Assaggi autunnali di Croazia, Grecia e Montenegro

Anche la crociera può essere un bel viaggio
Scritto da: steber
assaggi autunnali di croazia, grecia e montenegro
Partenza il: 26/10/2013
Ritorno il: 01/11/2013
Viaggiatori: 2
Spesa: 500 €
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Abbiamo sempre snobbato le crociere, così lontane dalla nostra mentalità di viaggiatori indipendenti. Ma siccome la curiosità muove il mondo, ci apriamo a questa nuova esperienza.

Prenoto una crociera MSC da un’agenzia on line (che consiglierei), ad un prezzo molto vantaggioso. Se così non fosse stato, non avremmo certo sacrificato l’equivalente economico di un viaggio “importante”, per l’esperimento-crociera. Il prezzo, certo, risente del periodo di bassa stagione, ma io credo che invece il periodo sia ottimo. In estate preferiamo un altro genere di viaggio, mentre ora, farci scarrozzare con comodità per il Mediterraneo, seppure con tempi risicati, potrebbe essere rilassante e divertente.

L’itinerario, faccenda per noi fondamentale, include Kotor e Dubrovnik, due città con cui abbiamo un conto in sospeso da quando, visitando l’ex Jugoslavia nel lontano 1990, non ci arrivammo.

Poi abbiamo le conosciute Cefalonia e Gythion, Corfù e infine Venezia, la regina.

Prima di partire l’atteggiamento è il solito: mi documento, analizzo, studio e programmo, soddisfacendo così il 50% del piacere di viaggiare. Per noi, neofiti della crociera e poco amanti del “tutto organizzato”, la nave è solo un mezzo di trasporto con albergo annesso, comportante la grande comodità di non dover fare e disfare le valigie ogni giorno.

Ognuno deve avere il viaggio che lo soddisfi e lo rispecchi. Vedremo se riusciremo a costruirci il nostro.

26 ottobre – Ancona – imbarco

Al Terminal Crociere del porto di Ancona si arriva con l’ultima fermata della navetta gratuita dalla Stazione dei Treni, che ferma anche alle biglietterie per i traghetti. La prima navetta del mattino è alle 11,30, con frequenza ogni mezz’ora.

Eccoci quindi in fila per il ceck-in e la consegna dei bagagli. Ulteriore fila per farci consegnare la tessera con annessa foto scattata al momento: la tessera che servirà per salire e scendere dalla nave, per aprire la porta della cabina, per caricare le spese. Ci imbarchiamo.

Appena saliti, si capisce subito di essere stati catapultati in una specie di mondo parallelo. Qui non esistono i problemi, qui solo serenità, sorrisi, vita facile. Tutto è studiato affinché i giorni passino in una specie di grande parco giochi.

Pranzo al buffet, giro di ricognizione, esercitazione di emergenza. Dall’altoparlante ci informano che stasera ci sarà la serata di gala. Che ridere! Mi sono portata degli esagerati vestiti da sera, che metterò con grande soddisfazione, come fosse carnevale!

La notte scorre, mentre la nave scivola sull’acqua calma.

27 ottobre – Dubrovnik 7-19 (per gli orari considerare che il “tutti a bordo” è 30 min prima della partenza)

Scosto la tenda della finestra e vedo che stiamo già ormeggiando sotto il ponte di Dubrovnik. Stamattina ce la prendiamo con calma, perché la nave, per permettere l’escursione a Medjugorie, fa una sosta di ben 12 ore.

Subito dopo la Dogana, a 100 metri dalla nave, ci sono la fermata dei bus e l’ufficio di cambio. Con 1 euro si ottengono 7 kune. La salita alle Mura costa al cambio 12 euro, e si paga solo in kune (90).I biglietti dell’autobus costano 12 kune (quasi 2 euro) a tratta. Per arrivare in centro (a Porta Pile, proprio all’ingresso della città, dove arrivano anche le navette delle navi da crociera) basta prendere i frequentissimi autobus 1A , 1B e 8. Si può arrivare anche a piedi, come faremo noi, con una camminata tranquilla di una quarantina di minuti.

