Aspro Nicaragua

On the road, senza una stretta programmazione, alla ricerca di siti naturalistici
Scritto da: moroLi
Partenza il: 13/04/2014
Ritorno il: 27/04/2014
Viaggiatori: 3
Spesa: 2000 €
Siamo 3 amici che attrattati da allettanti recensioni abbiamo scelto il Nicaragua in cerca di contatti naturalistici e avventurosi. Abbiamo così programmato di suddividere il nostro viaggio in 3 parti: la prima rivolta alle corn islands e alle loro meraviglie acquatiche. La seconda inerente il bacino del rio S. Juan (al confine col Costarica) e la terza, intesa come fase “di riposo“, da trascorrere sulla spiagge intorno a S.Juan del Sur, sulle sponde del pacifico.

Arrivati a Managua nel tardo pomeriggio abbiamo pernottato nelle vicinanze dell’aeroporto e la mattina di buon’ora eravamo già al terminal de “la Costena“ (la linea aerea interna, un po’ “artigianale” e approssimativa come servizio a terra ma in grado di far raggiungere destinazioni anche sperdute). Un’oretta abbondante di volo a bordo di un bielica da una quarantina di posti e arriviamo nel bel mezzo di big Corn Island. ”Nel bel mezzo“ non è una esagerazione, visto che la pista è praticamente inserita nell’abitato e, in momenti di non utilizzo, attraversata da pedoni, biciclette, moto, cavalli, maiali etc etc…

Troviamo sistemazione dignitosa al Gi&Gi (25 $ a notte una camera con aria condizionata e 15 $ se ci si accontenta del ventilatore) ed iniziamo l’esplorazione dell’isola grazie ad uno degli innumerevoli taxi. La tariffa è di 18 Cordoba a persona sia per percorrere 100 mt, sia x farvi portare dal lato opposto dell’isola. Naturalmente per tour particolari è bene contrattare anticipatamente. Si tratta di un’isola incantevole con spiagge fantastiche e poco frequentate, e con un reef interessante per lo snorkeling a poche decine di metri della punta nord. La costa est è meno frequentata e più battuta dai venti, mentre l’estrema punta sud è l’unico luogo ove non arriva la strada asfaltata. Degno di nota un sito a circa 150/200 mt dalla costa, in prossimità del pontile per l’attracco delle bettoline (costa ovest) ove a 4/5 mt di profondità giacciono i resti di un galeone spagnolo, e segnatamente 12 cannoni ricoperti di organismi marini.

Sull’isola vi sono almeno una decina di hotel e innumerevoli ristoranti (per il pesce da prediligere quelli dislocati verso la punta nord). La spesa per un pasto innaffiato da una “tona“ (la cerveza locale) varia dai 4 ai 10/12 € in base al tipo di locale che si sceglie. Il piatto locale è il “rondon“, a base di pesce, yuca, platano, latte di cocco (buono anche se un po troppo dolciastro per i nostri gusti) oltre al sempre presente “pescado”. E’ notevole l’offerta di aragoste, soprattutto nel periodo in cui proliferano (il nostro inverno).

