompagnata da riso, cipolle, pomodori, carote, peperoni e un milione di spezie che sicuramente sono il segreto del piatto. Chiudono con un dolce buonissimo, il BAKLAVÀS, una sfoglia sopraffina arricchita con mandorle, chiodi di garofano e cannella, annaffiata con uno sciroppo a base di zucchero, vaniglina e succo di limone. Il vino della casa, sfuso, è una bomba, come al solito. Purtroppo hanno finito e se ne devono andare, la coda degli affamati incombe. Spendono tra i 15 e i 20 Euro a testa, più o meno sempre la stessa cifra… Eppure ci deve essere un modo… assolutamente… per far sciogliere il Robusto…Pagano il conto e si apprestano a uscire. Lui sta finendo di raccogliere l’ordinazione di un tavolo vicino all’uscita. La Rigida gli passa vicino, gli accarezza un braccio e gli sussurra, con gli occhi più dolci di cui è capace quando è molliccia, in italiano puro, un “Era tutto buonissimo, grazie. Torniamo stasera!”. Senza saperlo, ha deciso che Nikòlas è lui. La guarda un po’ così… d’altra parte… l’ha toccato… Ma la soddisfazione lo culla, e sorride…Sempre di più… Dice che le aspetta. “Qui tutto parla, oggi come tanti secoli fa, di fulgore. Qui la luce penetra nell’anima, apre le porte, le finestre del cuore, rende nudi, esposti e isolati in una gioia metafisica che fa diventare chiaro ciò che è sconosciuto.” Henri Miller L’arrampicata verso OÌA si snoda lungo una strada appesa allo strapiombo; il ritorno in motorino, la sera, per un tratto darà un po’ i brividi, vista l’assenza totale di illuminazione pubblica. Sotto, il porticciolo di AMMOUDI è un pugno di casette adagiate su un lembo di costa che digrada da un promontorio di un rossiccio prepotente, il blu dell’acqua che fa risaltare le sagome chiare delle barche. E’ raggiungibile in auto, oppure scendendo 290 gradini dalla parte ovest della via principale. Ci vanno subito. Pullulante di taverne, è piccolissimo e nasconde, all’estremità di un impervio sentiero lungo il mare, dietro l’ultima taverna, il capo di Agios Nikòlaos, un lembo di mare limpidissimo, circondato da rocce di ogni forma e dimensione, che diventa in un batter d’occhio superaffollato. Risalgono la strada e raggiungono la sommità di Oìa; lasciano il motorino nel parcheggio all’inizio della strada principale; questa si dirama subito a sinistra in una viuzza di un bianco accecante che digrada verso il precipizio, i gradini grigiastri con i bordi tinti di bianco. La Rigida scende le scale… il posto è soprannaturale, l’immensa caldera tutt’attorno fa da contrappunto alle piscine azzurre che si intravedono a strapiombo sul mare. Scatta una foto… Una voce dolcissima di uomo dice qualcosa… “Excuse me, madam… are you a guest of this hotel…???” Si volta… Un uomo bellissimo, tutto vestito di bianco, la guarda… La rintronata crede per un attimo di essere morta e di essere arrivata a destinazione… La versione umana dell’arcangelo Gabriele prosegue, in un inglese da Oxford, che non è permesso scendere né scattare foto a chi non è dell’albergo… Lei si guarda velocemente attorno… poi sussurra un “Pardon!” carico di imbarazzo. Mentre risale i gradini, l’angelo in bianco le rovescia dietro un soavissimo “No problem, madam!”. La Morbida sta ridendo. E’ seduta su un gradino, dietro di lei c’è un muretto basso che porta la scritta KATIKIES HOTEL… La Rigida, stupida più che mai, sviene per l’emozione.

Il viaggio continua. Pochi passi verso il centro di Oìa suonano negli occhi, nella mente e nel cuore come l’aver percorso migliaia di chilometri in un luogo mai visto prima, appartenente ad un altro mondo sconosciuto, fermo da qualche parte, nel tempo… La strada di un bianco che stordisce, potenziato al massimo dalla forza della luce solare, è come se si perdesse in mezzo al cielo, fiancheggiata da casette bianche e blu. C’è una strana atmosfera, irreale… Il posto è etereo, un miracolo di semplicità, bellezza mozzafiato, magia, logica (anche qui l’adattamento alla struttura morfologica del territorio è una costante). L’unica vegetazione esistente è costituita da buganvillee meravigliose che ornano ogni cosa, e piante grasse superbe che spuntano qua e là. La Rigida per un attimo ha uno scossone di memoria cinematografica, la sua mente sguscia sulle immagini di Lothlòrien, il paese degli Elfi ne “Il Signore degli Anelli”… Se esistessero, in questo nostro terzo millennio, vivrebbero qui… Continuano a camminare come se fossero in un enorme fascio di luce insopportabilmente calda ma irresistibile, un incantamento, una malìa… E’ la città dei navigatori. Agli inizi del 1900 era la più grande, 78 chiese, migliaia di abitanti, fino a 160 imbarcazioni a vela ormeggiate nel porto; nelle vie si respira ancora l’aria dei bei tempi in cui i capitani di mare si rifugiavano qui; le loro abitazioni signorili sapientemente restaurate sono ora alberghi e ristoranti; sul precipizio è tutto un pullulare di costruzioni più fitte e scavate, un tempo residenze degli equipaggi delle navi. Il Museo della Navigazione è una deliziosa raccolta di bauli, strumenti di navigazione, miniature di navi, antiche