La cittadina è affollatissima, ci sono ben 3 navi in porto. Quasi ci si spintona per passare attraverso le porte nelle mura. Superato l’ingorgo, decidiamo di salirvi subito per evitare il caldo, che già inizia a farsi sentire.

Bella Dubrovnik: la pietra dorata si illumina al sole e dall’alto la vista dei tetti rossi e dei panni stesi ne fanno una città viva. L’impianto medievale è riconoscibilissimo, con i torrioni, le vie tortuose e i ponti levatoi. Il giro sulle mura dura circa 1 ora e 30, e non è assolutamente da perdere.

Scesi nella piazza della fontana di Onofrio, dove ci sono anche la Chiesa di San Salvatore del 1528 e il Museo Francescano, scopriamo una città linda e serena, ripresasi con orgoglio e baldanza dalle ferite della guerra. Procedendo sulla Placa (lo Stradun) da Porta Pile verso Porta Ploce (che sbocca verso il porto), sulla sinistra si viene attratti dalle viuzze aggrappate sulle strette gradinate Mentre sbuchiamo ansanti alla sommità di una di queste, un californiano in cima alla stessa, ci chiede a bruciapelo come mai gli italiani, che hanno tanti paesini medievali nel loro Paese, facciano tanta strada per vedere un luogo che non ne è superiore. Per fortuna mi viene la risposta pronta: perché gli italiani amano viaggiare, sono curiosi e hanno la grande dote di meravigliarsi di tutto. Il viaggio non è solo la ricerca della bellezza: il viaggio ha senso in se stesso.

Sempre dallo Stradun (che è l’arteria della cittadina), ma sul lato destro, vie più aperte, con piazze e la Chiesa serbo-Ortodossa. In fondo allo Stradun, dopo le quattrocentesche Colonna di Orlando e Torre dell’Orologio, nella stessa piazza, la Chiesa di San Biagio. Ad una cinquantina di metri il Palazzo del Rettore e la barocca Cattedrale dell’Assunzione della Vergine. Dubrovnik è tutta qui, accoccolata tra le sue mura, che proteggono i palazzi, le chiese e le strade piene di turisti.

Oltrepassando porta Ploce e il ponte levatoio, si sbuca all’esterno, e proseguendo per qualche centinaio di metri si arriva alla spiaggia East West. Gradevole, soprattutto per la veduta sulla città. Il mare comunque è limpido e ci sono vari bagnanti in acqua.

Altre info su cosa fare a Dubrovnik: vi sono gli autobus scoperti che fanno fare un bel giro nei dintorni per sole 60 kune. C’è poi la funicolare che con 80 kune porta in cima alla montagna, per una vista fino, dicono, alle coste italiane. Ulteriore opzione, la visita dell’isoletta di Lokrum (10 euro a/r).

Ma questo intenso caldo inatteso, dopo la lunga e stancante camminata sotto il sole, inizia a farci sentire a disagio. Così decidiamo di tornare in nave per rinfrescarci. Prendiamo l’autobus e in 5 minuti siamo al porto. Che comodità: ci facciamo pure lo spuntino dal nostro pizzaiolo napoletano.

Io pero’ scalpito: immagino che dal ponte sotto cui è ormeggiata la nave ci sia una vista stupenda. Voglio salirci, ma come? Dalla strada principale, ci sono delle vie formate da gradinate, che sicuramente porteranno lassù… Così, nonostante qualche deviazione tra le case e gli orti, riusciamo ad arrivare. La passeggiata dà una certa vertigine, ma apre la vista su tutto il golfo. Sotto di noi vediamo i passeggeri fare il bagno nelle piscine, sentiamo la musica e le incitazioni a giochetti vari. Ora siamo fuori dalla nave, e, come abbiamo sempre fatto, tra noi ne deridiamo gli occupanti. Quando risaliremo, entreremo invece inevitabilmente nell’ordine di idee della liberatoria idiozia collettiva.

Si mollano gli ormeggi con un po’ di anticipo: evidentemente tutti sono risaliti. I fischi di sirena salutano Dubrovnik, mentre il buio prende il sopravvento e il mare tranquillo si fa sempre più scuro.

28 ottobre – Argostoli (Cefalonia) 13-19

Dal mattino si costeggiano le Ionie.