Se non si vuole approfittare dei taxi si possono noleggiare scooter ( modo ideale di muoversi sull’isola ) o auto simili a quelle che solcano i campi da golf. Non è poi difficile ingaggiare un “capitano“ che con il proprio “panga“ (una lancia di robusto vetroresina lunga 7/8 di metri e larga un paio spinta da potenti fuoribordo) potrà farvi fare il giro dell’isola, portarvi su interessanti siti per lo snorkeling o, opzione da scegliere, trasportarvi fino a little corn islands (isola pechigna): un autentico gioiello! Si tratta di un’isoletta ancora più ”tropicale“ con palme che crescono fino al bagnasciuga, reef a 100 mt dalle rive (sul lato nord) , nessuna strada carrabile e quindi nessun veicolo e diverse possibilità anche di pernotto in palafitte poste anche a 4/5 mt dalla sponda del mare. E ancora un paio di piccoli negozietti e 4/5 ristoranti: l’ideale per qualche giorno in assoluta tranquillità o in dolce compagnia. La traversata dura circa 50 miniti ed è bene contrattarne il costo anticipatamente , senza spaventarvi di iniziali richieste esorbitanti ( dopo la contrattazione abbiamo pattuito il tour con partenza verso le nove del mattino e rientro alle 16 , compreso un paio di soste per lo snorkeling sul reef a 3.000 cordoba carburante compreso ) . Noi ci siamo spinti oltre, sopportando un viaggio di 2 ore e mezza non proprio rilassante ( siamo pur sempre nell’oceano ed è difficile incappare in situazioni di perfetta bonaccia) e diversi spruzzi salmastri. In un’altra giornata e al costo omnicomprensivo di 7.000 cordoba ci siamo fatti trasportare sui cayos (si tratta di isolotti grandi poche centinaia di metri circondati da barriere coralline). E’ stata un’esperienza fantastica: il primo cayo che abbiamo visitato era un vero e proprio atollo con il classico anello di barriera corallina, la laguna interna (entro la quale in periodi adatti si possono incontrare le tartarughe) e una striscia di ciottoli al centro su cui sono state erette delle baracche e vengono ammucchiate le nasse per la pesca delle aragoste. Con sorpresa abbiamo trovato anche un “custode“, un tipo che vive là da solo per 4 mesi a vegliare le nasse e “l’accampamento“!

Il secondo cayo che abbiamo visitato aveva in serbo sorprese ancora più sconvolgenti. Si trattava di un’isoletta lunga si e no 200 mt e larga una trentina ricoperta da palme cariche di cocco e circondata anch’essa da una barriera corallina. All’interno della laguna vi era ormeggiata un’imbarcazione e sotto le palme abbiamo visto delle tettoie ricoperte di foglie di palma. Siamo scesi a terra ed abbiamo conosciuto gli abitanti dell’isola: tre cacciatori di tartarughe intenti a smembrare e ad affumicare alcuni malcapitate “tortughe“. Altre 3 erano in attesa di essere macellate, ansimanti, rivolte a pancia in su sotto una tettoia accanto a quella con le amache ove hanno eletto il proprio domicilio i 3 cacciatori che hanno detto di raggiungere la terraferma solo per vendere la carne e rifornirsi di generi di prima necessità. La visone è stata cruda e shoccante, piena di commiserazione sia per le vittime della caccia che per gli autori, costretti dalla mancanza di alternative ad una vita inimmaginabile per le nostra cultura.

Finita la prima parte del viaggio ci rimbarchiamo sull’aereo per Managua. Prendiamo la macchina a noleggio, passiamo dall’ hotel a recuperare il grosso del bagaglio lasciato in deposito e partiamo subito per S. Carlos: il paese posto dove inizia il corso del rio S. Juan , il fiume che scarica le acque del lago Nicaragua nell’oceano atlantico e da dove partono le imbarcazioni che portano al villaggio de El Castillo (raggiungibile solo per via fluviale in 1 ora e mezzo su battelli “ rapidi “ o 3 ore e mezzo su quelli lenti). Arriviamo giusto in tempo per reperire una sistemazione e prenotare il tour che ci ha attratto qui: un’esplorazione guidata di una riserva protetta in piena foresta pluviale alla ricerca di scimmie, bradipi, caymani, giaguari e quant’altro sia possibile osservare. Purtroppo il tour di 3 ore e mezza nell’afosa foresta (dopo un’altra ora e mezza di piroga a motore) al seguito di una guida autoctona (un indigeno “ rama “) ci riserva solo delusioni: non avvistiamo nessun animale e riceviamo solo informazioni sulla flora e sul suo utilizzo da parte degli indigeni. La fauna è in sciopero o si è accordata per non farsi vedere. Torniamo a El Castillo appena in tempo per una doccia e per imbarcarci sul battello (lento) che ci riporta a S. Carlos ..e l’umore non è certo a mille. Una corsa nella sera e nel buio della notte ci consente di arrivare a pernottare nei dintorni di Masaya, una trentina di km a sud di Managua.