bussole e ancore, polene e carte marittime antiche tra cui spicca una mappa originale del capitano James Cook davanti alla quale la Rigida si prostra in adorazione, in lacrime. Tornate all’aperto, aggirandosi tra le stradine appare loro improvvisamente una visione celestiale, di casa… Sul muro candido di un’abitazione, un quadro raffigurante una sirena reca la scritta “Zoe Houses”… Pensano immediatamente alla figlia di Syusy Blady e Patrizio Roversi…, la bambina più fortunata dell’universo, che probabilmente se lo è già visto quasi tutto… Per ristorarsi, si siedono in un angolino di via da cui si scorge una cappella blu cobalto stagliarsi contro l’orizzonte, imprigionata tra due file parallele di case; un ombrellone bianco ripara alcuni tavolini; si chiama METEOR , servono loro un mixed juice alla frutta con yogurt che è una delle cose più buone che abbiano mai bevuto; qui, come negli altri negozi e localini, gli arredi racchiudono tutta la storia di questo popolo, il suo passato, oggetti quotidiani che noi teniamo in casa, nella stanza più vissuta. Poi, aspettano il tramonto curiosando tra le botteghe d’artigianato di altissimo livello, anche nel prezzo… Firà in confronto è un truzzaio di serie B… Nelle viuzze minuscole è un continuo strusciarsi con gente di ogni parte del mondo… voci che parlano australiano, tedesco, spagnolo, giapponese… Velocemente, le terrazze dei locali sul precipizio si assiepano di esseri umani venuti lì per vivere uno dei tramonti, dicono, più suggestivi del pianeta. Loro due vanno ad appollaiarsi sulla sommità di ciò che resta della costruzione fortificata che si innalza dietro il kasteli di Haghios Nikòlaos; era un torrione di difesa, un goulàs, adibito dai castellani e dai loro servi a rifugio e magazzino di viveri durante le incursioni dei pirati. Ora è un’ antica terrazza con vista mozzafiato sulla caldera, ovviamente gremita fino all’orlo della claustrofobia di bipedi con lo sguardo puntato verso l’orizzonte. Il sole è ormai una palla infuocata, sembra un tuorlo d’uovo a mezz’aria tra una tavola azzurra e una blu intenso. Sotto, tra i flutti, un veliero bellissimo, probabilmente la “Bella Aurora”, copia di una goletta del XVIII secolo, scarrozza la moltitudine di turisti che ha scelto l’escursione al tramonto con aperitivo a buffet incorporato. Lentamente la palla di fuoco si adagia dietro la sagoma di un’isola lontana, i contorni arancione scuro sempre più netti e scolpiti sulla linea dell’orizzonte. Quando si inabissa del tutto, la massa di piccoli esseri umani al cospetto della grandiosità della natura applaude, riconoscente. Performance notevole… la Rigida ha visto cieli più sferzati da colori impazziti ai Caraibi; la Morbida in Portogallo…Ma quella palla perfetta, prepotente, minuscola, che scende piano piano… è spettacolare, caratteristica di questo lembo di mondo, di una certa collocazione geografica, unica… Ora scende il buio, eppure tutto si illumina. Raggiungono IMEROVIGLI, il punto più alto sulla caldera. Il nome deriva da “vighla”, che significa vedetta di giorno. La vista su Firà a sinistra e Oìa a destra, splendenti di luci, è meravigliosa. Il paesino è un nugolo di appartamentini più abbordabili di quelli dei due centri vicini, e dalla vista altrettanto mozzafiato; in mezzo, qua e là, qualche timida casetta di residente greco, tutt’altro che ricca… Se dovessero tornare, cercherebbero un posto per dormire proprio qui… Naturalmente, superfluo specificarlo, cenano da Nikòlas, a Firà. E verificano di persona quanto segnalato da una guida sul pronunciato moralismo decisamente bacchettone dei padroni di casa, che guardano con sdegno e malcelata antipatia una ragazza vestita in modo molto succinto… I colori della bandiera greca… la purezza e il cielo… “Le vestigia del passato sono libri con le pagine di pietra e di marmo, scritti con ferreo scalpello…” Jacob Spoon, uno dei padri fondatori dell’archeologia Il suo corpo è scomparso nel nulla. Famoso in tutto il mondo, gli ultimi otto anni della sua vita ingoiati dal sogno di scoprire l’Atlantide tanto decantata da Platone, secondo lui proprio lì, a Santorini… Nelle prime ore pomeridiane del primo ottobre 1974 si aggira lungo la Telchines, la via centrale del sito archeologico di AKROTIRI, in cui ha iniziato a scavare nell’estate del 1967. Settantatre anni, è solo, abbandonato da operai e assistenti… Forse cade, o lo fanno cadere… Una ferita alla testa… Senza cerimonie viene sepolto lì, in fretta e furia, nella stanza n° 16 del palazzo Delta… Dopo ventotto anni si scopre che il corpo non c’è più… non una lapide… nessuna spiegazione certa, da nessuno… Spyridon Marinatos è l’archeologo di Santorini, uno dei più noti e ammirati. Ex protetto dei colonnelli, spazzati via in una delle stagioni più dure della storia della Grecia, precipita poi in un probabile miscuglio letale di vendette politiche, mafia, terrorismo. Si mormora che i suoi resti siano sotto una palma alla fine dell’ingresso al sito; oppure sotto una pietra collocata accanto all’alloggio degli operai; o ancora in un prato sulla