Inutile dire che dalla colazione in poi, saro’ posizionata nel mio luogo preferito: una delle balconate di poppa. Luogo delle emozioni, che questa nave di gusto piacevolmente retrò, ha preservato dallo sfruttamento dello spazio in cabine, creando una zona riparata, panoramica e intima, dove pensare, fotografare e sognare seguendo la scia.

Intorno alle 11, la sagoma di Cefalonia si stacca dall’apparente tutt’uno con Lefkada. Eccola: placida e sognante, così lontana dall’immaginario collettivo di isola greca. Quasi del tutto ricostruita dopo il terremoto del 1953, non è certo nelle sue costruzioni (tranne il paesino di Fiskardo e qualche fortezza) che si celebra il suo fascino.

Cefalonia è un’isola grande e bellissima, con spiagge da sogno, angoli di natura incontaminata e strade che scoprono mondi. Non è assolutamente un’isola la cui bellezza possa essere celebrata con una sosta di sole 6 ore. Nemmeno la visione dall’alto della scenografica e giustamente famosissima spiaggia di Myrthos, da sola può dare un’idea di quanto sia bella Cefalonia. E’ un’isola da scoprire in più giorni e con mezzi idonei: non certo i pullman delle escursioni organizzate. Dico questo, perché molti passeggeri che arrivano qui in crociera, ne rimangono delusi.

Noi pero’ Cefalonia già la conosciamo e, guarda caso, la zona che ci era rimasta da esplorare era proprio quella a pochi km dal porto. Con l’abitudine di iniziare a visitare i luoghi più lontani per paura di perderceli, spesso e volentieri ci troviamo a ripartire da un posto senza aver fatto le tappe più vicine…

Per chi interessasse, proprio allo sbarco ci sono ragazzi che distribuiscono volantini per fare delle escursioni da una ditta privata, ad un prezzo inferiore del 50% rispetto a quelle della nave. Portano al Lago di Melissani, oppure a fare un giro panoramico di Argostoli.

Aggiungo una piccola nota riguardo Melissani: la bellezza dei colori di questa grotta con la volta crollata, dà il meglio di sé a mezzogiorno, quando i raggi del sole entrano perpendicolari nella fessura e l’acqua prende tinte surreali. Con una giornata grigia o di pomeriggio, la visita non ha molto senso.

Torniamo pero’ a noi che, dopo una breve passeggiata, procedendo sulla sinistra, raggiungiamo il molo prima del ponte Devosetou, dove vivono numerose tartarughe caretta-caretta. Ne individuiamo diverse: sono enormi e emozionanti. Sembra che danzino sotto il pelo dell’acqua.

Poco lontano, sempre sul lungomare, tornando indietro e riavvicinandoci alla nave, ci sono ben due noleggi di moto. Noleggiamo uno scooter per arrivare alle spiagge di Makris Gialos e Platis Gialos, poco lontane e raggiungibili anche in autobus, ma solo in estate. Per arrivarci, percorriamo la strada che prosegue dopo il porto inoltrandosi nella pineta. Il profumo di Grecia si fa strada facilmente attraverso i nostri caschi aperti.

Una manciata di km, e ci troviamo alla spiaggia. Molti crocieristi si trovano qui: li riconosciamo dagli asciugamani arancioni.

L’acqua è invitante, troppo invitante. Chi l’avrebbe detto, lasciando quest’estate le cicladi, che oggi, 28 ottobre, mi sarei ritrovata di nuovo a mollo in acque greche?

Passeggiamo lungo la riva e, superato un costone roccioso, appare la più piccola e ancora più bella Platis Gialos, racchiusa tra il verde dei pini.

Ripreso il mezzo, che fa capricci per ripartire, vorremmo vedere l’angolo di spiaggia di Tourkopodaro dall’alto, ma l’hotel Withe Rock, attraverso cui si può accedere al panorama, è chiuso e ha sbarrato i cancelli.

Torniamo allora indietro per la strada dell’andata, facendo una piccola sosta alla spiaggetta di Fanari e al Faro-Tempietto. A pochi passi c’è il mulino-inghiottitoio di Katavothres, dove si assiste al particolare fenomeno geologico per cui l’acqua che scende qui, attraverso un percorso sotterraneo, sbuca nel lago di Melissani. La cosa fu provata tingendo l’acqua di rosso.