La mattina successiva effettuiamo una visita abbastanza sbrigativa alla graziosa città coloniale di Granada, un po’ di shopping e poi proseguiamo per le sponde del pacifico, per la parte finale e più rilassante (almeno sulla carta) del nostro viaggio. Percorriamo qualche decina di km sulla pan americana verso sud e poi imbocchiamo una strada sterrata che si dirige verso l’oceano: abbiamo voglia di un bagno e di un po’ di brezza fresca che ci consenta di spegnere l’aria condizionata. Raggiungiamo il pacifico nella zona di Popoyo e gustiamo del buon pescado in una delle tante baracchine sul mare… un bagnetto e poi riprendiamo la strada sterrata che di tanto in tanto torna a lambire le spiagge, un altro bagno a Playa Gigante (notevole) e poi verso Rivas con un piacevole incontro nei dintorni di Tola dove notiamo una piccola comunità di “mono congo “ (scimmie urlatrici) sugli alberi al lato della strada e ci fermiamo a filmarle. In serata raggiungiamo S. Juan del sur e la nostra prima occupazione è quella di reperire un hotel (ce ne sono svariati e di tutti i livelli) e, dopo una doccia, un ristorante. Notiamo che qui i prezzi sono leggermente superiori che nel resto delle zone che abbiamo frequentato… ma anche che i locali sono di livello superiore, con ambientazioni e servizio di standard “ europeo “ (soprattutto quelli sul lungomare).

Nei giorni seguenti esploriamo le varie spiagge nella zona sia a sud ( vale veramente la pena una puntata a playa el coco , dove , nei periodi giusti, nidificano le tartarughe ) che a nord ( da vedere playa Marsela e playa Maderas ) e ci concediamo pure un intermezzo per un’escursione giornaliera sull’isola di Ometepe … che non si rivela fortunatissima . L’isola si raggiunge con un’oretta di traversata su uno dei ferry che fanno la spola da S. George ( non vi fate “ catturare “ da uno degli addetti delle “ officine de turismo “..proseguite dritti fino all’imbarco e , a bordo , pagherete il semplice biglietto ) e , una volta sbarcati , e prenotato in viaggio di ritorno , è possibile scorrazzare per le varie spiagge dell’isola o inerpicarsi sulla pendici di uno dei 2 vulcani. Raggiungere il limite delle caldere non è semplicissimo e richiede svariate ore di cammino e un certo allenamento. Noi scegliamo di fare un giretto sul vulcano Maderas ( alto “solo 1.300 mt .. il Concepcion supera i 1.600 ) senza la presunzione di raggiungere la cima ma solo per immergerci un pò nella rigogliosa natura, anche perché alle 17 dobbiamo essere all’imbarcadero per il traghetto che ci riporterà sulla terraferma. Raggiungiamo in auto finca magdalena ed iniziamo ad arrampicarci , fa molto caldo e la salita è impegnativa. Sentiamo in lontananza il ruggito delle scimmie urlatrici e notiamo qualche stupenda farfalla. Dopo un’oretta abbondante di cammino ci separiamo: io scelgo di tornare al centro visite per rifocillarmi e aspettare il miei 2 amici che proseguiranno ancora un pò ma..” torneranno sicuramente entro le 15,30 “. Alle 16,45 non vedendoli ancora di ritorno perdo le speranze di riuscire a salire sul traghetto ed inizio ad inviare loro “ macumbe “ varie : si sono persi nella foresta e nonostante i successivi sforzi non riescono a rientrare prima delle 17 ..una corsa in auto verso il porto ci consentirà solo di ammirare la poppa del ferry che si allontana e di cercare comodamente una sistemazione per la notte… con l’accogliente hotel di S.juan del sur che ci attende invano…

Il giorno dopo iniziamo l’avvicinamento a Managua esplorando alcune spiagge più a nord (bella e selvaggia Huehuete dove gustiamo una squisita aragosta) per poi dirigerci verso la capitale ove girovaghiamo per un po’ durante la ricerca dell’hotel per l’ultima notte prima del lungo e frastagliato viaggio di ritorno, con la consapevolezza di aver vistato un paese aspro ma affascinante, popolato da gente di indole onesta e aperta, con zone litoranee stupende ma, forse, un pò sopravvalutato dal punto di vista naturalistico.



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