collinetta dove, dentro una capanna, lui soleva dormire… lì c’è una strana lapide verdastra ormai illeggibile… La tentazione di cercarlo, immaginarlo, mentre si cammina in questo sito ancora tuffato nel pieno dei lavori, è irresistibile… Il personale vigila accuratamente sui turisti che percorrono il terreno scosceso e sterrato, camminano sulle passerelle di assi di legno, seguono il percorso obbligato, tra pali di alluminio e teli tesi a riparo, tra un’impalcatura e l’altra, una polvere chiara che copre tutto… Arduo raccapezzarsi, discernere con chiarezza…Quello che è possibile vedere è scarso ai limiti della delusione, ma l’essere fisicamente dove stanno ancora scavando per dissotterrare un’anfora, riportare alla luce una scala, ricostruire una stanza, dà un’emozione speciale alla bocca dello stomaco…Qui, come a Pompei, lo strato di un metro di cenere che ha rivestito tutto ha favorito la conservazione; i restauratori hanno solo rinforzato le mura e sostituito il legno col cemento. La popolazione aveva intuito l’imminente catastrofe vulcanica ed era fuggita appena in tempo, anche se la mancanza di tracce successive fa pensare che non si siano salvati comunque, inghiottiti con le navi dal maremoto o dai vapori vulcanici. Una civiltà, quella minoica, con un elevato standard di vita testimoniato dalle case a tre piani con bagno e sistemi fognari simili ai nostri; il ritrovamento di un alveare in argilla svela che erano addirittura apicoltori, oltre che dediti ad allevamento del bestiame, pesca, agricoltura e commerci con altri popoli. Erano in grado di realizzare navi, stoffe colorate, strumenti musicali… Una spiccata predilezione per le figure femminili fa pensare a una società probabilmente di stampo matriarcale. Analizzando i resti carbonizzati trovati nei vasi si è constatata la scarsità di cereali e ortaggi, risalendo così al periodo della catastrofe, ovvero prima del nuovo raccolto, tra maggio e giugno. Purtroppo le pitture parietali sono tutte conservate presso il Museo Archeologico Nazionale di Atene; dipinti che si possono considerare libri illustrati della vita di 3600 anni fa, strumenti preziosi per capire la vita quotidiana dell’epoca, la cultura, gli usi e i costumi: da un’acconciatura, un vestito, la posizione della figura in un contesto, se ne può comprendere il valore gerarchico e il ruolo. E il bello deve ancora essere scoperto, ripulito dallo strato di polvere, ricondotto al suo antico splendore. Purtroppo, si ha la netta sensazione che abbiano tutt’altro che fretta… Dopo una simile scorpacciata di glorioso passato, fatta di buon mattino, reputano saggio andare a crogiolarsi al sole in una delle spiagge non ancora assaporate, una delle più famose, strombazzate clamorosamente in ogni agenzia locale… The WHITE BEACH si raggiunge da Akrotiri. Alla vista della barca alquanto casual che raccoglie il gruppetto sulla riva, la Rigida ha un sussulto che le riporta in zona dentiera la colazione… Il biglietto non esiste, si depositano 10 € a testa nelle mani del barcaiolo, palesemente piuttosto svitato; una volta prigionieri dei flutti, con un po’ di fortuna, diciamo tantissima… forse, nella migliore delle ipotesi… prima di essere riportati a riva si dovrebbero riuscire a sbirciare le tre spiagge promesse, la rossa, la bianca e la nera… La prima, la più affollata del west, l’hanno già vista; quindi decidono di scendere sulla bianca, seconda tappa della traversata. Potranno riprendere la barca e proseguire poi verso la nera. Si spera. Mah… La spiaggia bianca è un angolo di costa punteggiato da rocce abbaglianti e arbusti nani che combattono quotidianamente con l’arsura; la sabbia è ridotta all’osso e prigioniera delle pietre, anch’esse rigorosamente bianche; l’acqua è limpida ma un po’ bassina per nuotare. Insieme ad un nutrito gruppetto di multicolori turisti, si sentono come abbandonate su un’isola deserta. Assaltano il paio di sdraio disseminate sotto il sole cocente e aprono gli ombrelloni che fanno capolino. Lo scenario è senz’altro singolare… ma dopo un’oretta si sclera in preda a claustrofobia cosmica… Decidono di prendere il volo con la prima barca e proseguire l’esplorazione. Ne arriva una, ma sta tornando ad Akrotiri, probabilmente va a caricare altri turisti. Scarica due donne. Prendono possesso di una casupola abbarbicata alle rocce… quattro pali di legno e un telo azzurro a ricoprire una cavità che sbuca dalla parete rocciosa… Dopo un po’, come per magia, le due donne ne escono con le braccia stracariche di pile di sdraio e ombrelloni che sistemano sulla piccola spiaggia. Per continuare a sonnecchiare all’ombra di qualcosa occorre sborsare 7 €. Si potrebbe anche fare… ma loro due non vogliono restare, non vedono l’ora che passi una barca… Rifiutano e vanno ad appollaiarsi su alcuni scogli. Non da sole, una coppia fa lo stesso. Ma la spiaggia… di chi è…?! Queste due signore quali avventure burocratiche avranno affrontato per poterla “gestire”…? Saranno in possesso di una concessione,…? Il municipio di Firà lo saprà…? Esiste un municipio… a Firà…? Nel frattempo, anche