In questa pineta pero’ c’è anche un luogo di dolore: circondata da un tappeto di ciclamini c’è la fossa dove vennero gettati i soldati italiani della divisione Acqui trucidati dai nazisti. Vicina è la casetta rossa, dove i soldati, sebbene già arresisi, vennero processati. Poi il monumento ai caduti, incredibilmente segnalato malissimo, e non trovato nel nostro precedente viaggio.

Qui il motorino ci abbandona. Mio marito non vuole chiamare al telefono il noleggiatore per farci venire a prendere, così lasciamo il mezzo e andiamo a piedi a riconsegnare le chiavi. La signora se la ride: perché non li abbiamo chiamati? Perché ci avete dato un motorino scassato? Lasciamo perdere.

E’ già sera: il nostro albergo illuminato ci aspetta a pochi passi.

Domani ci sarà la tappa che più mi sta a cuore. Sul Today c’è scritto che alle 6,30 costeggeremo Capo Tenaro. Preparo i vestiti in bagno, ma mio marito sa già che anche domattina non riuscirà a dormire…

29 ottobre: Gythion 9-17

Alle 6,30 sono già schizzata fuori, non senza pero’ aver fatto cadere di tutto. Ma perché più non si vuole far rumore, più si fanno danni?

Capo Tenaro, come un dito scarno e nodoso, buca la luce dell’alba. La porta dell’Ade, per gli antichi.

Le coste brulle del Mani continuano a srotolarsi sotto i miei occhi. Armata di binocolo, riconosco i gruppetti di case con le torri tipiche di questo luogo. Abitazioni concepite come inespugnabili luoghi di difesa, danno l’idea della durezza della gente maniota, mai sottomessa a nessuno. Il Mani è un mondo a sé: duro, ostico e introverso. Fatto di grotte, anfratti, paesini di poche case in pietra , mare turchese che può virare fino al viola con profondità inquietanti. Ma anche tanto verde improvviso di distese di agrumi e olivi.

Scendiamo con i tender, per fortuna tra i primi, e subito ci mettiamo alla ricerca di un mezzo di trasporto.

Le escursioni proposte dalla nave sarebbero state Mystras, Sparta o le Grotte di Diros. Da sconsigliare Sparta, di cui non è rimasto quasi nulla (tant’è che l’escursione termina al museo dell’olio d’oliva). Di grande importanza le rovine della città bizantina di Mystras, ma se si vuole avere un assaggio del panorama del Mani, meglio le fiabesche grotte marine di Diros.

La nostra escursione invece ha in programma di riassaporare il più possibile la bellezza di questi paesaggi. Rifare il giro completo circolare da Gythion a Capo Tenaro e ritorno, è impensabile con questa tempistica, ma almeno voglio raggiungere il paesino di Limeni, di cui ho visto una foto che mi ha incantata, e dove l’altra volta non abbiamo deviato. Sono solo una trentina di km da qui. Pero’ ci serve un mezzo. Nonostante la ricerca su internet, non sono riuscita a trovare nessun tipo di noleggio a Gythion, ma è impossibile pensare che non ci sia nulla. A costo di farci prestare un mezzo da un meccanico, troveremo qualcosa.

Tempo una mezz’ora, girando e chiedendo, troviamo un noleggio di motorini sulla strada principale che dal porto va verso l’uscita del paesino. E’ chiuso: strano, visto che c’è una nave da crociera con possibili clienti. C’è pero’ un numero di telefono che ci affrettiamo a chiamare, e il tipo compare in un attimo: credo abiti al piano di sopra. Inizia così una conversazione assurda e interminabile: il signor Makis, dopo averci fatto mille domande, inizia a spiegare a mio marito come usare questo “gioiello” di cinquantino (ha solo cinquantini). Non bisogna superare i 30/max 40 all’ora, ogni ora bisogna farlo riposare, quando si riparte bisogna aprire l’aria, il passeggero deve mettere i piedi come dice lui. Poi segna i km, gonfia le gomme e fa un giro di prova. Ogni volta che pensiamo abbia finito, ricomincia da capo. 30 minuti esatti. Quasi quasi rimpiangiamo di non aver noleggiato le biciclette in piazza. In compenso vediamo passarci sotto il naso i 3 ciclisti che sono in crociera con noi, e che ad ogni porto scaricano le loro bici.