l’appollaiamento solitario sugli scogli ha il suo prezzo… Nel giro di poche ore un allegro, inesorabile processo degenerativo delle funzioni vitali arriva a sfiorare la fase terminale… : la gola assume le sembianze psicofisiche di una grattugia, la disidratazione è al livello di guardia, la pressione arteriosa pari a quella di un girino nano morto, l’abbronzatura quella che la Rigida riusciva a raggiungere quando era un adolescente, e si piazzava ore in giardino, cospargendosi il quasi cadavere di acqua di mare in bottiglia, prelevata appositamente, rinforzando il potere devastante dei raggi solari attraverso l’intelligentissimo impiego della pellicola Kuki da cucina… Tutto questo sostanzialmente per una ragione: sì, non hanno portato con sé sostanze liquide, ma soprattutto, dopo l’ennesima barca giunta a scaricare bipedi, è ormai chiaro che andarsene sarà tutt’altro che facile… Se non è lampante e inequivocabile che si deve restare lì per un bel po’… chi se lo affitta… lo stramaledetto dannatissimo ombrellone…????? Uno dei barcaioli giunti in successione sembra avere una buona intesa con le donne guardiane della spiaggia… ad un certo punto una di loro gli sussurra qualcosa e lui si gira a guardare il gruppetto di asociali emarginati sugli scogli gratuiti… la Morbida e la Rigida sono imbufalite come cercopitechi grigioverdi senza banane da trentasei giorni… Poi lui se ne va, naturalmente nella direzione opposta alla spiaggia nera…Per ingannare il tempo e cercare di ignorare almeno per pochi secondi il loro stato di salute ormai prossimo all’ autonarcosi dei peduncoli cerebrali, fingono di esplorare gli scogli… Unica, rilevante scoperta scientifica: un gruppo di pietre perfettamente circolare, profondo circa un metro, colmo di rifiuti… Dopo sei ore di boccheggiamenti reciproci e diciotto episodi di tentazione della parte più smidollata di loro stesse, tanto desiderosa di raggiungere le due terribili donne greche, prostrarsi ai loro piedi e comprare tutti gli ombrelloni rimasti e le lattine di Sprite dell’isola, decidono di prendere la prima barca indipendentemente dalla sua direzione. Ovviamente le riporta ad Akrotiri, della spiaggia nera neanche l’ombra… Fine della meravigliosa gita. Si sentono in cima al coperchio di una pentola a pressione in cui ribolle costantemente qualcosa, senza esaurirsi mai… Ma potrebbero anche fingere di essere sbarcate sulla luna… Divorano a passo lento il nero sentiero fiocamente delineato tra colate laviche cristallizzate, crepacci e originalissime, multiformi fioriture di ferro e manganese, qua e là un pertugio lascia sprigionare un effluvio caldo e un odore pungente di zolfo. La vegetazione è quasi inesistente, la poca che osa fare capolino si smarrisce nella lava pietrificata che riveste di grigio e nero il terreno irregolare. Mezz’ora circa di cammino sulla sommità del vulcano custodito dall’isola di NEA KAMENI significa una finestra con postazione extralusso sulla scogliera di Santorini, di fronte; una spossatezza accresciuta da un calore veramente intenso; la sensazione di essere piccoli, indifesi, quasi insignificanti a cospetto della grandezza della natura… Nella piccola baia di Perouliò risalgono sul battello partito dal porto di Athiniòs, dove hanno lasciato il motorino, e riprendono il mare alla volta di Thirassìa. Questa è l’unica escursione organizzata del loro viaggio, e non sembra male. Per la gioia della Morbida, amante dello sguazzare in acqua, ci si ferma una ventina di minuti nelle acque verdastre e gialle che lambiscono l’isola di PALEA KAMENI; la stragrande maggioranza dei passeggeri si tuffa in un liquido la cui temperatura supera i 30° C. Le due isole disabitate, meno di 5 kmq di superficie ciascuna, un “monumento della natura da salvaguardare come patrimonio nazionale”, come recita il depliant informativo, sono un segno tangibile del fatto che in qualsiasi momento il vulcano può risvegliarsi… Lo sbarco successivo è nel piccolo approdo di Korfos, a THIRASSÌA, la versione soft di Santorini, rimasta per ora fuori dal turbinio vorticoso che il turismo porta con sé, ancora sonnacchiosa, 200 abitanti, prevalentemente donne perfettamente autosufficienti, abituate a fare tutto da sole durante le prolungate assenze degli uomini, in mare o emigrati in Australia, America, Canada; il loro ritorno coincide di solito con la Pasqua o con un battesimo in famiglia; in quest’ultimo caso, la festa coinvolge l’intera isola, a spese del padrino… Stesse casette bianche, stesse stradine sinuose che si arrampicano, bassa vegetazione, una terra pietrosa racchiusa in terrazzamenti, stesse coltivazioni di viti e ortaggi. Potamòs, all’interno, sorge in una forra, un burrone gigantesco con case scavate che intaglia l’isola, l’ennesima ferita… Impossibile visitarla, come anche Manolàs, nel poco tempo a disposizione si fa appena in tempo a respirare l’aria autentica e dal fascino particolare di un posto ancora tutto da portare alla ribalta del turismo di massa. Conviene mangiare, e piuttosto di corsa. Le taverne si snodano sulla costa una accanto all’altra. Non sono arrivate con il primo battello, la vista di tutta quella gente che sta già mangiando fa loro temere che le dispense possano già essere quasi vuote. Si siedono nella prima taverna, piuttosto deserta; la seconda è un self service, e il solo pensiero le fa sentire a Torino, da Mc Donald’s… Il cameriere piomba loro addosso con una foga mai vista, quasi avesse paura che cambino idea… Quando leggono il menu, il più conciso della loro vita, non più di sei piatti tra cui scegliere, infatti cambiano idea…Lui ci resta male, ma probabilmente ci è abituato. Scavalcata la mandria che sta pascolando rumorosamente nel self service, raggiungono la terza taverna, KAMAPA, piena zeppa fino all’inverosimile. Nella bolgia dantesca intravedono un minuscolo tavolo, a ridosso della balaustra in legno oltre la quale c’è il mare che sciaborda. Dopo dieci minuti di traversata dell’ammasso di tavoli più popolati dell’intero emisfero occidentale, assiepati di gente che gozzoviglia scompostamente lottando contro il tempo, raggiungono la postazione di combattimento. E’ accanto a un tavolo gremitissimo, capeggiato da un greco che ha l’aria di essere una guida. Una ragazza lotta contro il mondo per portare alcuni piatti di portata a un tavolo nell’angolo opposto. Da una bellissima barca ormeggiata poco oltre, battente bandiera greca, provengono le note di “Nel blu dipinto di blu” e poi di Carosone… L’oltremodo stupida Rigida ha un accenno di liquido lacrimale che mediterebbe di esondare da un angolo dell’occhio sinistro … Dopo quaranta minuti stanno ancora aspettando di essere considerate anche solo vagamente… La guida greca nota la loro condizione di denutrite croniche del Biafra, sorride e sussurra un “Italiane?”… Sensitivo…? Poi aggiunge “Italia nostra patria…!!!”, e attira l’attenzione di un uomo, probabilmente il nonno della cameriera, il colore scuro della pelle bruciata dal sole che spicca sotto i capelli sale e pepe… Gli dice qualcosa…In un batter d’occhio, il Nonno si rende conto che esistono: libera il loro tavolo dai resti lasciati dai precedenti avventori, lo ripulisce usando i loro tovaglioli sporchi, spostando semplicemente il tutto sul tavolo vicino, liberatosi nel frattempo… Poi porta del vino rosso in una bottiglia di plastica, buonissimo, sembra di fragola… Intanto, attorno, qualcuno probabilmente in attesa da ore, non abbastanza fortunato da attirare inconsapevolmente l’attenzione della guida greca, lascia il tavolo senza aver pranzato. Nella mente della Rigida a sfondo altamente capitalista e deturpata dall’ossessione del dollaro, si fanno strada alcune orrifiche elucubrazioni: ora è chiaro perché, poco più in là, vi sia un self service…Quando arriva il cesto del pane, in cui si tuffano all’istante, pagaiando nell’olio d’oliva, ormai è troppo tardi: la Rigida sta già smistando i dettagli del come fare girare i miliardi nel locale, rilevandolo. Perché gestire una trentina di tavoli, la maggior parte dei quali da quattro o sei coperti, con un Nonno che finge di pulirli spostando semplicemente l’immondizia da uno all’altro…Quando assumendo un paio di camerieri bionici si potrebbe assorbire il contenuto umano di tutti i battelli nel giro di 8000 miglia…? E la gagna che intravedono solo adesso…A un’estremità del sentiero principale…Ai piedi di una collinetta brulla…??? Sta smanettando dentro qualcosa… Sono tre bacinelle verdi poggiate su un tavolo… Passa dei piatti da una all’altra… Presto, una foto, sennò in Italia non ci crede nessuno… Fanno quasi tenerezza. La Morbida imbastisce ragionamenti di mediazione interculturale che raccontano di gente tranquilla, immersa nella pesca quotidiana per la famiglia, assalita di colpo da orde di belve affamate… Arriva il cibo. Naturalmente è delizioso. Gli SPIEDINI DI POLPO E PESCE SPADA e le OLIVE sono clamorosi, lo TZATZIKI pure. Mentre mangiano, la cameriera in erba zigzaga tra i tavoli infagottando in un sacco nero i rifiuti… anche il pane avanzato… tutto… questa è una mossa profondamente rassicurante, che magari in Italia non accade spesso… però facciamo la raccolta differenziata…!!! Devono sbrigarsi a pagare, il battello rumoreggia con la sirena. La Rigida si alza e avanza verso la cucina, se aspettano che torni il Nonno, ritornano a nuoto… Il locale è buio e bollente, ovunque foto di pazzi seminudi che cucinano, barattoli di ogni tipo e il delirio a terra… Una volta andatesene, credono fermamente che questa sia stata l’esperienza culinaria più devastante e significativa della settimana… ma si sbagliano…

Quando, sulla via del ritorno, il battello costeggia il tratto di mare sovrastato da Oìa, scorgono in lontananza i muli precipitarsi giù dalla stradina ad accogliere i passeggeri di una nave da crociera; avranno al massimo tre ore di tempo. Non li invidiano. Visitare Oìa con la fretta con cui loro due hanno visto Thirassìa sarebbe stato una privazione tremenda, anche se inconsapevole…Loro non sapranno mai veramente quanto è bella… A ogni luogo un approccio diverso. Questa volta hanno scelto inequivocabilmente quello giusto.