Finalmente si parte. La bella strada, che ben ricordavo, inizia tra il verde dei frutteti e della vegetazione mediterranea, cedendo improvvisamente il posto ad un paesaggio arido punteggiato di fichi d’india. Le case con le torri, costruite con la pietra locale, punteggiano le colline bruciate dal sole, dal vento e anche spesso dal fuoco. Noto che, rispetto a 4 anni fa, si vedono molte case ristrutturate, pur mantenendo la perfetta struttura originale.

Si scende verso Limeni dalla strada principale verso il mare di un turchese abbagliante. Il paese è tutto lì: un pugno di pietre fatte case, sparse con elegante noncuranza intorno ad una piccola insenatura. Più gatti che persone, una taverna con le tovaglie a quadri ed i tavoli che sembrano sospesi sull’acqua. Era questa la foto che avevo visto. Era questo il luogo che cercavo.

Il motorino sta riposando.

Ripartiamo e gironzoliamo un po’ senza meta su queste strade. Ad un bivio, nella zona delle grotte di Diros, ci inoltriamo leggermente nella campagna. Scendiamo dal mezzo (che deve riposare) e continuiamo a piedi. Ancora pietre fatte case, poche, bellissime, sparse tra distese ancora di pietre, tra cui crescono crochi gialli e ciclamini all’ombra di fichi d’India. La luce è accecante. Mi ricorda quella del nostro Salento.

Il tempo si sta esaurendo, quindi non possiamo che tornare alla base, volendo farci anche una passeggiata sul piccolo lungomare di Gythion.

Makis naturalmente, anche per la consegna del motorino allunga i tempi di controllo. Non se ne può più e scopriremo poi non essere stati i soli a capitarci. Se a qualcuno dovesse servire, ho conservato il numero di telefono.

Praticamente di fronte al noleggio, non possiamo non incamminarci sull’isolotto di Marathonisi, unito alla terraferma da un terrapieno. Secondo la leggenda, sarebbe l’antica Krane, dove Paride passò la prima notte d’amore con Elena dopo averla rapita a Menelao.

Ora dobbiamo lasciare il Peloponneso, ma non del tutto, visto che la navigazione ce ne continuerà a regalare la vista, costeggiandolo fino a notte, dopo un tramonto a dir poco superbo.

Vorrei dormire qui col sacco a pelo e mi chiedo: in crociera sarà contemplata la sistemazione “ponte”?

Stasera serata italiana al ristorante. Rifugiandoci nella rassicurante dimensione demenziale, applaudiamo volenterosi camerieri neri e asiatici che, agitando tovaglioli tricolori, cantano “funiculì funiculà”. Chissà in cuor loro quante ne diranno…

30 ottobre – Corfù 9-17

La fortezza di Kerkyra dà il benvenuto all’ingresso nel porto dell’isola verde.

La discesa è velocissima, e alle 9,20 siamo già in sella al nostro scooter 150 diretti a Palaiokastritza. Prendendo a sinistra uscendo dal porto, ci sono 2 agenzie di noleggio: l’Europcar di fronte al semaforo, poi più avanti la Tolis.

E’ bello alternare aria di libertà alle comodità della crociera, che, a lungo andare, diventano stucchevoli e anche claustrofobiche (per me, s’intende!)

La strada per Palaiokastritza è semplicissima: a destra del porto, sempre dritto per 25 km. Quando arriviamo, quasi insieme ai bus delle escursioni, per evitare l’ingorgo, saliamo al Monastero mentre i crocieristi sono fermi in spiaggia.

La piccola chiesa ortodossa, la stanza- museo piena di icone, i gatti, i fiori e il panorama, ne fanno un angolo di paradiso.