E’ un nuovo giorno… in un nuovo posto. Il suo nome in fenicio significa “roccioso”… Le fotografie incandescenti di colori che la ritraggono sulle guide le hanno spinte a selezionarla tra tutte le altre Cicladi limitrofe, per un’escursione di un giorno, nell’impossibilità di arrivare fino a Delos, l’arido scoglio di scisto e granito che racchiude rovine archeologiche il cui mito sfiora quello di Olimpia e Delfi… per poterle sbirciare, la Rigida avrebbe affrontato anche una tempesta… Così salpano alla volta di FOLÈGANDROS a bordo del Super Jet, una nave veloce bianca e blu dalle forme avveniristiche, su cui ci si sente un po’ come in aereo. Un’ora di onde selvagge, a fronte delle due impiegate dal classico traghetto, e il gioco è fatto. Sbarcano in un posto incredibilmente arido, dall’inequivocabile aria solitaria e sonnolenta, che a loro suona un po’ troppo pallida… Ideale per chi cerca uno splendido nulla in cui fuggire per un po’… 12 km per 4 di superficie assolutamente spoglia, perfetta per la prigionia politica di centinaia di perseguitati, dal tempo dei romani a quello dei colonnelli. Prendono l’autobus e raggiungono Chora, il capoluogo dell’isola, un piccolissimo concentrato di deliziose stradine e case raccolte attorno a quattro piazzette che stanno quasi nel palmo di una mano, prorompenti di gerani, ibisco e buganvillee, dove la vita è tutta affidata ai turisti che si accalcano tra le botteghe di artigianato, i bar e le taverne raccolte sotto gli alberi. Mentre aspettano l’autobus che va verso Ano Merià e lascia poi i turisti vicino ai sentieri che discendono alle spiagge, si affacciano da un parapetto a picco sul mare… Il blu più prepotente e cristallino che abbiano mai visto lì… Le lascia senza fiato… ma la spiaggia non c’è… impossibile scendere in quel punto; è il dramma di molte isole della Grecia, i cui luoghi più belli sono raggiungibili solo in barca e frequentabili da buoni nuotatori. Avrebbero voluto noleggiare un motorino, ma l’ennesima marachella della Rigida, munita solo di carta d’identità, insufficiente come garanzia, ha colpito ancora. Hanno bene in mente la spiaggia di Livadaki, una delle più belle dell’Egeo, una lingua bianca su cui si infrange un’acqua da sogno… sarà difficile arrivarci, col bus. Infatti, scendono in prossimità di Agios Nikòlaos, un lido che raggiungono con una lunga camminata molto più simile a una arrampicata su una collina, su un sentiero impervio che ripaga ampiamente con una vista incredibile sul mare aperto. La spiaggia è piccola, di ghiaia chiara, pullulante di tamerici sotto cui trionfano le tende dei campeggisti che hanno trovato uno dei pochi posti in cui il campeggio libero è tollerato. L’acqua è color smeraldo, ma sempre troppo agitata, alla fine torbida e poco avvicinabile. Si accoccolano tra un nudista e l’altro, divertite. Il pranzo a base di pesce alla taverna PAPALAGI , l’unica nei dintorni, non è niente male. Ma il posto le rende malinconiche. Lo trovano triste, nonostante la folla, anzi… Folègandros è selvaggia, incontaminata, i pescatori vanno e vengono con le barche, la vita è ultrasemplice, forse troppo…Avrebbero paura di vivere in un posto così… si sentirebbero tagliate fuori… Quando, la sera, rientrano al porto di Athiniòs, assistono a uno scenario indimenticabile: decine di greci, armati fino ai denti di fotografie dettagliatissime, offrono ai nuovi arrivati, quelli che non hanno ancora prenotato nulla, stanze, alberghi e appartamenti; sono disponibili ad accompagnarli a vedere il posto. Un po’ all’avventura, col rischio, ad agosto, di doversi accontentare, oppure un modo di scegliere senza intermediario alcuno, direttamente in loco… toccando la merce…Chissà… “Terra sacra, abitata dai fantasmi del passato…” George Gordon Byron, poeta britannico Il mito racconta che la dea Atena scelse la Grecia per il proprio popolo prediletto perché collocata in una posizione ideale, a metà tra il gelido nord e il sud tropicale. Il mito di cui parliamo, e molti altri, sono molto più concreti del solito…I suoi luoghi esistono veramente, hanno una collocazione geografica ben precisa, sono visitabili…: il monte Olimpo, il fiume Acheronte di dantesca memoria, che porta all’ingresso agli inferi… Sono stati ignorati per molto tempo. Nel Medioevo il mondo cristiano, pur debitore verso cervelli come Platone e Aristotele, è rimasto chiuso in sé stesso. Occorre attendere fino al XVIII secolo, detto non a caso del Rinascimento, per avvertire un’insopportabile senso di curiosità e sete di conoscenza galleggiare nell’anima… Viaggiano con i libri dello storico Erodoto, del geografo Strabone, del topografo Pausania, di Omero, molto preciso nonostante si sostenga fosse cieco; si muovono sui luoghi descritti convertendo gli stadia in miglia e ricostruendo la posizione nonostante i cambiamenti del paesaggio. Arrivano dalla Gran Bretagna, dalla Francia, dall’Italia, tutti pazzi per il mondo classico e rosicchiati da una nostalgia terribile e un ardente sentimento reverenziale verso la superiorità delle civiltà antiche. Non turisti, ma persone portate là da una professione o da una missione ben precise, che viaggiano appuntandosi le cose più degne di interesse e aprendo una strada che sarebbe sfociata presto nella cosiddetta letteratura di viaggio. Uno dei più attivi è l’ambasciatore di Francia a