La spiaggia è degna della sua fama, ma il bagno non è indicato: è ancora presto è la temperatura non è ottimale. Qui si possono fare anche delle brevi gite in barca per le grotte, ma il sole non è sufficiente a farne apprezzare i colori. Inoltre il mare in mezzo alle rocce fa vistosamente dondolare le minuscole imbarcazioni…

Ora abbiamo varie opzioni: potremmo continuare per la spiaggia di Pelekas,da dove Guglielmo II ammirava l’isola, o arrivare alla più selvaggia Myrtiotissa (ma mio marito non vuole strade complicate). Sidari, col suo Canale dell’Amore, è un po’ troppo lontana, visto che vorremo anche lasciare tempo per Kerkyra. Possibile la visita all’Achilleion, ma, oltre la mia antipatia per la principessa Sissi, non ci sembra il massimo l’idea di andarci a rinchiudere per una lunga visita, oltretutto per vedere in Grecia un’opera neoclassica asburgica.

Decidiamo per il borgo di Kanoni con il monastero della Madonna di Vlacherna. E’ uno dei luoghi più fotografati di Corfù, con il monastero bianco che pare galleggiare sul mare. A fianco, la pista di atterraggio dell’aeroporto.

Per arrivare qui, la strada passa attraverso il sito di Paleopolis, nel quale fervono lavori di scavo e di restauro.

Attraversando la strada rispetto al sito archeologico, c’è la villa di Mon Repos, luogo di soggiorno dell’aristocrazia inglese dell’800, ai tempi del protettorato britannico, e dove nacque il simpatico principe Filippo di Edimburgo. Quello che diventerà storia, in questo caso è ancora gossip. La villa, immersa in un ombroso parco secolare, è davvero un luogo d’incanto e riposo. Ai suoi piedi, sebbene non riusciamo a raggiungerla imboccando un sentiero, dovrebbe esserci la spiaggetta del periodo vittoriano. La villa sarebbe visitabile anche all’interno, ma oggi, non so se per orario o per giornata, è chiusa.

Il tempo inizia a stringere, quindi recuperiamo lo scooter e, costeggiando il bel lungomare, ci riavviciniamo a Kerkyra. Parcheggiamo sulla Spianada, la grandissima piazza dove i corfioti passano ore, e ci inoltriamo tra le vie del centro. Passeggiamo in questo dedalo cosmopolita: il Liston, progettato dall’ingegnere Lesseps su modello di Rue de Rivoli, ricorda l’egemonia francese. Il nome, Liston, è dialetto veneto, così con la fortezza veneziana, il leone alato, il quartiere Campiello, è chiaro il ricordo della dominazione della Serenissima. Ma qui sono passati anche gli austriaci, gli inglesi, i russi, i turchi.

Cerchiamo un angolo di Grecia nella bellissima chiesa di San Spiridione, protettore di Corfù. Pare che più della metà dei corfioti si chiami Spiros…

Abbiamo fatto un bel giro, sfruttando al meglio le nostre 8 ore d’aria, ma, essendo la nostra prima volta su quest’isola, credo che il meglio, come sempre, sia nelle zone più impervie e meno conosciute.

La nostra serata finisce al solito modo: lo spettacolo a teatro con i bravissimi cantanti, acrobati e ballerini, poi l’ottima cena, infine la passeggiata sul ponte a guardare le stelle.

Buona notte!

31 ottobre – Kotor 7-13

Mattinata da incubo per mio marito: l’ingresso nel fiordo inizia alle 5,30. Sguscio dalla camera, poi lungo il corridoio esco dalla porta posteriore direttamente sul ponte 9 di poppa. E’ ancora buio. Le montagne sono ombre minacciose nel chiarore appena accennato. II colori dell’aurora si specchiano in un mare così calmo da sembrare gelatina.Sulla sinistra c’è un fitto banco di nebbia, ma non credo dovremmo ficcarci proprio in quel buco… Invece si! Con le sirene a intermittenza, la velocità ridotta al minimo, si passa completamente avvolti dalla nube. Pian piano il banco si dirada e appare un panorama lacustre. Sembra un po’ di essere tra i “monti sorgenti dall’ acque ed elevati al cielo” del lago di Como, invece siamo nel mare.

La bandiera rossa e gialla del Montenegro ci saluta. Siamo già in banchina, praticamente già dentro il paese di Kotor.