Costantinopoli, mosso dall’ansia di conoscere il più a fondo possibile il proprio territorio di competenza; si sposta con tutto il seguito e uno sfarzo memorabile, annotando, catalogando e collezionando. Una pacchia disumana, la Rigida e la Morbida affogano nell’invidia più insostenibile. Quelli che lo seguono, entusiasmati dalle sue parole scritte, si fanno aiutare dalla gente del luogo, sfidano i briganti in agguato, i pirati, le epidemie a quel tempo frequenti, le zanzare, il caldo insopportabile e la sporcizia, lottano contro l’ottusità dei dominatori turchi, gelosissimi dei propri possedimenti (un’impalcatura e un uomo in cima possono carpire dall’alto i segreti di un harem, o rivelare l’esistenza di un deposito di munizioni proprio dentro il Partendone, in un’Acropoli che allora era una cittadella turca); utilizzano spesso le mappe fornite loro di nascosto dai monaci; per difendersi si accompagnano alle carovane scortate dai giannizzeri, i soldati del sultano. Le spedizioni e gli scavi si moltiplicano, i preziosi ritrovamenti prendono spesso la via dell’Europa… fino a quando la Grecia ne vieta le esportazioni. Nessun tipo di difficoltà frena questi esploratori, i Chandler, gli Spon, i Kheler, emozionati come bambini quando si trovano a camminare per la prima volta nel sito di Olimpia e Delfi, magari un prato con le pecore al pascolo, tra i cespugli un marmo antico che affiora qua e là…Scorto per caso…Una sete insaziabile di sapere e la meraviglia negli occhi anche senza l’ausilio della tecnologia moderna e dell’organizzazione di un museo tipica dei giorni nostri, incapace oggi di emozionare a tal punto… Camminando tra i resti dell’ANTICA THERA, scomposti e ancora parzialmente da riportare alla luce, si può provare qualcosa di vagamente simile all’emozione dei primi esploratori… è un po’ come avventurarsi nel tempo… E’ anche un modo per essere indulgenti verso la lentezza dei lavori e l’approssimazione della ricostruzione, resa enigmatica dai pochi cartelli collocati lungo il percorso, rigorosamente in greco e inglese. Sono le 8 del mattino, le due compagne di viaggio sono salite in cima al Mèsa Vounò attraverso una strada di ciottoli bellissima quanto scomoda da percorrere in motorino, la calura già intensa è mitigata dal forte vento. Sono le uniche turiste, in una minuscola casupola due ragazzi vigilano… L’ingresso costa 2 € …Due Eurooooo…!!!!! Nessuno li chiede. Si inoltrano attraverso un percorso tutt’altro che tracciato chiaramente, tra RESTI di ROVINE che sono esattamente l’incarnazione di queste due parole…Occorre una certa immaginazione, e non fa male esercitarla, per riconoscere il teatro, o qualcosa di imponente e significativo nei resti di una scalinata con tre colonne…Si avventurano tra le rovine nel silenzio più assoluto, rotto a un certo punto dalla fioca conversazione di quattro giovani accoccolati per terra, sotto una tenda bianca… Stanno scavando e ricollocando le pietre sul selciato… Poco oltre, due carriole, un mulo, una radiolina spenta, ovunque corde tese a delimitare i sentieri. L’antica fortezza che combatte ogni giorno per essere riportata interamente alla luce troneggiava in una posizione incredibile, a mezz’aria tra Perissa e Kamari, strategicamente inattaccabile dai pirati. Il panorama sottostante è una delle ragioni per salire fin quassù. I Dori di Sparta la costruirono nel 900 a.C., inaccessibile se non dall’unica strada, tra le due spiagge ideali per ancorarvi le navi, accanto a due sorgenti d’acqua dolce ora scomparse, salvaguardata dalle scoscese pareti del Mèsa Vounò, resistente ai terremoti grazie alla dura roccia calcarea. Prima di tornare al motorino, cercano i due ragazzi nella casupola… Vogliono dare i 2 € … non hanno mai desiderato sborsare dei soldi come in questo momento… Non c’è nessuno… Sono arrabbiate come belve, come possono finanziarsi i lavori, così…!? Ridiscendono e si dirigono verso PYRGOS, in cima al Profitis Ilìas, 350 m d’altezza, un minuscolo borgo di casette quasi deserto, visibile da ogni punto dell’isola, che culmina nel tratto più alto in un castello e nelle rovine di antiche mura medioevali. Peccato che non sia Pasqua… Qui viene celebrata con l’accensione di fiaccole e barattoli di latta pieni di petrolio sistemati in ogni angolo, e da lontano il borgo sembra in fiamme… A metà mattina scendono verso KAMARI e sostano all’ART SPACE, una vineria alquanto speciale… Se con un po’ di fortuna si trova il proprietario, si può scendere nelle antiche cantine a volta in cui, fino al 1950, si produceva il famoso vin santo. Ovunque, opere d’arte, sculture, gioielli, quadri e ceramiche, accanto agli utensili usati anticamente e a vecchie foto in bianco e nero. Si assaggia anche il vino, se si vuole si compra. Vivamente consigliato, è buonissimo, nei supermercati lo si trova a un prezzo migliore, ma… sarà così buono…? “Vergognose, pusillanimi, dolorosissime pene di un bipede fondamentalmente refrattario all’acqua…” La Rigida, tragedia umana del nostro tempo, a proposito di sé stessa… La prima settimana finisce al tramonto. Si rendono conto che sarebbe stata sufficiente a conoscere ogni angolo dell’isola. Inizia il soggiorno balneare, ora sono costrette a riposarsi… SPIAGGIA DI KAMARI, a tratti attrezzata, ma niente cabine. Hanno scelto un ombrellone tra quelli ancora liberi. Dopo una buona