Iniziamo la nostra passeggiata nelle piazze deserte, nelle vie ancora addormentate. Il grigiore della pietra, unita al silenzio, crea una strana e rarefatta atmosfera.

Per evitare il calore del sole, che tra poco potrebbe arrivare, partiamo subito per la salita alla fortezza. Sono 1350 gradini. Non li ho contati, ma mi fido. Farli sotto il sole non è pensabile. C’è una specie di prima stazione a circa 1/3 di strada, dove c’è una chiesetta e venditori di acqua. Molti si fermano qui.

Naturalmente proseguiamo, anche se in realtà degno di nota è solo il panorama, oltre naturalmente la soddisfazione di avercela fatta. La salita impegna almeno per un’oretta, la discesa metà tempo.

Ridiscesi dopo la sfacchinata, iniziamo il giro di Kotor tra le mura. Visitiamo, tra le altre, la Chiesa di San Trifone, iniziata nel XII secolo, anche se più volte ricostruita per via dei numerosi terremoti.

Al piano superiore c’è un museo ecclesiastico davvero degno di nota (ingresso 2 euro per chiesa e museo).

Rinunciando alla salita alla fortezza, potrebbe essere comodo fare il giro con l’autobus turistico scoperto, che con 20 euro porta fino a Perast e Risan. Nel prezzo sono compresi i biglietti per gli ingressi ai musei e la guida a piedi per la visita di Kotor.

Ora la nostra nave è stata spostata al largo per far posto ad altri due giganti. Ci si reimbarca quindi con le lance e si è formata una fila lunghissima.

Finalmente a bordo, dopo il consueto pranzo al buffet, mio marito va a riposarsi in cabina e io riprendo posto nella mia postazione privilegiata. Apro un lettino e mi sdraio sul ponte: il paradiso è qui. Resto per ore a meditare, fissando come un’ebete le sponde che sembra di poter toccare e l’acqua appena increspata dalla scia.

Avrei voluto fare un bagno in piscina, avrei voluto esplorare meglio la nave, ma questo luogo mi ha fagocitata e ha risucchiato il mio tempo. Domani si sbarca, ma ancora non riesco a muovermi da qui.

Devo per forza rientrare per l’appuntamento per le procedure di sbarco, i saluti quasi commoventi a teatro con i membri dell’equipaggio, la cena. Dopo cena chiedo a mio marito se possiamo berci qualcosa di caldo… indovinate dove? Sul ponte di poppa! Soffro molto il mare, ma questa situazione di mare calmo, mi ha fatto tirare fuori come una voglia di rivincita: voglio stare qui a godermelo.

1 novembre – Venezia – sbarco ore 10

Oggi voglio strafare: pronta con la macchinetta fotografica da quando la Serenissima inizia ad intravedersi. Stavolta però non a poppa, riparata, ma più in alto che si può.

Entrare a Venezia su una nave da crociera fa l’effetto di essere a bordo di un carro armato in un negozio di bicchieri. La città più bella del mondo appare come una cartolina, e devo dire che, pur stramaledettamente meravigliosa, non dà quella terribile sferzata emozionale che si sente quando la si guarda dal basso. Venezia non va vista così: Venezia va guadagnata tra calli, canali e campielli. Va scoperta a piedi, in vaporetto o in gondola, ma comunque in una dimensione il più possibile a pelo d’acqua.

La nave ci vomita fuori con i nostri bagagli e i nostri ricordi.

Appena usciti dal terminal dovrebbe esserci la navetta portuale a condurci fuori dal porto. Non la vediamo, quindi ci facciamo circa 1 km fino al trenino (inutile) che con 1 euro arriva al Ponte di Calatrava. Inutile perché tra salire e scendere dal binario sopraelevato, si impiega più tempo e fatica che se avessimo fatta la poca strada a piedi. Superato il discutibile ponte con gradini poco adatti al trasporto di trolley, ci riempiamo ancora un po’ gli occhi di bellezza. Siamo praticamente in stazione, pronti a salire in treno e rituffarci nella vita di tutti i giorni.

In conclusione, anche se non vi sentite portati per la crociera, non negatevi una nuova esperienza. Potrebbe piacervi.

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