mezz’ora arriva una signorina a riscuotere, soli 5 €… rimirano mentalmente con sdegno profondo i prezzi della Liguria…La Rigida decide di fare il bagnetto. Raggiunge l’acqua decisamente limpida, accogliendo la scoperta che si sprofonda a pochi centimetri dalla riva con un grugnito sommesso e prolungato degno di un licantropo… Con uno sforzo sovrumano che le ribalta la pressione arteriosa si immerge fino alla vita, sguazza tipo paperella tramortita in una vasca da bagno, mima il movimento di nuotata col braccio sinistro, avanza ancora un po’… Un senso di soffocamento con paralisi le sale alla gola, puntuale come un orologio svizzero… Boccheggiando, con malcelata nonchalance si volta verso la spiaggia… Sperando con tutte le proprie forze più riposte che nessuno la noti, si bagna la parte superiore del corpo gettandosi l’acqua addosso… Certa di aver assicurato il contatto di ogni centimetro di pelle con l’acqua salata meravigliosamente abbronzante, senza però essersi bagnata la testa e i capelli… giammai…Lentamente risale. La sabbia grossolana, nera e vulcanica, mista a rovinosissime, odiose pietroline le invade le dita dei piedi… le scrolla via… riappoggia il piede, che si impregna nuovamente… seleziona le montagnole lungo il percorso nel tentativo di non sprofondare… in compenso sprofonda a ogni passo… Dio c’è…Dopo sforzi inumani caratterizzanti l’intera traversata del bagnasciuga, dissimulati da un’andatura pseudorigida con ululato incorporato del tutto impercettibile, l’impiastro si accascia sulla sdraio e brandisce il suo trastullo preferito: un tomo. Dal titolo “Greci, Se li conosci non li eviti”- Collana “Le guide xenofobe” – Edizione Sonda. Uno spassoso volo pindarico dentro il carattere di questo popolo, fatto da una greca purosangue. Tutto vero. Da leggere prima di partire. Intanto, nell’acqua poco lontano, uno strano essere vivente, dotato di pinne, boccaglio e maschera, esplora un fondo vario come il resto del territorio: sabbia fine, poi pietre, rocce piatte, arbusti marini… e pescetti. L’acqua è talmente salata che, quando torna su, le ha macchiato tutto il costume. Ma la Morbida non ce la fa… ha fame… è ormai passato mezzogiorno (!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!). All’ennesimo passaggio quasi sul pelo dell’acqua di un velivolo che atterra (la spiaggia è nel corridoio aereo dell’aeroporto…), smette di nuotare e decidono di cercare qualcosa di memorabile, di non accontentarsi di una delle taverne sul lungomare, a pochi passi. Lasciati gli asciugamani a presidiare l’ombrellone, saltano sul dannato motoronzolo ed esplorano le viuzze attorno al centro. Eccola… una delle taverne segnalate dalle guide…Assomiglia un po’ troppo a un pub, ma si vogliono fidare. THE FAT MAN prometterebbe bene, significa “L’uomo grasso”…Si siedono… e in tredici secondi netti vengono catapultate a Buckingam Palace. Gli unici altri clienti sono rigorosamente made in England… i camerieri sono inglesi purissimi… la tv nella saletta attigua bercia una sporca partita di calcio in cui è impegnata la squadra del loro cuore… Ordinano da un menu che porta i medesimi piatti rintracciabili in una qualsiasi carta di una qualunque taverna greca… la speranza è l’ultima a morire… Mentre aspettano, affamate come lupi, la Morbida abbozza l’ipotesi decisamente pazzesca che a Santorini qualche turista non sia minimamente intenzionato a mangiare in modo diverso da come mangia abitualmente a casa, magari non per quindici giorni; si spiega così la presenza delle molte pizzerie e trattorie italiane. L’innata tolleranza della Morbida vola alto sul tavolo imbandito anche quando la partita finisce e da uno stereo parte a palla della musica chiaramente anglosassone… Dopo circa un’ora di attesa senza la minima traccia di materiale commestibile, trascorsa nel concentratissimo ripasso della lingua più parlata nel mondo attraverso l’ascolto dal vivo della conversazione tra alcuni inglesi trapiantati sull’isola e alcuni turisti in visita temporanea, arriva finalmente la prima portata…Anzi…Tutto insieme…La fèta, dentro uno strano cartoccio, con un litro di aceto… (?????????). Nuova ricetta…? La Morbida è velatamente dispiaciuta, odia l’aceto. E’ la volta delle olive e dell’insalata Santorini… Anche loro sguazzano nel caro liquido… Inoltre, il piatto forte, il secondo; si spera le salverà da un digiuno che potrebbe rivelarsi letale…E’ un embrione di infinitesimale particella di parte terminale di tentacolo di polpo nano ancora cucciolo, con un chilo di riso scondito, le tanto odiate patatine fritte di Mc Donald’s, più alcune preziose verdurine in scatola come piselli e il classico, schifido mais… Ovviamente, non manca l’aceto… Mentre assaporano in lacrime la dose di pesce insufficiente anche per un lillipuziano, la Rigida compie un avvistamento epocale: alla sua sinistra, uno strano tipo, forse il cuoco, sta estraendo del pesce dal freezer accanto alla tv… Niente pesce fresco… su un’isola…??? Finalmente, la Morbida è incazzata nera. Costo della meravigliosa esperienza culinaria: 29 €… Stragulp…!!! Domanda profondamente mistica: per caso, gli inglesi adorano l’aceto…? Prossima destinazione prevista: le Seychelles. Lasciate ogni speranza, voi che entrate… La Rigida (in un raro momento di lucidità mentale…)



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